Sola andata

Sola andata

martedì 29 dicembre 2015

nebbia reale e nebbia surreale

Erano più o meno le sette di sera e io non vedevo niente di niente. Milano in questo periodo ha una consistenza tutta sua. Pure questa storia angosciante delle polveri sottili...mi sono accorta che ho cominciato a fare caso al mio respiro. È come se volessi contingentare le mie ispirazioni ed espirazioni per ridurre al minimo la mia morte da intossicazione da smog. Ovvio che si tratta di una pratica priva di intelligenza, ovvio che non posso farci niente pur non avendo colpe visto che di tossico io non emetto niente, se non qualche sporadico lamento sulla condizione umana, che quella poi mica si intossica solo con lo smog.

 E poi ci sta una nebbia...avresti dovuto vedermi camminare per via Mecenate stasera, ma tanto non ci saresti riuscito. Non vedevo niente di niente e per tutto il tragitto ho immaginato che al quadrivio avrei trovato Bogart, con un piccolo aereo accanto che mi diceva che ero io quella con cui sarebbe partito. La nebbia ha una sua magia che forse fa invidia persino al mare in quanto a romanticismo, anzi, se dovessi immaginare una sceneggiatura ci metterei una nebbia fitta fitta per raccontare una profonda solitudine o un grande amore  dove due si fanno strada tenendosi il braccio, senza dirsi nulla, senza vedere nulla, senza ascoltare nulla...come se tutti i sensi fossero qualcosa di superfluo in un luogo che ha annullato i suoi contorni per fare spazio ad altre dimensioni. La nebbia livella persino il prestigio dei quartieri. Avrei potuto essere a Brera, a Porta Nuova, ai Navigli...non avrei trovato differenza, avrei provato le stesse sensazioni di totale disorientamento e di costruzione di mondi nuovi.
"Quando c'è la nebbia non si vede". È vero. Si sogna.

Anche stamattina presto era così, ma ad un certo punto, man mano che l'aria si riscaldava e la luce aumentava, ho cominciato a vedere tutto in modo sempre più nitido, cominciavo a sentire i rumori delle auto, a vedere i semafori, i quartieri e il mondo reale che mi restituiva tutti i contorni. La nebbia che si dirada è una impietosa violenza necessaria che purtroppo ha un suo senso a inizio giornata quando siamo richiamati al principio di realtà, quella roba per cui un individuo adulto che ne possiede almeno una modica quantità riesce più o meno abilmente a cavarsela sulla terra.
Ma stasera lei c'era di nuovo. Ho ripreso ad ascoltare il mio respiro, ho fatto caso al silenzio, ho camminato senza vedere e ho pensato che dovevo arrivare prima possibile alla fine della strada. Perché allora avrei di certo visto una piccolissima luce rossa. La sigaretta accesa di Bogart che sta di nuovo lì ad aspettarmmi. Per sempre. O almeno fino al diradarsi nella nebbia







domenica 27 dicembre 2015

Scatti (foto ricordo vs foto dimenticanza)

Ieri pomeriggio ero in centro a Milano. Sono stata con un amico a vedere una mostra fotografica bellissima di una signora che per tutta la vita ha fatto la tata. Quando non lavorava non faceva altro che fotografare. Non si è mai staccata dalla sua macchina fotografica fino alla morte. Riprendeva in modo compulsivo scene di vita di strada tra Chicago e New York. Nessuno vide mai le sue foto quando era in vita. Un giorno tutti i suoi beni furono pignorati per un mancato pagamento. Furono ritrovate tutte queste foto e messe all'asta. Un signore le comprò, si rese immediatamente conto di quale assoluto patrimonio avesse tra le mani e cominciò e pubblicare su internet quelle magnifiche foto. Finalmente furono intercettate da esperti del settore che potessero degnamente diffondere quella meraviglia...e finalmente Vivian Maier è entrata a gamba tesa nel mito. E meno male che ieri ero lì a rendermene conto pure io.

I negozi erano tutti aperti. Ci stava una marea di gente che ancora faceva compere, che ancora aveva la forza di fare l'aperitivo, che ancora aveva voglia di soffermarsi a guardare le vetrine. Io le ho invidiate, ho pensato che non è sempre bello non sentirsi parte di questo strano sentimento collettivo, fatto di lucine, pacchettini scintillanti, calici di spumante accompagnati da deliziosi snack accomodati con una coreografia impossibile da imitare.
Pure io ho mangiato benissimo, ma non fino a scoppiare. Mi sono allenata come ho sempre fatto, ho pulito il bagno e steso i panni. Se non mi avesse chiamato il mio amico per la mostra, probabilmente non sarei neppure uscita...e sarei stata bene lo stesso! ma non avrei saputo quante belle foto mi sarei persa e quanta meraviglia mi sarei portata appresso, almeno fino ad ora che ne parlo.

Ecco, questa cosa un po' mi ha fatto paura. I miei salti emotivi sono sempre il frutto di un caso e quasi
mai di un mio progetto preciso. Io non capisco mai davvero cosa mi sto perdendo fino a quando non

lo trovo. O non lo perdo...dipende da quello che mi capita quando decido di mettere la testa fuori dal mio nido, rassicurante ma privo di sorprese che non siano il rubinetto che perde.
E così ho pensato che mi ha fatto bene andare alla Rinascente dopo la mostra. E capire che quella strana frenesia dell'acquisto era un'altra delle cose che mi stavo perdendo, ma senza il minimo rammarico.
E poi ho pensato ad un regalo che ho ricevuto e che era esattamente identico a quello dell'anno precedente, ma chi me lo ha fatto non se lo è ricordato. Mi sono detta a quanto poco ho da imparare da chi prova ad insegnarmi come si campa a Natale e poi mi basta così poco per capire che la pensa come me...

E niente...anche questo Natale ce lo siamo levati dalle scatole. Come al solito ho scoperto di non essermi persa niente, ma con un bel colpo di fortuna ho scovato delle foto magnifiche.
E senza il Natale tutto questo forse non sarebbe stato possibile. Dalle mie parti in questi giorni si dice
una cosa del tutto priva di senso ma molto simpatica.

Si dice :"buone feste fatte"
Che non vuol dire niente. Ma per me oggi ha molto senso.



venerdì 25 dicembre 2015

Ce l'ho, non ce l'ho. Non mi manca

Come evitare. L'occasione è troppo ghiotta per non approfittarne. Oggi è Natale e non va bene e non va male. Ho appena cucinato tutto quello che avevo in casa e che poteva finire in un unico calderone. Sembravo una streghetta con tutti quei vapori e una dolce musica di sottofondo, che pareva fare da tappeto a qualche formula magica per trasformare il mio intruglio in un incantesimo.

Nonostante un generoso invito ho preferito fare secondo i programmi: starmene tutta sola con i miei intrugli, i compiti per le vacanze, un libro che sto amando, la lezione di body and mind al dvd.
Ieri, con un collega fortemente ancorato alla tradizione natalizia più banale (senza offesa, giuro), fatta di regalini e preghierine, mi compiacevo del fatto che mi sono risparmiata tutte quelle incombenze ipocrite, faticose, inutili se non riesci a sentirle nel profondo. Gli ho detto che sono contenta di essermi risparmiata pure quest'anno lo sforzo di finti sorrisi per tutti i parimenti finti "Uh, ma grazie, che bello. Come hai fatto a capire che volevo proprio questo!"
Per me è questa la vera antitesi della propensione agli altri.

E poi mi sono messa a pensare a ciò di cui sento davvero la mancanza. E no, non ho pensato a nessun amore.
Sono rimasta ferma così sul divano a provare a capire di cosa sento davvero il bisogno, in un giorno come questo in cui non ho voluto nessuno intorno a me, in un'ora che è quella del pranzo ipercalorico, infinito, lontanissimo dalla mia idea di spirito natalizio, ammesso che ce ne sia uno.
Non ho bisogno di niente. È una sensazione straniante almeno quanto quella dell'inquietudine. Oggi, in questo momento, io mi sento proprio come vorrei. E mi sento in colpa.

Ci sta una canzone del nuovo disco di Gazze' che ad un certo punto fa così "ci sono affetti,in effetti, che affetti non sono stati mai". Ecco io credo di capire cosa intenda in un caso come il mio. Ci sono distanze che mi pesano molto di più delle assenze reali, comportamenti che tento di comprendere mentre mi feriscono e invece sono solo una forma di tenue ma implacabile autoflagellazione. Non c'è niente da capire, sono assenze pure quelle ma con la forma di piccoli e perfidi inganni. Tutto questo non mi manca e vorrei anzi che non si ripresentasse mai più.

Avevo promesso che avrei cucinato per due. L'ho fatto. Ho preparato gli spaghetti integrali con il pesto al tofu, i peperoni in agrodolce, e il salmone in umido.
È un menù natalizio che potrebbe accettare solo chi tiene un sacco di voglia di stare con me. Non c'è nessun problema se non viene.
Neppure io oggi ho voglia di compagnia. Ah...tanti auguri eh...







mercoledì 23 dicembre 2015

-8

L'ufficio è quasi vuoto. Ormai è un lungo via vai di trolley e di saluti e buoni auspici. È questo il momento della mia vita lavorativa che amo di più. Sì, perché pur non odiando nessuno dei miei colleghi, mi piace moltissimo stare in questo ufficio quando sono immersa in questo silenzio irreale che si realizza solo con le assenze. Poi quando torneranno tutti saranno benvenuti...che tanto vado in ferie io.

Mancano soltanto otto giorni alla fine di un anno né bello né brutto sul piano personale, piuttosto odioso secondo la mia visione "estesa" ad un mondo che comprendo poco, che amo a pezzi piccoli e faticosamente selezionati, che vorrei diverso in modo disperatamente ambizioso.

Ma se penso a cose che potrei dire, riesco solo a parlare di me e del poco che mi è accaduto e che ho compreso quest'anno.
Ho conosciuto persone nuove che mi sono piaciute subito moltissimo, con le quali ho intrecciato legami sempre più abituali e stretti, tra condivisione di cibo, cinema, tempo bello. E spero di ritrovarle sempre per come le vedo ora: spumeggianti, intelligenti, impegnate, affettuose. Vere.
Mi sono operata ad un piede che per molto tempo ha reso i miei passi ancora più incerti del solito
Non ho fatto viaggi e i sintomi continuano a manifestarsi in forme che variano da malesseri da aria stagnate, vedute ristrette, pelle opaca, miopia
Ho rivisto un sacco dei miei film cult con un amico che forse si diverte ad infrangere cuori e da quando lo penso comincio a ridere un po' di quella volta che ci è riuscito anche con me...però va bene lo stesso, giuro. Certi maschietti sono fatti così e se piacciono tanto forse è proprio per questo.
Ho mangiato i dolci di Sal De Riso e questo mi ripaga di quasi ogni pena sofferta quest'anno
Sono ritornata a casa mia molto più volentieri delle altre volte


Non ho trovato l'uomo della mia vita...ma penso che questo si fosse già capito benino. E non intendo certo incontrarlo nei prossimi otto giorni. il 2015 non è stato memorabile per nessun motivo e certi incontri fondamentali meritano tutt'altra cornice.
 Devo fare prima il back up che del 2016 voglio avere rispetto.

lunedì 21 dicembre 2015

Natale. Con chi vuoi?

Si, quest'anno mi dispiace un po' di più. Io torno a casa sempre dopo le festività natalizie. Per tante ragioni: non mi piace viaggiare in questi periodi, non mi piacciono i menù della tradizione meridionale e tutta quella serie di inevitabili etichette da rispettare quando si condividono certi riti. Mi piace tornare a casa solo a babbo natale morto.

Però quest'anno mi dispiace un po' di più trascorrerlo da sola. Quest'anno, ancor più che i precedenti, mi chiedo che strada stia percorrendo la persona che avrei voluto accanto a me in questo periodo. Quella che non mi considera l'unica ragione di vita, ma certamente la prima, che annulla ogni altro impegno pur di passare del tempo con me solo perché io gliel'ho chiesto, che riesce a lasciarmi di stucco con un pensiero piccolissimo ma improvviso, originale, sorprendente. quello che la mia vita è una cosa che gli riguarda, che sa quanto forte deve stringermi, come baciarmi, come rendere nulla la mia gelosia. Mi chiedo che fine abbia fatto, o se davvero non sia ancora nato, chi mi legge dentro senza darsi altro tempo per capire se ne valgo la pena oppure no.
Mi chiedo quanto sia lecito sognare un amore così, se certi miracoli siano razionati e destinati soltanto a pochissime elette, oppure se ognuno di noi ha il diritto di immaginare che esista davvero un'anima affine che stia facendo la stessa ricerca.

Si lo so, a queste cose io penso più o meno in ogni secondo dell'anno, pero il Natale pure per una insensibile come me al tema, ha questo strano e malefico potere di amplificare certi stati d'animo, di mettermi di fronte alla mia incapacità nell'individuare quegli occhi che il cuore è così bravo ad immaginare ma poi è così incapace ad intercettare.

Io comunque a Natale cucino sempre per due, che se poi finalmente arrivi chissà come sei stanco...




domenica 20 dicembre 2015

Risparmiare senza "accantonare" il resto

Non mi va per niente. Sono due mesi che rimando l'acquisto di un nuovo smartphone perché quello che ho sta progressivamente perdendo ogni alito di vita: non riesco a rispondere ai messaggi, le funzionalità delle app sono sballate e rallentate, la batteria - che sarebbe il meno - non riesce a star lontano dal caricatore per oltre tre ore...l'obsolescenza programmata è la più efficace spinta ai consumi, l'alternativa sarebbe ritornare al mio telefonino del 2004 che invece funziona ancora benissimo.

Pensavo a questa cosa e intanto mi sono ricordata di un'intervista molto bella ad un'attrice che stimo molto che è Giuliana De Sio. Ad un certo punto le si chiedeva quanto contasse davvero nella vita di un uomo il rapporto con il denaro. E lei senza esitazione rispose: "dice tutto. Dal suo rapporto col denaro puoi dedurre qualsiasi cosa di lui"

Io pensai che avesse proprio ragione.
Da quando ho soldi che guadagno da sola, che è una cosa completamente diversa da quelli che usavo da figlia di famiglia, il mio rapporto col denaro si è evoluto nella stessa identica misura in cui ho modificato la mia percezione del futuro. Ai miei primi stipendi la costante era un regalo al mese: uno stereo bello e potente, l'i pod nano, un televisore grande...poi ad un certo punto ho scoperto che più "cose" avevo e più mi sentivo soffocare perché moltiplicavo le cose da gestire e non incrementavo la mia soddisfazione reale. E cosi un giorno sono andata sul sito di Action aid e ho adottato un bambino afghano. Una volta mi ha mandato pure dei disegni e mi ha detto grazie. Sono stata contenta, mi è parso di avere usato bene quei soldi che forse in altro modo avrei sprecato...però non saprei...mi manca la percezione reale della bontà di un gesto del genere. Io per quel bambino non ho sprecato un
solo minuto del mio tempo, non lo conosco e faccio fatica a pensare che ci siano persone che possano
morire se certi organismi non stanno in piedi...
Poi ho cominciato ad immaginare che un giorno avrei avuto dei figli miei e così ho pensato che mi sarebbe piaciuto mandarli alla scuola americana. Io, oggi, ho dei soldi da parte proprio per questa cosa...pure se ha molto più senso pensare che avranno certamente tutt'altra destinazione d'uso.
Da qualche anno ho scoperto che la maniera che trovo più godibile di usare il denaro sono i viaggi e più in generale l'opportunità di un'esperienza. Oggi non mi sognerei di comprare oggetti nuovi che "chiudono" i miei già limitati spazi, men che mai gioielli, ho imparato ad avere sempre meno necessità e bisogni indotti, ho capito che si può fare a meno di moltissime cose senza inquietudine e senza considerare questo una privazione, un sacrificio o una forma di spilorceria, ma semplicemente perché è una cosa superflua.

Trovo un privilegio avere la possibilità di mettere da parte dei soldi, perché questo include l'idea di
futuro, di un progetto, della possibilità di fare qualche scelta in più. Ma nulla di più e nulla di meno...


Quel pensionato che si è suicidato perché lo hanno truffato non mi ha procurato alcuna compassione. Non perché non avesse le sue più che legittime ragioni di rancore verso chi gli ha rubato i risparmi di una vita, ma perché se al suo denaro lui aveva attribuito persino tutte le ragioni di una vita, francamente non sentirei di prenderne alcuna difesa.

Da quando nella cultura dominante si è consolidato il concetto che un uomo vale quanto quello che riesce a guadagnare, si fa davvero fatica a ridimensionare il ruolo del denaro a mero strumento funzionale alla felicità ma incapace di comprarla su nessuno dei mercati esistenti.

Io parlo facile perché mi è andata così e non peggio...ma credo che parlerei facile pure in condizioni
diverse...

Ora esco. Vado a comprare un telefono che odierò come quello precedente ma del quale non posso fare a meno. Ci sono persone che hanno pensato a me, che mi hanno scritto cose gentili e che attendono una risposta ai loro sms che non è ancora arrivata....per colpa dell'obsolescenza programmata





giovedì 17 dicembre 2015

Con la novalgina non l'avrei capito

Oggi me la sono proprio goduta. "chissà che hai fatto di bello" si potrebbe legittimamente pensare. Niente. Non ho fatto niente di vagamente assimilabile a cose piacevoli fatte o capitatemi. Mi sono alzata alle cinque come sempre, e come sempre ho preso una serie di strane pillole omeopatiche di cui conosco solo genericamente la composizione e che nella mia mente plagiata hanno il potere di farmi affrontare meglio il mondo, ho fatto una lunga pedalata sulla mia detestabile cyclette, una doccia gelata, una lunga colazione, quattro chilometri a piedi fino al lavoro. Sono rimasta dentro quell'ufficio fino alle 18:30 e, a parte i buonissimi cannoli generosamente offerti da un collega, una mail molto divertente di un mio amico, un rifiuto alla condivisione di un bellissimo evento meneghino da parte di un altro (...succede...pazienza), direi che la mia biografia non ha subito scossoni particolari in una giornata come questa.
Però oggi sono stata tanto felice perché mi sentivo bene e invece ieri avevo un mal di testa per il quale ad un certo punto di sera mi si è persino appannata la vista. Ero da sola in casa ed è stato abbastanza impressionante. Me ne sono andata a dormire confidando solo nella mia resistenza passiva...e nella forza, come dice il mio amico appassionato di star wars :)

Non prendo mai medicine per questi malesseri, un po' per principio e un po' per avversione a tutto ciò che è palliativo. Se il dolore è umanamente sopportabile, trovo che sia molto sano, e molto saggio, sopportarselo. Può essere un esercizio di resistenza e di tempra e si capiscono un sacco di cose. E cosi stamattina, quando ho aperto gli occhi, mi sono chiesta come avrei affrontato la mia solita giornata, che non è solita per nulla se non riesci ad affrontarla. Mi sono svegliata e stavo bene. È curioso "accorgersi" di stare bene per il solo fatto che non si sta più male. È una sensazione inebriante. Pure se l'equivoco è facile, se è vero, come è vero, che la banalità di un mal di testa può offendere chi combatte con ben altro. Ma io intendo dire un'altra cosa. E grazie ad un giorno di mal di testa mi sono resa conto di quanto siano belle e stimolanti le cose che dico di detestare, che trovo monotone, ripetitive e inutili solo fino a quando potrebbero essermi impedite per scelta non mia.

Di solito questo fatto lo capisco bene con le emozioni, quando riesco a dimenticarmi di affetti sbagliati: smetto di avere il chiodo fisso, non sono più gelosa, non mi arrabbio più, non mi ferisce più...me ne faccio una ragione e il cuore si pacifica. I sintomi della guarigione da dipendenza affettiva sono molto liberatori...salvo poi riammalarmi per altri e altri ancora e guarire per gli stessi identici motivi: incapacità di coltivare i rapporti oltre il magnifico brivido iniziale...che è poi il motivo per cui certi di noi non possono che starsene come stanno: soli pure quando la testa fa male. Una vera sconfitta, ma tant'è. Aspetto il mal di testa giusto per capire pure questa cosa qua.

 Ora sono le 21:10, mi sento ancora molto bene e ho pensato che pure in un giorno banale come questo, dove non è successo niente, nel quale ho riso troppo poco per riuscire a giustificare tutte queste ore di esistenza, è proprio vera quella cosa che quando c'è la salute c'è tutto, perché se stai bene tutto quello di cui hai bisogno senti di avere il diritto di ottenerlo.

 ...In realtà io penso ancora che pure quando ci sia l'amore ci sia tutto...almeno fino a quando mi farà piacere ammalarmi per questo.

martedì 15 dicembre 2015

e lucina fu

Ognuno le fa a modo suo. È il bello della libertà di espressione. Le lucine sul balcone ognuno le mette come gli pare. E si capiscono un sacco di cose anche solo da quella roba lì.
 Ci stanno gli "annodati" di cervello che  mettono una marea di cavi manco fossero a Las Vegas e fanno degli scarabocchi multicolor tutti aggrovigliati. Forse sono quelli che credono di più all'effetto di insieme, al colpo d'occhio, piuttosto che all'emozionato rigore del dettaglio.
Ci sono quelli che fanno delle vere e proprie scenografie, con tanto di renne e babbo natale pronto a salpare sulla volta celeste. Sono forse quelli che al Natale ci pensano tutto l'anno e, un po' per devozione, un po' per vanità, un po' per ossessione maniacale, vivono quell'apparatura come un momento istituzionale gravido di solennità.
 Poi vengono i "geometri", che si limitano a contornare il perimetro di balcone e finestra con le luci un poco più grosse perché si devono vedere bene. Unica concessione "irregolare" qualche prevedibile intermittenza. E non so perché ma in quelle case io ci metto dentro gente che non comunica, che non mangia mai fuori pasto, che cammina in casa con le pattine.

Passeggiare per via Mecenate col naso all'insù in questo periodo mi consente di fantasticare un poco su quei popolosi condomini, che visti da giù, con quelle soluzioni luminose così disarmoniche, mi sembrano dei giganteschi puzzles assemblati con i pezzi tutti sbagliati. Ogni balcone è così diverso da quelli vicini che non mi stupisce che nelle riunioni condominiali si faccia fatica a trovare delle convergenze.

Anche io  quest'anno volevo mettere le lucine alla mia finestra. Le avrei messe molto piccoline e tutte bianche, con l'intermittenza lenta, di quella lentezza che mi fa imbambolare mentre le fisso. Ma da
sola non si può fare. Ci vuole per forza qualcuno che regga un lato mentre l'altro fissa i punti per
creare il contorno. Le lucine sono il frutto di un lavoro collettivo. No, forse ci sarei riuscita anche da
sola, ma la mia finestra affaccia su un cortile interno e le lucine non le avrebbe viste nessuno. Se non
le vede nessuno non hanno senso. Valgono quanto il buio.

E cosi, mentre percorrevo divertita la mia strada involontariamente baraccona, mentre mi pareva che quel caleidoscopio di colori accostati tra loro senza una logica fosse lì a creare un corridoio di luce soltanto per me, ho pensato che imparare a guardare le lucine fino al punto di riuscire a rimanerne incantati può essere davvero tanto "illuminante".

lunedì 14 dicembre 2015

Partire da un punto qualunque per arrivare in un punto preciso

Ed eccomi qua. Di nuovo al lavoro dopo nove giorni di beata lontananza da questa scrivania, da queste pratiche, da questo caos per nulla calmo in cui mi ricatapulto dopo un periodo di poco riposo, un po' di riflessione, tanti film, qualche buona lettura e un po' di consapevolezza nuova che in realtà mi sarei risparmiata...

Ieri era il mio onomastico. Ho ricevuto gli auguri da tutti quelli da cui me li aspettavo, da moltissimi da cui ho avuto sorprese di affetto insperato e da una persona, che non conosco, che però ha il mio numero di telefono, che dice di chiamarsi Luca e che mi ha scritto un sms molto dolce. Io non so chi sia, né ho intenzione di indagare, ma spero che non sia uno scherzo. Grazie, chiunque tu sia.

Il mio papà mi ha fatto la sorpresa di venirmi a trovare e ora poverino è da solo in una casa senza TV, in mezzo a fumetti che non potrebbero piacergli, ad aspettarmi. Non posso non anticipare l'uscita dal lavoro...sono incorreggibile...

Tra alcuni giorni la direttrice va in pensione. Credo che sia la prima cosa bella di cui parlo quest'anno. Alla fine ho persino partecipato al regalo, per quanto possa valere un regalo che si fa senza sentimento alcuno. Per la serie "torna a beneficar l'ingrato se non l'ha capito bene ".

Primo proposito del nuovo anno
Andare via da qui



giovedì 10 dicembre 2015

È questione di fiuto...

Mi sono ricordata di una chiacchierata di tantissimi anni fa. Ero con un'amica e discutevamo in maniera divertita di ragioni del cuore, che nel mio caso ha sempre avuto torto.
Siccome oggi sono stata tutto il pomeriggio al parco, ad un certo punto mi sono seduta su una panchina, ho osservato due cagnolini che si divertivano tanto assieme e li ho invidiati molto. E poi, senza motivo, sono ritornata al ricordo di quella conversazione surreale e a suo modo tenerissima...

- Chi lo sa da cosa lo si capisce veramente...dico proprio al netto di tutta quella deleteria letteratura romantica che ci ha solo intossicato la ragione facendoci sognare amori impossibili. Come si fa a stabilire che quella cosa lì che ti succede quando lo vedi, che pure se sei bradicardica ti senti come  se fossi a fine maratona, che non ti trovi mai abbastanza bella per lui, o brillante, simpatica, arguta, che continui a dire sciocchezze mentre pensi "allora...quando arriva il momento in cui mi prendi e mi stritoli a te e incolli la tua bocca alla mia?"
- guarda che è più semplice di quanto pensi
- sì  come no. Per te...
- no, è facile ti dico. Lo devi beccare mentre si scappera il naso. Tanto prima o poi capita. Gli uomini queste cose schifosissime le fanno sempre
- oh mammamia...ma cosa dici?!?!
- credimi, è così. Devi partire da lì se davvero vuoi capire.È l'unica vera regola che ti svela se lo ami davvero. Funziona che mentre lui si scappera il naso tu continui ad amarlo. Non ci sono altre prove d'amore più schiaccianti. E se ti fa senso ti liberi definitivamente di quella ossessione...non era amore.
- In effetti mi pare davvero una prova durissima
- ti garantisco che le vere storie d'amore sono quelle che hanno superato questa prova qui
- ...sono una persona orribile...lo sapevo che non ero capace di amare. Io questa cosa non potrei mai affrontarla.
- fidati. Ci riusciresti benissimo
- mi pare quasi che me lo auguri
-eccerto
- grazie...una vera amica....

Ecco. Io credo solo in parte che sia così. Credo che per capire davvero quanto sia amore e non mera ossessione, sfida, infatuazione...e simili distorsioni emotive, sia necessario recuperare una certa animalità selvatica, fatta di istinto e di fiuto per riconoscersi...
Io del naso, in amore, mi limiterei a fare quest'uso qui...che è meglio...son sicura...
Nel dubbio, continuerò a sbagliare e a pensare che "le affinità elettive" sia uno dei più bei romanzi mai letti nella mia inutile vita romantica.

mercoledì 9 dicembre 2015

Love marks

Se dovessi pensare alla cosa di cui ho fatto a meno per molto tempo e tanto malvolentieri non avrei dubbi. È lo zaino. Io l'ho sempre portato a due spalle, me lo ritrovo sempre troppo pieno di cose che vengono ovunque con me, ma che alla prova dei fatti non mi servono mai, ingombrano e pesano, ma poi restano nello zaino per così tanto tempo che mi dimentico pure di avercele messe io. Tutto è cominciato con un invicta, come per molti della mia generazione, che ho instancabilmente portato per tutti gli anni di liceo, c'ho scritto sopra così tanti stati d'animo che potrei mettere insieme un intero romanzo di formazione, l'ho sfondato e rattoppato, c'ho fatto disegni, appeso ciondoli, ricamato chissà cosa. Alla fine dei cinque anni non era più uno zaino, era l'allegoria di un reduce dal Vietnam.
Ora riposa meritatamente in un armadio col patto di non essere riaperto mai più dal giorno della maturità.

All'università mi sono adeguata, come un po' tutti a quei tempi, alla Roncato, una tracolla verde scuro che non ho mai sentito veramente mia, molto comoda, funzionale, robusta...ma non siamo mai entrate in vera intimità. Non so che fine abbia fatto, come del resto non so cosa sia davvero stato di me in quegli anni là...
Quando ho smesso di avere necessità di contenitori per testi e altri strumenti di studio, mi sono imposta, o forse in quel momento sentivo di volerlo davvero, delle borse piuttosto eleganti, rigorosamente griffate, che restituissero una personalità ormai matura, che non richiedessero troppe cose da portare, che quelle di sicuro sono il sintomo chiaro di profonda insicurezza, paura dell'imprevisto e bisogno di controllo. Quello è stato il periodo delle gonne, le calze velate, le scarpette eleganti, i vestitini, persino il rossetto rosso...tutto molto bello quanto lontano da me anni luce, o meglio, tutto molto divertente e piacevole, funzionale al bisogno di conferme che avevo all'epoca, ma se non ti appartengono, è inutile, in quei panni non ci resisti molto a lungo.
Col tempo ho adottato un equo compromesso tra la mia anima freakketona/
zingaresca e uno stile più decoroso e femminile. È arrivata la Desigual e ho risolto
molto felicemente il mio look di ultratrentenne che vuole fare come tutti gli altri ma le riesce ancora malissimo.

E cosi, dopo giri immensi, lo zaino è stato il mio vero, inevitabile ritorno alle radici, a quello che sono nel più profondo di me e che nessuna borsa potrà mai rimpiazzare.
Da qualche anno ho uno zaino North Face con cui ho immediatamente stabilito un rapporto d'amore, nonostante lo indossi spesso a sproposito e financo su cappotti eleganti (una volta un amico mi accompagnò in un posto un po' istituzionale e mi fece notare questa cosa per la quale provai un forte imbarazzo. Aveva ragione più che ovvia e io non ci avevo fatto proprio caso...).
Lo zaino è  la mia nota imprescindibile e, in quanto tale, spesso quella più stonata. Come ai tempi del liceo ci metto dentro qualunque cosa, la gran parte ignota pure a me stessa e certamente inutile. È il fardello a cui non so rinunciare, è il mondo che mi porto dentro/dietro/addosso, è la mia copertina di Linus. È il mio perenne senso di inadeguatezza.

Oggi è morto il fondatore di Noth Face. Ambientalista convinto,  si è ribaltato col suo kayak. Mi è dispiaciuto di un dispiacere adolescenziale, in quella maniera inopportunamente amplificata con cui ci si dispiace a quell'età in cui le spalle non reggono ancora bene nessun peso. Quando l'ho saputo avevo il suo zaino sulle spalle. Ho avuto l'impressione che fosse ancora più pesante del solito. Domani lo svuoto.

martedì 8 dicembre 2015

bozze di futuro

La faccio. L'ho detto e la faccio. Sto preparando una lista per il 2016 senza se e senza ma. Non so neppure da dove cominciare per la verità. Dovrebbe includere una certa capacità previsiva, ammettere che la salute, le persone che conosco, il lavoro...restino sostanzialmente invariati. Quindi una buona lista che si rispetti deve partire da certi assunti altrimenti non può funzionare. Allora credo che farò così. Provo a prefigurarmi più scenari possibili e poi, in base alla loro realizzazione, mi faccio trovare pronta con una lista adatta a ciascuno di loro. Vediamo un po'.

Scenario 1.
Faccio sempre lo stesso lavoro
Non conosco nuove persone
Non mi innamoro neppure quest'anno
Sono in buona salute, ma la pressione è bassa come sempre e ho ancora carenza di ferro
 Lista dello scenario 1.
Riprendo a fare viaggi
Raddoppio i libri da leggere
Riapprezzo di nuovo il valore della solitudine
Esco di meno
Raddoppio le ore di sonno
Faccio un ciclo di massaggi
...la lista 1 è riferita allo scenario più probabile in cui prevedo di vivere...ma forse non tiene conto del fatto che nel 2016 io compirò 40 anni. E non 65

Scenario 2
Riesco ad avvicinarmi a casa mia. Mettiamo proprio che me ne torno a casa
Vivrò tra lavoro, la mia mansarda di legno, il mio gatto...e mia madre che mi chiede perché non mi sono sposata
Mi contenderò il tapis roulant con mio padre, atleta tardivo ma tenace
Ritornerò vegetariana che tanto posso contare sulla cucina materna per i menù attenti e bilanciati da preparare
Riprenderò a guidare
Andrò al mare pure d'inverno
...la lista 2 mi risolverebbe tutto il peso del fare tutto da me, della solitudine troppo ostinata, del naturale ritorno alle origini, dell'avere tutti sotto controllo. Pare tutto giusto. Ma mica sono sicura che funzionerebbe davvero...

Scenario 3
La vita rimane quella di sempre
Arriva l'uomo della mia vita
Lista 3
Non cambierò niente
...la lista 3 è la mia missione impossibile. Quella che coltivo da sempre mentre sono impegnata a realizzare la lista 1

Ma siamo ancora all' 8 dicembre. Gli scenari possibili sono potenzialmente infiniti e le liste da 4 a più infinito sono ancora tutte da definirsi...


sabato 5 dicembre 2015

Mica amico...

Fa così più o meno da sempre. Ormai lo so. Con gli anni è diventato prevedibile e scontato e io ho smesso di rimanerci male. Sono anni che conosco una persona a cui voglio inevitabilmente molto bene, ma in fondo le ragioni su cui poggi il mio affetto sono piuttosto deboli e, a un giudizio razionale, del tutto prive di fondamento.
Dicevo, da anni conosco questa persona con cui periodicamente condivido esperienze molto divertenti...esperienze intellettuali e di svago sia chiaro :) e mai potrebbe esserci dell'altro, questo è poco ma sicuro.
Succede così. Io, sempre io sono quella che chiama, gli propongo di andare a cinema, venire a pranzo, andare in qualche posto...e di solito ci divertiamo moltissimo, o perlomeno per me è così. Ma lo so. Lo so che pure quando è simpaticissimo, gentile e divertente in realtà è falso come Giuda. Perché poi per un tempo imprecisato non mi saluterà, non mi parlerà, avrà atteggiamenti inspiegabilmente irritanti...fa sempre così. Poi però succede che in qualche modo ci ritroviamo e tutte le volte pare che non sia successo niente. Un comportamento razionale imporrebbe di certo una cancellazione drastica dalla sfera dell'umanità degna di considerazione.
Forse. Ma io non ci riesco, non riesco a portargli rancore, non mi offendo più, non mi irrita più questo inqualificabile comportamento. Mi passa sempre. Credo che certe forme di affetto non abbiano spiegazione, come quando si ama un gatto che ci fila solo quando vuole lui, sono faccende che travalicano orgoglio, amor proprio, ripicche. Sono così, questa è la loro forma e natura. Un po' mi dispiace e un po' l'accetto per quello che ha deciso di essere. Una cattiva compagnia che mi sono ostinata a coltivare solamente io e che restituisce frutti piccoli e un po' aspri.
Ma alla fine che importanza ha, ci sono frutti non commestibili ma molto coreografici pur nella loro inutilità



venerdì 4 dicembre 2015

sopra io ci dormirei...(storie di insonnia e di ottimismo)

Un po' di anni fa, per recuperare spazio nella mia casa piccolina piccolina, mi sono fatta costruire un ripiano sotto al soffitto sul quale ho messo il mio lettone. In pratica dormo sospesa nell'aria ed è una sensazione molto simile a quella di una casa sull'albero. Scendere da lassù è abbastanza complicato, perché se non conosci la tecnica è facile che batti la testa contro il soffitto. Ma a me starmene lassù diverte tantissimo :).
In questi giorni faccio molta più fatica del solito a dormire. Mi sveglio alle cinque come ho sempre fatto ma non riesco ad addormentarmi la sera. E così succede che me ne sto sveglia per ore ed ore distesa e sospesa nell'aria a fare i conti con le tempie che pulsano, gli occhi che bruciano e la preoccupazione per un nuovo giorno in cui non avrò alcuna lucidità. Non ho particolari angosce, non sto progettando niente di particolare, non ho novità sentimentali che accarezzano le mie fantasie affettive. Insomma, nulla a cui dare diritto di togliermi il sonno.
Stamattina però ero veramente a brandelli. Quando sono scesa dal mio alto piano e ho messo i piedi per terra mi sono chiesta dov'è che avrei trovato la forza. Poi però in qualche maniera la trovo. La trovo con l'alleanza del Dio caffè, della doccia gelata senza la quale potrei risolvere solo con la coca, con la solita passeggiata, con gli obblighi del lavoro. Oggi avevo pure sportello al pubblico, attività che moltiplica il mio sforzo in senso esponenziale.
La prima contribuente di oggi era una ragazza che viene spesso a registrare i contratti perché lavora in un'agenzia immobiliare. Ormai ci conosciamo da un po' e qualche volta mi racconta delle sue frustrazioni per come la trattano al lavoro, che proprio non le riesce di trovare di meglio, di quanta fatica faccia a vivere a milano con uno stipendio di 700 euro...cose così, di regolare assurdità.

Stamattina l'ho salutata con un sorriso sincero e lei mi ha ricambiato con la stessa serenità. Neppure un minuto dopo è scoppiata a piangere. Mi dice che la settimana scorsa l'hanno pagata con un assegno scoperto e stamattina in banca per pagare un f24 per una compravendita ha scoperto che mancavano 100 euro. Le ha dovute anticipare lei e non sa se le crederanno che non è stata lei a sottrarre quella somma, ha dovuto chiamare i suoi genitori perché lei nemmeno li aveva.
Io non sapevo cosa dirle, credo che quei venti secondi del mio silenzio siano stati tutta l'eternità. Poi le ho detto di fare un respiro profondo, che sicuramente si chiarirà tutto, che poteva stare seduta a sfogarsi con me fino a quando non avrei finito di registrarle i contratti...

Erano le otto e quaranta del mattino quando è successo tutto questo. Ero reduce da una mezza nottata per motivi oscuri, ero senza forze, ero irritata e non vedevo l'ora di timbrare l'uscita e andarmene in ferie. Ma mi è bastato ascoltare una sola persona per ridimensionare il mio malumore egoriferito...
 Stasera faccio così, me ne vado a letto presto, sicuramente di nuovo non riuscirò a dormire. Ma io me ne starò là sopra, adotterò l'atteggiamento più calmo che mi riesce, e mi metterò ad osservare tutte le cose dall'alto. Che con la prospettiva d'insieme tutto appare più chiaro. Ma da lassù potrò vedere soltanto le mie di cose...per questo sono sicura che mi addormenterò.


giovedì 3 dicembre 2015

Se è ben cotto non si cucina (riflessioni a "crudo")

Un risotto. Senza dubbio. Se dovessi dire a qualcuno "ti voglio tanto bene" - facendogli usare il gusto piuttosto che l'udito - gli farei un risotto. Non ci sono scorciatoie, per un buon risotto ci vuole un sacco di tempo e tanti piccoli passaggi, l'impegno è continuo e impone precisione. E poi la dose minima è per due. È impossibile fare un risotto per una persona.

Io non credo alla retorica del cucinare. Se fosse per me i fornelli rimarrebbero sempre spenti. Carol Alt, quella splendida modella degli anni ottanta, ha appena compiuto 55 anni e non è cambiata di una virgola da quando ne aveva venticinque. È impressionante eppure davvero è rimasta uguale senza alcun artificio. Da trent'anni mangia solo cibi crudi e semi ed ha un fidanzato più giovane di lei di vent'anni.
Forse dovrei seriamente riconsiderare l'inattaccabilità della teoria del risotto...
Ci stanno persone che sprecano una vita intera per trovare la formula della perfetta dimostrazione dell'affetto e invece forse tutto stava nell'improvvisazione caotica di un gesto imprevisto e folle. Quanto benessere sprecato così, per troppo studio.
Ecco, io penso che alla base dell'incomunicabilità ci siano il mercato dei trilogy, delle agenzie di viaggio, dei mutui per la casa, dei ristoranti, delle lezioni di ballo...e di tutte quelle esperienze condivise ma costruite a tavolino per soddisfare l'ansia di dimostrasi appartenenza reciproca.

Una volta una signora che non avevo mai visto e con la quale condividevo un'esperienza di viaggio, mi raccontò tutto quello che aveva imparato a detestare di suo marito in trent'anni di matrimonio. Parlava a bassa voce e spesso facevo fatica a capirla. Mi disse che non facevano che viaggiare assieme. Erano stati ovunque. Mi disse che aveva appena perso una collana con un ciondolo che le aveva regalato lui. Mi disse, sempre sussurrando, che non si risposerebbe neanche dipinta, che non ha mai avuto la possibilità di proporre lei la metà del viaggio e che l'unica volta che lei gli aveva fatto la sorpresa dei biglietti già comprati, alla fine lui non era partito.
Lei parlava a bassa voce perché il marito era a un metro da noi e quella strana donna infelice non voleva che ci sentisse.

E così ho pensato che la prossima volta che incontrerò qualcuno per cui mi verrebbe una voglia matta di preparare un risotto, mi affretterò a dirgli "ti voglio bene e vorrei tanto prepararti un risotto".
Se è quello giusto di certo mi risponderà " ti voglio bene anch'io e vorrei tanto che tenessi i fornelli spenti"
... Ormai lo sapete. Mi sposerò con Carol Alt...





mercoledì 2 dicembre 2015

Comprendere senza giudicare

"Comprendere senza giudicare". Pare che questa sia la primissima regola che viene inculcata agli studenti di antropologia e in generale di una qualunque delle discipline che tentano di dare conto dei comportamenti umani. Quest'anno mi è piaciuto ripetermela un numero sufficiente di volte da interiorizzarla meglio che potevo. E così se qualcuno oggi mi chiedesse cosa salverei di questo evitabilissimo 2015 gli risponderei che ho imparato a non pensare solo con la mia testa, perché quella segue sempre la logica ristretta di una che crede che le reazioni altrui siano una regola matematica, che ci rimane tanto male quando poi scopre che non è così e che è sacrosanto che non sia così. Ho smesso all'improvviso di offendermi per le aspettative tradite, dell'affetto non ricambiato e in generale del tempo perduto per cose che non vogliono arrivare. Ho imparato che se smetto di adottare il metodo dell'orientamento al risultato e uso quello dell'entusiasmo dell'Utopia fine a se stessa riesco automaticamente ad eliminare la delusione. Mi sono convinta che la vera piaga dell'umanità si chiami Aspettativa.

Con l'anno nuovo, dopo sei anni trascorsi felicemente senza, riporterò la televisione in casa: non mi va giù di pagare con metodi coercitivi un canone per un servizio che non voglio ma di cui ho diritto. È del tutto illogico quello che dico, perché sono anni che pensò che possedere la TV sia un danno e pagare per comprare un danno non ha senso, ma con un po' di sforzo lo troverò: all'incoerenza si trova sempre una spiegazione visto che è la cosa più umana che ci possa essere. 
Sto facendo pace con un sacco di cose su cui avevo poggiato uno sguardo critico e intransigente. Sono quasi certa che sia un bene solo perché fa stare meglio me. Poi però mi chiedo se sia così necessario che io stia tanto meglio o se piuttosto non sia il caso di conservare un atteggiamento ribelle nei confronti di quello che proprio non ci va, che la nostra testa percepisce come inaccettabile e offensivo. Chi lo sa...no...non è vero...io lo so...

Faccio pace con le cose. E va bene....Ma No che non mi va bene. Le accetto, le comprendo, non le giudico. Ma non va meglio per niente.
Gli economisti di economia dinamica distinguono le aspettative in "adattive" e "razionali". Le prime si limitano a prevedere il futuro solo sulla base di quello che è successo nel passato più una piccola componente di errore da correggere mediante tentativi. Le aspettative razionali invece sono più belle perché si basano su delle previsioni più o meno articolate sulla base delle quali vengono condizionati i comportamenti di oggi. Per me certe volte l'economia, come l'arte, può servire ad imitare la vita... :D

E così ho deciso che con l'anno nuovo faccio così: comprendo, non giudico, non mi offendo, continuo ad essere quello che inevitabilmente sono. Ma provo a dare un'altra possibilità a quella piaga
chiamata Aspettativa.

Poi prometto che la faccio diventare più razionale possibile ;).... Pure se l'incoerenza rimane la cosa più umana che esista. Per chi umano vuole restare.




lunedì 30 novembre 2015

"un altro giorno è andato"

Era un po' complesso, pure poco lineare, a tratti oscuro. Però c'ho trovato dentro un paio di risposte chiare, altre di varia interpretazione e una storia basata su una intuizione molto interessante.

Oggi ho visto "La felicità è un sistema complesso", film di Zanasi di cui avevo apprezzato pure il precedente "Non pensarci" con lo stesso duo Mastandrea/Battiston.
In breve, è la storia di un tagliatore di teste della categoria capi d'azienda, di quelli poco inclini all'attività imprenditoriale perché figli di papà cresciuti senza aver mai costruito nulla e per questo resi fragili da un benessere senza struttura. Sono, in quanto tali individui pericolosi per il corretto funzionamento del mercato. Questa l'apparente motivazione "etica" dell'esproprio aziendale.
In realtà  lo scopo sarà solo quello di continuare a "drogare"il mercato pilotando gli acquisti di colossi rimasti senza padrone. Ma nel sistema capitalistico, si sa, "non è mai colpa di nessuno"  se poi si perdono posti di lavoro, se si delocalizza, si perdono quote di mercato e i padiglioni chiudono.
A fare da contrappunto a questa progressiva e generalizzata perdita dell'innocenza ammantata di necessità ci sono i giovani, che a vario titolo tentano di conservare o raggiungere equilibri nuovi, provando a combattere, a resistere o a ripartire...
Mi è sembrato un film basato su una ottima idea e interpretato da due attori su cui non si discute manco per niente. Notevolissima la colonna sonora di un gruppo indie, con meritata fama crescente, denominato "I cani"

Poi sono andata a sentirmi la "Erre arrotata" del mio venerabile maestro Guccini. Ci stavo io e un campione rappresentativo di tutte le fasce di età possibili. Tutti quanti conoscevamo a memoria le canzoni che andavano durante l'attesa. Una platea così variegata non mi è capitato di vederla mai per nessuno. Ma non per questo mi ha stupito. Per me Guccini appartiene al patrimonio "ovvio" di ciascuno. .
Lui dice di se' che è pigro, che passa la vita nel paesello emiliano dove vive, che certe volte fa degli incontri con le scolaresche e rimane imbarazzato quando gli chiedono pareri sul fenomeno dell'alcolismo. Dice che non vule cantare più e che non ascolta più la musica, dice che l'America gli piaceva tanto e poi un giorno ha deciso che non ci sarebbe ritornato mai più.
Vive quasi come un anonimo pensionato di provincia. Eppure a momenti la Feltrinelli sprofondava nella metro Wagner per quanto era incontenibile quella folla che stava là da ore, in piedi, ad aspettare solo lui.
Pure io stavo là ad aspettare da ore solo lui. Lui e la sua erre arrotata. Mille volte grazie di aver cantato tutto quello che avrei voluto sentire da te.

sabato 28 novembre 2015

Adesso piace anche a me

Io ero alberista. In una ipotetica contrapposizione emotiva, coniata tanti anni fa da De Crescenzo, i fanatici del Natale si dividevano in presepisti e alberisti. A me piaceva l'albero. Da piccola mi avvolgevo nei fili d'angelo luccicosi, mi incantavo per ore in quella montagna di palline colorate, costruivo ogni tipo di ammennicoli di qualsiasi materiale e di forgia pur di arricchire quello che ai miei occhi era un gigantesco albero, che campeggiava nel salotto, e che anno dopo anno diventava sempre più piccolo...non mi ero vista crescere e per tanto tempo ho pensato che il passare del tempo coincidesse con un mondo che si rimpiccioliva...

Del presepe non ho mai avuto una particolare fascinazione. All'inizio in casa mia c'era solo una capanna, piccola e abbastanza spoglia, ci stava solo la famiglia, il bue e l'asinello e tre pecore. Niente scorci di Betlemme e neanche un pastorello. I Magi si vedevano solo alla fine e nel frattempo io cercavo di "personalizzare" quel soprammobile temporaneo con le sorpresine della Kinder...ma la mia fantasia non si accendeva lo stesso. Io sono napoletana e questa cosa è atipica e grave...ma a me " o' presepio nun me piace". Così rispondevo pure io, che ho mangiato Natale e casa Cupiello per almeno una volta all'anno, per ogni Natale trascorso in famiglia che la mia memoria ricordi.

Quando con i miei sono andata ad abitare in una casa più grande, la coreografia natalizia è stata completamente rivoluzionata: mio padre ha cominciato a fare investimenti ingentissimi in lucine da esterno e da interno, ha collezionato centinaia di pastori rappresentativi di tutti i mestieri possibili, ha comprato montagne, laghetti, grotte di lusso, greggi. E poi bambinelli su bambinelli da distribuire in ogni stanza, strenne....mi si creda, una cosa inaudita.

Da qualche anno a questa parte lo studio di mio padre ospita l'"istallazione" di un presepe immerso
nella "metropoli" di Betlemme dove nulla è lasciato al caso e mille lucine fisse e intermittenti animano quell'agglomerato magnifico sapientemente esposto davanti alla finestra perché tutti i passanti possano ammirare.
Io non ho ancora capito le ragioni di questa crescente ossessione da parte dei miei genitori, che si dividono i compiti della manutenzione con competenza da professionisti e la dedizione di una missione , che ci soffrono tantissimo quando il risultato estetico non è quello cercato. No, io proprio proprio non li capisco...

Però ieri è morto il figlio di Eduardo. Ieri è morto il figlio di un gigante del teatro al quale mi inginocchio idealmente ogni istante della mia vita, perché quel poco di napoletanita' che riesco a portarmi dentro e di cui vado fiera la devo a lui.

 Ieri è morto un grandissimo attore, che con gli anni si faceva sempre più simile al padre, e così ho
pensato che l'ha fatto apposta.
 Questa volta sono sicura che ha voluto fare in tempo per dirgli che sì, adesso  il presepe gli piace. Gli piace assai.
E cosi solo adesso l'ho capito quanto piace assai pure a me.

mercoledì 25 novembre 2015

Non è mai troppo presto

Quando l'erba diventa croccante. La mia definizione di inverno coincide con il verificarsi di questo fenomeno qua. Come ho già raccontato qualche volta io esco di casa che è ancora buio,spesso una una luna enorme, con soltanto del caffè e un miliardo di integratori nello stomaco, percorro un "pellegrinaggio" di quarantadue minuti verso il lavoro e timbro più o meno alle 7:30. Solo allora faccio colazione. Sono del tutto eccezionali i casi nei quali mi impongo di arrivare tardi e godermi una lunga colazione a casa.
 C'è un piccolo tratto di questo mi percorso abituale che è fatto di erba e quando si ghiaccia io mi diverto a camminarci sopra come se fossi sopra dei biscotti di pasta frolla. Per me l'inverno è solo quella roba lì ed è solo da quel momento che mi rendo davvero conto che tutto il tragitto è in realtà completamente cambiato: dagli alberi sempre più simili a scheletri che inveiscono contro il cielo, all'aria gelida che intontisce le narici, all'atmosfera rarefatta dai vapori di consistenze diverse che produciamo noi passanti, la terra, le auto...

Quando arrivo al lavoro sono già abbastanza desta, mi sono riscaldata per il lungo cammino e sono già al secondo radio giornale.

Sono anni che seguo questo rituale con la pedanteria di un monaco benedettino, eppure lo spirito con cui affronto quella parte della giornata è la cosa più lontana dalla ripetitività alienante che possa immaginare: ci metto dentro la concentrazione di tutta l'energia che mi servirà per la giornata, ci stanno le aspettative, la smania di sapere come andrà, ci sta il ricordare quello che è successo il giorno prima e pure il fare i conti con quello che purtroppo non è successo, ci sta il pranzo preparato la sera prima, ci sta la radio. Ci sta la sintesi della mia fatica quotidiana passata e da venire.

Chi fa sport di resistenza forse certe cose le capisce, perché è un errore pensare che ci si stanchi per la monotonia dell'azione. Chi fa sport di resistenza con successo in realtà vede in quella ripetitività una sequenza infinita di sensazioni diverse sulle quali concentrarsi di volta in volta lungo il percorso. È una cosa che gli altri non possono vedere ma la verità è che la vera spinta a resistere sta tutta in quella intima percezione di mutamento continuo nella monotonia apparente dell'azione.

Io le mie mattine le vivo felicemente così da anni e mi piacerebbe continuare così per l'eternità. Perché lo so che potrei fare pure in un altra maniera: per esempio prendere il 66 sotto casa e arrivare al lavoro in 11 minuti, potrei così svegliarmi un'ora e mezza più tardi, rinunciare alla fatica di prepararmi il pranzo e andare a mangiare dai cinesi come fanno gli altri.

Così non calpesterei più l'erba croccante e non potrei accorgermi che è arrivato l'inverno.
Che cosa orribile.


lunedì 23 novembre 2015

La lista

Quest'anno prometto che la faccio. Sono anni e anni che credo di fare la simpatica ripetendo che i buoni propositi dell'anno nuovo sono gli stessi di tutti gli altri che lo hanno preceduto, che tanto non ne porterò a compimento neppure uno, che ormai sono talmente ingabbiata nei miei schemi rassicuranti che forse le svolte della vita io non le ho mai volute veramente.

Però alla fine al trappolone del bilancio di fine anno ci caschiamo un po' tutti, come se davvero il flusso dell'esistenza fosse scandito dai capodanni, dalle stagioni, dai diplomi, dai passaggi di carriera...e non invece da quanto quello che ci capita in modo più o meno casuale e nei momenti più imprevedibili della vita abbia contribuito a renderci solidi, consapevoli e saggi.

Se dovessi fare un bilancio di quest'anno al netto della mia vita non esiterei a dire che l'ho trovato abbastanza terribile. Non ne elenco le ragioni ma sono pronta a raccogliere ogni realistica smentita. La morte di Pino Daniele è stata profetica per un anno nero e non a metà.

Se invece dovessi tirare le somme della mia piccola esistenza di quest'ultimo anno penserei che in fondo poteva andarmi peggio, dati il contesto e le oggettive condizioni ostili alla realizzazione di sogni e utopie. Non mi è successo niente di particolare, ma neppure nulla di drammatico, non sono felice ma neppure troppo infelice, non ho trovato l'amore, ma neppure nessuno mi ha lasciato. Non è colpa dell'anno che sta passando se il mio percorso segue certe traiettorie piuttosto che altre. Ho imparato ad essere più indulgente con me stessa e con gli altri e già per questo dovrei dirmi soddisfatta.
La verità è che ho sempre pensato di essere più fortunata che capace, per cui tutto quello che di buono o di non negativo mi capita io lo considero un dono piuttosto che un merito. E questo spesso è un alibi formidabile per prediligere il "lasciar perdere" piuttosto che la sfida attiva.

Ecco perché quest'anno io la voglio fare.
Quest'anno farò una lunga lista di buoni propositi con la ferma intenzione di realizzarli tutti dal primo all'ultimo. Sceglierò con la massima cura tutto quello per cui vale la pena impegnare un tempo stabilito ed escluderò tutto quello che non troverò funzionale ai miei scopi, mi darò degli obiettivi intermedi per molto monitorare i risultati e non lascerò nulla al caso, non mi lascerò tentare dalle contingenze e non perderò l'entusiasmo e la determinazione per massimizzare i risultati. Perché non bisogna rilassarsi mai se si vuole raggiungere le vette. Bisogna rimanere concentrati. Sempre.

Farò così. Farò proprio così...appena mi verranno in mente dei buoni propositi degni di tanto inumano sacrificio.
Scherzo...quest'anno davvero me le segno quattro cose per diventare "una splendida quarantenne". Accetto suggerimenti e buona sorte.






domenica 22 novembre 2015

Un cibo sano (nel senso di intero)

Io ci sono cresciuta. Coi bastoncini della Findus io c'ho fatto infanzia, adolescenza, post adolescenza fino alla parentesi vegetariana di ben otto anni. Se dovessi pensare al mio cibo feticcio penserei a questo. Perché si fa presto a dire Nutella, ma quella mica è proprio cibo, quella riguarda il peccato, il premio, il piacere svincolato dall'idea di nutrimento.

Capitan Findus era il nonno in più  venuto dal mare, che ti prendeva  sulle ginocchia per garantirti che saresti diventato tutto quello che volevi se avessi mangiato del buon pesce. Filetti di merluzzo in croccante panatura. Quanta perfezione in una combinazione così semplice! La sintesi perfetta tra il beneficio di un pesciolino magro e senza spine, con il godimento di una goduriosa pastella croccante e unta quanto basta per un fritto "lecito". Ad un certo punto, a furia di mangiarne, avevo sviluppato uno stratagemma: separavo il pesce dalla panatura, così isolavo il piacere assoluto dalla necessità. Partivo mangiando tutto il pesce, quasi come se fosse un compito da assolvere per poi premiarmi con tutto quel peccaminoso involucro fatto col peggio che la dietetica sana possa suggerire. Nella fase salutista invece mi imposi lo stesso approccio "separatorio" ma mangiavo solo il pesce "nudo", privandomi della parte golosa perché all'epoca maturai la stolta idea che il piacere del cibo fosse la colpa più grave di cui ci si potesse macchiare. Per fortuna non durò a lungo, ma prese posto la lunga fase "etica" durante la quale mi proibii qualunque essere cucinato. Dopo otto anni uno dei miei primi ritorni di "fiamma" furono proprio i bastoncini.
Ma i tempi ormai erano cambiati. Capitan Findus non era più quel rassicurante vecchietto che mi aiutava a crescere forte e sana, ma un fascinoso uomo di mare che mi parlava di omega tre e di possibilità di cottura al forno senza grassi né olio...

Io sono diventata grande così, più o meno mangiando sempre le stesse cose provando solo ad interpretarle in maniera un po' diversa. Credo che la stessa cosa mi sia capitata con altri tipi di sapori e di gusti. Il genere rimane più o meno sempre quello per musica, libri, film, uomini...provo a darmi suggestioni nuove e diverse. Ma siamo quello che siamo...oltre che quello che mangiamo, tutto quello che possiamo fare è controllare un po' il metabolismo con qualche esercizio nuovo.

 A capitan Findus è andata piuttosto bene. Era così vecchio quando io ero piccola e ora è un aitante uomo di mezza età che non parla solo ai bambini.
Chissà se è merito del pesce o della panatura :D

venerdì 20 novembre 2015

ce l'ho sulla punta dei capelli...

Dovevo scegliere. E farlo in fretta. In questo periodo posso uscire dal lavoro molto presto, perché entro sempre alle 7:30 e ho accumulato un sacco di ore di credito. È tutto calcolato, la seconda metà del mese per me è una specie di part time dove investire su quello che mi pare. Amen.

Ci stava da scegliere tra il duo Rubini-Bentivoglio con "Dobbiamo parlare" e il mio fioretto strano con i capelli. Il fioretto consiste nel non accorciare i capelli almeno fino ai miei primi 40 anni. Devono crescere per i prossimi nove mesi, ma in questo momento hanno un serio bisogno delle mani molto sapienti di qualcuno che sappia indicarne una strada, un percorso, un orientamento.
Non ho mai avuto capelli lunghissimi, ho sempre ceduto alla tentazione di lavorarci sopra con tagli più o meno arditi, spesso pentendomi. Quando ho compiuto 30 anni li ho rasati a zero io stessa con un taglia capelli comprato apposta per l'occasione. Ci sono foto che testimoniano il fatto e quando mi ricapita di rivedermi, penso che in certi periodi della mia vita sono stata la persona più assurda con cui abbia mai avuto a che fare...
Credo  che sia sostanzialmente molto vera quella storia che quando una donna cambia radicalmente taglio di capelli è perché sta attraversando una fase cruciale della sua vita: un cambiamento, una perdita, una delusione o anche una fase di rinascita. Ora che ci penso, direi che per me sia andata così, potrei scandire i miei tagli "netti" e drastici con fasi della vita assimilabili alle stesse tranciate.

D'altro canto pure decidere di avere la pazienza di non tagliare i capelli direi che sia assimilabile ad un tentativo di cambiamento radicale, magari lento, però inesorabile, convinto e ponderato. Voglio avere i capelli lunghi. È un'intenzione alimentata da uno spirito diametralmente opposto al taglio netto, include una storia che ci si porta dietro con fiducia, pazienza e ostinazione. Che richiede una cura costante, fatta di balsami, impacchi, lunghe spazzolate e neppure un momento di ripensamento. I capelli lunghi sono un progetto, una visione di lungo termine.

I quarant'anni mi sembrano un'età molto adatta per portare un bel taglio scalato, morbido, che raggiunga almeno le spalle, che assecondi i mutamenti anche con un semplice elastico o una treccia, che faccia concentrare di meno l'attenzione su un viso che comincia a perdere colpi... Sono capelli per chi ha imparato che la comodità di un taglio corto spesso fa i conti con possibilità limitate di scelta, che spazzolare a lungo i capelli lunghi è una terapia di rilassamento unica al mondo, che correre con il codino che va di qua e di là è una delle cose più simpaticamente sexy che ci siano al mondo...

Tutto questo per dire che oggi pomeriggio, di fronte alla scelta tra cinema e parrucchiere ho scelto il cinema perché ho avuto paura che il parrucchiere non capisse quanto poco mi deve tagliare i miei futuri capelli lunghi.
( però domani ci vado...)

mercoledì 18 novembre 2015

Per appassionati cinefili (che col nord Europa non si scherza...)

Certe cose si prevedono facilmente. È difficile che uno si sbagli. Se sto per andare a vedere un film islandese lo so che non riderò, che con ogni probabilità non ci troverò manco la colonna sonora, che i dialoghi saranno pressoché inesistenti, che la trama tratterà tematiche di cui buona parte del mondo non ritrova neppure nella narrativa più surreale.
Se uno parte con queste premesse poi è probabile che farà due cose:
1) affronta stoicamente il progetto cinema introspettivo, sperando di non essere in carenza di sonno
2) prova a lasciarsi sorprendere. Si entra disarmati, con la certezza di dormire, e si spera che tra quei silenzi accada dell'altro.
Oggi ho visto Rams, un film islandese. Ci sono andata con un amico cinefilissimo in questo pomeriggio un po' freddino dopo una giornata di lavoro piuttosto breve e molto solitaria perche erano tutti all'assemblea sindacale (io non ci vado mai).
Il paesaggio è quello tipico di un paese nordeuropeo dominato da spazi sterminati di una natura gelata, pochissime case, silenzi, isolamento.
La storia è quella di due fratelli che non si parlano da quarant'anni pur essendo dirimpettai. Quando è strettamente necessario si inviano dei "pizzini" spediti tramite il cane. Sono due bravissimi allevatori di pecore di una razza che è in estinzione. Le pecore si ammalano e la comunità decide di abbatterle tutte. Sfidando tutto e tutti uno dei fratelli vuole impedire l'annientamento delle sue pecore e con degli stratagemmi tenta di nasconderle e nel frattempo prova a farle rispodurre. Sarà tutto molto complicato, perché l'ostilità del clima impedisce fughe e spostamenti anche minimi. Più volte entrambi i fratelli rischiano il congelamento. Ma proprio in questa condizione estrema i due fratelli si ritroveranno.

Ecco. Questa la trama, che io continuo a trovare surreale e assurda pur nella sua verosimiglianza. Quando il film è finito nessuno se ne è accorto subito, eppure quella scena finale non poteva che essere la scena ultima. Al mio amico il film è piaciuto. A me ha spiazzato ma a tratti l'ho trovato
dolcemente poetico. In fondo è la storia di un legame inevitabile, come è inevitabile quello tra fratelli.
È la storia di una passione unica e cocciuta per l'unico lavoro che si è svolto per tutta la vita. E poi ci sta l'impossibilità della resa, della lotta per salvare i propri spazi di vita, quelli che sembrano tanto piccoli pure in luoghi tanto sterminati.
Io ho fatto un po' di fatica, però sono uscita contenta lo stesso, pensando che un buon film non deve necessariamente essere bello dall'inizio alla fine.
Può esserlo anche soltanto nei punti giusti. 

lunedì 16 novembre 2015

Risparmio e investimento. Un approccio eterodosso a falce e carrello

L'ho fatto apposta. Volevo offenderlo intenzionalmente. Ero in attesa da più di mezz'ora per aggiornare il libretto del prestito sociale della coop, una tradizione di famiglia che ho avviato io da quando sono maggiorenne. La coop è una delle mie certezze esistenziali da sempre. Mia madre mi mandava a fare la spesa piccola da quando facevo le elementari. Credo che sia stato allora che ho sviluppato una mai sopita passione per tutti i gadget presenti nei fustini del detersivo, le raccolte punti, i 3X2, per le promoter...la coop è stata la mia prima occasione di discernernimento tra ciò che è necessario e ciò che è invece superfluo. Una volta sono pure svenuta sul bancale dello zucchero. Mi risvegliai nel magazzino con le cassiere che mi accudivano con le brioches appena sfornate dalla panetteria. Mi era venuta la varicella.

Appena mi laureai feci carte false per provare ad andare a lavorarci. Sostenni una lunga selezione per un master, la superai e rimasi in coop per due anni. Volevo assolutamente sapere come funzionasse davvero il mondo della cooperazione. Quando lo capii, non esitai a licenziarmi. Ma alla coop, come fosse una specie di innesto nel mio dna, non ho rinunciato mai, perlomeno per una spesa minima mensile. Neppure adesso, che penso che l'Esselunga sia incomparabilmente superiore in quanto a politiche marketing, personale eccellente, prezzi...non ci sta proprio partita, mi costa dirlo ma ne sono assolutamente certa.

E così stasera, che avevo capito che quello davanti a me era un dipendente coop "in borghese", irritata da tanta attesa ho cominciato a dire che no, proprio non ci siamo, che l'Esselunga è tutta un'altra storia, che è financo più affascinante. Ho letto negli occhi di quel signore, stanco come me da una fila mal gestita, una specie di dolore e di personale offesa. Mi ha detto "addirittura più affascinante. Ma la qualità dei prodotti, la tracciabilita, il messaggio etico dietro ogni singola etichetta...e poi i prodotti di
libera...".

Io alla coop non smetterò mai di andarci, le voglio bene come si vuol bene quando il legame si è stabilito con l'ostinazione ottusa di chi non vuole ammettere l'errore, pure quando sta là davanti a dirti che è evidente che si trova molto di meglio.

Alla coop vado a metterci i miei risparmi. Pure se mi tocca una fila lenta, un servizio macchinoso e antiquato. Ma è un risparmio sicuro, etico, che mi evoca tutta una storia romantica di lotte, di piccoli affetti familiari, di nonni che raccontano storie di fatica e di ricostruzione grazie ai consorzi, del mio primo accredito di stipendio.
 All Esselunga vado a investire in beni voluttuari, e in quanto tali pure necessari, alla ricerca di quel senso di appagamento immediato, presente, che si consuma presto e che non guarda che a un futuro
breve quanto la capacità di un frigo di medie dimensioni di una persona che vive sola.


Una  mente contorta può fare un sacco di cose. Per esempio creare benessere eliminando la concorrenza  ;)
(Perdonate. Se potete)

venerdì 13 novembre 2015

È così perché è così (sotto la soglia. Sopra no)

Ci sta una legge di teoria economica che dice così:"un paese è povero perché è povero" che pare una "tautologia", come dicono quelli che non vogliono dire la parola fesseria, ma in realtà è il risultato di una mesta considerazione sulla difficoltà di un paese povero di affrancarsi dalla povertà. In pratica esisterebbe una soglia, calcolata secondo criteri riconducibili alle caratteristiche del paese in questione, superata la quale la produzione è tale da favorire il processo di crescita economica. Se questa soglia non viene superata, pure se il paese produce rimane povero per sempre. È come se uno mangia delle cose, ma poi per digerire brucia più calorie di quelle che ha mangiato (... praticamente un mio sogno ricorrente...ma sto fuorviando il ragionamento). D'altra parte se senti i discorsi di un economista iper liberista non è raro sentirgli dire "se sei povero è colpa tua", poiché alla base della loro visione del mondo il mercato offre pari opportunità a tutti quelli che scelgono di coglierle con il lavoro e ogni altra risorsa a disposizione (chissà la storia degli ultimi 2000 anni da chi è stata scritta per smentire questo assunto magnifico?...).

Pensavo a queste cose,di cui non saprei dire molto altro, mentre ascoltavo il podcast di una trasmissione molto divertente di un giornalista di cui amo il lessico e il modo trasversale di trattare i fatti. Ad un certo punto lui sosteneva che due persone che al terzo appuntamento da soli non si sono dati un bacio è sicuro che non accadrà mai più. Secondo lui c'è una soglia di tensione reciproca, di freno degli entusiasmi e del desiderio, che bisogna superare in quel tempo esatto altrimenti si trasforma in un rapporto "autoimmune" che produce amicizia e non passione. Direi che è un' ipotesi piuttosto convincente e nella quale mi riconosco abbastanza. Mi viene da dire a questo punto con un'analogia  mica troppo forzata  che "una donna è single perché è single",  perché proprio non ce la fa ad uscire da quella coltre spessa di isolamento "funzionale" alla sua condizione di single, al massimo "produce" incontri sbagliati che distraggono risorse per realizzare quelli giusti. E a quel punto se lo merita tutto il detto "se sei single è colpa tua"...

Ma poi, a vedere bene, pure quando sai dove sta il punto di salvezza, mica è detto che ti salvi veramente. Tanto per dire, alla fine sono stati così bravi a stabilire esattamente dove cade la soglia della povertà che poi non si capisce perché esista ancora. Forse pure là c'entra qualcosa l'appuntamento tra ricchi e poveri e un bacio mai dato.
 E così ho pensato, per mia sicurezza, che la prossima volta che uscirò con uno che mi piace, col cavolo che aspetterò fino al terzo appuntamento per superare la soglia...








mercoledì 11 novembre 2015

Il cuore batte...ma il cervello vince

Non me lo ricordo cosa gli dissi per fargli pensare quella cosa. Si chiacchierava amabilmente con un amico passeggiando per via Caracciolo, credo una decina di anni fa. E a un certo punto mi dice: "ma stai innamorata?". Con la stessa rapidità del mio stupore a quella domanda a bruciapelo gli rispondo: "mio caro A. Io sto sempre innamorata".

Era la verità. A parte in questo ultimissimo periodo della mia vita, nel quale purtroppo non ho proprio nessuno nel cuore, non mi ricordo mai una volta in cui non abbia avuto qualcuno nella testa e/o non abbia detto o fatto delle piccole follie in nome di questo stato di grazia.
Se proprio ci penso bene, mi chiedo come sia stato possibile per me sbrigare tutti gli obblighi di una vita che chiama al risultato, mentre ero ossessionata dagli uomini della mia vita. Notti insonni, tachicardie, nasi all'insù come una povera inebetita, incubi da gelosia più o meno motivata...una vita di cui sento la mancanza, ma forse ci sto guadagnando in tanta salute.

Non si è mai trattato di ossessioni passeggere, ma di chiodi fissi durati anni e anni: tutte le volte ho pensato che non me lo sarei scordato mai più, che non avrei mai trovato la maniera di uscirne...e invece ne esco. Sempre. Per fortuna. Ma molto spesso è stato per entrare in un altro "amabile" tunnel...no, non credo che si tratti di superficiale variabilità di sentimenti. Ho sempre avuto una fede granitica in ciò che provavo. È che poi apri gli occhi e vedi che sei solo tu ad aver provato tutto questo e a quei livelli così alti. E quella perdita d'incanto improvvisa vale come uno schiaffo a cinque ditate, prima di essere la cura definitiva.

Però che bello ricordare certe cose così buffe oggi e tanto strappacuore allora. Una volta scrissi una lettera struggente a uno che non avrei rivisto mai più, giurandogli che avrei pensato a lui per ogni istante di tutta la mia vita. Naturalmente non è stato così, però io all'epoca non stavo mentendo. Che tenerissimo paradosso...
A un altro ho voluto bene per tutte le estati che sono andata al mare in Puglia. Lui no, ma era talmente compiaciuto di questo che compro' casa esattamente accanto alla mia...per portarci tutte le sue fidanzate. Credo di aver fatto vendere quella casa principalmente per questo motivo. Ma che gente c'è al mondo? E per quale motivo mi è potuta piacere così tanto!?!?

Con gli anni il cuore ha cominciato a battere sempre meno, nel tempo e nel ritmo. Forse ha cominciato a dividersi i compiti con la testa. Ma non saprei dire chi alla fine ci abbia davvero guadagnato. Di chiodi fissi non ne ho più, di affetti profondi meno che mai, ancora qualche clamorosa cantonata da cui ho provato ad imparare qualcosa...ma nulla di più di qualche gratuita mortificazione.
Ho imparato che l'amore non corrisposto è in fondo una maniera comoda di evitare una deludente controprova, che l'idealizzazione è pericolosa assai, che chi non ti corrisponde non è colpevole... ma forse qualcosa di molto bello se la sta perdendo pure lui ;)

Se adesso reincontrassi il mio amico sono sicurissima che gli chiederei cosa gli dissi quella volta per fargli pensare che "stavo innamorata". Ma sono quasi certa che, guardandomi oggi, non potrebbe  mai e poi mai ricordarsene





martedì 10 novembre 2015

Libertà di scelta altrui

Il bello di certe ricerche che trovano divulgazione in ambiti, specializzati in dibattiti sterili, sta nel suscitare meccanismi di facile adattamento alla propria esperienza. Provo a dirla meglio. È uscita questa cosa che i genitori non devono forzare i figli nella scelta degli studi e in generale nella costruzione del loro futuro. In linea di principio è un risultato piuttosto scontato e per nulla controintuitivo. Una tipica scoperta dell'ombrello. Poi però di fatto esce che il 48 %  degli studenti universitari stanno seguendo corsi di laurea decisi dai genitori. In realtà non saprei quanto ci sia davvero da rammaricarsi di un dato simile...visto che la probabilità di rimanere disoccupati rimane alta in ogni caso. Però vuoi mettere un disoccupato che ha seguito la propria strada rispetto a uno che non l'ha seguita? Sulla strada ci sono finiti entrambi eppure pare che ci siano delle differenze sostanziali( trova le differenze allora).

Io sono stata un po' condizionata, ma non esattamente forzata. Volevo fare scienze della comunicazione e mio padre disse no. Allora ho fatto economia. Io la battezzai "democrazia, ma in-parte-ci-pativa". L'inizio fu davvero drammatico e uno dei primi esami non so quante volte l'ho ripetuto, ma poi quel fantastico prof. ( che mai persi di vista fino alla laurea e poi al dottorato) mi fece capire come si affrontavano certi argomenti, mi diede trenta e lode e cominciai a muovere i primi passo su quella strada non propriamente mia ma che provai a percorrere come meglio potevo.

Imparai a premiarmi per ogni esame andato bene. Mi ricordo che al mio sesto esame, microeconomia, il più difficile di tutto il percorso, mi ripromisi che se avessi avuto trenta mi sarei fatta accompagnare al congresso di rifondazione a sentire Bertinotti a piazza del popolo. Arrivò il sudatissimo trenta E mio padre, che ha sempre votato a destra, mi ci accompagnò. Sono cose.
 Un'altra volta mi capitò di preparare un esame con un collega. Studiammo fino a tardi, ma la nostra preparazione era obiettivamente vacillante. Ad un certo punto lui mi fa: "no, Lucia. Siamo troppo impreparati, io domani l'esame non lo sostengo". E io :" È vero, non sappiamo quasi niente. Ma io mi presento lo stesso. Me la tento". A quell'esame non solo ebbi trenta e lode, ma addirittura quel potentissimo prof. che all'epoca era il preside (e poi è diventato pure rettore) mi chiese se avessi già scelto il relatore con cui fare la tesi, altrimenti avrebbe avuto piacere di avermi come sua tesista. Ancora oggi stento a credere che sia accaduto, ma giuro che è andata esattamente così. Potrei continuare all'infinito con questa aneddotica studentesca che solo adesso trovo così dolce nel ricordo ( ma che all'epoca mi ha procurato non pochi esaurimenti), come credo che potrebbe chiunque abbia vissuto gli anni della formazione con pathos e partecipazione. Alla fine non è stata così tragica. È passata come passa tutto, ha inciso moltissimo sul mio carattere, la mia visione del mondo, il mio approccio alla risoluzione dei problemi. Si, economia non faceva per me, ma alla fine mi ha dato molto ugualmente.

Probabilmente quella ricerca sulla libera scelta del percorso di formazione apre un vaso di Pandora sull'importanza di ciascuno di provare ad azzeccare da solo la strada per diventare quello per cui esattamente si è nati per essere. E banalmente è ragionevole pretendere che nessuno possa decidere per noi. Però quando questo per prepotenza, disattenzione o fatalità non accade io sono sicura rimanga sempre intatta la possibilità di scoprire se stessi pure nel posto più sbagliato o nei modi più bislacchi.
A proposito. Il babbo al congresso di rifondazione si divertì più di me. ( cvd)

domenica 8 novembre 2015

Dai presagi di una vita in cammino per "scoprire" le distanze

Sono tantissimi anni che non possiedo un'auto e quasi altrettanti che non guido più. Non mi è mai piaciuto molto, però riconosco che quando ero nelle Marche sarebbe stato impossibile per me riuscire a lavorare e muovermi in quella regione dove tutto era splendido ma i trasporti pubblici erano praticamente inesistenti. Una paio di volte ho avuto persino il coraggio di tornarmene da sola e di notte a Napoli con quella specie di lattina di coca cola che avevo dove manco l'auto radio era contemplato.

Ad Ascoli abitavo di fronte ad un gommista. Ero da lui spessissimo perché  foravo sempre. Ad un certo punto non volle più che lo pagassi tanto era intenerito dal mio modo maldestro di strusciare tutti i marciapiedi, e quando un giorno andai a salutarlo, visto che io mi era licenziata e me ne sarei tornata a casa, lui mi regalò il crick, perché si era accorto che non lo avevo. Quel giorno mi rivelò che, siccome io lasciavo sempre la macchina aperta, mi aveva fatto anche altri controlli più approfonditi e si era accorto che appunto mi mancava. Certa umanità la trova sempre la maniera di stupirmi.

Una volta ebbi pure un incidente. Ero nel parcheggio dell'ipercoop di Napoli. La fiancata dell'altra auto era completamente sfondata. Mi spaventai così tanto che appena scesi dalla macchina chiesi scusa alla giovane donna che guidava e mi addossai tutta la colpa, pur non riuscendo a capire come avessi fatto a fare quel disastro alla velocità così bassa che mantenevo. Soltanto quando un motociclista mi inseguì sulla via del ritorno per spiegarmi che aveva visto tutto, che avevo ragione io e che quell'auto era già da prima ridotta così, mi resi conto di quanto fossi poco padrona del mio mezzo pure quando lo usavo bene. Alla fine fu la donna con l'auto ammaccata da chissà chi a risarcire me. L'ho sempre detto che tengo un angelo custode di prima categoria :)

Poi una mattina dissi ai miei che sarei vissuta senza auto, che sicuramente ci doveva stare una maniera di fare senza pur non limitando la piena libertà di spostamento. A Milano questa cosa è del tutto naturale, anzi non capisco perché così tanti milanesi si ostinino ad usare un mezzo tanto inefficiente in una città come questa. Proprio non capisco.

Oggi sono andata in centro a piedi. Sono otto kilometri. Ho attraversato tutta la città con le cuffie, ci
stava il sole, un sacco di gente che correva e portava a spasso il cane, ci stavano due che si baciavano tanto bene a largo marinai d'Italia, ci stavano gli artisti di strada e la mia pressione bassa che ringraziava. Ho camminato per un'ora e mezza. Con la macchina avrei impiegato
dieci minuti. Sarebbero stati tutti del tempo perso.

venerdì 6 novembre 2015

"Quello che mi manca è la mancanza"

Quando penso al più alleniamo dei film di Allen, che secondo me è Manhattan, la prima sequenza che mi viene in mente è la sua super citata lista delle cose per cui vale la pena di vivere. Uno dei punti in cui mi riconosco in pieno è il cinema svedese, che però per me ha un solo nome: Ingmar Bergman. Fino all'altro ieri pensavo che non mi mancasse niente di suo nella mia videoteca: ho persino certe sue opere minori, che forse erano talmente minori che non solo non sono doppiate in italiano, ma mancano pure dei sottotitoli per buona parte dei dialoghi. Garantisco che è un'esperienza davvero "densa", anche per chi lo ama molto, stare due ore a vedere dei frequenti piani sequenza di volti angosciati che parlano una lingua "aliena". Ho persino dei documentari che lo ritraggono in scene di vita quotidiana piuttosto insignificanti, altri che sono delle raccolte di interviste delle sue numerosissime donne. Insomma, per un periodo della mia vita, ho veramente delirato per quel cineasta così geniale, ma francamente così cupo ma che di più cupo ci sta solo il vecchio testamento...

L'altro ieri, mentre sono in Feltrinelli tutta rilassata e non predisposta ai traumi, scopro un film di Bergman che non possiedo. Non l'ho ancora comprato, ne ho visti troppi per non sapere quale stadio depressivo dovrei essere disposta ad accogliere nel vederlo, ma essendo io una completista non credo che resisterò a lungo. Avrò anche quello. Devo solo provare a fare i conti con uno stato d'animo di cui amavo compiacermi un po' di anni fa e che adesso invece farei fatica pure a rievocare.

Mentre ci pensavo ho cominciato ad immaginare anche io la mia lista delle cose per cui vale la pena di vivere, provando a capire quali di quelle sarei capace di ritenere indispensabili per tutta la vita e non solo per certe fasi passeggere o peculiari. Ma non ne sono capace. mi vengono in mente solo cose stupide, ammesso che sia stupida la pastiera napoletana, Camden Town la mattina presto, quelli de ruggito del coniglio, Calvino, un cappuccino fatto bene, un cinema in cui nessuno respira...

No, non sono pronta per una lista seria che mi sveli il segreto del buon vivere con una scala di priorità, rigorosa, razionale ed essenziale. Noi completisti siamo così. Ci piace avere tutta la serie, quella che di solito include sia la paccottiglia che le perle, quella che mischia in ordine sparso le cose che non ci servono e quelle che ci
portano dove dobbiamo andare.
Ho ancora bisogno di tutto per trovare quel pochissimo che mi è necessario.

Ed è per questo che se entro domani non avrò tra le mani quel film di Bergman che ancora mi manca nulla potrà più avere un senso per me.




mercoledì 4 novembre 2015

Stammi vicino (di casa)


La piccola casa in cui abito sta al piano rialzato e all'interno di un cortile di un condominio a due piani. Il quartiere, per quanto popolare, conserva una certa grazia e una sua identità per nulla scontata in un'area periferica di una città come questa. E poi proprio qua, di fronte a me, ci sta il Monzino, considerato uno dei maggiori ospedali di cardiologia di tutta Europa. Un centro di eccellenza che ha contribuito di molto a riqualificare un quartiere problematico come questo. Io qua ci sto proprio bene, baratterei questa zona solo con Brera o con la zona di via Tortona (ma cosa ti dico mai? Dove altro si potrebbe desiderare di vivere qui a Milano?).

Accanto al mio appartamento ci sta una casa identica alla mia e che è disabitata già da prima che io arrivassi qui. È stata espropriata e l'anno scorso è stata messa all'asta. Nessuno si è presentato per l'acquisto e così la prossima vendita che si terrà sarà con proposta in busta chiusa. Tutti mi hanno detto di comprarla, che ormai potrei averla ad un prezzo minimo, che ne verrebbe una bella casa di dimensione finalmente normale. Per un periodo ci ho seriamente pensato e l'idea mi stuzzicava molto, ma poi non facevo altro che chiedermi cosa ne avrei fatto di quello spazio in più. Niente, giusto una sala per gli attrezzi per allenarmi, ma alla fine mi arrangio anche ora spostando un po' il tavolo. Però forse la ragione vera per cui non voglio comprarla è un'altra. E io lo so che è quella e solo quella che mi fa deviare da ogni altra ragionevole ipotesi.

Una volta mi capitò di leggere delle cose sulla biografia di Frida Kahlo che riguardavano il suo tormentatissimo rapporto con Diego Rivera, il pittore che ha sposato per ben due volte, quello che le ha fatto tutte le corna possibili, che l'ha umiliata in tutte le maniere immaginabili, ma che alla fine non è mai stato capace di lasciarla perdere neppure nei momenti più terribili della sua malattia. Gli ultimi anni che i due passarono assieme furono in due case confinanti ma unite da un piccolo ponte.
Lei raccontava che la convivenza era divenuta ormai impossibile, ma stare lontani lo era altrettanto.
Quella fu la soluzione definitiva al dilemma. Mi ricordo che trovai geniale questo artificio di "indissolubile-legame-sciolto" e pensai che probabilmente il segreto della perfetta vita di coppia sta tutto in questa cosa qui. Stare vicinissimi ma non sotto lo stesso tetto.

E così, tutte le volte che mi affaccio dalla mia finestra e che mi ritrovo davanti quelle tapparelle chiuse ormai da troppo tempo, penso a quanto sarebbe fantastico se ci fosse - non dico un ponte di raccordo (a meno di una ressa condominiale)- ma almeno un filo, del tipo di quelli per stendere il bucato. Mi immagino il mio Diego Rivera (ma auspicabilmente qualcuno un po' più gentile...che ne abbiamo fin su i capelli dei Rivera...)  che mi augura il buon giorno proprio da quella finestra, o che mi chiama per fare colazione assieme, per uscire assieme, e infine per darci appuntamento su come condividere la vita senza farsi "ingorgo"negli spazi reciproci. Io così me lo immagino il mio vicino. Di casa. E poi di tutto il resto.

lunedì 2 novembre 2015

Cose a cui penso quando penso a Pasolini

Confesso che prima dei quindici o sedici anni manco sapevo chi fosse Pasolini. Però mi ricordo perfettamente il momento in cui l'ho scoperto, il turbamento che mi procurò quel frammento di film che vidi all'interno di un programma della Rai tre di Guglielmi (Italiani brava gente). Era uno spezzone della "Ricotta" il più famoso dei racconti del film "a più mani" intitolato ro.go.pa.g.
Rimasi sconcertata. Anche quando poi vidi altre sue opere, anche più crude e impattanti, la "ricotta" è la prima cosa a cui penso quando si parla di Pasolini.

 La seconda cosa a cui penso è un fumetto di Davide Toffolo che racconta dello scrittore/regista/poeta/giornalista come in un sogno in cui gioca a rimpiattino con la realtà biografica. Splendido.

La terza cosa che mi ricordo è una certa aneddotica molto curiosa e apparentemente stridente con la figura di intellettuale così lucido e padrone della realtà. Mi ricordo ad esempio di una intervista alla Maraini in cui lei raccontava che Pasolini non aveva nessunissima abilità pratica. Non era capace neppure di accedere il gas per cucinare e così quando era in viaggio con lui, bisognava pensare di dover provvedere ad una specie di bambino. In un altro racconto, non ricordo bene di chi, seppi che quando il suo attore feticcio ( a cui era legato anche per altro) Ninetto Davoli lo chiamò per dirgli che voleva sposarsi perché si era innamorato di una donna, Pasolini - che era in un albergo - cominciò a spaccare tutto, a urlare e a dare di matto. I suoi collaboratori misero a tacere il fatto pagando tutti i danni.

Ecco, lo so, è una specie di oltraggio ricordare uno dei massimi intellettuali del novecento con questi
episodi privi di ogni spessore rappresentativo. Avrei potuto almeno sottolineare il fatto che qualunque passaggio televisivo, qualunque recupero delle sue interviste su you tube, qualunque suo articolo mi sia capitato a tiro...abbia sempre fagocitato la mia totale attenzione e ammirazione, per il mirabile uso della parola e per il valore tristemente profetico che hanno sortito gran parte delle sue considerazioni...avrei potuto dire tutt'altro per onorare la sua memoria. Ma chi sono io per farlo? Io, che l'ho scoperto per caso, quasi da adulta e con la frammentarietà della "didattica"televisiva, durante lo zapping casuale e annoiato di una sonnacchiosa domenica pomeriggio. Forse addirittura dopo la pubblicità di un dentifricio. Niente, mi volevo solo scusare, pure a nome della pessima scuola che ho frequentato e nella quale non ho mai sentito pronunciare il suo nome.

 "La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza"(P.p.p)
 #grazie

domenica 1 novembre 2015

Va bene. Ma meglio senza

Che poi secondo me la cosa che faccio davvero fatica ad accettare sta tutta lì. Sta tutta nella percezione che in fondo mi faccio star bene tutto. Devo stare a Milano? Va bene. Torno in vacanza a casa mia? Va bene. Faccio un viaggio in India? Va bene. Ne faccio un altro in America? Va bene. Rimango un anno senza lavoro? Va bene. Trovo un lavoro? Va bene. Mi piace qualcuno? Va bene. Non mi piace più? Va bene.

Vista così, la mia vita parrebbe non avere mai torto. Mi faccio stare bene tutto e spesso mi illudo che questo sia l'unico antidoto che mi viene concesso contro l'inquietudine. E in buona sostanza è proprio così.
Sono tornata a Milano da tre giorni dopo un bel periodo di riposo a casa, dopo un paio di cose a cui volevo pensare in tutta calma, dopo uno strano sentimento di ingiustizia nella necessità del rientro al Nord.
Ora sono qui, con le mie cose che faccio solo qui, che mi procurano altri tipi di benessere e che ammortizzano le mancanze oggettive di uno sradicamento.
E va bene. Giuro che la frustrazione reale che ho provato alla partenza da Napoli è stata completamente riassorbita, come se fosse più doloroso il pensiero della partenza della partenza stessa...sento di essere un mostro, ma la mia emotività pare difendersi così.

Un po' di tempo fa mi capitò di raccontare di una conduttrice radiofonica che seguo sempre e che mi piace tantissimo. Aveva finalmente trovato il vero amore e sembrava molto serena. Da un paio di mesi intuisco che è profondamente infelice come un paio di anni fa. Non lo dice espressamente, ma io conosco troppo bene quel senso profondo di amarezza sentimentale per non essere certa che pure quest'uomo l'ha delusa. Non ci sta niente da fare, alcune di noi si devono rassegnare al fatto che non ne sono capaci, a prescindere da bellezza, sensibilità, intelligenza, simpatia, dedizione...noi l'uomo giusto proprio non siamo in grado di intercettarlo. Ci mancano proprio le antennine. Troviamo solo quelli che ci usano, ci tradiscono o nella migliore delle ipotesi ci illudono...
Va bene...no, non va bene. Ma va così. E forse se non può andare in altro modo è un male insistere, continuare ad aspettare, crederci, illudersi...
Credo che in fondo sia un grande privilegio arrivare a questa età e smettere di investire così tanto di se' per chi non si è ancora presentato.
Se anche dovesse arrivare adesso, io gli dirò: "mi dispiace, ma ormai è tardi. Dov'eri quando ti aspettavo ed ero giovane, piena di progetti a due e di cose da fare assieme. In un uomo la puntualità è la prima cosa. Ora non puoi più farmi felice. Puoi anche andare".

E così ho pensato che mi piacerebbe tanto incontrare quella familiare voce radiofonica, magari a piazza gae aulenti dove la vidi una mattina e la salutai come una sciocca, senza pensare che lei invece non mi conosceva. Vorrei stare seduta con lei davanti a quelle belle fontane che sgorgano dal pavimento e chiacchierare per ore per farmi raccontare quanto davvero fosse speciale quell'uomo che all'improvviso la fa stare così male. E provare poi a capire se davvero nel pacchetto dei "va bene" è giusto incastrarci pure tutto quel dolore inutile.
O se magari "va bene", anzi meglio, pure senza.


venerdì 30 ottobre 2015

La resilienza sta bene su tutto (fortuna, amore, lavoro)

Ci deve per forza essere una ragione plausibile per cui il post di ieri, unitamente a quello del mio appuntamento al buio, vanti una marea in più di lettori rispetto alle mie abituali statistiche. Sinceramente non saprei che deduzioni fare, al netto di una mera casualità. Però deve pur esserci qualche ragione più logica.
Io in un post parlavo di lavoro e in un altro di difficoltà a trovare il grande amore. Insomma manca la salute e ho messo i pilastri per l'oroscopo di una povera inquieta.
Chiusa parentesi da egocentrismo letterario.

Alla fine prevale sempre il fatalismo nella mia personale visione delle dinamiche dell'esistenza. Nel mio destino di breve termine non era contemplata Roma e neppure un project manager tanto gentile e simpatico ma col quale non è scattato niente.
Eppure da sempre nella mia vita ho desiderato cose che ho voluto realizzare con tutte le mie forze senza riuscire neppure a lambirle. Ce ne stanno altre che ho ottenuto senza alcuno sforzo e a cui altri ambivano molto più di me. Ci sono occasioni che ho colto senza preventivarle in alcun dettaglio, solo improvvisandole, e mi sono sembrate come un pacco regalo inviato da uno sconosciuto.

Io credo tanto alla fortuna e al modo pessimo in cui è distribuita.
Credo abbastanza nella volontà e al suo variabile metodo di ricompensa dello sforzo.
Credo in buona misura nell'importanza dell'atteggiamento individuale e nella sua fondamentale rilevanza nell'attutire i colpi della fortuna avversa e degli sforzi non ripagati.
Non mi sono mai posta il problema della fede, perché non trovo in essa  nessuna risposta, nessuna forma di consolazione, nessun fascino, nessuna intelligenza.

Non saprei dire cosa sia prevalso nella mia vita e nel percorso che mi ha portato qui, coi miei 39 anni senza troppe pretese, con la mia enorme fortuna in certe sfere della mia vita e nessuna in altre, con la mia fatica sprecata per ottenere cose che forse non avrò mai e i perenni tentativi di modulare il mio spirito all'accettazione del fallimento.

Forse ciascuno di noi ha la sua quota di fortuna che deve sapientemente combinare con tanta forza d'animo, fatica, speranze...e poi quello che viene viene...
E qualunque cosa venga...ben venga :)









giovedì 29 ottobre 2015

Non mi pare il caso...

Il rientro alle cose di sempre è così, faticoso e ingiusto, inutile stare troppo a coltivare mestizie. Però bisogna ammettere che la sorte ci mette del suo...se la mail di risposta all'interpello a cui tanto tenevi per dare la svolta al tuo lavoro,o almeno al tuo posizionamento geografico, ti arriva mentre eri in ferie. Mi avevano confermato di possedere tutti i requisiti e domani sarei dovuta essere alle 8:30 a Roma per la prova. Avrei dovuto dare conferma il 26. Chiamo e mi dicono che posso ancora andarci. Non ci vado. L'avessi saputo un giorno prima ci sarei arrivata da Napoli...ora non ce la posso fare. Si sono proposti in 59 per 2 posti, ne hanno scartati 10. Concorrerei con 49...troppi.

 Ho portato in ufficio i casatielli della mamma e i colleghi hanno tanto tanto apprezzato. Ne sono tanto felice e mi fa ricordare che pure qui conosco un sacco di persone carine e gentili con cui vale la pena di fare merenda. Poi mi ricordo che sono i pasti principali quelli che condivido molto poco. Pare che sia una specie di molecola che alcuni hanno e altri no a sviluppare il gene della socialità spinta e gioiosa. Esiste un mercato per tutto e non per le molecole gioiose...

 Ma non mi funziona la caldaia. Non ho ancora disfatto le valigie. E non sono contenta di essere tornata. E se domani a Roma ci andassi? Se questo strano incrocio di coincidenze avverse fosse solo una ulteriore sfida motivazionale, invece che il segnale di rassegnazione che ci vedo io...

 Come faccio ad andarmene via da qui sapendo che è una cosa davvero possibile? Come faccio ad andarmene via da qui sapendo che è una cosa che davvero voglio?

martedì 27 ottobre 2015

Mi trovo bene se mi trovo dove?

Sono quasi finite. Le mie vacanze campane sono veramente volate. Quanto può essere diversa la quotidianità a seconda di dove ti trovi, di cosa devi/vuoi/puoi fare, con chi sei, che aspettative hai...

Mi sono connessa molto poco. A Milano non succede mai, essere connessa il più possibile e ovunque per me è una necessità imprescindibile. Qui a casa invece ci sono altre attività che non richiedono la compensazione della connessione. Mi sono fatta bastare le cose che avevo intorno: una città ritrovata e in gran parte riscoperta, parenti cari che non vedevo da troppo tempo, gite fuori porta magnifiche, specialità gastronomiche assimilabili a capolavori e non riproducibili altrove. E poi tanto riposo, perché uno non ci pensa, ma non è che se non fai lo scaricatore di porto non hai bisogno di staccare completamente e in modo netto da una routine quotidiana  che ti consuma proprio nei suoi automatismi, nella sua sistematica prevedibilità. Io dormo poco e questo in fondo non mi dispiace, ma ho bisogno che il mio sonno sia profondo e ristoratore. A Milano questo miracolo non si realizza mai e ormai me ne sono fatta una ragione: ho un materasso ortopedico, un piumone morbidissimo, ottimi cuscini memory...ma dormo male lo stesso, non sono mai sufficientemente riposata, ho sempre gli occhi rossi...amen...

Qui ci sta un letto normale e un micio che dorme nell'altra stanza...e dormo benissimo. Sarà che conta il fatto di essere in ferie, che all'ufficio non penso mai neppure per un nanosecondo, sarà che le cose che sai che non durano poi te le godi di più...però in questo momento ho una paura folle di tornare lì dove dormo male, dove il caffè non mi viene bene come qua pure se uso la stessa miscela, dove faccio un lavoro che non riesco a cambiare, dove non ho legami...mi abituo troppo presto ad una migliore qualità della vita...

Tanto tempo fa ho avuto tantissima voglia di andare via dalla mia casa e probabilmente se sapessi di doverci rimanere ripenserei le stesse cose. E quindi è giusto così.
Adesso invece quello che davvero mi manca è la voglia di tornare a Milano.
...disse quella che poi ci tornò, ritrovò tutti i suoi cinema, le mostre, gli eventi...ricominciò i ritmi di sempre, si lamentava tutti i giorni che era stanca, che si sentiva sola, che il suo lavoro non era affatto per lei. Ma poi alla fine la trovava sempre una cacchio di maniera di essere un po' felice pure lassù in quella strana città dove si dorme tanto male...
ma che in fondo non ti impedisce del tutto di sognare