Sola andata

Sola andata

giovedì 27 dicembre 2018

Ho fatto in tempo

Non avevo dubbi. Sapevo che avrei trascorso due giorni di festa con la leggerezza di chi ha trovato il modo di disporre in totale autonomia di un periodo tanto delicato come questo. Sono stata qui a Milano, dividendomi tra un po’ di ottima compagnia e la mia sempre necessaria solitudine, camminando tra strade desertiche, un sole gelido ma convinto, degli ottimi film, una torta indimenticabile accompagnata da quasi nient’altro. È stato molto bello e ha continuato ad esserlo anche quando ho sentito i miei per gli auguri. Mia madre non ha mancato di dirmi quanto sono diventati belli i bambini di mia cugina e io ho finto di capire solo il fatto di cronaca in sè. Avrei voluto dirle che sarebbe stato bello averle dato dei nipotini anche io, grazie ad un compagno premuroso e innamorato con cui bipartire gli obblighi del quotidiano, e invece le ho raccontato della mia mattina con i miei compagni radiofonici dell’alba, di un film polacco struggente, le ho confessato che non ho messo mano ai fornelli ma che sono stata in un locale a mangiare una torta buonissima. E sì, è stato divertente, perché ho pensato che ero scampata ad un incidente giusto il giorno prima, che ho fatto in tempo a smettere di farmi trattare come una stupida da uno che mi contattava solo per vendermi cose che non mi interessano. Ho fatto in tempo pure a prendere le distanze e chiedermi scusa di tentativi a vuoto così dolorosi e offensivi. Pare ci sia un’altra, sopraggiunta proprio mentre mi chiedevo quanto mancasse al momento di fare una passeggiata con lui o dargli un bacio in un cinema. Che sciocca, che tenera sciocca che sono...spero di non rivederlo mai più.
Ho fatto in tempo pure a pensare al mio lavoro e al privilegio di un meraviglioso osservatorio in cui il senso di precarietà e incertezza attanagliano persino quelli che in fondo non hanno problemi economici. Sono contenta di non vivere in questo modo il mio rapporto col denaro, l’idea di benessere e di tranquillità. Forse perché ho un lavoro fisso, una casa, nessuno a cui rendere conto...no, credo che non sia per questo. Non più. È semplicemente un percorso che ho deciso di compiere e che ha che fare con il ruolo che sento di voler attribuire alla mia idea di pienezza, senza per questo dover degenerare in una qualche forma di radicalismo settario.
Ho fatto in tempo a starmene zitta, su una panchina, ad inventarmi dei possibili scenari di storia prossima ventura, con questa delirante classe politica che spero svanisca presto e con grande vergogna.

Oggi sono rientrata al lavoro. Sono stata tutto il tempo in sala a gestire i contribuenti e a fare attività di sportello. Ho avvertito costantemente un grande nervosismo e malcontento. Ma forse era solo una mia impressione. E poi ho fatto in tempo a parlare con la mia collega preferita. Mi ha detto che si è stancata molto, che erano in troppi a tavola, che suo figlio ha ricevuto troppi regali, e di questo non è per nulla contenta, e che trema all’idea di replicare anche la prossima settimana. E a me sentirle dire queste cose ha dato da pensare perché mi sfugge la ragione per cui il mio Natale risulti sempre così strano a tutti, se poi si ritrovano a dirmi “beata te che te ne stai per conto tuo”.

Ho fatto in tempo a tirarmi fuori un po’ da tutto quello che mi fa male, che mi respinge, che mi delude. E poi ho fatto in tempo a pensare che la scelta di starsene da soli, soprattutto in questo periodo, richiede un coraggio tale che tutta l’insofferenza per il mondo rimane, per tanti, ancora una benedizione.

Però quando poi la provi...


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