Sola andata

Sola andata

sabato 29 febbraio 2020

A seconda (della) visione

Va bene così. Avevo bisogno di un sabato come questo per riprendere il pieno possesso della casa e delle mie solite abitudini, oltre al piacere di tornare con il ricordo ancora fresco alle immagini di un viaggio che è stata letteralmente una boccata d’ossigeno. Oggi sono stata in casa fino alle sei del pomeriggio, ora in cui ho deciso di fare una lunghissima passeggiata in una città ancora spettrale. Prima avevo fatto cose come: l’ennesima lavatrice, preparato la più buona zuppa di cipolle della mia vita, lavato a mano una misteriosa montagna di piatti, ripreso gli allenamenti con i pesi. E poi ho rivisto Heat- la sfida e mi sono finalmente resa conto del motivo per cui quando ho visto “The irishman” ho pensato che non ve ne fosse alcuna necessità visto che i due giganti del cinema avevano raggiunto il loro vero apice già in quell’occasione.

Nel pomeriggio è passato un amico a prendere una coperta che mi aveva chiesto in prestito. Credo che sia stato l’unico essere umano che ho incrociato in tutto il giorno. Grazie a lui mi sono ricordata che qualche mese fa abbiamo rivisto assieme “Storia di un matrimonio”. Per me era la seconda volta e, del tutto inaspettatamente, stavolta l’avevo trovato molto noioso, Non credo che avrò mai una risposta alla natura variabile di certe mie reazioni. Ci sono film che ho amato rivedere all’infinito senza mai stancarmene, anzi. E poi ci sono quelli che si smentiscono, o forse sono loro ad inchiodarmi ad una emotività forzata basata su ingredienti di “facile digeribilità” come attori molto belli, un copione un po’ astuto, una lettura edificante del fallimento. Vai a capire...forse anche in quel caso devo aver pensato che mi sarei fatta bastare lo splendido “Scene da un matrimonio”, che - invece - potrei rivedere (e l’ho fatto) tante volte con lo stesso immutato piacere. Se fossi più coraggiosa dovrei dirmi che tutte queste congetture mi servono solo a non ammettere che sto invecchiando con la presunzione quanto meno discutibile che quello che mi è toccato di vedere ai tempi in cui stavo formando il mio gusto fosse molto meglio di quello che è stato proposto dopo.

Alle sei sono uscita. Avevo in cuffia il mio programma radiofonico preferito. È condotto da una coppia: lui ha la mia età, lei una quindicina di anni di meno. E sono strepitosi. Presi singolarmente lo sono molto meno. E quando fingono di litigare per me hanno sempre ragione entrambi.

Poi sono rientrata, ho visto tre puntate di una serie che amo moltissimo e mi sono ricordata di quando mi toccava aspettare il giorno dopo, e quello dopo ancora, per avere contezza del progredire di una storia che mi appassionava. Ma è così che ho sedimentato ricordi e sensazioni indelebili, fissato nella mente fotogrammi di cartoni e di serie tv che hanno avuto il tempo di cementarsi dentro di me. Questo non potrà accadere in alcun modo con la bulimia da streaming di cui sono felice, e facile, preda oggi.

Era da tanto che non trascorrevo un sabato così. Avevo bisogno di tempo. È stato molto più di quanto sperassi

mercoledì 26 febbraio 2020

Senso di pace. In che senso?

Sì è strano. È proprio strano. Vedere Milano sgombra, silenziosa, chiusa in un terrore palpabile, eppure ai miei occhi incomprensibile, è qualcosa che mai avrei immaginato potesse accadere. Sono rientrata da tre giorni da un viaggio che mi ha garantito un silenzio diverso, delle assenze colmate soltanto da una natura che aveva pieno diritto di cittadinanza sulla quasi totalità del territorio. Nulla era innaturale in quella pace assoluta.

Milano è una città dal battito accelerato per natura. È questo che mi affascina e mi aiuta nel mio esercizio perenne di adattamento, comprensione, senso. In questi ultimi tre giorni si è autoimposta di diventare una città completamente smarrita: tutti i negozi, cinema, teatri, locali, scuole, palestre sono stati chiusi. Gli autobus sono vuoti, i supermercati saccheggiati, la poca gente che si trova gira con le mascherine, ha paura e pensa solo al pericolo di ammalarsi.
Io non ho nessun timore. Mica perché sono coraggiosa o non mi spaventi l’agonia di un malessere infettivo. Ma non riesco ad avvertire il pericolo. E così me ne vado al lavoro e in giro con la stessa “incoscienza” di sempre. A volte mi pare di pensare che sia la sola cosa che giustifichi la mia motivazione a tutto.. Ma è inutile perché tanto a Milano non si può fare niente. In realtà non so bene cosa vorrei fare di preciso, visto che la mia giornata tipo è ginnastica/ corsa da sola, passeggiata al lavoro da sola, lavoro, spesa per la cena e cena. Nulla di tutto questo ha subito variazioni. Il cinema è degnamente sostituito dallo streaming e non ho cognizione del concetto di aperitivo. 

È davvero un fatto strano. Tutto intorno a me è cambiato in questi pochissimi giorni, eppure io continuo a fare esattamente le stesse cose di prima. E non lo so se sia perché mi confermo come solita incosciente, o se è solo che, finalmente, non ho più bisogno del “battito” di Milano per trovare la mia dimensione. O,ancora, se semplicemente trovo il mio modo di conservarmi “smarrita” pure in contesti che cambiano a causa di uno sperdimento che, per una volta, è soltanto degli altri. 

Pace e silenzio. Proprio come in Islanda. Eppure è tutto così drammaticamente diverso da lì. Milano, messa così, è una città priva di senso

domenica 23 febbraio 2020

Ridurre la socialità

Il mio viaggio si è quasi concluso. In questo momento sono all’aeroporto di Copenhagen. Tra un’ora partiremo per Milano. È andato tutto bene. Ad oggi l’Islanda è il posto più bello che abbia avuto la fortuna di vedere. È durato il giusto per tante ragioni, non ultima quella di un’indole solitaria e un po’ smarrita dopo un tempo prolungato trascorso con persone molto diverse da me, per quanto piacevoli, divertenti, corrette ed educate. Credo che il punto sia questo: partire dall’assunto che la socialità sia per me sempre qualcosa di estremamente complesso da gestire o quantomeno che, da un certo punto in poi, non mi riesce di vivere con la dovuta leggerezza. Perché capita che accadano cose del genere.
Napoletano trasferitosi per scelta in Umbria:
- io i toscani li odio...mica ci sono toscani qui vero? Ah meno male va..
Qualche sorriso di circostanza, poi, Sonia giustamente in separata sede mi dice che essendo lei mezza Toscana non ha affatto gradito la battuta e che se proprio deve dirla tutta potrebbe sfilare l’intera corona di stereotipi contro i napoletani e non finirla più. Io le dico che forse parlava in generale e non è il caso di offendersi, che in fondo la lega è nata al nord e che noi napoletani ci sentiamo offesi in modo gratuito da tutta la vita....
Coppia di veneti di mezza età, dichiaratamente leghista e piuttosto razzista (ma da un veneto me lo aspetto in quanto dato statistico abbastanza dominante). Per il resto molto simpatici e carini. Viaggiano spesso in camper e, rivolgendosi al napoletano che li aveva invitati ad andare a Napoli in camper
- si, ma poi son sicuro di tornar sù col camper?
Io zitta. Ma pure lui...
Ieri a cena. Il napoletano. Di nuovo
- io odio i tedeschi
A quel punto gli ho detto scherzando
- ma perché ragioni sempre per intere categorie a cui destinare il tuo odio? Così poi quando loro lo fanno con noi non possiamo controbattere per lo stesso principio con cui lo fai tu
E lui. Molto serio e senza la sua solita baldanza
- Non sono assolutamente d’accordo con te. Ma proprio per niente
Non mi ha spiegato il perché. Io non ho più detto nulla e l’ho soltanto salutato prima di partire.

È stato un bel viaggio, le guide erano perfette, nessuno è stato scorretto, abbiamo rispettato tabelle di marcia, spazi, esigenze reciproche. Sono stati giorni magici che faticherò a scordare e sto per tornare in una Milano che sta gestendo il caos da corona virus con un accorato invito a “ridurre la socialità” per motivi di “salute pubblica”. Ma io lo so che i “miei” motivi a rispettare questo saggio consiglio sono, come sempre, ben altri.


mercoledì 19 febbraio 2020

Tutto qui

Ci sono questioni che posso risolvere soltanto così. Seguire delle intenzioni che non ho nessuna voglia di portare a compimento ma nelle quali credo pienamente fin da quando mi passano per la testa. La dico un po’ meglio ma credo che in ogni caso sarebbe difficile rendere chiaro questo mio strano atteggiamento verso ciò che rende significativa la mia vita. Anzi non la dico. La descrivo con quello sto facendo in questi giorni.

Mi trovo da cinque giorni in Islanda, in un luogo impronunciabile, proprio come i precedenti due, dopo che con un gruppo molto ben combinato abbiamo intrapreso un tour per questo posto magico e pazzesco partendo da Reykjavík e avventurandoci attorno alla costa sud tra geyser, iceberg, cascate, ghiacciai, lagune, canion, ben due aurore boreali, cibo strano, serate amabilmente conviviali...in questi giorni tutto mi crea stupore e meraviglia. Non solo il contesto da favola, perché così è l’Islanda, un luogo in cui forse gli elfi esistono davvero e dove la leggenda rimpiazza la realtà con facili stratagemmi.
Qui fa un freddo (e soprattutto un vento) che non avrei mai immaginato di essere in grado di sopportare: per molto meno a Milano sono capace di rimanere avvinghiata al termosifone con addosso l’intero guardaroba invernale più le coperte. Eppure non costituisce minimamente un limite alle nostre escursioni e alle foto senza guanti che non posso smettere di scattare perché tutto mi pare un piccolo capolavoro della natura che non vorrei mai scordare. Da quando sono qui ogni cosa vorrei che non finisse mai e questo nonostante ci siano cose cose della mia vita ordinaria che mi piacciono molto, persone che mi mancano, attività che ho voglia di riprendere. Ma mi è così inconsueto sentire di star così bene proprio come ora che sono tanto lontana....

Direi che fino ad oggi questo sia il posto che mi porterò dentro più a lungo. Eppure non volevo venirci. Neppure quando ho prenotato, neppure quando ho cominciato a pensare che avrei voluto vedere proprio questo posto.
Mi capita spesso di desiderare cose che poi ho paura di realizzare o che vorrei tenere confinate nell’alveo delle cose da immaginare senza toccare. Per fortuna ho uno spirito di contraddizione tale che qualche volta lavora persino a mio favore, quasi a dimostrarmi che se è vero che a Milano tutto succede secondo cadenze e passaggi controllati, lo è altrettanto assentarsi e lasciarsi occupare da spazi nuovi.
Ora sono nella sala di una Guest house bellissima in cui siamo arrivati da un paio d’ore. La cena è quasi pronta e fuori piove tantissimo. Dentro invece c’è un tepore magnifico, sono con la mia amica di cinefilia Sonia e altre persone estremamente piacevoli. E tutto pare dolce e ovattato.

Volevo dire chissà che. E invece, dall’Islanda è tutto




venerdì 14 febbraio 2020

E niente di più

Credo che non mi sia mai successo. Forse solo un’altra volta, una quindicina di anni fa, quando facevo un lavoro così estenuante che ad un certo punto ero così bollita che il giorno dopo non riuscii a svegliarmi in tempo. Mi sono svegliata tardi e non sono andata al lavoro. Ne ho approfittato per chiudere la valigia, pulire casa, fare il bucato, cambiare le lenzuola, pensare che è San Valentino.
Ieri sera sono andata a dormire molto tardi. Mi capita sempre più spesso ultimamente. Ho scoperto che la tarda serata mi affascina proprio come la mia amatissima alba delle cinque. A pensarci bene potrebbe essere un bel guaio. Ma vabbè. Domani vado in Islanda. Non ne ho nessuna voglia. Non ho mai voglia di partire eppure continuo a cascarci ogni volta che mi viene curiosità di un luogo, per dovermi poi sempre ricredere, perché l’esperienza si rivela meno faticosa di come credevo, meno accidentata e più divertente di ogni aspettativa da basso profilo che mi ostino ad assumere per la mia costante paura delle delusioni. E quindi spero di essere smentita anche stavolta.

Oggi è San Valentino e la cosa ormai non mi riguarda da un sacco di tempo. Penso all’amore in ogni singolo istante della mia vita eppure ogni sua prova di esistenza effettiva finisce per risultarmi estranea e mai desiderabile. Perché? Uscirò mai da questo perenne corto circuito? 
Certe volte vorrei aver voglia di cimentarmi in uno di quegli appuntamenti al buio raccattati sui siti ad hoc, o uscire messa giù da gara coi tacchi e un rossetto da richiamo col solo scopo di irretire qualcuno, oppure assecondare la solita amica che vuole presentarmi qualcuno che vede proprio bene per me...è che mi pare tutto terribilmente assurdo, improponibile, insensato. Non sono una sociopatica, conosco un sacco di persone belle, piacevoli e interessanti, sono più o meno sfiziosa, a detta altrui ancora bellina...mi basta l’umanità con cui ho a che fare e non mi piace che debba esserci l’applicazione di un metodo per facilitare un incontro affettivo.
Il guaio è che non mi riesce più di innamorarmi. Ormai credo che il problema sia tutto soltanto mio. Quando è successo è stato per persone assurde e con cui oggi non avrei voglia neppure di prendere un caffè. Oppure già impegnate, ma solo perché non lo sapevo. Gli uomini impegnati, da mio regolamento interiore, non esistono come mete amorose e spesso mi è sembrato un enorme peccato...ma non esiste proprio lo stesso . E così  alla fine faccio in modo che resti poco, che l’attesa sia un valido espediente per farmi trovare pronta per chi da qualche parte sta esistendo solo per me ma neppure lui sa come trovarmi. E poi non so più come si fa: io non lo so più come si vive l’impegno fatto di tentativi per capire come si sta con l’altro. Per me non è questa la strada.

Una volta un prof. che ho molto adorato mi disse che avevo un ottimo intuito e che avrei dovuto ascoltarlo sempre perché la mia parte irrazionale gli pareva che funzionasse molto meglio di quella che pondera. Ecco, io vorrei semplicemente intuire che la mia attesa si sia finalmente conclusa.
Ormai ho superato tutti quelli che chiamo “ostacoli distorsivi”, quelli che ti fanno pensare che sia amore e invece era solo: attrazione, necessità riproduttiva, una vita sessuale regolare, interessi economici, paura della solitudine, progetti condivisi. Tutto questo per me non ha più alcun ruolo nella mia idea d’amore, che è solo sentimento profondo e assoluto, affinità intellettuale, concentrazione reciproca. E niente di più.
Ho 43 anni e mezzo e (ovviamente) non mi è mai capitato di trovare un amore simile. Forse non accadrà mai, ma sono assolutamente sicura che esista.

Domani partirò per un luogo dominato solo dalla natura non contaminata. Non contaminata proprio come quell’amore che non riesco a trovare in nessun posto. E che il mio maledetto intuito si ostina a riconoscere come l’unico possibile. E niente di più 

venerdì 7 febbraio 2020

Febbraio. Se gli faccio largo ci vede lungo

Se gennaio è un mese a durata illimitata la vera prova di resistenza in vita per me si rivela febbraio. Per noi, che amiamo San Remo a patto di non sfiorarlo neppure di striscio e recuperare su you tube un paio di canzoni per poi pensare che, pure quest’anno, dovrebbe vincere Gabbani, e che viviamo il San Valentino come si fa con certe sconfitte immeritate, febbraio è una roba proprio dura. È complicato perché ricominciamo a sognare che arrivi maggio, noi che abbiamo sempre freddo e che in casa siamo talmente unsexy che ci vergogniamo pure di quelli che ci guardano dalla tv mentre fanno la pubblicità del dulcosoft. È complicato perché la luce è ancora poca ma le giornate cominciano ad allungarsi quasi ad accampare pretese di vitalità che dopo il lungo inverno non si sente ancora di possedere.

È un mese complicato. Ma qualche volta mi dà ragione. È stato in questo mese che una volta ho giurato che se avessi ancora incontrato qualcuno che mi piace tanto avrei subitissimo dato per assodato che lui abbia già un’altra. Pure se non lo si direbbe mai, pure se mi avesse fatto capire in tutti i modi di piacergli, pure se questo pare impossibile perché lo vedo sempre per conto suo, se mi scrive pure di notte, pure se mi invita ovunque e pare che voglia passare tutto il suo tempo con me. Lui sta sicuramente con un’altra. O in qualche modo un’altra si metterà di traverso e renderà in ogni caso terribilmente doloroso e inutile il mio interesse per lui. Ci sarà sempre un’altra che avrà la meglio su di me. Questo è diventato il mio mantra da allora. E questo credo sia stato provvidenziale per me e il mio bisogno di vedere le cose per quello che sono e non per come mi ostinerei a vederle io, col rischio inevitabile di pagare tutto dopo con interessi che mi strozzano la gola e mi gonfiano gli occhi.

I febbraio precedenti mi hanno insegnato che non sono fatta per competere con altre donne: non si lotta per un uomo che non sa chi scegliere senza alcuna ombra di dubbio. Negli anni qualche “indeciso ravveduto” mi ha poi cercato. Lo ha fatto in modo dolce, rammaricato e gentile. Di solito torna ad evocare un paio di ricordi e il rimpianto di ciò che poteva essere e non è stato per le ragioni più disparate. E del tutto false. Ma io adoro lo stesso questo strano epilogo delle favole mancate (;o forse soltanto mancanti) perché è la prova, senza i fatti, che non avrebbe mai funzionato lo stesso. Un piccolo capolavoro amoroso pure questo, se ci penso bene. Più di uno, a dirla tutta perché più di uno dei miei “non” amori perduti ha fatto così. Com’è buffo e malinconico tutto questo, anche adesso, che dormo ancora abbracciando il cuscino senza più immaginarlo come la mia persona preferita e ci affondando ancora il viso come per baciarlo quando in realtà voglio soltanto proteggermi dal suono della sveglia. Come è assolutoria l’attesa dopo una delusione che già conoscevi.

Ho tanto sonno, febbraio mi stanca con i suoi ricordi, le sue mancanze, la sua luce non richiesta, gli incontri sbagliati che tolgono spazio a quelli che non riescono ancora a trovare la strada.
Febbraio, più che un mese, mi pare sempre una interminabile attesa che riesce lo stesso a durare il giusto. Resto trepidante in vista di sue esagerazioni future


lunedì 3 febbraio 2020

Che paura

Penultimo giorno a casa. Domani sera sarò di nuovo a Milano. E poi forse riuscirò a tornare qui ad aprile. Credo di aver riposato, di certo ho fatto un po’ di sport, visto i miei cari, mangiato bene e dimenticato per un po’ almeno qualcuna delle mie ragioni di tristezza. In questi pochi giorni di “vita da nido” c’è stato soltanto un unico grave imprevisto che mi ha procurato uno spavento enorme e che ho provato a gestire nella maniera che ho potuto. Tutto è poi finito per il meglio ma se dovessi coglierlo come un monito per ritarare le mie intenzioni future, allora penserei che mi sia davvero richiesto di cambiare di molto la mia prospettiva.

È successo questo.
Primo pomeriggio di due giorni fa. Io ero nella mia mansarda e avevo appena terminato una delle mie solite sessioni sul tapis roulant. Di solito faccio immediatamente una doccia bollente e ho la musica ad un volume così alto che se mi chiamano dal piano di sotto non sento nulla. Invece stavolta ho aspettato un po’, mi sono distesa a terra in silenzio per cercare di riportare il mio battito cardiaco ad un livello normale. Ero molto stanca, molto sudata, ma tranquilla e piuttosto soddisfatta per tutta quella fatica. All’improvviso sento urla indecifrabili dal piano di sotto. Non mi rendo subito conto della gravità, poi ad un certo punto “Non si sveglia! Non si sveglia! Muoviti, vieni. Lucia! Lucia!”.
Io per qualche secondo non riesco a muovermi, sento che sono terrorizzata, credo di aver capito ma ho paura. Una paura matta. Poi mi alzo, sono ancora tutta sudata, vado verso la camera da letto dei miei e c’è mia madre che dice cose sconnesse ad alta voce e accanto a lei il mio papà che non risponde ai comandi. Io chiamo il 118, ripeto tre volte l’indirizzo alla persona che mi risponde e che mi chiede cose semplici che però mi paiono tanto inutili e intanto penso “non verranno in tempo, siamo al sud, qui la sanità non funziona, proprio come tutto il resto”. Papà non reagiva a nessuna sollecitazione. In attesa del soccorso ho chiamato anche amici e parenti che sono corsi immediatamente. Ma è arrivata in tempo pure l’ambulanza. La dottoressa ha subito capito che si trattava di un coma diabetico (il mio papà è insulinodipendente da 41 anni) e che se avessimo aspettato altri dieci minuti non ce l’avrebbe fatta. Aveva la glicemia a 29 e il minimo dovrebbe essere 100.  Dopo pochi minuti dall’iniezione il papà si è svegliato, ha parlato e la piccola folla attorno al suo capezzale ha esultato.
Io mi sono calmata ma intanto morivo di freddo perché il sudore dell’allenamento mi si era gelato addosso. Quando tutto è rientrato sono salita nella mia mansarda, ho fatto una doccia bollente e ho provato, per la seconda volta, a far tornare al suo livello normale il mio battito cardiaco.

Domani tornerò a Milano. Come sempre i miei mi diranno che devo fare qualcosa per farmi trasferire perché loro non possono stare da soli per molto tempo ancora. Ora hanno anche delle ottime ragioni concrete per perorare più efficacemente la causa.
Stavolta credo che me ne starò zitta e non dirò come al solito che voglio stare ancora a Milano e che mi pare una grossa ingiustizia dovervi rinunciare. E credo anche che comincerò a cercare risposte diverse a domande che, fino ad ora, non mi ero mai seriamente posta. Forse un giorno mi sembrerà persino giusto così