Sola andata

Sola andata

sabato 30 maggio 2020

Riabituarsi alle vecchie abitudini

Mi ha chiesto di partecipare in tutta sicurezza. Mi ha detto che le piace come esprimo i giudizi sulle campagne di lancio di un nuovo prodotto. È una bella signora ormai avanti con gli anni ma ancora molto affascinante, dolce, con degli occhi azzurri che credo abbiano fatto sognare molto. Quando c’è da fare una ricerca di mercato mi chiama e per un paio d’ore mi viene chiesto di ragionare sulla campagna pubblicitaria per il lancio di un prodotto, talvolta nuovo, qualche altra volta già esistente ma che deve rinnovare la propria immagine. Io amo molto fare queste cose: mi si apre un mondo tra tecniche di comunicazione, psicologia, teorie sulla valorizzazione di un prodotto o semplicemente di un messaggio da veicolare. Davvero estremamente interessante. Di solito per ringraziarci del disturbo ci regalano delle gift card per comprare cose su Amazon o dei buoni benzina. In entrambi i casi i soli beneficiari sono i miei genitori o l’amico con cui condivido l’abbonamento a Netflix. E siamo tutti contenti per buone ragioni.

Stavolta ho scoperto che il marchio su cui ho ragionato, e che fa detergenti,  in realtà non è il brand di una società, ma quello di una cooperativa, per cui tutti gli utili sono reinvestiti per creare nuovo lavoro. Non lo sapevo, ma la loro campagna così come me l’hanno presentata fa abbastanza pena. Spero di averli dissuasi dalle loro proposte di marketing del tutto scellerate. Però è stato molto divertente e quelle due ore mi hanno ricondotto ad un primo accenno di normalità ritrovata.

Poi ho chiacchierato un po’ con la reperitrice. Non sapevo che avesse tre figli da un matrimonio durato vent’anni, che dopo ha avuto molte relazioni per nulla soddisfacenti e che da dieci anni vive sola. Mi ha detto che un uomo non avrebbe voglia di vederselo intorno neppure dipinto. E poi che ha avuto paura del covid proprio perché, dopo anni inquieti e senza serenità, finalmente aveva trovato il gusto della vita proprio nella sua dimensione di vita solitaria e autonoma. Ho provato un po’ di invidia per il suo essere così risolta.

Tra le cose “normali” che mi è capitato di fare negli ultimi due giorni è stato andare a trovare un amico e ragionare un po’ assieme sul fatto che in fondo viviamo in Lombardia già da un sacco di anni e che nel frattempo sono cambiate troppe cose sia qui che dentro di noi, che lui ha sciolto il suo (ennesimo) legame mentre io, come noto, non ne ho e che entrambi abbiamo una famiglia al sud che ha sempre più bisogno di noi.

Poi ho fatto il mio solito percorso amatissimo all’anello di Linate. Dieci kilometri durante i quali pensare a ben due conversazioni fatte finalmente con persone con cui ho avuto un confronto, uno scambio di parole, sorrisi e sguardi. Poco importa se si sia trattato in fondo di mere conferme a cose che già pensavo per conto mio. Ho respirato aria nuova lo stesso. Quanto mi è piaciuto!

martedì 26 maggio 2020

Centro di levità

Certe volte mi chiedo come sarebbe stato. Forse ultimamente Lo faccio un po’ più spesso, dato il tempo infinito che ho avuto per mettermi a contare i passi già fatti. Vivo qui da circa undici anni e comunque sono via da casa, con brevi interruzioni, da quando ne avevo 24. Prima di allora avevo avuto un fidanzato che mi piaceva molto e che però non ho mai amato neppure per un nanosecondo. Fu una liberazione riuscire a sganciarmi da lui e da allora compresi quanto non basti non volersi bene per riuscire a lasciarsi andare in tutta semplicità. Ora come allora sono sicura che un giorno incontrerò chi cerco davvero. Non pretendo che accada sul serio, mi basta sapere che vivo di questa assurda e assiomatica certezza. Io non credo sia una cosa efficace cambiare assieme a chi si ama, sono convinta che si arrivi a stare bene assieme quando si è compiuto un percorso di evoluzione prima da soli e quando si è  già diventati ciò che dobbiamo essere. Perlomeno questo credo che valga per me. Non in assoluto.

Eppure qualche volta mi chiedo come sarei cresciuta e cambiata se avessi incontrato da giovanissima la persona della mia vita. Chi lo sa.
Nel mio piccolo sondaggio personale c’è un fatto molto curioso: non esiste tra le persone cinefile che conosco una sola che non abbia un proprio personalissimo vissuto associato al film di Truffaut “La signora della porta accanto”. Giuro che ogni volta che ne parlo alla fine c’è quel film lì a fare da fattore “pivot” di una storia sentimentale. E per me questo significa moltissimo.

Questi giorni mi hanno suggerito un’infinità di cose e riportato a galla un mucchio di ricordi anche parecchio sgradevoli. Non ricordo più quando è stata l’ultima volta che ho pianto, quando ho dato per l’ultima volta un bacio appassionato. Non ricordo quando ho cucinato per qualcuno il suo piatto preferito o pianificato un viaggio. Eppure non è passato tanto tempo. Non si tratta di mancanza di una persona precisa, visto che quelle che conosco so già che non sono qui per me. È piuttosto l’assenza di uno stato d8animo ben preciso che a volte si fa pesante. E qualche volta vorrei tanto  che esistesse una qualche garanzia di valorizzazione dell’attesa.

Ho appena sfornato una focaccia con i pomodorini che rasenta la perfezione: assieme alla cottura ideale dell’uovo alla coque è una delle attività in cui ho profuso il mio impegno maggiore in questi giorni domestici e il risultato mi soddisfa davvero tanto. Per fare bene le cose, spesso, ci vuole tempo. Altrimenti si fanno solo delle cose.

C’è un mio amico molto simpatico che una volta mi ha detto che quando si fidanza lo sa già che, per quanto possa dirsi innamorato perso in quel momento, dopo un anno esatto perderà ogni interesse per la sua compagna. Lo sa. Dice che forse è un fatto fisiologico. E chi sono io per contraddirlo e impedirgli di continuare a trovare interessanti molte donne, piuttosto che una soltanto?

Ma che ne so. A me è successo di voler scegliere di aspettare, di sentirmi troppo spesso delusa e stanca, di sognare per conto mio, di immaginare cosa vorrei veramente e di non trovare affatto interessante le storie che, dopo un tempo più o meno definito, si dissolvono nell’abitudine e nell’indifferenza.

Ora esco e vado a fare una specie di massaggio ayurvedico o qualcosa del genere. Pare che abbia effetti fortemente distensivi e sul buon umore. In realtà io non sono tesa e neppure di cattivo umore. Eppure l’idea di passare un’ora a fare una cosa bella pure se non ne ho nessun bisogno, mi procura un piacere che non avevo messo in conto. Chissà, forse invece ne ho davvero un gran bisogno e non me ne sono ancora resa conto.

Tutti a cercare il loro centro di gravità permanente. E io qui alle prese con quello di levità almeno contingente...E se davvero poi mi bastasse?

sabato 23 maggio 2020

Da ciascuno il mio

Chissà se questa cosa succede soltanto a me. La premessa è che io vivo da sempre di modelli di riferimento a cui mi ispiro più o meno appassionatamente a seconda di quello che rappresentano per me, di quanto mi ci sono affezionata, di cosa mi insegnano, del loro ascendente su di me...
Per dire, i miti dell’adolescenza non si toccano: Vasco potrebbe anche salire sul palco e sussurrare parole a caso e per me sarebbe sempre una performance memorabile. E così pure Moretti: non mi importa che film faccia, io sarò sempre al primo spettacolo del primo giorno di proiezione. Anche in piedi e con una gamba rotta (come ho fatto).

Ci sono poi i miei riferimenti conosciuti davvero: devo la mia spinta allo studio dell ‘economia ad un prof che ho letteralmente adorato per tutto il mio periodo accademico e pure per quello successivo. Senza dei riferimenti carismatici io perdo subito motivazione e orientamento .

Ieri alla radio hanno intervistato uno di quegli artisti che mi piacciono più per quello che pensano che per la loro attività artistica. C’era Diego Abbatantuono che raccontava della sua quarantena trascorsa con la famiglia nella sua casa di campagna. Ad un certo punto ha detto che non si preoccupava degli assembramenti perché è da tempo ormai che l’umanità lo annoia e che per lui, oltre al sentimento per la sua famiglia, ciò di cui ha molto sofferto la mancanza è stato il suo rapporto abituale con gli amici di sempre, le conversazioni, la convivialità, l’atmosfera magica che si crea solo tra persone che si intendono davvero. Questo, ha detto, è tutto ciò che lo affascina davvero e che, al di fuori di queste persone, non gli interessa nessun altro. Mi è sembrato un bel modo di coltivare un “incanto selettivo” per la vita, il mondo e le persone che vogliamo davvero tenerci accanto, escludendo quelle che non possono darci nulla. Mi ha colpito molto questa idea che in fondo se è vero che non sia tutto bello, allora quello che c’è bisogna accudirlo con tenacia. Mi è piaciuto molto. Voglio farlo anche io.
Anche Pupi Avati mi fa questo effetto: non mi piace tutto quello che produce in campo artistico e non condivido neppure il suo scellerato bigottismo e le sue idee sulla famiglia, però quando parla mi rapisce, mi riguarda, mi interessa. Però quello che dice lo tengo presente come modello chiaro da cui stare alla larga. Anche questo è carisma a modo suo.
Tra i decodificatori del contemporaneo potrei dire di essere completamente acritica nei confronti di Nicoletti. Lui, pure se parla della cosa meno interessante al mondo, che per me potrebbe essere, per dire,  lo scoutismo, io non posso fare a meno di ascoltare i suoi argomenti e concordare con lui Sempre e comunque.

Credo che funzioni così per molti di noi che non abbiamo una personalità dominante e neppure abbiamo ambizioni in tal senso: consideriamo un genitore un buon genitore non perché sia stato bravo  nella trasmissione di un pensiero/valore/comportamento, ma perché ha creato una connessione. E così sarà, a maggior ragione, un professore, un artista, un giornalista, un amico, uno sconosciuto...”Non è il cosa, ma il come” diceva Hitchcock sull’arte di fare un film che ti procuri delle suggestioni durature e incisive.

E così ho pensato che in fondo non mi resta che ammettere che non sono che il prodotto di quello che, forse, ho capito studiando e di quello che, ancora forse, ho deciso di capire da coloro che ho eletto a miei riferimenti esistenziali, spesso a loro insaputa.
Resterebbe solo da capire cosa avrei fatto io mentre tutta questa gente badava a me stessa...


lunedì 18 maggio 2020

Da dove ricominciare?

Tocca che lo faccia anche io. Non mi perdonerei di non aver congelato il momento topico del ritorno alla normalità, dopo giorni che sono parsi il passaggio di ere geologiche. Confesso che ero volutamente impreparata e che mi sarei fatta suggerire dalle sensazioni del momento su cosa avrei fatto nel mio primo giorno di liberi tutti. Ho cominciato come quando non mi era concesso di fare quasi nulla oltre il mio uscio: bevendo tanto caffè, scongelando una fetta della mia magnifica torta con curcuma e cioccolato e bevendo altro caffè. Mi sono vestita come una diciottenne e sono andata a piedi fino a viale Umbria per fare la spesa. Era ancora molto presto e non ho avvertito l’euforia di una città che si riaffaccia alla vita precedente con l’entusiasmo liberatorio di chi vuole recuperare il tempo perduto. Sono rientrata con  un autobus meravigliosamente vuoto e con una luce ormai decisa che non ha favorito di molto il rompere di un silenzio ancora piuttosto dominante. Ho pranzato con un’insalatona in cui ho messo dentro qualunque cosa e pensando con felicità al corso on line su Hitchcock che mi aspettava stasera. Poi sono uscita di nuovo. Con quelli di stamattina ho macinato complessivi 21 km. Una mezza maratona direi.

In ufficio non posso ancora andarci. Ho cercato di capire cosa fosse cambiato per me nella giornata di oggi. Per la verità tutto. Tutto in ogni piccola cosa identica alle precedenti che ho fatto in questi giorni. E così, anche se non l’ho fatto proprio oggi, mi piace pensare che finalmente potrò di nuovo andare da Starbucks a bere i cappuccini strani accompagnati alla carrot cake e la panna. Mi basta sapere che sia di nuovo aperto. Ho lavato i piatti ripensando a quella volta in cui ho capito a come per me la gelosia sia sempre stata figlia di un amore troppo limitato rispetto a quello che avrei voluto ricevere e condividere e che se mai dovessi provarla ancora dovrei soltanto andar via di corsa. Ho ricordato quale  sensazione di assoluta libertà si possa raggiungere anche quando fuori apparentemente tutto appaia congelato in una ciclicità assurda nella sua banalità. Oggi è stato tutto così: una giornata di raccordo tra un passato e un presente che si scazzottavano amichevolmente mentre mi suggerivano di non pianificare ancora nulla. Perché tanto c’è tutto il tempo.

I capelli non hanno per il momento nessuna urgenza di un parrucchiere e ancora non ho libero accesso all’ufficio. Qualche volta mi capita, stranamente, di ricordare cosa ho sognato la notte precedente e mi sono resa conto che si tratta di un sogno ricorrente: ci sono io, adulta, che tengo in braccio me stessa appena nata. Che strano.
In giro c’è poca gente. Questo per me è davvero stranissimo perché pensavo di essere tra i rarissimi a considerare la clausura una condizione preziosa di crescita e di autovalutazione e invece a quanto pare non solo io  vivo di silenzio e di ascolto senza contraddittorio. Ci si sente meno soli anche così. Ricorderò per sempre questi tempi lunghissimi all’aperto e nel silenzio di una città che ha cambiato tono così all’improvviso.

Cosa sta succedendo a chi è davvero in difficoltà, che forma ha il dolore di questi giorni così strani che sembrano lasciarmi ancora qui senza nulla pretendere? Comincio a sentirmi in colpa. Ma non so per cosa, di preciso, chiedere scusa

martedì 12 maggio 2020

Cosa ti eri messa in testa? E adesso invece?

- Devo dire che mi hai abbastanza sorpreso
- A cosa ti riferisci?
- Per anni e anni me l’hai menata con la storia che per te la solitudine è un fatto davvero importante, che solo chi sa davvero star solo poi può arrivare a sapere come si fa a voler bene sul serio a qualcuno o perlomeno a riconoscerlo. Ma sai, son quelle cose che si dicono quando in realtà si ha comunque una vita sociale, una certa autonomia, si ha occasione di lavorare in contesti istituzionali...e insomma davvero sola alla fine non sei finita per esserlo mai. E invece...adesso ho capito che dicevi sul serio
- Ma per chi mi hai preso!?!?! Certo che ero seria. La solitudine è uno “state of mind”, una condizione esistenziale, una cosa che ti rimane addosso pure quando stai in mezzo a mille persone. Ma queste cose veramente te le devo dire io? Si, sono quasi due mesi che vivo in totale isolamento. Sto bene, ho avuto un po’ di malinconia e amarezza nella fase centrale, ma non mi sono mai davvero abbattuta. È stata una esperienza intensa, estremamente illuminante, surreale. E persino pacificante
- Pacificante? Che intendi?
- Certo! Ti ricordi quando all’inizio ti avevo promesso che non mi sarei lasciata andare, che avrei continuato ad alzarmi presto, a mettermi carina, a non stare mai in ciabatte, a fare sport, a non affogare nei carboidrati, a vedere almeno un film al giorno, a scrivere e leggere sempre qualcosa. Ho fatto tutto. Mi faccio una tenerezza che non ti dico ma ti assicuro che ho mantenuto ogni promessa
- Lo so, lo so. Eri sola, ma di me mica ti liberi. Ti controllo sempre, sai?
- Eh, lo so
- E dimmi, hai capito qualcosa di quello che vorresti appena potrai tornare alla tua vita di prima?
- Eddai che tanto sai già pure questo. Che ti posso dire? Non ho mai ceduto a nessuno degli incontri virtuali che si sono proposti in questo periodo e che mi ostino a non considerare come interessanti per i miei scopi. Continuo a sognare qualcuno che abbia voglia di corteggiarmi come si deve, dal vivo, imparando la sacra arte del flirtare, e anche il principio inderogabile del volere soltanto me e nessuna più. Insomma quelle cose impossibili, o forse soltanto molto improbabili, eppure banalissime che non voglio cercare ma che ancora vorrei tanto che mi capitassero
- Eggià, due mesi non bastano per smettere di credere ai miracoli. Senti, ho visto che hai messo una foto su Instagram e c’è persino un like che non ti aspettavi
- Sì sì ho visto, eheheh...del resto perché non dovrei aspettarmelo. Il bene si trasforma e poi rimane...
- Insomma, stringendo, questi due mesi da hikikomori cosa ti hanno restituito?
- La bellezza di una vita semplice, la preparazione di piatti low carbo pescati su dei siti assurdi per impallinati di fitness...delle creazioni fantastiche che non ti dico. E poi ho pensato alle persone che mi sono davvero care, a come farò quando non mi sarà più possibile stare ancora qui. Certe notti ho abbracciato il cuscino più forte e senza mai riuscire ad addormentarmi. Altre invece ho dormito come un neonato. Star  bene da soli non vuol dire star sempre bene. Vuol dire non trovarlo un tempo opprimente o sterile.
- E allora sei pronta per ricominciare? Pensi di trovare persone e contesti molto mutati?
- No, non sono pronta. Potrei durare ancora almeno fino alla fine di tutto quest’anno assurdo. Sai è tornata Silvia Romano e non puoi capire sui social cosa le hanno vomitato contro? Ma capisci con quali portatori di odio devo confrontarmi appena tornerò nel consesso pubblico...ma che fretta c’è?
- E quelli a cui vuoi bene?
- Continuo a volergliene. Tanto non posso neppure abbracciarli più
- Ah già. E il tuo grande amore?
- L’ho aspettato fino ad ora e non si è presentato. Adesso sarà lui ad aspettare me
- Ah...ma certo. Come ho fatto a non pensarci...vabbè, comunque stavolta te lo meriti. Sei stata proprio brava. Anche la tinta ai capelli l’hai fatta da sola?
- Si sì
- Brava. Proprio niente da dire...

domenica 10 maggio 2020

Ma di preciso, la madre di chi è sempre incinta?

Qualche volta mi piace fare un giochino semplice che funziona sempre. Quando decido di fare la cattiva e di stuzzicare i bassi istinti, perché ho voglia di litigare con qualcuno, mi metto a fare i commenti ai leghisti come reazione alle loro osservazioni grette, da infima scolarizzazione e infarcite solo di turpitudini e rozzezza. È un giochino talmente facile che attaccare una umanità così mediocre accrescerebbe l’autostima pure a una muffa. Di solito il litigio si conclude quando loro si mettono a vedere chi sono tramite il mio profilo e non sanno fare di meglio che pronunciare battute sessuali o contro l’amministrazione per cui lavoro. E io li ringrazio sempre perché mi aiutano a capire come mai, pur conservando passioni e meraviglia per la vita, mi ostini a far prevalere pessimismo e sconforto nella mia disgraziata visione del mondo.

In passato invece facevo un’altra cosa. Cominciai dodici anni fa, quando ancora avevo il mio primo blog. Ai tempi scrissi un post contro la retorica della maternità che mi procurò una serie di reazioni piccantissime da parte di madri felici e dalle aspiranti tali, vomitandomi addosso una, in fondo abbastanza incomprensibile, catena di rimproveri su quanto fossi cinica ed egoista. Da allora ho ripetuto il “giochino” svariate volte e le reazioni sono più o meno state sempre le stesse. Con risultati che mi hanno divertito, amareggiato, stancato...ma mai condotto a modificare la mia convinzione.

Non ho mai desiderato essere madre. Non mi sono mai pentita di questo. Potrei snocciolare una serie di validissime ragioni a mia “discolpa”, ma in realtà non credo affatto che nessuna di quelle rappresenterebbe la motivazione decisiva al punto da far maturare una certezza così granitica. Certo è che se davvero si trattasse di puro istinto allora io semplicemente non ne sono stata dotata per mero difetto di fabbricazione. E allora di che mi si accuserebbe. Il fatto è che non mi sono mai previsualizzata come entità generatrice e la costruzione di famiglia tradizionale non mi interessa da mai. Forse è solo il fatto che ragiono da sempre (e per sempre) in termini di coppia e credo che siano troppi i casi in cui la vera spinta per tante donne sia stata l’idea di avere un figlio ma non quella di volerlo poi anche crescere con lo stesso trasporto. Di madri annoiate, distratte, anaffettive, disinteressate pare che vi sia più di qualche traccia, appena si ammette che possano esistere. Forse è solo che non credo affatto che la maternità coincida con la certezza di amare chi si è generato.

La verità è che ci sono tipologie femminili che mi spaventano da quando ero piccolina piccolina. Sono le donne che vivono con la precisa intenzione di procreare e che per questo cercano un uomo che sia soprattutto un buon padre. Di solito quando tale compito è stato assolto, ci si accorge che bisogna separarsi per trovare finalmente un compagno da amare. E poi ci sono quelle senza alcuna ambizione di essere delle buone madri che però hanno interiorizzato perfettamente il concetto di famiglia tradizionale e pur di aderirvi ne assecondano il percorso classico di realizzazione.  E poi le madri per caso, quelle pentite, quelle “asburgiche” , anaffettive e spigolose che godono del comando e della severità. Che diavolo vuol dire veramente essere madre?

Forse ogni donna è madre a modo suo e se si “stressa” il concetto abbastanza si può arrivare a ritenere che la donna stessa sia generatrice in quanto tale, fino a diventare madre di se stessa e dell’amore che è capace di trasferire. Madre senza esserlo. Non madre pur essendolo.

Quando dicevo queste cose tanti anni fa mi si tacciava di egoismo. Chissà sulla base di cosa. All’epoca ero giovane, ma già sapevo che sarebbe andata così come oggi ho fatto in modo che accadesse. Non ho mai incontrato il padre dei miei figli. E mi pare ancora una gran fortuna perché credo che l’orologio biologico abbia degli effetti estremamente distorsivi per il riconoscimento del vero amore.
Per me la questione è risolta da un pezzo. Rimarrebbe da stabilire cosa passi per la testa del mio uomo ideale. Spero che abbia già provveduto altrove a soddisfare il suo eventuale bisogno di eternità.

Ma ora me ne torno a litigare coi leghisti. Sono loro la vera conferma a tutte le mie perplessità. Auguri anche alla loro di madre...



martedì 5 maggio 2020

Fuori (dalla) fase

E così da ieri qualcosa è finalmente cambiato. Dopo un mese e oltre di clausura pressoché totale, da ieri per molti di noi è possibile ritornare laddove si era rimasti e/o da chi ci si era involontariamente allontanati. Per me non è cambiato molto, anche se la lunghissima passeggiata di ieri pomeriggio, ritrovando il percorso familiare che di solito copro correndo è stato pura magia. Ho potuto ammirare una natura rigogliosissima, aria pulita, il silenzio di sempre, un sole dal calore penetrante e avvolgente di cui non mi ero resa conto quanto fossi in astinenza. Soltanto una sete che non avevo previsto mi ha sollecitato al rientro dopo circa due ore che ero immersa in quella specie di idillio dimenticato. In verità la mia fase due è per ora una fase uno che ce l’ha fatta. Perché ho continuato a non rivedere nessuno, a non poter andare in ufficio, a parlare in silenzio...ma fuori, all’aperto, alla luce ha in sè un sapore tutto nuovo. E questo non è affatto poco anzi direi che ieri nulla è stato come i giorni precedenti.

Quello che ho capito durante questo tempo assurdo e imprevedibile è che forse la storia che l’uomo sia un animale sociale è vera ma non verissima, se penso che per noi, timidi senza il coraggio di ammetterlo, essere socievoli coincide spesso con montagne altissime di disagio da scalare, oltre al sentirci perennemente in obbligo di sforzarci di essere simpatici e brillanti, pure quando in realtà vorremmo semplicemente nasconderci sotto un tavolo. E lo stesso penserei di noi, romantici che non crediamo nelle strategie seduttive come metodo valido di “cattura” di un cuore, quando ci rendiamo prede debolissime di cinici accalappiatori o di mete non destinate a noi. Ed è sempre a noi altri che penso , quando non coltiviamo ambizioni particolari se non quella di non essere di peso ad altri, non risultare noiosi, antipatici, o di non essere tormentati a nostra volta da persone simili che ci trascinano in un baratro senza ritorno di ricatti morali, zavorre esistenziali, noia e insensatezza di contatti. Che colpa abbiamo noi se in questa condizione di semi autarchia abbiamo trovato una nostra dimensione ideale? Se ci siamo resi conto che ci è sufficiente essere animali “social”, piuttosto che sociali? Se siamo così fortunati, e forse anche un po’ interiormente forti o rafforzati, per trovare in noi stessi il gusto di andare avanti e ridurre i problemi soltanto a quelli che riusciamo a risolverci da soli?

Possiedo uno stereo che ho comprato circa 18 anni fa. Lo ricordo perché è stato un regalo che mi sono fatta col primo stipendio. Stamattina ho preso l’ultimo cd dei Led Zeppelin per ascoltarlo, ma non so per quale ragione è rimasto incastrato e non vuole più uscire. Tengo troppo a quel cd, fa parte di un cofanetto troppo figo per restare incompleto. Questo è fino ad ora il solo vero impiccio che non riesco a risolvere da sola da quando sono in quarantena. Forse romperò questo vecchio ricordo legato alla mia indipendenza economica per riuscire a salvare la cosa a cui tengo di più perché legata alla mia maturità emotiva, o magari mi sarà sufficiente smontarlo e salvare pure lo stereo. Non lo so, eppure credo che se fosse successo in altri tempi mi sarebbe dispiaciuto un po’ di più. Non tutti i ricordi meritano di essere salvati, non tutto ciò che si ha è detto che meriti di restare con noi oltre il necessario.

Credo che uscirò a passeggio anche oggi. So che non troverò nessuno neppure stavolta. E so che starò bene come ieri. A certe cose non mi abituo mai. Non mi paiono vere. Eppure lo sono