Sola andata

Sola andata

venerdì 30 marzo 2018

Mi bastassero sette vite per capirci qualcosa...

- Secondo me esageri
- Sì io magari sarò pure una un po’ rigida su un sacco di cose però converrai con me che pure al netto della mia personalissima esperienza, la deriva generale a cui si è giunti è davvero sconfortante...
- Oddio...ora ricomincia con la solita solfa...ormai dovresti aver chiaro l’automatismo. Siamo tutti vittime di schemi sempre uguali: rimaniamo attratti sempre dalle stesse cose e dalle persone che ci tratteranno nella stessa identica maniera. Dall’adolescenza in poi siamo esattamente ciò che abbiamo deciso di essere in quel tempo li. Diffida delle grandi svolte, sono più rare di quanto tu possa immaginare e sperare. Quasi nessuno opera cambiamenti davvero sostanziali nel corso della vita
- Però sarai d’accordo con me che certe persone si ritrovino a vivere un gigantesco equivoco solo perché credevano di essere e desiderare delle cose (e/o delle persone) e poi, ad un certo punto - persino dopo una vita intera - si accorgono dell’errore
- E va bene...ok...ma non capisco dove vuoi arrivare
- No, niente...è che quando sono in vacanza e il tempo è buono e dormo abbastanza, mi capita di soffermarmi su cose accadute o sentite distrattamente quando rincorro le giornate cercando di incastrarci dentro “obblighi e verità”.
Oggi mi sono ricordata di un’intervista a Buzzanca, da Nemo, nella quale diceva che era stato sposato con la stessa donna per cinquant’anni, poi è rimasto vedovo e ora si accompagna con una che ha quarant’anni meno di lui e dice che è lei il vero amore della sua vita. In quel momento ho pensato che una cosa simile l’aveva raccontata pure Bauman (sebbene la nuova compagna fosse una coetanea e collega) e ricordo che anche in quel caso mi era dispiaciuto molto per la moglie non troppo compianta e non ebbi voglia di pensare a quelle dichiarazioni più a lungo. Però qualche volta succede che quando mi rilasso, e i pensieri fluiscono senza controllo, questioni come certi destini dall’epilogo “incoerente” riemergono quasi con la pretesa che io mi sforzi di comprenderne la sensatezza che sempre mi sfugge.
- Lucia, di cosa ti stupisci? Sai benissimo che la madre di tutte le tue ossessioni è questa da sempre. I legami sono quasi sempre il frutto di un equivoco più o meno grande, funzionali a tutta una serie di eventi fondamentali della vita (figli, famiglia, punti di riferimento, bisogno di protezione, accudimento, paura della solitudine, progetti condivisi...). Non puoi rinnegarne il valore solo perché poi ad un certo punto la vita fa delle deviazioni e favorisce incontri più efficaci di quelli precedenti. Ma tanto lo so che non ci arrivi neppure stavolta...
- Ok, senti quest’altra. Su questa mi darai ragione, son sicura. Qualche settimana fa un giornalista di radio 24 è andato in giro a promuovere un libro scritto per la moglie morta di cancro un anno fa, nota giornalista anche lei. Ad un certo punto l’intervistatore gli chiede se la moglie, assieme ai tantissimi pregi, la tempra e la grande forza d’animo avesse anche dei difetti. E lui rispose così: “Oh, ma certo! Era una grandissima rompiscatole”. E io, potrai immaginare, sono rimasta di sasso. Come si può conservare un ricordo amorevole di una persona che si ritiene essere stata tanto fastidiosa? Se lo si pensasse di me non troverei pace neppure nell’aldilà
- Lucia...non ti salvi...meno male che ti piace star sola. Dove pensi di trovarlo il sant’uomo che pensa che tu per lui possa essere una specie di “colei che, sola, a me par donna”? Lucia...ti prego...i piedi, trattienili a terra...
- Non è questo il punto. È che non capisco perché dovrebbe valere la pena di vivere rapporti di natura così spuria se poi mostrano il fianco in un istante qualsiasi, persino con una risposta offerta con disinvoltura, per frantumarsi, come se nulla fosse mai stato, sotto il peso di dichiarazioni pubbliche espresse con tanta semplicità...
- Ah, non saprei. Sai bene che il mio compito è guardarti, farti credere che ti ascolto...e risponderti a parole tue. E ora che ho fatto tutto questo, per favore, riempimi la ciotola
- Ma...Pablito!...Dove vai?!?!


lunedì 26 marzo 2018

A casa tutto bene

In fondo è piuttosto consolatorio. Non l’avevo mai vista in questi termini ma è proprio così. Tornare a casa dei miei, per riposare e ripensare all’inverno che è stato e alle cose che ancora mi ostino ad augurarmi per le stagioni che verranno mi consente di mantenere il giusto distacco dalla enorme quantità di faccende che non comprendo, come per me sono tutte le meschine questioni condominiali che ho dovuto affrontare, a tutto quello che vorrei riuscire a trovare il tempo di fare e di imparare, alla seduzione della solitudine di cui sono sempre più spesso preda prediletta.

Qui io ritorno alle abitudini di sempre, con la colazione classica, le tende che svolazzano perché la casa va arieggiata da subito e parecchio, la luce gialla, le arance colte direttamente dall’albero, mia madre che mi aggiorna su fatti di persone che non conosco mentre mi suggerisce di seguire certi consigli che ha dato la Balivo su come districare i capelli, mio padre che mi ripete che non sta in cielo né in terra l’ordine dell’amministratore di non stendere i panni nel cortile e che io con quella gente non dovrei proprio avere a che fare. Io li ascolto e intanto penso che a Milano, a quella stessa ora, sarei già per strada a cadenzare il passo, contingentato da minuti maniacalmente calcolati, per quattro chilometri, con i capelli ancora umidi perché ho corso su un coso messo davanti ad una parete. Forse hanno ragione loro. Che ci faccio davvero a Milano, a parte svolgere un lavoro che potrei fare tranquillamente anche qui? Ho esaurito buona parte delle esperienze che mi interessava davvero fare e, al netto dei corsi sul cinema che mi rimangono ancora da seguire e che non voglio assolutamente perdermi, non mi rimane molto altro che non potrei fare anche qui con molte meno insidie e difficoltà. Forse è così: gli stupidi problemi condominiali sono forse soltanto il segnale che in quella casa io non mi sento più davvero a casa. E poi qui prima o poi ci sarà bisogno di me. Inevitabilmente. Mah, vedremo le stagioni a venire cosa suggeriranno.

Oggi è morto Fabrizio Frizzi e la cosa ha colpito moltissimo anche me che pure non frequentavo i
suoi programmi. Una persona per bene, di quelle che ti piacciono a prescindere dal ruolo per cui le riconosci. Ma io, piuttosto che subire programmi pronti a cannibalizzare questo brutto fatto, ho preferito rivedere “good bye Lenin” e mi sono ricordata di quando andai a Berlino nei primi anni ‘90 e comprai per pochi spiccioli i cimeli di un mondo che sentivo parte del mio sentire. Mi ricordo che mi ferii ad un piede e che mi venne una forte infezione ma che questo non condizionò assolutamente il mio viaggio e le cose che volevo vedere. E penso che oggi farei ancora la stessa cosa. Lo penso anche adesso, che sono stata alle terme, ho passato il pomeriggio a vedere film e a leggere un libro di storie romantiche, ordinato dei libri che però mi arriveranno a Milano e chiesto a mia madre la frittata di cipolle che a me non verrà mai buona così. Cose normali, che faccio raramente, mentre penso che qualche volta basti semplicemente decidere di star bene per stare bene davvero. Succede. Ma non proprio ovunque...

venerdì 23 marzo 2018

Di bagagli (e qualche fardello)

La valigia è quasi pronta. Torno a casa con un certo piacere e tutta gongolante per le vittorie “trasversali” del cinema partenopeo ai David. Di ammore e malavita ebbi già modo di dire tutto il meglio possibile per un film costruito apposta per mettere d’accordo più o meno tutti, riuscendovi alla perfezione. Io però gioisco soprattutto per Renato Carpentieri, attore meraviglioso ma soprattutto uno di quegli uomini che vorrei tenere a portata di mano a farmi compagnia nelle fasi complicate della vita. Mi legano al suo viso e a quella dolce pacatezza da uomo saggio e pacificato soprattutto due ricordi, nessuno dei quali legato ad una interpretazione. Il primo riguarda un suo discorso accorato, soffocato da un pianto sincero e disperato, al funerale di Gian Maria Volonte e riportato in un lungo documentario sulla carriera di questo altro gigante assoluto del cinema che amo di più. Rimasi così colpita che da allora associo sempre Carpentieri a quel momento così ommuovente. Il secondo ricordo è legato invece ad una sua partecipazione come ospite ad elisir. Mirabella gli chiese quale fosse un piatto che lui amava più di tutti. E lui disse “gli spaghetti alla poverello”, credo il piatto più banale dell’alimentazione di tutti i tempi, ma quando lui ne spiegò la ricetta mi pareva che nessuno potesse desiderare altro che friggere un uovo senza cuocerne il tuorlo e mischiarlo agli spaghetti. Ecco, Renato Carpentieri per me è questo: poetica semplicità mista a quella tenerezza rivoluzionaria che ha evocato pure durante i ringraziamenti per il premio.

La valigia è abbastanza leggera, credo che andrò di nuovo alle terme, mi farò schiavizzare da Pablito, mangerò tanto senza pentirmi troppo e proverò a dormire un po’ di più. Intanto, come sempre mi capita negli ultimi tempi, penserò a Milano e al senso del mio continuare a stare in questa città che mi interessa ancora così tanto, ma che trovo sempre più ostile e faticosa, nella quale sono diventate davvero troppe le cose che faccio da sola e che tale mi fanno sentire. Nessuno mi obbliga, conosco tante persone e non mi sarebbe per nulla difficile allargare la cerchia. È che non mi viene più così naturale e non mi rendo neppure conto che gli altri possano notarlo, chiedendomi cosa ci sia che non va. La verità è che non c’è nulla che non vada, eppure c'è qualcosa che proprio non mi torna e che mi fa avvertire certe fasi come cariche di insostenibile banalità. A volte penso che questi periodi funzionino come il plank, l’esercizio apparentemente più elementare che esista eppure, dopo il secondo minuto che stai in quella posizione ti pare di stare sostenendo tutto il peso del mondo. Il mio record è 3 minuti e mezzo, ma dovrei rimanere in quella posizione per quattro minuti. Per me per ora è un tempo impossibile e così mollo lasciandomi precipitare sul pavimento sotto il peso del mio stesso peso. Forse è proprio così: in certi momenti non ti viene richiesto niente di speciale. Se non di resistere nella posizione in cui ti trovi a prescindere da una tua scelta. Pare facile e invece certe volte è più difficile di quattro minuti di plank, o di un piatto di spaghetti alla poverello fatto come si deve e, addiritttura, in un posto che non è neppure Napoli.

mercoledì 21 marzo 2018

Con che “faccia” mi tratti come un dato?

A fine Marzo chiudo con un sacco di cose, o semplicemente provo a cominciarne di nuove. Di certo non rivedrò il discreto e ormai familiare proprietario della palestra che mi ha visto quasi ogni gelida alba prima del lavoro per una corsa o una pedalata. Un bel rito, che mi ha tenuto lontana dai miei tutorials americani domestici e ahimè pure dalla scuola di running, ma ora può bastare e saluterò le mie giornate in un altro modo. Nel frattempo ho avuto problemi che non pensavo potessero esistere a causa di una caldaia che ho dovuto cambiare, di condense e di tubi che vanno messi in un modo e non in un altro e tutta una serie di questioni che mi hanno lasciato veramente interdetta, per la faccenda in se’, per le persone che l’hanno sollevata, per i toni...sono rimasta davvero amareggiata. Ma tant’è, le questioni di ordine pratico non contemplate in una quotidianità di tipo basico sono il mio punto più debole. Forse dovrei vivere in un camper, o in una stanza d’albergo, o in una villa in un posto isolato...ci penserò. 

Intanto io trovo la mia conferma dell’enorme superiorità di fb quanto a valore e buona qualità dei rapporti e delle relazioni. È proprio di questi giorni la polemica planetaria dei dati rubati dagli utenti di fb per usarli a scopo elettorale. Ecco, al netto di una mera questione di privacy e di informativa assente per gli interessati sul trattamento dei dati, trovo davvero infantile sorprendersi o temere chissà quale complotto planetario a danno dell’umanità per manipolarne la volontà. Accadrebbe comunque e con altri metodi perché è da sempre quello che accade in un mondo che basa se stesso sull’ “asimmetria informativa” . Io confesso che mi fa persino piacere partecipare alla creazione di un gigantesco data base per consentire a qualche “Entità” di conoscere i miei gusti, attitudini, orientamenti, visione del mondo...e ritarare l’offerta di prodotti, o anche un’idea di mondo un po’ anche a mia misura. Tutto il marketing funziona così da sempre. È solo il metodo di raccolta ed elaborazione dei dati che si è accresciuto e perfezionato...e allora?

A me fb piace da matti, ora come il primo giorno che vi ho messo piede e sempre per le stesse ragioni: mi semplifica la ricerca di informazioni, divertimento, persone, emozioni. Non mi ha sottratto nulla. Ha solo aggiunto, pure nel suo togliere tempo ai rapporti reali...vuol semplicemente 
dire che non erano tali. Quale prova più evidente!? Se fb registra tutto questo non sta facendo altro che prendere atto di una realtà, mica di una fantomatica virtualità su cui non abbiamo arbitrio nella fruizione. E poi se, come me, credi che la statistica sia la scienza più prossima alla verità su cui possiamo contare in questa terra, difficilmente penserai pure che acquisire un dato sia un fatto drammatico. Al contrario è un passo ulteriore per conoscere meglio un fenomeno. Possiamo al limite discutere sulle finalità. Bene, finché potremo farlo non correremo alcun rischio.

No...è che volevo solo dire che io non sono una che crede davvero nelle “magnifiche sorti e progressive”, però ci sono cose che mi spaventano tantissimo, come un rubinetto da cambiare e i condomini di una primitiva periferia di Milano, e altre che mi divertono ed entusiasmano, come i grandi complotti internazionali che mi vedono pedina piccolissima in un mondo di squali che mi fagocitano.  E finché ci saranno questi ultimi io troverò sempre un pretesto per divertirmi. Almeno un po’ e quasi sempre mentre sono “connessa” davvero col mondo.

sabato 17 marzo 2018

Di appunti presi e poi ripresi dall’”evidenza”

Ammetto che rimane una cosa rischiosa. Ma mi diverte ancora abbastanza e poi fare i conti con la parte più buffa, fragile o attaccabile di me un po’ mi diverte e in buona parte mi aiuta a capire su cosa potrei lavorare per gestire meglio le mie debolezze. Raccontare dei fatti miei, negli ultimi quasi tre anni, mi è servito a questo, oltre al tentativo di provare a trovare degli spunti di identificazione in chi ha la curiosità/bontà di leggere le cose che mi succedono. A dirla proprio tutta quando mi capita di rileggere certi post molto vecchi provo spesso un certo imbarazzo perché ce ne sono alcuni in cui racconto di sensazioni, emozioni, entusiasmi che meritavano quantomeno una qualche cautela, perché in buona parte svaniti sotto la coltre di fatti rivelatisi molto meno romantici, perché ho smesso di frequentare luoghi e contesti che avrebbero richiesto impegno e continuità maggiori da parte mia, oppure, al contrario ho considerato amici quelli che poi tali non si sono dimostrati.

Confesso che qualche volta è proprio bello ripescare nel mucchio delle pagine di un diario virtuale e ricordare ancora quello che provavo mentre scrivevo, pure se erano cose che avrei visto in modo nitido soltanto molto dopo. C’e una tale tenerezza nella descrizione di un nuovo incontro, nel pianto per una delusione cocente, nella descrizione di un lavoro che non è per nulla nelle tue corde ma che comunque provi a farti piacere in tutti i modi possibili, in un litigio ricomposto con un’amica...che può valere la pena sentirsi anche un po’ ridicola nel confronto asettico con la realtà, quella che si è manifestata solo dopo a smentire quasi ogni cosa.

Appunto, quasi. Perché poi per fortuna mi capita di scovare anche degli elementi fissi e immutabili nel mio procedere a tentoni. Chesso ‘, cose del tipo che Gianluca Nicoletti è come sempre il mio principale guru del contemporaneo, o che Matteo Caccia sia ancora l’unico per cui giustifichi l’esistenza di un’espressione assurda come story telling. E poi cammino ancora molto e faccio ancora dolci per me e per le persone che mi piacciono.

Non lo so perché oggi mi sento in dovere di darmi delle spiegazioni su quello che ero e che credevo di volere e pensare. Forse è colpa di un post che ho riletto che mi ha un po’ imbarazzato, oppure perché la scorsa settimana ho cambiato la caldaia e i miei vicini, che credevo essere innanzitutto degli amici, mi hanno contestato delle irregolarità che per fortuna non ci sono. Ma io ci sono rimasta tanto male lo stesso. Forse perché mi mancano i miei amici della scuola di running ma non ho ancora la forza di tornare a correre assieme a loro. Ma preferisco pensare che tutto dipenda da una realtà che qualche volta è più generosa di certe mie sconnesse aspirazioni, soprattutto quando mi dice le cose come stanno senza chiedermi il permesso ma poi mi asciuga lacrime inutili, mi offre l’occasione di non perdere altro tempo prezioso, alimenta nuovi desideri e mi fa dimenticare senza più alcuna pena le persone che non ci sono mai state davvero. Credo che si chiami semplicemente crescere, ma preferisco pensare che sia un gigantesco regalo che il tempo pensa ogni tanto di farmi.
La realtà dei fatti solo a questo mi è utile: è l’evidenziatore di appunti da riscrivere. Possibilmente tutte le volte che servirà a renderli sempre più leggibili. A me che li scrivo e all’utopia che prova ad interpretarli in una lingua tutta sua.

domenica 11 marzo 2018

Basta il pensiero. Purché non “scontato”

- Secondo me esageri. E poi non credo che abbia il diritto di intrometterti o anche esprimere giudizi sulla scorta di così pochi elementi
- È probabile, ma è più forte di me, ne abbiamo già parlato...e poi rimane un esercizio piuttosto divertente. Mi aiuta ad essere attenta ai comportamenti, a fare congetture o semplicemente ad immaginare storie del tutto campate in aria capaci di rendere goduriosa pure una roba terra terra come quella di fare la spesa al supermercato.
- Lucia...non sopravvalutare il valore del tuo giudizio sommario. Io non credo che tu abbia il diritto di pensar male di chi all’esselunga compra un bouquet di fiori scontanto al 30% perché sei convinta che voler risparmiare sull’espressione di un sentimento significhi svalutare il sentimento stesso...non è mica detto. Magari quel tizio non ci ha neppure fatto caso allo sconto, trovava semplicemente bella quella composizione in vendita. E poi smettila di avercela continuamente pure con quelle vecchie della colletta alimentare accompagnate da fanciulli per farti sentire in obbligo di fare la spesa, pure se tu segui altri progetti e non hai nulla di cui sentirti in colpa. E finiscila pure di notare che quelli che quella spesa “solidale” decidono di farla poi però stanno bene attenti a comprare prodotti di alta gamma per se’ ma di primo prezzo per i poveri. In fondo sempre meglio di niente...
- No...ne abbiamo già parlato. La carità cristiana non dice di aiutare chi ha bisogno stando attento a che stia comunque peggio di te....ma lasciamo perdere, che alla fine davvero penso che niente sia meglio. Invece sul bouquet mi esprimo con la stessa convinzione di sempre: se c'è lo sconto non devi considerarlo un regalo degno del valore del tuo affetto ma semplicemente una misura del suo contrario.
- Lucia, sei una sciocca materialista
- mmmhhh...ti racconto una cosa. Tantissimi anni fa avevo un fidanzato molto carino che credo sia stato abbastanza innamorato di me senza però mai arrivare ad amarmi. Ti ho già spiegato una volta che la differenza tra i due stati è soltanto questione di chimica: quando sei innamorato hai in circolo l’ormone della dopamina, ormone del desiderio e dell’attrazione, invece quando ami sei pieno di ossitocina, ormone dei legami e dell’affettività consolidata. Dicevo, questo fidanzato una volta mi regalò un anello con un brillante che io non apprezzai molto per tutta una serie di ragioni che vanno dalla mia scarsa sensibilità verso i gioielli al fatto che quel modello non mi piacesse molto. Ma la ragione vera della mia perplessità era che pensai immediatamente che fosse il rimpiazzo di un regalo restituito da una ex. Non ho mai avuto le prove di questo, fatto sta che pochi giorni dopo il suddetto fidanzato si presenta con un ulteriore regalo ad integrazione di quell’anello: si trattava di una radio d’epoca da collezione bellissima. Lui sapeva di questa mia passione e ritenne di soddisfarla proprio in quella circostanza. Quella fu la prova che quell’anello non era stato comprato per me e apprezzai molto il gesto “risarcitorio”...purtroppo era ormai  chiaro persino a lui che non sarebbe mai riuscito ad amarmi
- Non sono sicura di aver capito...
- Intendo dire che il materialismo di cui mi accusi forse ha un suo fondamento proprio perché per me conta molto il pensiero che lo sostiene. Io non ho idea di che fine abbia fatto quell’anello con il brillante - conoscendomi devo averlo portato in un compro oro a concludere qualche pessimo affare - invece quella radio me la sono portata dietro in ogni posto in cui sono andata e ora è qui sulla mia mensoletta più in vista. Mi serve a ricordare che un sacco di tempo fa ci fu un tizio con gli occhi blu che mi volle abbastanza bene da rimediare ad un finto gesto d’amore e che per questo io ancora lo ringrazio
- Lucia...
- Eh...
- Promettimi che la prossima volta che vai fare la spesa provi a farti i fatti tuoi
- Promesso! Solo opere di bene. Quello vero

mercoledì 7 marzo 2018

Trovare lo spazio in un tempo non perduto

L’ho sempre detto. Io non faccio testo. Sulle questioni riguardanti il sud io passo sempre per quella che disprezza le proprie radici rinnegando se stessa e il dato di fatto di essere totalmente figlia di un sistema di valori differente da quello del nord. In realtà non è vero: ho sempre considerato un privilegio il fatto di essere nata in un posto e poi soltanto dopo capitata altrove e poi ancora altrove, sostando per anni, mesi o anche solo qualche giorno in luoghi lontani e poco familiari. Di indole sarei stanziale, pigra, metodica e prevedibile, ma per fortuna ho sempre gloriosamente parteggiato per uno spirito di contraddizione che mi aiutasse a diventare ciò che volevo essere per stimarmi un po’.
Fin da ragazzina ho dato per scontato che avrei trovato lavoro lontano da casa e non ho mai pensato che fosse una condanna. Per me era semplicemente il passaggio obbligato che compie chi vuole affrancarsi dalla famiglia, da una mentalità rispettabile ma lontana dalla visione del mondo che sta maturando, non volevo contare su altri che sulle mie forze e liberarmi dal controllo e condizionamento inevitabile dei vincoli di sangue. Trovavo strano che non tutti quelli che conoscevo trovassero normale un percorso simile. Andare via dal sud per me ha significato solamente questo. Nulla a che fare con la miseria o la carenza di opportunità del sud. Solo una cosa normale, tanto più se penso che ho lasciato una condizione francamente molto più comoda e privilegiata di quella che mi sono scelta.

Ormai vivo a Milano da più di otto anni: ho comprato una casa che ho più volte ristrutturato, ho spesso fatto i conti con frequentazioni sbagliate, solitudini e difficoltà varie ed eventuali e certe volte lo sconforto mi ha visto vacillare e dubitare del senso reale di certe mie scelte e davvero non saprei dire perché pensi ancora di aver fatto la cosa giusta. No, forse lo so ma in questo momento forse non ha ancora molta importanza.

Credo che tutto parta da una certa forma di fastidio per il concetto di “pragmatismo” come approccio unico al saper vivere, al problem solving e alla gestione delle emergenze...io credo che ci sia un tempo per essere “risoluti” e riuscire a svoltare senza soffermarsi a pensare troppo o darsi un numero eccessivo di ipotesi alternative. Ma penso che debba pure necessariamente esistere il tempo dei tentativi, anche di quelli a vuoto, della riflessione, del confronto prolungato per la risoluzione di problemi complessi, quando si vuole tentare di ipotizzare assetti nuovi. Per quel tempo lì la fretta, le scorciatoie, l’efficienza...sono concetti pericolosi e frenanti. Non ha senso la praticità o la tentazione facile di applicare ricette già collaudate. Io ho bisogno di tentare e di farlo lontano da tutto quello che mi appare giusto e che invece è semplicemente ovvio, comodo, “ragionevole” come una casa molto grande, un luogo familiare e prevedibile, una rendita, un meridione sonnacchioso e rassegnato, un clima mite e la parmigiana tutte le domeniche.
Stasera,  mentre il papà che è venuto a trovarmi e per l’ennesima volta mi dice quanto meglio potrei stare a casa mia, senza gente che mi cammina rumorosamente sulla testa, vivendo in un contesto fatto di radici e di persone su cui contare, mi chiedo se questo eterno mio incespicare tra continui tentativi ed errori, di cui in fondo non mi pento mai, sia in realtà solo l’occasione perduta per un benessere più immediato e a portata di mano. Poi ho pensato che tutto ciò che ho perduto, tra persone, cose, occasioni hanno finito per lasciare un vuoto, che poi sono sempre riuscita a far diventare spazio. Da ristrutturare ogni volta che ho necessità di dimensioni nuove. E io, in tutta questa ostinata assenza di pragmatismo, ritrovo persino tutto il mio tempo perduto altrove



sabato 3 marzo 2018

Il silenzio è duro?

Sapevo di aver soltanto bisogno di una buona scusa. Credo che non succedesse dai tempi dello svezzamento. Oggi non ho messo il naso fuori casa e non ho fatto praticamente nulla se non lavarmi e stendere la lavatrice. Ho persino bevuto il caffè avanzato da ieri e mangiato formaggio e insalata in busta pur di non accendere neppure un fornello. Mi sono rimessa a letto poco dopo mezzogiorno e mi sono riaddormentata come un sasso per più di due ore. Ho acceso la tv per vedere tv talk, programma di cui sono inspiegabilmente appassionata sebbene non guardi praticamente nulla di quanto viene analizzato. È un po’ come ci si sente ad essere atei in un paese a forte condizionamento religioso: ne subisci l’influsso, anche fortissimo, a prescindere dalla tua sensibilità. Sono stata in perfetto mutismo tutto il giorno e ridotto al minimo ogni azione. Sognavo questa assurda condizione da un tempo incalcolabile per una che dorme sempre troppo poco e male, ama stare con le persone ma non subire l’onere della conversazione a tutti i costi e che predilige la condizione dell’ascolto passivo, crede nei diecimila passi al giorno e proprio in virtù di questo ritiene di meritarsene almeno uno da diecimila in meno. Oggi mi sono concessa il diritto di essere stanca e di considerare questa cosa come una magnifica opportunità. Il freddo polare mi è sembrata una specie di autorizzazione dall’alto. Per molti una giornata così è da folli, sociopatici o depressi. A me per fortuna è bastato essere semplicemente fuori gioco (o fuori giogo).

Il silenzio è una cosa parecchio strana. Secondo me è la misura più perfetta di un forte legame o, viceversa, di una distanza incolmabile. Ci pensavo mentre scovavo una citazione di pulp fiction e me ne qui stavo zitta da sola a pensare alle persone a cui voglio bene. Una volta un attore di teatro, di cui non ricordo l’identità, disse che il silenzio del pubblico a volte gli restituiva un senso di concentrazione massima e rapimento totale, altre invece di totale disattenzione e disinteresse. Eppure sempre di silenzio si tratta. Sì, credo di capire cosa intendesse.


Io sono una buona ascoltatrice, direi non una eccellente conversatrice e abbastanza timida da considerare alcuni tipi di silenzio come una specie di macigno da cui divincolarmi in qualsiasi modo. Però succede pure che a volte mi sembri una cosa bella, una forma di comunicazione superiore tra persone che si stanno comprendendo al di là delle parole, dei chiarimenti/discussioni/litigi o del “buon dialogo”. Ho sempre pensato che un buon genitore sia soprattutto il frutto di tutto quanto si riesca a trasmettere senza dire, persino di assenze “eloquenti”, di forme impalpabili di appartenenza che siano capaci di insinuarsi tra gli interlocutori “silenziosi” al netto di precetti e moniti o di esperienze condivise. Ora sarebbe soltanto da capire quanto valga l’opinione di una che col silenzio non c’ha mai fatto niente di tutto questo.

Sono quasi le otto di sera, credo di non aver detto neppure una parola ad alta voce, non ho usato il mio silenzio per comunicare alcunché, non mi sono truccata, indosso una tuta molto comoda e non ho fatto quasi niente. Non ho la più pallida idea di cosa mi sia persa. Ed è proprio in questa inconsapevolezza che ritrovo la certezza di aver fatto la sola cosa che mi fosse possibile oggi