Sola andata

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martedì 9 agosto 2016

Affamare la bestia...o almeno tenerla a "regime"

Quando ci sono le olimpiadi faccio un'associazione automatica. Mi ricordo di mio nonno. Credo che sia stato il più grande appassionato di sport che abbia mai conosciuto e anche al netto della sua inossidabile fede juventina e per il ciclismo, le olimpiadi erano per lui un meraviglioso periodo di veglie notturne a godersi qualunque tipo di disciplina. Pure la più sconosciuta o dalle regole incomprensibili. C'era una partecipazione così totale da parte sua, che tarava tutte le commissioni a cui mia nonna lo indirizzava sugli orari delle gare. Il mio ricordo più vivo di mio nonno è indissolubilmente legato a questo.

A me dello sport interessa soprattutto la psicologia dello sportivo. Non posso fare a meno di chiedermi quali siano i motivi che lo hanno portato a scegliere una disciplina piuttosto che un'altra, cosa spinga a sacrificare una vita normale e rilassata in nome di fatiche crescenti e allenamenti continui, cosa scatti nella sua testa prima di una gara...e anche se le risposte sono tutte riconducibili alla passione, trasmessa o nata così per caso, resto sempre molto affascinata dallo strano mistero che uno sportivo professionista si porta dentro.
Un po' di tempo fa ho ascoltato un'intervista alla Comaneci, ginnasta che rientra a pieno titolo nella categoria divinità imbattute, e oggi imprenditrice di grande successo e donna impegnata in attività umanitarie. Ad un certo punto le fu chiesto come le fu possibile raggiungere quei livelli quando era ancora così giovane. E lei rispose che se non fosse vissuta durante un regime così terribile, se non avesse avuto tutta quella rabbia da sfogare e quel l'enorme carico di dolore e umiliazione da elaborare, non sarebbe mai diventata una campionessa. Subito dopo ha aggiunto che nulla sarebbe stato possibile senza l'allenatore che intuì il suo enorme potenziale. Lei sosteneva che se fosse nata ricca e cresciuta in un contesto sano ed equilibrato non avrebbe mai avuto la spinta a fare tutto questo. Ho trovato molto sorprendente quella risposta e immediatamente mi è sorto spontaneo uno strano confronto. Durante la scellerata politica economica di Reagan circolava una teoria iperliberista chiamata "affamare la bestia". Con essa su intendeva affermare che per migliorare i bilanci delle pubbliche amministrazioni e renderle più efficienti, bisognasse privarle di ogni risorsa in modo tale che con mezzi molto scarsi si sarebbero attivate per ottimizzare la loro attività rendendole finalmente competitive e solide. Non commento neppure i risultati più che fallimentari che questa visione iperliberista ha portato ( e che noi abbiamo in parte copiato malissimo), però la Comaneci me l'ha fatta tornare in mente...forse perché i regimi, di qualsiasi natura essi siano, creano delle situazioni estreme da cui solo i fuoriclasse sopravvivono e si rafforzano. Tutti gli altri restano schiacciati a vario titolo dal peso di umiliazioni e rabbia inespressi.

Ma è davvero soltanto così che si può sperare di massimizzare le proprie potenzialità? Vivendo condizioni estremamente sfavorevoli, avere tanta rabbia e la speranza di avere in sorte qualcuno che ti aiuti a canalizzarla, che sennò sei finito? Forse sì. Quindi la passione può nascere soltanto così? È per questo che l'Italia sta vincendo così tanto? E se si, è perché stiamo diventando delle bestie affamate di reaganiana memoria, oppure perché viviamo in un regime repressivo di cui per ora si sono accorti solo gli sportivi? Io voglio credere invece che la passione nasca pure se vivi in un mondo ideale che ti aiuti a capire chi sei e a sceglierti da solo il sacrificio per diventare migliore...ma chissà...


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