Sola andata

Sola andata

domenica 13 gennaio 2019

Il bello di non avere scelta

Sono sicura del suo affetto. Ora come allora, quando ferirmi era l’unica cosa che gli riuscisse di fare, quando le bugie e le omissioni erano il presupposto necessario per tenermi agganciata a lui non solo perché, forse, ci provava gusto e solleticava in modo un po’ meschino il suo ego, ma anche perché non avrebbe potuto fare molto altro per includere anche me nel suo starsene decentrato in un luogo non scelto.
Ci siamo incrociati ieri per strada, credo che lui mi avesse visto per primo, in un posto differente da quello in cui è più probabile incontrarsi, aveva un sorriso gioioso e rilassato e mi sembrava proprio contento di aver visto proprio me. Il fatto è che mi pare ancora così strano. Per colpa sua ho sofferto fino a vomitare, pianto incessantemente per giorni, forse sarà sua la responsabilità di ogni mia problematica relazionale per il resto della mia vita e pure di una certa anestesia emotiva di cui mi sono dotata per difendermi. Eppure non lo odio. Forse perché sono sicurissima che ancora potrei contare su di lui più che su chiunque altro e perché ancora tiene in considerazione il mio parere, oppure perché lo conosco bene anche al netto di come si è comportato con me. E quella è proprio la parte di lui che mi piace ancora molto. Forse perché perdonare mi fa sentire la persona che mi piace essere e quel suo fugace sorriso durato giusto qualche secondo, in quella strada improbabile, mi è sembrata una boccata di ossigeno proprio da chi me lo aveva tolto. Che cosa dolcissima. Ho avuto modo di sbagliarmi di nuovo sull’oggetto del mio affetto, ma stavolta nulla ha meritato una rilettura così poetica: in quel caso ho semplicemente commesso un errore a cui ho dovuto rimediare con una presa di di distanza da atteggiamenti di succifienza e di superiorità, oltre a piccoli ma irritanti episodi che credo di aver ispirato io. Di buono c'è che proprio per allontanarmi da una condizione tendenzialmemte frustrante ho scoperto cose nuove e intellettualmente stimolanti e intessuto belle amicizie. La mia rilettura sta tutta qui stavolta. Mi pare cosa parecchio buona anche questa.

Mi sono laureata in economia, col massimo dei voti, nel 2000. In tutti questi anni non ho fatto altro che chiedermi cosa avrei fatto se mi avessero consentito di assecondare una più naturale attitudine alle materie umanistiche. Probabilemte avrei fatto una gran fatica a realizzare una delle mie priorità come quella di avere un posto fisso e la conseguente tranquillità che una simile condizione agevola. Ma forse mi sarei pure divertita un po’ di più, conosciuto persone più affini a me, mi sarei espressa meglio e di più. Chi può dirlo...potrei pensare, in un’ottica, ancora una volta, di rilettura di tutto quanto mi accade e che poi finisce per deviare dai miei intendimenti, che paradossalmente posso esprimermi proprio grazie ad un lavoro che non mi permette di farlo, come concentrarmi su ciò che più mi somiglia durante il tempo di cui posso disporre e fare attività che posso permettermi e che mi fanno crescere.
E poi in fondo avere una laurea in economia è una gran figata, soprattutto in quelle occasioni in cui mi accorgo di avere sufficienti strumenti per comprendere quanto siano ingannevoli, deboli e del tutto fallaci i messaggi lanciati da una certa politica incompetente e bugiarda. Avere strumenti di comprensione, qualunque sia il campo a cui essi ineriscano, è esso stesso un modo di esprimersi e di definirsi. Il miglior modo, direi.

Forse le “riletture” sono solo la definizione che diamo alle aspettative disattese, al fallimento di un intendimento, alla paura di scegliere nell’unica occasione che ci è data per farlo. Può darsi. E può anche darsi che sia questa, e nessun’altra, la cosa migliore che potesse capitarci. E così ho pensato che forse sono proprio le scelte che non prendiamo a scegliere noi. E a salvarci

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