Sola andata

Sola andata

venerdì 29 dicembre 2017

Ritorno ad un verde passato

Forse me ne sono sempre un po' pentita o, meno colpevolmente, mi sono data motivazioni salutistiche legate alla mia forte carenza di ferro. Sono stata vegetariana per otto anni, dal 2002 al 2010, complice l'opera di persuasione di un amico molto convinto della propria scelta alimentare e filosofica, in senso più lato. Non mi è mai pesato non mangiare carne, invece ho avvertito fortissima la mancanza del pesce, ma nessuno mi obbligava e finii per abituarmi pure a questo. Ad un certo punto decisi di liberarmi da certi integralismi, perché la carne fa bene, siamo onnivori e poi le questioni etiche accampate dai vegetariani sono pretestuose e non salvano niente e nessuno...dal 2010 mangio carne bianca e tanto pesce, con un vago senso di colpa che non ho mai elaborato completamente e dei livelli di ferro che raramente hanno raggiunto valori accettabili se non al prezzo di cure molto strong a base di farmaci.

L'alimentazione è questione che mi ha sempre appassionato. In ogni sua declinazione il cibo è per me materia "vitale",  perché ne sono stata ossessionata negli anni dell'adolescenza quando lo consideravo nemico di un corpo che non riconoscevo nei suoi repentini cambiamenti, perché cucinare per qualcuno è uno dei modi più immediati che ho di amarlo, perché è condivisione, cultura, appartenenza.
Di solito presto molta attenzione a quello che mangio e anche se sto cucinando soltanto per me, immagino sempre di farlo anche per qualcun altro. Persino la spesa la faccio con questo spirito. Spesso mangio troppo, in altri periodi decido di digiunare per tararmi su nuove consapevolezze di gusto e di approccio al nutrimento. A volte penso semplicemente di esagerare con questo atteggiamento ossessivo e che i gelati del Mc Donald meritino una considerazione meno snob e una gioiosa resa compulsiva.

Da un po' di tempo sbircio nei siti di ricette vegane perché trovo che alcune trovate siano assolutamente geniali e tutt'altro che insapori. Sono venuta a conoscenza dell'esistenza di una sostanza chiamata aquafaba, che non è altro che l'acqua di cottura dei ceci, che si presta a sostituire l'albume d'uovo nella totalità delle preparazioni dolciarie. Una vera rivoluzione copernicana!
Io sono ragionevolmente certa che non riuscirei mai ad arrivare a diventare vegana perché non credo che abbiano del tutto ragione né sul piano etico (non basta non uccidere gli animali per rispettare loro, noi stessi e l'ambiente) e neppure su quello salutistico (perlomeno non credo che sia un regime applicabile a chiunque e ad ogni età). Non è mia intenzione dilungarmi su questioni nelle quali sarei giustamente tacciata di pressappochismo, ma sono in una posizione di ascolto molto interessato soprattutto dei (pochissimi) vegani simpatici e dalle argomentazioni non ideologiche.

Io volevo solo limitarmi a dire che,  dopo otto anni di sensi di colpa non elaborati tra le molte sperimentazioni "animalesche", sarebbe il caso di proporre al 2018 di ricordarmi come ho fatto a stare per otto anni senza i bastoncini findus e i panini col tonno e pomodoro. Alla fine credo che soltanto di questo sentirei davvero la mancanza. Alla faccia dell'educazione sensoriale, del palato raffinato, dell'alta cucina...
Direi che i tempi siano davvero maturi per tornare ad essere la buona vegetariana che sono stata. Io, il mio ferro che non aumenta, la mia età e il mio metabolismo che cambia, gli animali che amo, tutta la cioccolata che mangerò per consolarmi. Non mi pare uno sproposito, anzi, lo trovo un più che dignitoso proposito per il nuovo anno.
(...applausi fragorosi di merluzzetti panati e scatolette da 180g sgocciolate...)

lunedì 25 dicembre 2017

Scartiamo?

- Dai, entra pure. Sai che non ho niente da chiederti. Riposa sarai stanchissimo
- Sì, sono molto stanco...però tu...insomma, cosa hai fatto oggi? Perché non hai accettato quegli inviti a pranzo sapendo che la compagnia sarebbe stata ottima? È Natale, diamine, e tu ti ostini a non scendere dai tuoi neppure per un giorno
- Ma loro ormai sono abituati. E poi scendo a gennaio...a babbo morto...ops...ehm...scusami...
- ok. Dimmi almeno cosa hai fatto
- oh, credimi, un giorno perfetto. Ho fatto l'ospite di me stessa: non ho acceso neppure un fornello perché era già tutto pronto da ieri. Verdure, risotto, bocconcini di pollo, crostata di marmellata. Non ho messo piede fuori di casa, ho visto un cartone animato e letto fumetti per quasi tutto il giorno e tenuto la musica di Sinatra in sottofondo. Credo di aver proferito parola sono quando mi hanno chiamato i miei stasera. Non puoi neppure immaginare lo stato di grazia che si prova quando un giorno così lo desideri da un sacco di tempo.
- Lucia...non hai fatto regali e non ne hai ricevuti. Non ti dispiace?
- In realtà non è proprio esatto. Ma anche se lo fosse stato, credimi, assistere da "esterna", disinteressata alla frenesia dei regali di Natale è ciò che più rinforza il mio antagonismo ""festifero".
- Beh, dal tuo punto di vista potrei anche concordare...ohhh che dolore alla schiena e alle gambe...
- Aspetta, togli gli scarponi e solleva le gambe. Riposa. Anzi guarda, mi metto vicino a te che finisco pure questo fumetto. Te lo avevo detto che non ti avrei chiesto niente...
- Grazie cara. Ma non dirlo troppo in giro
- Figurati, caro Babbo Natale, non correresti comunque nessun pericolo: se tu esisti è proprio perché sei e sarai sempre il più perfetto prodotto di marketing che io conosca. E ora riposa, oppure scarta con me un po' di ipotesi sgradite per il mio futuro. Che di scartare regali non mi interesso più da un sacco di tempo ormai. Dai, caro babbo Natale, prova tu a credere in me
- Oh, va bene, va bene. Scartiamo assieme un po' di ipotesi. In fondo alla fine anche tu hai creduto in me, non mi hai chiesto nulla, mi hai offerto ristoro e pure un paio di buone ragioni. Ho deciso di credere in te. Avrò tutto un anno per sapere di aver fatto bene oppure no. Alla peggio ti scrivo una letterina. Di richiamo. E ora leggiti il fumetto che io mi metto a dormire.
                                                                           AuGuRi

venerdì 22 dicembre 2017

Dove sono rimasta?

"Lucia, come mai non hai più voglia di organizzare viaggi?". È una domanda legittima se fatta da chi mi conosce abbastanza e confidi nella mia capacità di gestirmi, non certo se a manifestare questa curiosità sia mio padre, che crede che muoia travolta da una panda spinta da un nano quando decido di andare in bici al lavoro.
In effetti negli ultimi due anni non è piu una mia priorità evitare parte del rigido inverno milanese con un po' di vacanze in posti caldi, piuttosto comincia a dispiacermi stare lontana da questa città, da questa casa che con oggi fanno esattamente otto anni che c'ho messo piede, mi pesa interrompere le attività che mi scelgo e che richiedono continuità. E poi non voglio più scappare da niente. Forse è questa la vera risposta.

Stasera, rientrando dal lavoro, c'era ancora per terra il tappetino sul quale faccio i miei strani esercizi del mattino, quelli con la famigerata Rebecca, e un po' di meditazione o di rilassato ascolto di musica per canalizzare l'energia per la giornata. Amo quel faticoso rituale, il caffè con la moka pronta dalla sera prima, gli integratori, la doccia bollente, poi gelata e poi di nuovo bollente e ancora gelata...amo queste mattine  tutte buie, il ghiaccio sull'erba, via Mecenate completamente illuminata dalle lucine intermittenti dei balconi condominiali, le cuffie, gli occhi che finalmente mettono a fuoco il contesto, il respiro che condensa, la mia camminata verso il lavoro che faccio partire tremando per poi arrivare sveglia e riscaldata. Chi me lo fa fare di cercare dell'altro? Mi aspettano quattro giorni di festa e ho una pila di libri da finire e il pranzo di Natale già pronto da scongelare. Avrò la mirabile opportunità di poter scegliere di tenermi lontana da tutto ciò che è inutile, convenevole, rituale, di passeggiare molto o chiudermi in un cinema. Tutto questo senza mai desiderare di trovarmi altrove o con qualcuno.

Non è sempre stato così e non è stato indolore provare a capire cosa non funzionasse. L'inverno è una stagione silenziosa, forse concepita per la riflessione e la pianificazione. A me, nel periodo di temperature minime, si gonfiano sempre le mani così tanto da "esplodere" in piccole ferite che sanguinano per mesi e mesi fino a quando le temperature non riattivino la circolazione: una vera tortura di cui per fortuna non sono ancora vittima quest'anno. Come se non bastasse la mancanza di luce favorisce forme sottili ma insidiose di tristezza. Oggi penso che forse la cosa veramente interessante sia proprio questa sfida: attraversare una stagione difficile vivendola dal suo interno, e dal proprio interno: stare bene da soli, parlare poco, godere anche dell'oscurità e del suo mistero, accogliere la malinconia come uno stato d'animo intenso e non la parente stretta della tristezza. Se le mani dovessero gonfiarsi di nuovo, pazienza, passerà di nuovo...Perché dovrei scappare da tutto questo per una "vacanza" che per sua stessa definizione non serve a colmare vuoti ma a crearli?

Avrei voluto spiegare al mio papà che i viaggi sono una bella cosa quasi sempre, pure quando a farli ci muova una specie di smania, di inquietudine sorda a cui non si sa dare da subito un nome. Gli avrei confessato che io forse ho sempre preparato le mie valigie guidata da un simile spirito illudendomi di tornare senza più questioni irrisolte. Gli avrei detto che oggi sono tranquilla, che mi piace questo inverno, mi divertono le mie mattine ad alto impatto e certe persone simpatiche con cui mi confronto, che non voglio più spostarmi dal mio posto destinato senza sapere prima da cosa mi stia davvero allontanando.
Avrei potuto. Invece gli ho detto che ci sarebbe un tour in Islanda di slow trekking per ammirare l'aurora boreale, abbastanza caro e molto faticoso, e che deciderei di andarci soltanto se ci venisse anche lui (che tanto figurati se mi dice di sì).
 E lui mi ha risposto, pieno di entusiasmo, che ci verrebbe molto volentieri...








sabato 16 dicembre 2017

Bilancio in utile. Forse inutile. Spesso dilettevole

Proprio niente male. Avevo promesso che non mi sarei piegata alla logica facile dei bilanci e dei buoni propositi per il nuovo anno e infatti non lo farò: non saprei come fare visto che in un anno succedono cose talmente diverse e non paragonabili tra di loro, che azzardare un gioco delle compensazioni tra gli auspicabili utili e le temute perdite mi pare operazione quanto meno irrazionale. Potrei limitarmi a rendicontare uno stato d'animo generale, di cui però mi sfugge l'unità di misura, e dire che forse per la prima volta nella vita mi viene da pensare che sono una persona fortunata.

Ormai sono per conto mio da tanto tempo e alla luce di certe mie abitudini/convinzioni/idiosincrasie/aspirazioni è abbastanza ragionevole che sia così. All'inizio la credevo una necessità contingente dettata dal bisogno di autodeterminarmi, rendermi autonoma, educarmi ai rapporti. Poi mi sono concessa un tempo di attesa e di farfalle nello stomaco che sono puntualmente arrivate per persone che non c'entravano niente. Poi ho cominciato a compiacermi del mio farcela sempre da sola, pur continuando a credere nella magia di un incontro perfetto e inatteso. Oggi sono persuasa che sia tutto esattamente come deve essere e poco importa se sia stata io a volerlo o invece il caso o la necessità e sto imparando a smettere di pensare se mi capiterà o meno di incontrare qualcuno che mi trovi quella "giusta". Ecco, se dovessi fare un bilancio positivo di qualcosa sarebbe forse nell'attribuzime di un giudizio veloce delle "anomalie": riconoscere presto un "piacione" o uno interessato alle donne in generale, uno che guarda il telefono mentre è a cena con te,  gli strateghi del "bastone e della carota"...ho imparato ad indietreggiare immediatamente al cospetto di atteggiamenti simili. Nessuna indulgenza e tantissimo tempo guadagnato. È una cosa che ho dovuto imparare non senza qualche frustrazione pur nella sua ovvietà.

Invece ho imparato ad avere pazienza per altre cose, perché a volte pregustare il piacere può voler dire prolungarlo e forse è per questo che ancora non sono andata a vedere l'ultimo di Allen. Invece per un nuovo film di Moretti temo che continuerei nel rito del giorno di ferie per vedere il primo spettacolo nel primo giorno di proiezione. Il modo di gestire l'attesa credo che sia una forma d'arte che qualche volta salva persino dall'infarto. Il mio bilancio di capacità di gestione del tempo mi risulta buono ma migliorabile.

Le mie operazioni finanziarie a rischio sono andate tutte a buon fine. Fa sempre piacere. Se così non fosse stato mi sarei consolata con i risultati tiepidi ma sicuri dei miei risparmi non rischiosi e avrei considerato la sfortuna un'utile lezione di accettazione e maggiore cautela per il futuro. Ma così non è  stato e per una volta non prendo lezioni, non elaboro dolori da perdite e mi godo il mio prosaico ma pur sempre allietante bilancio finanziario in attivo.

Ecco, io non sono in grado di dire come sia stato quest'anno, gli ultimi tre o quattro o quello che ne è stato di me da sempre. Credo di essere stata mediamente fortunata, molto spesso sono andata avanti senza capirci proprio niente, qualche volta ho avuto l'impressione di scegliere e decidere, in altre occasioni mi sono lasciata schiacciare. È impossibile mettere a compensazione fattori così eterogenei per stabilire se si sia in utile o in perdita. Non vale. Io mi accontento dei miei bilancini parziali, forse perché mi è più facile manipolare i dati e con qualche artificio contabile trovare in ciascuno di questi un qualche, sia pur impercettibile, utile

giovedì 14 dicembre 2017

Ho preso nota. Ancora non so quanto stonata

Ho deciso di non farlo più. Non credo sia molto onorevole che rilegga i post passati, spesso compiacendomi di quello che pensavo. Confesso di averlo fatto tutte le volte che fb mi ripropone i ricordi. È una forma di vanità di cui non vado molto fiera eppure a volte mi pare un esercizio davvero utile per aiutarmi a definire una sorta di percorso ideale di crescita o perlomeno di consapevolezza. Confesso di stupirmi io stessa di tutte le cose che mi sono successe malgrado la "gabbia" di rassicuranti abitudini in cui mi costringo per proteggermi da imprevisti spiacevoli. Di fatto c'è stato sempre qualcosa che mi ha tormentato, interessato, entusiasmato e che ho vissuto con un'intensità che tradiva l'apparente pacatezza con cui tipicamente mi si dipinge. Rileggere certi miei vecchi post mi impone lo strano esercizio di ritrovare uno stato d'animo ormai passato e immediatamente spogliarlo da ogni coinvolgimento emotivo, osservarlo in modo asettico e scoprire che in fondo era tutto così semplice, elementare, fin troppo chiaro. Perché non riuscivo a vedere le cose come oggi? Non volevo, non mi conveniva, ci stavo credendo con tutta me stessa, mi ero intestardita...vai a sapere...in ogni caso non voglio più rievocare il passato leggendo il presente che fu, neppure in questo periodo in cui dalle statistiche ho notato che qualche nuovo avventore sta recuperando post molto vecchi e io vorrei tanto chiedergli perché lo stia facendo e cosa pensa di me sulla base di cose che vorrei aver vissuto e pensato e raccontato in un'altra maniera.

Se dovessi andare a braccio, pescando solo nella memoria, direi che non vorrei che leggesse del mio unico appuntamento al buio a cui sono andata per compiacere un'amica che ci teneva molto, o di quella volta che ho pianto come una disperata sui gradini di un cinema di quartiere per ragioni che mi fanno ancora oggi una tenerezza infinita, o del mio unico post al vetriolo nei confronti di un collega con cui ora vado molto d'accordo, o di tutte le storie di pura fantasia che mi servono a mistificare la mia realtà infarcendola di ipotesi verosimili ma del tutto improbabili, o, ancora, di certi miei facili entusiasmi presto smorzati da traiettorie poi deviate altrove.
Avrei voglia di leggere quei post assieme al mio lettore misterioso magari per farlo divertire di più e spiegargli che nel frattempo ho imparato a reagire agli imprevisti e allo sconforto in tutt'altra maniera, che ho smesso di piangere per molte cose, di offendermi per i comportamenti che non comprendo. Vorrei dirgli che c'è stato un tempo in cui scrivevo che quando mi allenavo in gruppo era davvero tutta un'altra cosa...ma in realtà mi piace di più farlo da sola, che ho amato la compagnia più dello starmene per conto mio ma raramente è stato davvero così, che non riuscivo a smettere di voler bene a qualcuno e invece ci sono riuscita benissimo, purtroppo.
E poi gli chiederei se sto facendo bene a ritarare il mio modo di aderire alle esperienze. Oppure se per caso, in qualche vecchio post, ha trovato risposte che ancora mi sfuggono



sabato 9 dicembre 2017

Ho visto la light!

Oggi a Milano c'era una luce troppo bella per non starsene a zonzo per tanto tempo, magari ad esplorare un posto come quello in cui abito io, a ridosso della propaggine estrema di uno dei parchi più grandi d'Europa. Oggi più che mai ho sfruttato il mio essere mattiniera per occuparmi subito della casa, dei pranzi da portare in ufficio durante la settimana, persino del ripieno della pastiera. Alle otto ero già pronta. Ho preparato il borsone e sono andata in palestra ad un orario in cui non sono sola e mi sono resa conto che è frequentata da ragazzi di una bellezza disarmante che si allenano benissimo. Sono millenni che frequento palestre e giuro che è la prima volta che mi soffermo su un aspetto del genere. No, non ho bisogno di niente e di nessuno e in realtà per certe forme di  machismo ho un sacro timore che vorrei continuare a mantenere. Erano ragazzi molto belli e prestanti e io per qualche ragione ne sono rimasta incantata. Tutto qui.
 Forse è colpa di questa dieta odiosa che sto facendo, oppure delle ripetute in salita che mi hanno fatto vedere tutto il firmamento. Ho fatto una doccia bollente, poi una gelata, ho spazzolato a lungo i capelli che per la prima volta mi sono sembrati finalmente lunghi, mi sono fatta un trucco anni '70 e ho camminato per almeno un'ora intorno al mio quartiere. Se ne avessi avuto la forza avrei continuato, ma ero davvero esausta e si era fatta ora di pranzo. Insalatona con salmone alla piastra, spinaci stufati, uno yogurt greco alla nocciola e un caffè molto forte.

 Sono uscita di nuovo con la scusa delle uova per la pasta frolla. Ho camminato ancora per un'ora e mi sono resa conto che quando si sta a dieta bisognerebbe dosare meglio le forze e ho pensato che intaccare le proprie riserve e fare leva su quelle è molto più complicato che usare l'energia di pronto utilizzo proveniente dall'esterno. Era da un po' che il mio corpo mi lanciava dei segnali. Ora mi sono chiari ma credo che siano ormai anni che non sono più abituata ad usare le mie risorse interne. E invece avrei dovuto perché si tratta di un'energia diversa, che fa percepire meglio le cose, che calibra tempi e distanze, che mi avverte quando è il momento di prendersi una pausa e recuperare. Forse è per questo che ridurre il cibo mi è più difficile che digiunare: sono costretta a dosarmi, a stabilire quanta parte richiedere alle mie risorse e quanta accogliere da fuori nel rispetto di un equilibrio che non può risolversi in un giorno soltanto. Sono certa che se non ci pensassi mi sarebbe più facile. Ma oggi è stato illuminante avere il controllo di ogni mio piccolo step: mi dovevo allenare, c'era una bella luce e tanto cammino da fare. Ho avuto fame, ma ad un certo punto è addirittura passata.

E così oggi ho pensato che non è vera la storia che siamo quello che mangiamo: credo che noi siamo soprattutto quanto decidiamo di non mangiare e cosa questo significhi per la nostra nuova percezione delle cose. Forse sto solo un po' delirando e tra qualche giorno tornerò a mangiare troppo silenziando per sempre le mie sentinelle interiori che tentano di allertarmi e inviarmi messaggi nuovi di autoconsapevolezza. In realtà mi auguro di resistere, perché mi pare un percorso molto interessante di conoscenza, senza trascendere necessariamente nel misticismo "improvvisato" o in certo spiritualismo "da salotto" per cui non trattengo mai le risate. Se pure mi limito solo a perdere qualche chilo mi sta bene lo stesso. Intanto mi sono sfidata con la prepararazine di una pastiera che non mangerò, così, tanto per ricordarmi che la meraviglia esiste anche solo per essere ammirata e non anche consumata.
Per il momento mi piacerebbe nutrirmi solo di abbondanti porzioni di leggerezza.
Per favore.
Grazie






giovedì 7 dicembre 2017

De ja vu (...macché...)

Non sarò ipocrita. Mi sto annoiando. Come un anno fa sono in casa per la prima della Scala. Negli otto anni precedenti, avendo deciso di non possedere né trovare occasioni per vedere la TV, credo di essermi concessa ad altro che presumo fosse un fumetto scemo, cucinare cose che non potrei più mangiare oggi, andare al cinema...Sant'Ambrogio è un giorno speciale pure se non sei milanese. E non è solo perché io non devo lavorare. Lo senti subito che è un giorno che fa da evidenziatore natalizio: oggi passeggiare per corso Buenos Aires era un'esperienza di lentezza, profumi zuccherosi, shopper bag dondolanti in cui avrei voluto sbirciare, magari trarre qualche spunto persino io che i regali li faccio solo col cuore altrimenti non mi viene in mente niente.

Esattamente alle sei meno un quarto sono rientrata, ho acceso su Rai uno, ho visto vestiti molto belli, messe in piega impeccabili, gioielli pesanti sui colli dell'alta borghesia milanese che si preparava ad assistere ad un'opera sulla rivoluzione francese. E a me già questa è parsa una nota parecchio stonata.
In realtà mi sto annoiando perché sono colpevole. Non ne so mezza sul genere e se non mi emoziono è perché sono soltanto una rozza terruncella che però può vantarsi di piangere lacrime vere per certe canzoni di Guccini o De Andre'.

Invece l'anno scorso il mood era totalmente diverso. Mi ricordo che c'era la Madama Butterly e io mi stavo appena rialzando da uno stato di forte prostrazione. Ero, come ora, con la schiena al termosifone, ma ero struccata, piuttosto sciupata e imbacuccata in un pigiamone di flanella. Seguii tutta la storia con molta attenzione e ne fui scossa e soddisfatta. Alla fine della rappresentazione mi preparai una tisana calmante, non riuscii a mettere nulla nello stomaco e andai a dormire felice di essere già pronta per farlo. Com'è strano riuscire ad evocare un tempo in fondo ormai lontano alla luce di un arco temporale che ne ha rintinteggiato i toni, ritarato la portata, riscritto il significato. È curioso pensare di avere avuto una sensibilità emotiva così ricettiva per motivi poi risultati futilissimi.
Che importa. Siano benedetti lo stesso.

Oggi invece sono truccata, indosso abiti che mi piacciono e non sono affatto sciupata (ahimè direi...ma forse è meglio così). In comune con lo scorso anno c'è solo il calore del termosifone sulla mia schiena e il benessere indescrivibile che mi procura.
Se proprio volessi ricamarci sopra direi che quest'anno sia stato talmente più genereoso e sorprendente del precedente da riuscire a condensarsi in un Sant'Ambrogio  allegro, pacificato. E poco importa se io sia stavolta meno sensibile a cogliere il sublime in una forma d'arte che comprendo poco.
In realtà è stato un anno ricco di cose piuttosto normali, con qualche piccola novità molto divertente, ma anche nessun viaggio, meno letture e un po' di cose, persone e atteggiamenti che non ho compreso e per i quali ho subito deciso di non cercare spiegazioni. E poi non ho pianto mai. Neppure una volta e per nessuna ragione. Io odio piangere, forse il mio unico proposito per ogni anno della mia vita sarebbe quello di non versare mai più una lacrima per tutta la vita. Per nessuna ragione, neppure gioiosa.

E così ho deciso che stasera voglio starmene ancora un po' così: con la TV accesa a guardare una prima che non mi emoziona, con il trucco ancora intatto e un vestito che mi piace. Mangerò poco ma con appetito e andrò a dormire tardi pensando che il tempo continua a fare di me tutto quello che gli pare. Persino scegliere la musica più adatta. O quella più sbagliata. Il risultato però cambia, eccome se cambia...

domenica 3 dicembre 2017

La rivoluzione fraintesa

Ci siamo dentro tutti. Persino io, che ne sono fuori da anni. L'atmosfera natalizia, che il marketing fa partire da ottobre per montare per tempo tutte le ansie da prestazione celebrativa, prima ancora di alberi e presepi, è già respirabile con pieno affanno. Sono anni che non torno a casa per le festività natalizie, che non faccio regali, che i miei addobbi domestici si limitano ad un albero e un presepino che stanno in una mano e che mi mettono molta allegria. Rimane anche per me il momento più bello dell'anno perché non ho nessuna incombenza e mi limito ad osservare lucine, rincorse ai regali, preparativi per pranzi pantagruelici senza il minimo coinvolgimento diretto da parte mia. Più o meno per le stesse ragioni non considero utile fare bilanci di fine anno o liste di buoni propositi: ho fatto quello che ho potuto e continuerò a fare quello che posso...mi pare una risposta sufficiente per entrambe le questioni...

Ieri ho visto una mostra bellissima sulla rivoluzione culturale che ha coinvolto in varia misura buona parte dell'occidente e dell'oriente tra il sessantotto e la prima metà degli anni settanta. Al netto dell'aura magica di cui ho da sempre investito quell'epoca, devo dire che poi in realtà un po' mi spiego pure i meno favolosi anni '80 che seguirono. La rivoluzione culturale fu il prodotto di un conflitto estremo tra tutte le forze sociali e il potere, declinato in tutte le sue forme. Il risultato fu un deflagrare meraviglioso e totalmente ingestibile di creatività, nuovi modi di immaginare il mondo e l'ambizione di riscrivere la storia e la condizione umana. Buona parte di quel progetto si è sgretolato per la fragilità delle sue stesse fondamenta, molta parte ha però resistito e contribuito alla creazione di una coscienza davvero nuova che ha potuto affermarsi grazie a progetti concreti o leggi, cioè in sostanza tutto quello che è poi riuscito ad innestarsi in una società regolamentata e ad impronta borghese. Insomma, al netto delle nuove forme dell'arte, un mezzo flop per il mondo nuovo che si proponeva di realizzare. Ma tant'è e la mostra rimane molto suggestiva.




Io direi di essere il prodotto di un'educazione piuttosto repressiva, della quale non butterei via proprio tutto, nel senso che credo che lo spontaneismo possa creare altrettanti danni di un'educazione irregimentata. Credo che sia questo il prezzo pagato dal "sessantotto e giù di lì": la creatività che si oppone alla prepotenza di un'istituzione paternalistica che ha la pretesa di decidere tutto, persino il quotidiano di ognuno, dovrebbe essere accompagnata da un metodo e una disciplina a sua volta, per darsi delle fondamenta solide. Altrimenti non regge o è facilmente attaccabile.
Io non mi sono mai ribellata, non lo trovavo utile e non ne avevo la forza. Ho assecondato, mi sono fatta piacere cose che non mi piacevano e ho sperato che un giorno avrei fatto quello che mi interessava senza passare per il conflitto o l'obbligo di avvisare qualcuno. Sapevo che sarebbe necessariamente andata così come sognavo...se non altro perché non avevo neppure voglia di diventare una povera squilibrata. E in fondo è andata così se oggi posso persino permettermi di sorridere del Natale, di dribblare cenoni e finti auguri, pur rimanendo perfettamente a mio  agio tra le luci, la folla, le canzoncine, le tredicesime...

E così stasera ho pensato che ci sono tanti modi di fare la rivoluzione. Ci sono quelli urlanti, pittoreschi, costruiti dalla massa e destinati ad entrare nel mito ma pure al setaccio della storia. E poi ci sono quelli silenziosi, fatti di finta adesione a modelli totalmente alieni e fondati su una inattaccabile convinzione che inevitabilmente le cose cambieranno. Solo un occhio poco attento penserebbe che questa sia mera sottomissione. La capacità di adattamento ai miei occhi  è una forma costante di rivoluzione.
Io non mi sto preparando al Natale. Ma forse è solo un'impressione...
Happy Revolution!