Sola andata

Sola andata

giovedì 29 dicembre 2022

Proposito. Uno. Ma forse è troppo

 C’è una cosa che mi piace fare più di tutto durante questo non rigido inverno, incastonato in un anno spero dimenticabile in fretta non per il male che mi ha riservato e che in fondo neppure c’è stato, ma per il senso di vuoto e di affaticamento che ho dovuto attraversare e del quale forse non è neppure il solo responsabile “cronologico”. Non voglio cadere nell’ennesima trappola del bilancio in perdita: gli ultimi post sono stati una specie di unico lungo lamento nel quale, oggi, leggo il tentativo un po’ maldestro di cercare un responsabile a tutto quello che non mi è piaciuto. Non ci sono responsabili. Ci sono delle esperienze che non ho compreso, persone strane e assurde con cui mi sono confrontata e che forse avrei dovuto allontanare prima. Per il bene di tutti. Ma vabbe’. Direi di chiuderla qui e di tornare, appunto, alla cosa che mi piace fare più di tutto durante questo non rigido inverno. E cioè andare a letto molto presto. Un paio di volte sono riuscita a farlo persino prima delle otto di sera: ad un certo punto, dopo aver lavato i piatti, preparato il cestino per il pranzo al lavoro, ascoltato per un po’ la voce rassicurante di Csaba e le sue regole di bon ton su come apparecchiare la tavola e cucinare da perfetta mogliettina degli anni ‘50, mi esplode un sonno che non sono capace di gestire e così, forte di questa sensazione meravigliosa e per me molto rara, accendo per qualche minuto la termo coperta accomodata sul letto, mi strucco con calma, mi passo la crema sul viso, mi lavo i denti, prendo una pillola di melatonina per essere ancor più sicura della mia condizione rilassata, metto i tappi per le orecchie (la vera svolta della mia vita da quando ho capito che l’orrendo bambino del piano di sopra non avrebbe smesso di esistere sulla mia testa solo perché io lo desideravo) e mi sistemo nel mio letto nuovo sul quale so che mi addormenterò quasi immediatamente.

Mi succede da poco più di un mese di fare così e grazie a questo nuovo approccio alle mie “prime serate” riesco a dormire fino a otto ore o anche di più, rendendo le mie sveglie antelucane un’esperienza finalmente carica di tutta l’energia possibile, invece che il trauma quotidiano di una semi insonne che parte con l’ansia “reattiva” dal primo momento in cui riapre gli occhi. Funziona moltissimo, soprattutto se non devi rendere conto a nessuno dei tuoi bioritmi e se quello che ti interessa fare non richiede lo stare sveglia proprio in quegli orari. Insomma, per farla breve, la cosa che salvo di quest’anno è il mio tentativo riuscito in modo fisiologico di un prolungamento delle ore di incoscienza, come se la vera consolazione per una condizione in fondo non dolorosa, ma neppure felice, piena di perplessità sul presente e una sensazione di poca chiarezza sull’imminente futuro fosse il semplice approfittare dell’avere sonno per infilarmi in un letto caldo e anticipare così il momento in cui non si vuol pensare a niente, ne’ vedere nessuno, parlare o esercitare una qualsiasi altra attività anche lieve. E quei pochi minuti antecedenti a tutto questo sono per me una forma pura di felicità.


E così succede che, qualche volta, la mia solita sveglia delle cinque mi abbia già garantito fin troppe ore di sonno tanto da farmi svegliare in modo autonomo ed essere felice di quel tempo del tutto non negoziabile del primo mattino fatto di allenamento, doccia, ordine domestico, caffe’, acqua, te verde, trucco e passeggiata verso l’ufficio. Le mie ultime giornate hanno avuto il sapore rassicurante delle cose prevedibili e semplificate, fatte di poche parole, ore di lavoro giuste, tanto ordine (o poche cose messe in disordine) e allontanamento da persone a cui non posso essere d’aiuto e che non mi fanno bene a loro volta. Vorrei tanto che questi ultimi giorni di quest’anno vuoto e senza una mappatura ragionata degli avvenimenti, trascorressero ancora così, facendo spazio eliminando tutte le cose che mi stancano. Oppure aggiungendo tempo a tutto quello che mi restituisce riposo e sollievo. Anche soltanto grazie a qualche ora di sonno in più. Non mi sono mai sentita più pronta di adesso ad accogliere il nuovo anno con questo spirito con le pretese abbassate e proprio per questo ambitissime. Se ci è riuscito, in parte, persino un anno sbagliato come il 2022…

Amen

mercoledì 21 dicembre 2022

Distanze. Da mantenere (se non proprio da amare)

 A chi, se non ai giapponesi, verrebbe in mente di dedicare una giornata in omaggio agli amori a distanza. Che poi a pensarci bene potrebbe vantare una platea vastissima di potenziali interessati se si considera che gli amori a distanza non sono soltanto quelli risolti dalla reciprocità e che vivono solo il dramma della distanza fisica. Amori a distanza sono pure tutti quelli a cui la vicinanza è resa impossibile da vincoli oggettivi come quelli anagrafici, o la sopravvivenza di uno soltanto della coppia, dall’amore sbocciato troppo tardi e reso problematico da legami già in corso, dalla differenza di classe che in certi luoghi più che altrove rappresenta un vincolo reale…i motivi per cui certi amori sono destinati a rimanere distanti sono tantissimi e tutti, a mio modo di vedere, concettualmente molto dolorosi. E poi ci sono gli amori a distanza che vivo io, che credo siano ancora un’altra cosa: sono gli amori che non riescono a trovare la loro forma perché non hanno neppure il coraggio di cercarla. Ci sono amori che si provano soltanto nella certezza della loro mancata realizzazione perché hanno paura di nascere, di lasciarsi vivere, di credere nella loro possibilità di non affievolirsi mai.

Mi ero ripromessa di trovare del bello in quest’anno indifendibile e ci sono riuscita proprio esplorando le piccole parentesi dentro un quotidiano rigidamente programmato per escludere imprevisti e complicazioni, in quei vuoti dove prima amavo crogiolarmi nelle smanie, nei chiodi fissi, nei sensi di colpa, nell’intimo convincimento che tutto fosse una responsabilità soltanto mia. Quegli spazi ora sono la leggerezza e il respiro ampio di chi ha smesso di restare compresso cercando il perdono pure dove non vi era nessuna colpaE così, in questa ipotetica lista di cose per cui essere grata, che ho deciso di stilare fino all’ultimo giorno di questo annus horribilis, c’è l’assenza pacificata di ogni struggimento amoroso, accompagnata da tutte quelle “esternalità positive” che annullano sentimenti tossici come gelosia, senso del possesso, delusione, noia, ansia riproduttiva, bisogno di essere compresi a tutti i costi. I legami, quando davvero tali, sono sempre complicati. Oppure semplicissimi, ma in questo secondo caso solo per i pochissimi eletti benedetti dal perfetto incastro delle anime. E’ troppo raro per ritenersi i papabili di questa esile schiera.

 

Io ho già festeggiato il mio Natale e quindi posso dire in anticipo che è andato bene: noi che viviamo di sfasamenti temporali arbitrariamente stabiliti, possiamo permetterci anche di pensare al “futuro” traghettandocelo a piacimento nel presente e giocare d’anticipo sul risultato. C’è della follia in certe scelte di vita, che in fondo sono tali soltanto in piccolissima parte. Eppure raccontano di possibilità, come quella di attribuire sacralità ad un periodo “normale” per poi diventare gli spettatori divertiti di una frenesia collettiva di cui non si sente di voler fare parte. Non andrò in giro per fare regali, non dovrò inventarmi facce per fingere di gradire quelli che per fortuna non sono costretta a ricevere. Mi piace fare così. Da tantissimi anni ormai. E’rilassante. Neppure il peggiore di tutti gli anni fino ad ora conosciuti è stato capace di peggiorare questo aspetto della mia storia personale: ho sofferto molto di più in altri tempi, mi sono persino sentita molto meno bella di oggi, sono stata meno ricca, meno consapevole, più goffa e superficiale, meno risolta. Quest’anno ho avuto il raffreddore per un solo giorno ed è rimasto il mio unico malanno dal 2015. E’ stato un anno orrendo eppure non mi ha fatto niente per cui dovessi sentirmi peggiorata. Forse è tutta colpa della distanza. Quella che passa tra la mia storia e quella di questo tempo sbiadito che prova a contenermi. Una distanza che andrebbe coperta con l’amore che non ho più voglia di provare. Chissà, forse un giornodi nuovo…tutto diventerà più interessante perché amabile.

Di certo non oggi. Di certo non nel 2022

martedì 13 dicembre 2022

Nel dubbio, respira (o chiedi ai gatti)

 Quante cose sono successe negli ultimi giorni di questo anno orrendo. E che ci sia del buono in ogni cosa forse è una roba che ci raccontiamo credendoci il giusto che serve per farlo diventare vero. Il mio feroce programma alimentare detox è stato portato a termine anche a questo giro senza neppure un errore e io credo di non essermi mai sentita meglio e più in forma in vita mia. Ho rivisto persone care e notizie sorprendenti che mi hanno destabilizzato e modificato la percezione del senso dei miei legami con le persone a cui tengo. Ho alleggerito il cuore e fatto pace con tutto quello che mi è precluso e mi sono finalmente resa conto che non necessariamente i cambiamenti debbano avvenire soltanto attraverso il dolore. A volte ad essere rivelatrice può essere, semplicemente, una bella notizia inaspettata. 

Sono stati giorni di profondo silenzio e di sublime solitudine accompagnata da letture lievi e vecchie commedie divertenti. Chiudo quest’anno con l’ostinata intenzione di riservare anche a lui un sentimento fatto di gratitudine e riconoscenza: per tutto il dolore che mi ha risparmiato e di cui non possiedo contezza, per gli spunti, solo in apparenza casuali, che mi ha concesso per approfittare della bellezza che mi sta intorno e che chiede solo un po’ più di attenzione. Per gli affetti, che si trasformano senza per questo esaurirsi. 


Oggi è il mio onomastico. Per l’occasione mi sono regalata dei pasticcini di ricotta, cocco e mandorle ricoperti di cioccolato. Sono squisiti. E poi ho fatto un allenamento nuovo che mi diverte molto ma che richiede un tipo di respirazione diversa se non voglio entrare subito in affanno. E ho pensato che è un fatto davvero strano: uso dei pesi inferiori rispetto a quelli soliti madevo saltare di più, fare più esercizi differenti e con minori tempi di recupero tra l’uno e l’altro e questo fatto mi ricorda parecchio proprio quello che ho deciso di fare nel mio quotidiano accompagnamento verso la conclusione di questo ultimo strano scorcio di anno. Vivere alla giornata non ha per me alcuna valenza negativa: è il solo modo che conosco per “seguirmi”, o meglio “accompagnarmi”, verso forme di nuove di ammirazione del mio tempo e di pormi traguardi compatibili con le aspirazioni che sento il diritto di avere. E per tutto questo imparare a respirare correttamente credo sia fondamentale. Perché si fa presto a dire “allenarsi è importante” …meno lo è sapere per cosa abbiamo scelto di farlo.


Sono giorni che penso spesso a Pablito, il micino che adottai e che visse con me a Milano per un paio d’anni, prima di trasferirsi per sempre giù dai miei. E’ morto l’estate scorsa eppure la sua assenza si avverte ancora fortissima tra tutti noi che lo abbiamo amato per ogni attimo di gioia vissuto con lui. Era un gatto strano, ma forse la verità è che lo sono tutti a modo loro. Quando viaggiava non batteva ciglio: era capace di starsene immobile per una giornata intera senza protestare eppure quando usciva non stava fermo un secondo. Non ha mai aggredito l’albero di natale e stava molto attento a non rompere niente. Lo amavamo per il solo fatto di esistere e di essere sempre presente a se stesso. Bastava questo a renderlo la creatura più affascinante che rallegrava ogni singola giornata con lui. Da allora la mia casa non è più la stessa e ogni volta che torno penso sempre che la sua mancanza non smetterà mai di essere avvertita come nell’istante in cui è venuto a mancare. Che bello sarebbe essere ricordata così: senza alcun merito eppure avere un tale significato da restare intatta nel cuore di chi mi ha amato. Quest’anno lo tenevo in braccio fin dal risveglio. E pure quando l’ho salutato per l’ultima volta. E poi ho continuato a sentirlo ancora. Anche dopo che è mancato. E a mequesta cosa pare una meraviglia.


E così ho pensato che anche io, nella mia ostinata marcia solitaria dentro un presente che quasi mai trovo accettabile davvero eproiettata verso un futuro colorato soltanto col fumo, trovo la pace nelle maniere più bizzarre: in un respiro che cambia il suo ritmo, in un micio che fa compagnia nei ricordi. o in un dolcetto col cioccolato dedicato a me stessa nel giorno più corto dell’anno. In fondo è quasi finito. Come tutto. Come niente

martedì 6 dicembre 2022

Otto meno tre (e di altre certezze positive)

 Otto giorni senza. Forse per chi ci è abituato non vuol dire nulla. Per me invece rientra nella sfera delle piccole grandi sfide che provo ad impormi e a superare anche solo per vedere l’effetto che fa. Io, di prassi, bevo tanto caffè, sebbene limiti il mio consumo solo nell’arco della mattinata e non perché sia particolarmente appassionata di questa bevanda ma solo perché nella mia percezione rappresenta una fonte immancabile di energia e di qualche  barlume di lucidità. Sono otto giorno che non prendo caffè e tutte le volte che succede mi stupisco di quanto il mio corpo reagisca sempre nella stessa identica maniera: per i primi tre giorni ho un mal di testa cosi forte che la vista mi si appanna, faccio fatica ad alzarmi in piedi, ho i crampi alle gambe per i primi dieci minuti di camminata e sono accompagnata da una sonnolenza acuta e insidiosa per l’intero giorno. Poi la svolta. Dopo tre giorni il mal di testa passa completamente, assieme a tutte le strane anomalie da astinenza correlate, i pensieri si fanno lucidi (compatibilmente a quello che posso “produrre” io di lucido), dormo molto profondamente (anche se sempre molto poco), ritrovo energia per fare qualunque cosa e la pelle è più luminosa. Questo fatto mi colpisce sempre molto perchè ogni volta mi chiedo come mi sentirei se non avessi abbastanza forza per sopportare quei primi terribili tre giorni. In fondo mi basterebbe prendere un caffè proprio quando mi manca di più e il mal di testa mi passerebbe immediatamente. Ma io mi ero imposta di non farlo e questo significherebbe punti in meno nell’autostima e nella capacità di porsi degli obiettivi e di portarli a termine. Quando cerco scuse per mollare di solito mi dico cose del tipo in fondo chi mi assicura che starò davvero meglio se continuo a resistere? Nessuno. E’ un piccolo test, se vuoi un atto di fede, una cosina così ma faticosa abbastanza da metterti alla prova per testare quanto è davvero grande la tua forza di volontà. Per me ha senso ma poi ho bisogno anche del risultato. E ormai lo so che per me arriva soltanto dopo quei tre giorni. In realtà assieme al caffè smetto di assumere moltissime altre cose perché questa prova di fatto si inserisce in un percorso detox molto restrittivo e dal quale esco sempre conoscendo qualcosa di diverso di me. Tre giorni di agonia, più qualcuno di forte restrizione alimentare in cambio della mia piccola rinascita. Credo che ne valga la pena.

Alla radio sta passando il report del Censis, quello che annualmente “fotografa” il Paese basandosi su parametri che restituiscano in qualche misura lo spirito del tempo. E’ emersa la parola malinconia. Siamo un paese bloccato non tanto nella sua possibilità di crescita economica, quanto perchè emotivamente congelato, immobilizzato dai traumi recenti e dall’incapacità di osservare il futuro in modo creativo e curioso. In fondo nessuna sorpresa, anzi, ci si stupirebbe del contrario. Eppure, sempre il Censis, ci ricorda che non siamo mai stati meglio di cosi: il paradosso vero del contemporaneo è che, nonostante il covid, le guerre, la crisi ambientale…in realtà le condizioni (in media) di salute, l’aspettativa di vita, le condizioni economiche sono migliori che in qualunque altro passato della nostra storia. Ad essere malato è solo lo sguardo sul futuro, le aspettative e questo dato, assolutamente aleatorio e non realmente basato su alcun fenomeno fattuale, ha un potere di compressione emotiva così forte da impedire all’ottimismo di guidarci. Una roba che a pensarci bene mette i brividi. Eppure è proprio così. E così ho pensato che è bello imporsi delle sfide che ci fanno un po’ paura perché sono quelle che ci danno la misura delle possibilità raggiungibili e della forza da dosare per ottenerle e che questo dovrebbe valere anche per un paese intero che sceglie di star fermo solo perché ormai ha troppa paura di non farcela.


Di questo ultimo scorcio di anno, che non ho esitato a definire uno dei più faticosi e oscuri per me, vorrei provare, proprio imponendomela come sfida, a trovare qualche ragione per esercitare, stavolta, la riconoscenza e tutto il buono che si cela nei momenti percepiti come ingiustamente complicati. E così mi sono detta che la vera riconoscenza sta tutta qui, sta proprio nell’abitare la complessità del mio tempo allenandomi a viverlo senza paragoni con un passato spesso ingannevole. Perché non è vero che sono stata meglio di adesso e non perché me lo dice il Censis. Ma perché sono otto giorni che non bevo caffè. E dopo i primi tre sono rinata. Come previsto 

lunedì 28 novembre 2022

Che dire? Quasi nulla. Mica poco

 La verità è che non ne ho più voglia. Ho sempre amato scrivere parlando dei fatti miei con la coscienza che così facendo avrei capito tutto meglio: vedere un pensiero o una sensazione tradotti in parole che sono “fuoriuscite” da me è stato sempre un potente motivo di consolazione. E’ così che ho imparato a sdrammatizzare, a trovare ispirazione e intuizioni sulla strada da percorrere. Mi piace fissare i ricordi e accorgermi di come negli anni si sia modificata la mappa delle mie emozioni e le cose che mi parevano importantissime e gigantesche e poi per nulla. Ricordo di essere stata romanticissima, innamorata per tempi lunghissimi sempre della stessa persona, con la quale poi nulla è andato come avevo immaginato e desiderato. Ricordo di cose scritte mentre piangevo tutte le mie lacrime, o animata dal senso di umiliazione per offese gratuite o mancanze. E poi c’è stato un tempo in cui ho preso coscienza della mia irrimediabile attitudine alla solitudine, ormai satura del mio fallimento nella corretta scelta affettiva. Forse è quello il periodo che ricordo con più tenerezza, quando tutta la fatica si è ad un certo punto concentrata sul vero significato di perfetta autonomia e in che modo canalizzare gli sforzi per riuscire a cavarmela da sola il più possibile. Eppure adesso sono stanca. Me ne accorgo dalla frequenza sempre più diradata con la quale aggiorno questo blog e la sensazione spiacevole di non aver più nulla da raccontare. In fondo non è obbligatorio avere una vita avventurosa o così ricca di sorprese al punto che condividerne una parte possa generare un qualche interesse in chi legge. In realtà un po’ di cose mi sono successe, ci sono faccende a cui penso sempre più spesso e che potrei forse decifrare meglio “raccontandomele” per iscritto. E invece non riesco più a farlo con la naturale frequenza di un tempo. La sola spiegazione che riesco a darmi è una certa atrofia sentimentale: non ho tormenti amorosi e questo per me equivale a dire che la vita è un po’ più facile, ma pure meno epica e ispirata.

Finalmente il 2022 si decide a finire. Non è stato un anno bello: alcuni lutti familiari molto dolorosi, un’estate arroventata, Ischia che affonda su se stessa, la destra che ci fa litigare su cose per le quali non frega una mazza a nessuno. ma nessuno proprio. E poi un senso di stanchezza prepotente dettata da anni recenti che sembrano portarmi il conto soltanto adesso. Non riesco a collezionare esperienze memorabili o sentirmi di appartenere davvero a qualcosa di importante. Ricordo che quando questa apatia da anoressia emotiva mi attraversava negli anni passati, imbastivo un finto dialogo con la mia coscienza in un gioco di ruoli in cui lei mi bastonava e io provavo a difendermi col sarcasmo. Dopo rileggevo tutto e mi veniva da sorridere per quanto fossi irrimediabilmente ancorata a quella goffa adolescente che al tempo aveva solo fretta di non esserlo più. Direi di esserci riuscita veramente molto male. E così oggi ho pensato che potrei almeno tentare di salvare qualcosa di questo anno così povero di avvenimenti e di scosse tonificanti. Cosa salvo?


Salvo il mio sacrificio quotidiano ad allenarmi per garantirmi la dopamina necessaria a non cadere in depressione e a gestire il mio umore della giornata con un po’ di tempra. Salvo tutte le mostre a cui sono andata, la mia vacanza a Stromboli, il mio modo creativodi cucinare, le due o tre persone che si ostinano a cercarmi e a volermi fare del bene malgrado io non possa fare molto per loro. E poi salvo i miei corsi, di cinema in primis ma anche gli altri, che restano belli pure se soltanto a distanza e salvo lo sforzo di approfondimento e di pensiero critico che mi sollecitano sempre a compiere. Salvo le mie camminate chilometriche senza le quali non avrei modo di ossigenare i pensieri senza farli marcire nell’asfittico limite di uno spazio compresso. Salvo il mio gusto crescente dello star sola, finalmente inteso come un premio, e non una inadeguatezza, di resistenza contro l’adattamento a qualsiasi compagnia.


E’ stato un anno molto faticoso, pieno di ombre concepite come cose immateriali che mi hanno procurato tristezza, che si porta dentro un tempo più lungo di cose diventate troppo diverse da quello che erano. C’è qualcosa che non va. Qualsiasi cosa sia vorrei che se ne restasse parcheggiato in quest’anno che sta finendo, relegato nel limbo eterno delle cose incomprese. Intanto ho fatto spazio

giovedì 17 novembre 2022

Vuoti. Da riempire? E quanto? E come? E soprattutto perché?

 Anche il mobile grande in cucina è partito. Guardo quella stanza ormai quasi vuota e mi pare un posto indifeso, come se non fosse più possibile custodirci nulla o accumularvi cose con la speranza che si trasformino in ricordi. La mia piccola casa sta tornando ad essere quella specie di guscio vuoto che mi sembrò la prima volta che venni a vederla prima di comprarla. Mi pare ieri e invece sono passati tredici anniRicordo che arrivai in questo quartiere per un’altra casa. Ma era ancora in costruzione e io non volevo aspettare altro tempo. Così, per non vanificare quella trasferta decisi di chiamare il numero che vidi sul cancello della palazzina di fronte. Mi rispose un uomo molto gentile e anziano di cui mi fidai immediatamente. Fu una trattativa velocissima. Senza neppure il preliminare. Non ho mai saputo se feci un affare o presi una sonora cantonata: è una casetta molto piccola e umida nella quale mi sono divertita a fare un mucchio di lavori e di tentativi di migliorie. In fondo non custodisce neppure troppi ricordi e ci sono entrate persone e cose che non saprei quantificare in modo puntuale né nel numero e neppure nel valore reale. So soltanto che dimenticare e gettare via, in questo periodo, mi sembrano dei sinonimi intercambiabili a piacimento e che mi piace associare alla parola paccottiglia. E così oggi la mia cucina è bella spaziosa e nell’altra stanza c’è ora un bellissimo letto nuovo a ribalta che quando è mattina è chiuso e fa diventare grande anche quel vano. Dopo tanto tempo non sono più costretta a dormire nel soppalco, a sua volta diventato spazio libero da regalare ai fumetti più voluminosi e che mai butterei via. Vivo questa nuova dimensione domestica con lo stesso stupore di chi ha appena traslocato. E’ una sensazione bellissima che ha il sapore di una rinascita, un nuovo inizio, una piccola rivoluzione nella mia dimensione privata.

Non mi ammalo credo dal 2015. Quella volta per fortuna ero a casa dai miei: svenni e vomitai ininterrottamente per tre giorni. Una notte mi alzai per andare in bagno ebbi un mancamento, caddi con la faccia sullo spigolo della doccia e solo per mezzo centimetro non persi l’occhio. Quando ricominciai ad uscire passai un mese a spiegare che il mio viso gonfio non era il frutto di una violenza. Da allora non ho più avuto nulla, se non in questi ultimi due giorni nei quali convivo con una forte tosse. Direi che in fondo, dati gli anni che corrono, potrei dirmi miracolata: comprendo persino quelli che mi vorrebbero ammalata di covidperché me lo meriterei visto il mio irriducibile scetticismo verso questi vaccini. Vi comprendo, vogliate perdonare la mia ancora efficace reattività ai malanni. Forse il perenne senso di inadeguatezza alla vita mi aiuta: se mi alleno con la costanza di un milite spartano, se mangio cose che farei fatica a spiegare anche al nutrizionista più aggiornato, se la paura di ammalarmi in solitudine supera quella di farmi curare da medici di cui non so la storia, probabilmente mi sono creata un mio personale rimedio preventivo che pare funzionare. O, più semplicemente, fino ad ora mi ha detto bene. Spero che duri il più a lungo possibile perché a volte anche io ho un po’ di paura.


Un paio di giorni fa è passata in ufficio una signora rumena assieme alla sua nipotina, appena arrivata, con i genitori, per vivere con lei. Era una bambina di meno di un anno, non bella, molto irrequieta e che faceva troppo rumore battendo una penna continuamente sulla scrivania, tanto da impedirmi di concentrarmi. Non vedevo l’ora che andassero via, ma sono riuscita lo stesso a mantenere la calma e a fare persino un paio di sorrisi ipocriti che credo abbiano incoraggiato la donna a raccontarmi la sua storia. Ad un certo punto infatti mi fa: vede, io sono rimasta vedova e questa piccolina è stata il mio ritorno alla vita. Di notte si alza e cerca me. Mica la sua mamma! Senza di lei sarei sprofondata nella depressione. Non so come avrei fatto”. Mi è sembrata molto tenera e quasi mi è dispiaciuta la mia solita indifferenza verso un mondo che non mi affascina, ma che in realtà non conosco affatto, come quello dell’infanzia. Le ho sorriso ancora una volta e poi l’ho salutata pensando che in fondo è giusto e normale che chi non riesce a star solo trovi amabile anche un bambino troppo petulante e capriccioso per riuscire a dare un senso e una prospettiva ai propri giorni. E poi ho pensato che sia molto onesto pure riuscire ad ammettere che esistano persone, come me, che di quella presenza, di quella maniera di credere nel futuro, non riescano a farsene proprio niente. E non è mica facile. Giuro

martedì 8 novembre 2022

“Mal’anni”

 Che giorni strani questi. Lo so, lo dico spesso negli ultimi anni e il fatto davvero curioso è che in fondo le ragioni cambiano ogni volta, mentre la costante è sempre quella di provare a pensare che passerà, che bisogna aver fiducia negli eventi e nelle sorprese e che abituarsi ad avere una nuova ottica possa rappresentare la parte attiva di un cambiamento. Ma questo è davvero un periodo che non riesco a codificare e a nulla servono le mie piccole fughe travestite da gite fuori porta, le lunghe escursioni, le passeggiate meditative. Non mi torna niente. Ho pure perso la voglia di raccontare mettendo per iscritto proprio non mi riesce di comprendere il senso di smarrimento di questi giorni. Forse perchè in famiglia si sono susseguiti a distanza ravvicinata dei gravi lutti che hanno interessato gli affetti di entrambi i miei genitori e io invece sono qui a non avere ben presente i bisogni e le necessità di chi è cosi lontano. E poi c’è la gestione strana dei miei rapporti umani qui a Milano assieme ad una casa che diventa sempre più vuota perché vorrei donarle colori nuovi e molte meno cose ma più significative. Ma da sola non ci riesco e così mi ritrovo ad avere più spazio ma meno ordine e alcune cose nuove ma pure ancora troppe di cui ancora non so come liberarmi. Forse è soltanto che il freddo è arrivato senza preavviso, soprattutto la sera, che se non fosse per le mie due copertine elettriche avrei davvero difficoltà a tollerare un passaggio così brusco della variazione della temperatura. Mi sembra di vagare senza scopo, come fanno certi pesciolini nell’acquario che sembrano vigili e attenti ma che in realtà si muovono senza uno scopo in uno spazio che riconoscono come molto più limitato rispetto a quello delle origini. 

Sono stata un paio di giorni in Piemonte lo scorso we. Torino è una città che mi piace moderatamente, ma la visita al museo ha più che compensato il mio entusiasmo appannato verso una città cosi seriosa. E poi ho visitato la reggia di Venaria, sontuosa e magnifica soprattutto per il suo fantastico giardino e le geometrie che lo disegnano. Un po’ delusa dal cibo e dal pretestuoso “Bicierin”: io quella roba lì me la preparo da sempre senza sapere che si tratta di una bevanda storica che si permettono di farti pagare 5 euro. Non so perché stia dicendo questo. in realtà sono stata bene e quei due giorni mi hanno aiutato davvero molto a distrarmi. Distrarmi. Neppure so dire bene da che cosa.  


In questi giorni sono pure andata a vedere un po’ di buoni film. Nulla di indimenticabile, ma forse “triangle of sadness” merita una qualche possibilità, per quanto leggermente al di sotto delle aspettative. L’intuizione è buona, la storia è accattivante, ma credo che il film sia risultato così lungo, paradossalmente, proprio per un eccesso di pigrizia nella scrittura. E quindi alla fine mi pare irrisolto, nonostante le due ore e mezza, una parte piuttosto divertente e una bella idea di fondo. Per il resto mi sono rifugiata nei vecchi film e ho cominciato alcune serie tv che spero mi rendano dipendente. 


Sono giorni strani. Come un po’ tutti questi ultimi anni. O forse un po’ come sempre ma io ero troppo sciocca per accorgermene. O soltanto abbastanza felice per accettarlo. Oggi invece mi sento solo un po’ più vecchia per trovare tutto questo ancora sopportabile. L’inverno è davvero cominciato. E già detta le sue regole

venerdì 28 ottobre 2022

Chissà quando rinfresca

 Forse gli appassionati di radio come me lo sapranno o ne porteranno ancora memoria. Si trattava di una delle primissime edizioni di “Un giorno da pecora”, quando alla conduzione c’era ancora Sabelli Fioretti. Ad un certo punto lui si assentò per un paio di settimane e fu sostituito da Giorgia Meloni. Ricordo che la trovai bravissima: impeccabile nella gestione del timing, nella spigliatezza e arguzia degli interventi, nella capacità di improvvisazione e nella rapidità di battuta. Insomma, proprio una donna simpatica e con un enorme talento comunicativo. Un grande carisma senza alcun dubbio, di quelli che trovi più facilmente in personalità molto istrioniche e dall’ego piuttosto ingombrante. Proprio quello che possiede un politico molto navigato e particolarmente consapevole della sua identità. Credo che sia stato in quel momento che ho avuto il reale sentore delle sue potenzialità come leader in piena ascesa. E ho pensato che in realtà neppure saprei dire quanto sia definibile fascista una persona che ha la mia stessa età, che certo ha studiato quell’oscuro fenomeno della nostra storia, probabilmente lo ha fatto proprio partendo proprio dai valori fondanti, nel “codice etico” (se tale può essere definito) che è alla base di quell’impianto ideologico per me aberrante, ma che lei, proprio come me, non ha vissuto direttamente. E’ per questo che, da questo punto di vista, non la trovo davvero pericolosa. La trovo invece molto temibile perché adotta lo stesso schema di propaganda “berlusconiana”, quello che non fa leva soltanto sulla paura e sull’ignoranza, ma sulle pulsioni più basse (e più comuni) della nostra natura usando lo strumento della persuasione semplicistica, dell’approccio fintamente familiare con quel suo mostrarsi con fare da popolana di borgata. Ho come l’impressione che cavalchi il suo essere donna emancipata e che si è fatta da sola più come forma di leadership che degenera in volontà di sottomissione che come esempio di donna tenace da seguire ad esempio per altre donne che vogliono emergere. A parte questo credo che questo governo così fragile al suo interno potrà fare davvero molto poco. Non sapremo mai se questo sia un bene oppure no.

La mia vita, invece, ancora si ostina a raccontarmi qualcosa che mi piace. Non so di preciso il perché. Trascorro le mie giornate pianificando il giusto, limitando gli orizzonti temporali a pochi giorni, cercando di non strafare, godendo del silenzio ritrovato grazie a dei semplici e meravigliosi tappi per le orecchie, che mi fanno pensare all’orrendo bambino del piano di sopra come ad un brutto essere finalmente innocuo, buttando via cose, vedendo serie tv confermando un certo rammarico per la bassa qualità di quelle italiane (“tutto chiede salvezza” è una brutta serie. Facciamoci pace. Chi dice il contrario non può crederci davvero),  e poi mangiando tutta la zucca che il mio stomaco possa contenere. Sono giornate così, in cui mi pare di essere ancora in estate ma poi mi ritrovo con lo stato d’animo di chi vorrebbe almeno la protezione di una felpa. Non è male non avere freddo. Forse ho soltanto paura di abituarmici. E abituarsi alle cose, quasi sempre, vuol dire indebolirsi, caderne vittima, non progredire, accettare solo quello che c’è. Speriamo che rinfreschi

mercoledì 19 ottobre 2022

L’anno che sta passando…tra quanto passerà?

 Credo che non mi rassegnerò mai a questi ultimi anni. Soprattutto all’ultimo, quello apparentemente più “normale”, o meglio, quello nel quale almeno il quotidiano pare un po’ più gestibile e certe forme estremizzate del dibattito sul vaccino si sono un po’ allentate. Siamo alla metà di Ottobre e in fondo, per qualche strano paradosso, mi pare addirittura che questo 2022 sia volato tra il fottuto green pass e l’infame guerra, una vacanza breve ma molto bella, delle elezioni prevedibili che dimostrano quanto sia sempre possibile scavare più a fondo e perfezionare il baratro in cui abbiamo scelto di ficcarci e la scoperta orgasmica del massaggio tailandese. Eppure continuo a ritenermi fortunata perché mi sentirei ancora peggio se, di contro, non lo ammettessi. Anzi, mi pare di star male proprio sapendo questo: sono fortunata perchè bianca, sana, etero, autonoma, non mi trovo nella necessità di abortire o di rivendicare un diritto che la società è ostile a riconoscermi…potrei farmelo bastare come approccio sereno allo stare in un mondo che mi fa abbastanza schifo ma che in fondo troppo male non può farmi (ancora) perché il caso mi ha reso aderente ai canoni deciso da chissà chi. E invece il solo pensiero di vivere in questo tempo così assurdo è come se depotenziasse ogni altra cosa bella che tento di includere nella mia vita e che mi serve per pretendere di dare un senso ad ogni singola giornata. Sì perché se c’è una cosa che ho proprio smesso di fare è quella di pormi degli orizzonti temporali troppo lontani e di cominciare ad impormi una dose “obbligatoria” di benessere quotidiano. Se salto anche solo un giorno da questo intento sento di avere irrimediabilmente sprecato una piccola fondamentale scintilla di luce esistenziale. 

Ci sono delle mattine in cui sono più brava degli altri giorni. Sono quelle in cui il risveglio mi pare una sfida con tutto quello che mi circonda: con la sveglia, il caffè bollente, la canzone giusta che passa alla radio e che mi suggerisce motivazioni nuove, con il tipo di allenamento che mi tocca, persino rispettando l’orario esatto in cui mi impongo di uscire di casa. Tutto è vissuto come l’occasione irripetibile per costruire la giornata perfetta. Di solito va tutto bene e così mi illudo di meritare una giornata dritta e mi lascio raccontare il resto dalla strada: il profumo di pane dalle due panetterie che incrocio sul mio percorso e quello di caffè dei tanti bar che a quell’ora sono al loro meglio. Quando sei sano, poco smanioso, appassionato di silenzio (o di programmi radio da ascoltare in cuffia mentre si cammina) queste suggestioni di solito hanno effetti piacevoli.


Credo di aver detto  ‘sta cosa così tante volte che pure la mia coscienza in questo momento mi sta sussurrando “ma che palle, Lucia” come per aiutarmi a capire che c’è anche chi trova la gioia svegliandosi alle 11, mangiando carboidrati senza la necessità di bruciarli sudando per un’ora, che preferisce fare sesso con chi capita e tirar tardi la sera pure con gli sconosciuti, quelli che preferiscono un lavoro precario ma nel quale si riconoscono piuttosto che la stabilità di un lavoro in cui non esprima nulla di . Bello, ci sto. Ma quello che so è che più passa il tempo e più trovo cose che mi interessano, anche molto, ma che non mi emozionano più. Per nulla, neppure quelle robe romantiche che mi facevano sempre inclinare la capoccetta a sinistra fino all’altro ieri. E ancora non ho capito quanto io, nel gioco delle compensazioni, ci abbia perso oppure guadagnato. Credo che invecchiare voglia dire anche questoassieme ai capelli meno lucidi, agli integratori al collagene, alla musica nuova che non capisco…


Mah. Siamo a metà ottobre e io vorrei che il 2022 fosse già sepolto in qualche sito remoto per lo stoccaggio dei rifiuti speciali. Che mi importa di fermare il tempo, quando quello che ti è toccato ti fa solo venire voglia di vederlo passare prima possibile

mercoledì 12 ottobre 2022

Finché posso

 Come se nulla fosse. Poco più di una settimana, una breve parentesi di sospensione dopo un’estate che è stata una specie di prova di sopravvivenza superata senza preparazione: rovente, intensa, piuttosto solitaria, stancante fino allo sfinimento. Me ne sono stata giù dai miei solo per riprendermi un po’, passando la maggior parte del mio tempo tra sport, terme, pranzi buonissimi. E altro che rimane coperto da una coltre di finta accettazione, cementata dalla resa e dall’abitudine alle cose dolorose ma irrisolvibili. Tornare giù per me vuol dire ritrovare un sacco di cose che, appunto, non si risolvono mai e altre che si aggiungono a quelle mentre io sono assente e che scopro così all’improvviso e senza nessuna possibilità di metabolizzarle. Credo che in fondo sia persino un fatto normale: io ho un problema con le cose dolorose della vita per le quali non sono capace di individuare un responsabile. E poi ho un problema con le disarmonie, con i discorsi sempre uguali nei quali si mescolano sensibilità troppo diverse per riuscire a gestire un problema comune con uno spirito costruttivo. Io ho un problema con la tristezza che non parla solo in nome mio. Tornare giù per me significa soprattutto questo, pure se alla fine passo il tempo a confezionarmi ricordi ovattati, affrettandomi a fare le foto in cui mi dico quanto è più divertente allenarsi nella mia mansarda piuttosto che in questo buco ai margini di Milano, o come siano suggestive le terme di Bacoli e quanto facciano bene quelle mattine a barcamenarmi beatamente tra idromassaggi, fanghi e il sole ancora caldo di Ottobre. Nulla di falso, ma si tratta degli aspetti più irrilevanti di tutto il pacchetto..

Non è solo il fatto che gli anni passino mentre tutto mi diventa sempre meno familiare e più problematico da prevedere, ma che accadano cose che non avevo messo in conto e che le geometrie del quotidiano, pure di quello in cui io sono lontana e ignara di tutto, stiano mutando rapidamente e in modo imprevedibile. Forse pure stando sempre con loro non potrei essere di alcun aiuto, ma di fatto non aiuta neppure stare così lontana. Il mio vero conforto è forse quello di non avere scelta e così ritornare a Milano dopo un tempo durato il giusto necessario per ricaricare le pile e ripartire si conferma sempre una sensazione molto piacevoleAvevo predisposto nel dettaglio la mia “accoglienza” al ritorno e così, aprendo la porta, ho trovato (che sorpresa!) la casa in ordine, pulita, il bucato ormai asciutto sullo stendino in camera da letto, i miei integratori, il tappetino per gli esercizi, il frigo spento e la cucina illuminata da un sole pallido ma ancora tiepido. Mi sono appollaiata sul letto, credo di non aver detto neppure una parola eho trascorso tutto il pomeriggio a vedere due film stupendi e a scegliere il nuovo libro che deve competere con quello adorabile appena finito. Poi mi è venuto sonno molto presto perché ero sveglia dalle quattro e così mi sono addormentata pensando che sono proprio fortunata ad avere problemi che posso risolvere da sola, perché significa che non si tratta di cose serie e che nessuno ha motivo di preoccuparsi per me. Che poi che problemi ho io? Voglio dire, a parte la sensazione costante di un disagio che reprimo provando a fare tutto quello che posso per assicurarmi di non essere pigra, disorganizzata, senza obiettivi e sentirmi davvero certa di meritare ogni piacere che riconosco come tale, che razza di motivi ho per non sentirmi “compatta”, serena e in pace con la tizia di quasi mezza età che mi ritrovo ad essere? A volte mi viene da pensare che il solo problema che ho sia mestessa e che l’unica soluzione possibile sia quella, mai definitiva, di tenere alta la guardia per evitare di precipitare in qualche abisso urlando senza essere ascoltata. In fondo, se anche così fosse, che importanza potrebbe davvero avere?


Credo che quest’anno sia volato. Tra gli ultimi tre direi che sia in assoluto quello che classifico come il più faticoso. Forse a causa di tutto il rancore accumulato per quanto mi sono vista costretta a fare durante la pandemia senza trovare nulla davvero sensato o utile, perché respiro un’aria viziata da opinioni deviate da unainformazione parziale o smaccatamente falsa, perché mi muovo male in un tempo in cui non mi riconosco mai se non quando finalmente rientro in casa e lascio fuori ogni cosa. Che poi, a giudicare dal numero di quelli che sono in analisi, mi verrebbe da dire che sono la benvenuta nel vasto gruppo di quelli che non ci stanno capendo più niente, eppure c’è sempre qualcosa che mi trattiene dall’intraprendere un percorso simile. Non ho la presunzione di credere di non averne bisogno, anzi, è che trovoancora altrettanto terapeutico il semplice affidarsi alla lettura azzeccata di un libro, all’insegnamento di un film utile a decifrare un malessere o a metterci al cospetto di una condizione che ci riguarda profondamente, ad una riflessione profonda e silenziosa sul proprio vissuto, al lasciarsi guidare dalle proprie sensazioni in modo onesto. Oggi avrei paura a raccontarmi a qualcuno e afidarmi della sua capacità di indirizzarmi verso un percorso di consapevolezza. Oggi avrei delle remore a dare a qualcuno il potere di svegliare “il can che dorme”. Forse mi sbaglio. Forse no. Per ora non sono pronta a saperlo e continuo a preferire a questo persino i massaggi tailandesi delle mie nuove beniamine del benessere. 

Sono rientrata ieri, fresca di terme e di problemi che fingo di non dovermi ancora occupare. Continuo a vivere di palliativi. Finché posso 

martedì 27 settembre 2022

Abitare il proprio tempo nel piccolo spazio di mancati “no”

 Che poi alla fine per me la soluzione è sempre stata quell’altra. Quella che mi evitava la fatica dello scontro, dei conflitti taciti, del confronto sfiancante fatto di trattative e piccoli ricatti, ma poi persino della pacifica dialettica. Non ho mai sopportato i no, neppure quelli solo ipotetici, e al contempo non sono mai stata abbastanza forte da farmi valere per ricevere i sì di cui avevo bisogno per provare a percorrere la strada che mi ero scelta. E allora ho trovato un altro modo: ad un certo punto ho smesso di chiedere al punto  da evitare di farlo più di quanto fosse normale. Ho cominciato con le cose che ho smesso di chiedere ai miei perché tanto non me le avrebbero comprate, non mi ci avrebbero portato, non me lo avrebbero spiegato…e ho cominciato a trovare tutte le possibili strade alternative per ottenere tutto a modo mio. E, appunto, senza chiedere. Ho perso più tempo, ho fatto più fatica, spesso è stato un po’ più umiliante, ma alla fine credo che sia stata una valida palestra.

È un po’ di tempo che ripenso a questo strano aspetto della mia vita e del mio vissuto infantile perché per anni mi è parso davvero un fatto normale non accampare richieste, rivendicare diritti o forme “gratuite” di condiscendenza. Oggi penso di essere cresciuta in un contesto eccessivamente disfunzionale che temo mi si ripresenti periodicamente col conto. Ma tant’è. Perché ho pensato a questa cosa proprio in un tempo in cui la percezione del senso di libertà e di ciò che abbiamo il diritto di pretendere per la dignità appare più fragile che mai? Forse giusto per questo. Ad un certo punto della vita temo che sia addirittura normale interrogarsi su quali siano i segnali più evidenti della mortificazione che abbiamo permesso agli altri di infliggerci, magari senza rendercene neppure conto. Credo faccia un po’ parte del gioco stesso dello stare al mondo quando ci impone rapporti e legami più o meno profondi e inevitabili. Ma con gli anni mi sono resa conto che i miei meccanismi di difesa stanno ostinatamente prevalendo. E così, proprio come un tempo con quelli più grandi e grossi di me, piuttosto che chiedere al vicino di abbassare un po’ la voce quando parla per ore coi parenti lontani o pretendere che l ‘orrendo bambino del piano di sopra la smetta di correre per tutta la notte per casa, ho preferito comprare dei tappi per le orecchie meravigliosi che con una spesa minima mi garantiscono tutto il silenzio che cerco quando ne ho bisogno. E per me va bene cosi. Io cercavo la pace, mica il conflitto o la limitazione della libertà di un grasso signore anziano o di un orribile bambino piccolo. Ma forse la vera sconfitta sta nel non provare alcun affetto per loro da quando li conosco perché, in fondo, non nutro sufficiente interesse per loro. Neppure per esprimere un mio legittimo disagio.

Vorrei poter dire delle mie sensazioni ora che la profezia di un governo di destra si è fatta realtà. Forse è presto per farlo e di fatto se dovessi partire dal pericolo della limitazione della libertà e dei diritti si potrebbe discutere a lungo su quello che ci hanno obbligato a fare durante questi ultimi tre anni tra pandemia e altre forme pretestuose di sacrifici necessari ma non meglio motivati. A volte ho l’impressione che siano tali e tante le forme insidiose di perdita dei propri spazi di manovra che alla fine, trovarsi di fronte in “nemico” così palese costituisca persino il male minore. Boh, staremo a vedere. Mantenere la calma mi pare sempre un suggerimento universale piuttosto saggio.

Come si fa ad abitare il proprio tempo occupando lo spazio giusto? Io ho trovato la mia dimensione in un approccio marcatamente “autarchico”, fatto di sempre meno parole e di visione collettiva della mia storia personale, di grande solitudine ma anche di profondo rispetto del modo di fare altrui. Non credo che sia davvero il tempo del dialogo e della reciproca comprensione e neppure che questo sia davvero un male che conduce una società all’abbrutimento. Si cresce anche imparando a riflettere per proprio conto. È solo terribilmente più faticoso.

Mio padre ha votato per la Meloni. Mia madre non ha votato affatto. Io ho messo una croce su Calenda senza alcuna vera ragione se non quella fatta per escludere chi ritenevo peggiore. Nessuno ha cercato di convincere l’altro a fare diversamente e ognuno ha continuato in questi anni ad avere una visione propria dello stare al mondo. E così, proprio in questi giorni così palesemente contrari alla mia idea di abitare la contemporaneità, mi sono ricordata di quella pulce smarrita che fui, alla paura di incassare tutti i no che non mi avrebbero mai aiutato a crescere e alla sostanza vera di tutti i legami assieme al vero linguaggio che li anima. E così ho pensato che esiste una forma non palese, ma profondamente concreta, di libertà fatta della somma di tutti i no che siamo riusciti ad evitare e dei quali soltanto noi possiamo sapere



mercoledì 14 settembre 2022

Uscirne…rientrando

 Ci sono emozioni che vanno costruite a tavolino. Non ci sono altre maniere per sentirle con la compiutezza che hai previsualizzato. Chi mi conosce anche pochissimo sa che, purtroppo (?), sono piuttosto mattiniera e che tra le cinque e le sette compio una serie di operazioni di routine imprescindibili che spaziano da sessioni di allenamento alla composizione del pranzo da sistemare nel cestino per la pausa pranzo, dal disinfettare il tappetino e gli attrezzi al rifare il letto, lavare i piatti (guai se il lavandino non è sempre sgombro. Guai!) e il pavimento. E finalmente uscire, sperabilmente entro le 6:50 così sono certa di arrivare in ufficio entro le 7:30. Tutta questa fatica ha un nome preciso: la gioia del rientro. Per me l’apice della felicità quotidiana è aprire la porta di casa dopo una intera giornata trascorsa fuori e trovare tutto in ordine e pulito, con in frigo la cena già pronta (perché scongelata dalla sera prima), un film ad attendermi o qualche pagina di un libro, blob, il dibattito politico su la 7 e finalmente addormentarmi, in modalità svenimento, senza neppure rendermene conto.

Sono innamorata della mia routine perché è per me la sola fonte di sicurezza e benessere in grado di compensare la tremenda (ma inevitabile) fatica di dover essere costante senza indulgenze. So che è poco, per molti fin troppo noioso e piuttosto limitante e che in fondo deragliare da abitudini troppo consolidate può costituire fonte preziosa di sorprese e di modi alternativi di trovare il piacere e il senso della vitaE’ vero. Per me il pretesto per farlo di solito è un viaggio, tornare un po’ giù a casa o semplicemente approfittare di un imprevisto che mi imponga schemi  operativi differenti. Ma l’abitudine rimane sempre il mio faro e, di certo, anche il mio limite peggiore. A mia parziale discolpa dico che mi sono predisposta a questo inverno facendo in modo che non mancassero anche dei punti fissi “esterni”, quelli che amo scegliermi per consolarmi di una stagione che detesto e che reputo più triste e faticosa di quella non fredda e non buia che sta per concludersi, punti che mi aiutano a rinnovare lo sguardo o anche semplicemente ad ampliarlo. I miei sono questi:

Il palinsesto invernale delle mie radio predilette + i podcast + gli audiolibri: andare al lavoro a piedi per più di 40 minuti significa garantirsi più di un’ora di esercizio di silenzio e di ascolto, oltre che di respirazione e di circolazione che si attiva, mentre attraverso uno spazio fatto di panetterie che sfornano il primo pane, caffetterie già pronte ad accogliere i lavoratori delle prime luci, cani al guinzaglio di padroni che un po’ invidio e un po’ no. Che bello questo scenario sempre uguale eppure ogni volta nuovo che mi vede sempre con le cuffie e l’espressione sorridente per la simpatia dei conduttoriE’ stato così anche per il palinsesto estivo, ma c’è meno tempo per affezionarsi a programmi e conduttori. Sono pronta al disagio del freddo, alle piogge, ai vestiti pesanti, al buio di giornate corte ma allo stesso tempo infinite, alle mani gonfie…


L’abbonamento al cinema. Retrospettive incluse. Ho tutte le piattaforme a disposizione ma quello di vedere film in sala è di nuovo il mio imperativo categorico dopo due anni in cui ho creduto di poterne fare a meno: rimane tutta un’altra esperienza e chi dice il contrario fa torto alla sua intelligenza. Se necessario farò in modo di lasciarmi catturare anche dalle mostre a Palazzo Reale e dalle bravissime guide di MilanoGuida. Tutto pur di meritarmi il rientro a casa anche quando ho più tempo libero e potrei rischiare di non voler uscire


Gli amatissimi corsi di cinema. Ne ho presi tanti pure in questa sessione. Non è una cosa per ricchi farloE’ per chi è appassionato e preferisce privarsi di un paio di cene al ristorante pur di non perdere l’occasione di andare oltre uno sguardo passivo o basico di un film. Ieri è morto Godard e se non avessi seguito un corso capace di accompagnarmi nella comprensione di un regista così ostico, non avrei mai davvero compreso nulla di lui né mi sarei prodotta nello sforzo di scrivere qualcosa su uno dei film che più mi hanno turbato nella vita come il suo “Week end. Una donna e un uomo da sabato a domenica”. Il solo pensiero di riprendere mi fa sembrare mite pure il più rigido inverno. Sarà questo il mio rientro in casa prediletto.


Ho liberato casa di ogni cosa ritenessi superflua o ingombrante. Non ho più neppure il tavolo con le sedie. Ne ho uno a ribalta che mi stufo pure di aprire e così mangio sempre su uno sgabello e con il vassoio sulle ginocchia. E’ divertente e ora vedere la stanza così libera e facile da pulire è una sensazione magnifica 


E’ da un mese che faccio solo docce fredde. Per due ragioni: fa ancora un caldo bestiale e ho così paura delle minacce di austerity che vorrei abituarmi a farle anche per tutto l’inverno. Per ora è ancora facilissimo ed esco di casa più tonica che mai. Come obiettivo mi pare ardito ma in fondo fattibile. Vedremo 


Mi sto abituando all’idea che avremo un governo di destra, ma ho anche la ragionevole certezza che non durerà quasi niente e che l’alternativa (qualunque essa sarà) mi piacerà di più. Esco di casa con questo pensiero e rientro con la stessa identica speranza. Mi pare molto consolatorio 


Io sono pronta. Inverno non ti temo. Falso. Falsissimo. Ho una paura matta di ogni cosa. Ma almeno ho fatto i compiti. E la casa è tutta in ordine