Sola andata

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giovedì 15 settembre 2016

Bene pubblico, ti voglio bene. Ma te lo dico in privato

Ogni tanto me lo chiedo. Non capita spesso perché forse non rientra nelle cose che rimpiango e quindi rimane una curiosità inappagata su cui mi diverto a fantasticare per provare a capire che fine avrei fatto.
Ho sempre intimamente saputo che avrei lavorato nella pubblica amministrazione. Credo anzi di aver dato per scontato questo fatto fin da piccolissima. Le ragioni mi sono abbastanza chiare: un carattere poco propenso al rischio e alla sfida continua del mercato,  una maggiore propensione a garanzia e tutela dei diritti fondamentali, la ricerca di un clima non troppo competitivo, orari di lavoro fissi e ragionevoli, uno stipendio congruo. Ma soprattutto sono da sempre convinta che tutto ciò che è pubblico mi è sempre sembrato buono, giusto e indispensabile. Penserei questo anche se non mi fosse stato suggerito di non dire cose rischiando di fare della brutta pubblicità sui social del ruolo prezioso che tipicamente è chiamata a svolgere la pubblica amministrazione di cui mi onoro di far parte.

Però ogni tanto mi chiedo come sarebbe stato vivere svegliandomi ogni giorno con l'idea di dover essere io stessa il mio datore di lavoro. Come mi sarei proposta? Cosa avrei offerto? Chi avrei cercato per sostenere la mia idea imprenditoriale, che contatti avrei preso? Come mi sarei gestita e organizzata? Ho una laurea in economia e non so rispondere a nessuna di queste domande. Chi lo sa quale sarebbe stata la mia vita alternativa, quella senza orari, magari con dipendenti da amministrare, clienti da curare, contatti da conservare e mai orari fissi o stipendio garantito, ma magari con un talento da scoprire ogni giorno, nuovi stimoli, sfide, entusiasmo da incognite continue. Cosa ne posso sapere che risorse avrei messo in campo? Quali dinamiche avrei generato. Uno si sceglie una vita, a
volte gli capita, altre volte si prende quella che riesce a rimediare...e poi vai a capire se davvero c'ha
preso.

Oggi al lavoro è successa una cosa piuttosto incresciosa con una contribuente che è entrata in agenzia
col pregiudizio di chi ritiene che in posti come questo stazioni gente che non lavora, non risolve i problemi e non ascolta le esigenze del contribuente. Credo sia il frutto di una macchina del fango che trova terreno molto fertile soprattutto in paesi che arrancano e/o si ritrovano governi poco illuminati. Si trattava di una contribuente che faceva delle richieste non conciliabili con le procedure necessarie
per essere assolte. Ha cominciato ad urlare, a fare accuse, a minacciare denunce. La verità è che aveva torto senza possibilità di appello, ma in un ufficio pubblico pare che si possa urlare perché tanto mica ci sta un padrone, io ti pago con le tasse, che mi importa se ti chiedo cose senza rispettare la prassi e facendo accuse gratuite perché tengo la bile che mi è salita fino alle doppie punte. Ma vabbè rimangono comunque molte di più le persone che mi hanno trovato gentile e sono rimaste soddisfatte dei servizi offerti...

Qualche anno fa, un campione di calcio di cui non ricordo assolutamente il nome, durante un'intervista dalla Bignardi, raccontava che aveva iscritto i sui figli in una scuola pubblica per una precisa scelta di assoluta preferenza. Mi piacque moltissimo quello che disse, lui ricchissimo e con le migliori scuole private a disposizione non aveva mai neppure contemplato l'ipotesi di un'educazione differente da quella pubblica. È così che si forma un cittadino tollerante, con una visione laica del mondo, rispettoso delle regole comuni, distante dai privilegi e da una concezione classista della società.

L'idea che ogni cosa sia amministrata e gestita dal pubblico è irrealistica e in fondo anche poco interessante. A me il mercato piace perché mi diverte molto essere una consumatrice che può scegliere. Ma non so vendere e neppure vendermi ed è proprio in questo mio limite che ritrovo la risposta. Scegliere di stare nel pubblico o nel privato non è affatto una questione ideologica o di opportunità che ci vengono concesse. È un modo di essere, un naturale orientamento di fondo.

Avrei dovuto dirlo a quella contribuente incarognita che ce l'aveva così tanto con me. Chissà lei che lavoro fa?
Per consolarla le avrei detto che se avessi avuto dei figli li avrei mandati tutti alla scuola americana. Troppo pubblico non è un "bene"...lo ammetto (ma solo in "privato")







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