Sola andata

Sola andata

giovedì 29 dicembre 2022

Proposito. Uno. Ma forse è troppo

 C’è una cosa che mi piace fare più di tutto durante questo non rigido inverno, incastonato in un anno spero dimenticabile in fretta non per il male che mi ha riservato e che in fondo neppure c’è stato, ma per il senso di vuoto e di affaticamento che ho dovuto attraversare e del quale forse non è neppure il solo responsabile “cronologico”. Non voglio cadere nell’ennesima trappola del bilancio in perdita: gli ultimi post sono stati una specie di unico lungo lamento nel quale, oggi, leggo il tentativo un po’ maldestro di cercare un responsabile a tutto quello che non mi è piaciuto. Non ci sono responsabili. Ci sono delle esperienze che non ho compreso, persone strane e assurde con cui mi sono confrontata e che forse avrei dovuto allontanare prima. Per il bene di tutti. Ma vabbe’. Direi di chiuderla qui e di tornare, appunto, alla cosa che mi piace fare più di tutto durante questo non rigido inverno. E cioè andare a letto molto presto. Un paio di volte sono riuscita a farlo persino prima delle otto di sera: ad un certo punto, dopo aver lavato i piatti, preparato il cestino per il pranzo al lavoro, ascoltato per un po’ la voce rassicurante di Csaba e le sue regole di bon ton su come apparecchiare la tavola e cucinare da perfetta mogliettina degli anni ‘50, mi esplode un sonno che non sono capace di gestire e così, forte di questa sensazione meravigliosa e per me molto rara, accendo per qualche minuto la termo coperta accomodata sul letto, mi strucco con calma, mi passo la crema sul viso, mi lavo i denti, prendo una pillola di melatonina per essere ancor più sicura della mia condizione rilassata, metto i tappi per le orecchie (la vera svolta della mia vita da quando ho capito che l’orrendo bambino del piano di sopra non avrebbe smesso di esistere sulla mia testa solo perché io lo desideravo) e mi sistemo nel mio letto nuovo sul quale so che mi addormenterò quasi immediatamente.

Mi succede da poco più di un mese di fare così e grazie a questo nuovo approccio alle mie “prime serate” riesco a dormire fino a otto ore o anche di più, rendendo le mie sveglie antelucane un’esperienza finalmente carica di tutta l’energia possibile, invece che il trauma quotidiano di una semi insonne che parte con l’ansia “reattiva” dal primo momento in cui riapre gli occhi. Funziona moltissimo, soprattutto se non devi rendere conto a nessuno dei tuoi bioritmi e se quello che ti interessa fare non richiede lo stare sveglia proprio in quegli orari. Insomma, per farla breve, la cosa che salvo di quest’anno è il mio tentativo riuscito in modo fisiologico di un prolungamento delle ore di incoscienza, come se la vera consolazione per una condizione in fondo non dolorosa, ma neppure felice, piena di perplessità sul presente e una sensazione di poca chiarezza sull’imminente futuro fosse il semplice approfittare dell’avere sonno per infilarmi in un letto caldo e anticipare così il momento in cui non si vuol pensare a niente, ne’ vedere nessuno, parlare o esercitare una qualsiasi altra attività anche lieve. E quei pochi minuti antecedenti a tutto questo sono per me una forma pura di felicità.


E così succede che, qualche volta, la mia solita sveglia delle cinque mi abbia già garantito fin troppe ore di sonno tanto da farmi svegliare in modo autonomo ed essere felice di quel tempo del tutto non negoziabile del primo mattino fatto di allenamento, doccia, ordine domestico, caffe’, acqua, te verde, trucco e passeggiata verso l’ufficio. Le mie ultime giornate hanno avuto il sapore rassicurante delle cose prevedibili e semplificate, fatte di poche parole, ore di lavoro giuste, tanto ordine (o poche cose messe in disordine) e allontanamento da persone a cui non posso essere d’aiuto e che non mi fanno bene a loro volta. Vorrei tanto che questi ultimi giorni di quest’anno vuoto e senza una mappatura ragionata degli avvenimenti, trascorressero ancora così, facendo spazio eliminando tutte le cose che mi stancano. Oppure aggiungendo tempo a tutto quello che mi restituisce riposo e sollievo. Anche soltanto grazie a qualche ora di sonno in più. Non mi sono mai sentita più pronta di adesso ad accogliere il nuovo anno con questo spirito con le pretese abbassate e proprio per questo ambitissime. Se ci è riuscito, in parte, persino un anno sbagliato come il 2022…

Amen

mercoledì 21 dicembre 2022

Distanze. Da mantenere (se non proprio da amare)

 A chi, se non ai giapponesi, verrebbe in mente di dedicare una giornata in omaggio agli amori a distanza. Che poi a pensarci bene potrebbe vantare una platea vastissima di potenziali interessati se si considera che gli amori a distanza non sono soltanto quelli risolti dalla reciprocità e che vivono solo il dramma della distanza fisica. Amori a distanza sono pure tutti quelli a cui la vicinanza è resa impossibile da vincoli oggettivi come quelli anagrafici, o la sopravvivenza di uno soltanto della coppia, dall’amore sbocciato troppo tardi e reso problematico da legami già in corso, dalla differenza di classe che in certi luoghi più che altrove rappresenta un vincolo reale…i motivi per cui certi amori sono destinati a rimanere distanti sono tantissimi e tutti, a mio modo di vedere, concettualmente molto dolorosi. E poi ci sono gli amori a distanza che vivo io, che credo siano ancora un’altra cosa: sono gli amori che non riescono a trovare la loro forma perché non hanno neppure il coraggio di cercarla. Ci sono amori che si provano soltanto nella certezza della loro mancata realizzazione perché hanno paura di nascere, di lasciarsi vivere, di credere nella loro possibilità di non affievolirsi mai.

Mi ero ripromessa di trovare del bello in quest’anno indifendibile e ci sono riuscita proprio esplorando le piccole parentesi dentro un quotidiano rigidamente programmato per escludere imprevisti e complicazioni, in quei vuoti dove prima amavo crogiolarmi nelle smanie, nei chiodi fissi, nei sensi di colpa, nell’intimo convincimento che tutto fosse una responsabilità soltanto mia. Quegli spazi ora sono la leggerezza e il respiro ampio di chi ha smesso di restare compresso cercando il perdono pure dove non vi era nessuna colpaE così, in questa ipotetica lista di cose per cui essere grata, che ho deciso di stilare fino all’ultimo giorno di questo annus horribilis, c’è l’assenza pacificata di ogni struggimento amoroso, accompagnata da tutte quelle “esternalità positive” che annullano sentimenti tossici come gelosia, senso del possesso, delusione, noia, ansia riproduttiva, bisogno di essere compresi a tutti i costi. I legami, quando davvero tali, sono sempre complicati. Oppure semplicissimi, ma in questo secondo caso solo per i pochissimi eletti benedetti dal perfetto incastro delle anime. E’ troppo raro per ritenersi i papabili di questa esile schiera.

 

Io ho già festeggiato il mio Natale e quindi posso dire in anticipo che è andato bene: noi che viviamo di sfasamenti temporali arbitrariamente stabiliti, possiamo permetterci anche di pensare al “futuro” traghettandocelo a piacimento nel presente e giocare d’anticipo sul risultato. C’è della follia in certe scelte di vita, che in fondo sono tali soltanto in piccolissima parte. Eppure raccontano di possibilità, come quella di attribuire sacralità ad un periodo “normale” per poi diventare gli spettatori divertiti di una frenesia collettiva di cui non si sente di voler fare parte. Non andrò in giro per fare regali, non dovrò inventarmi facce per fingere di gradire quelli che per fortuna non sono costretta a ricevere. Mi piace fare così. Da tantissimi anni ormai. E’rilassante. Neppure il peggiore di tutti gli anni fino ad ora conosciuti è stato capace di peggiorare questo aspetto della mia storia personale: ho sofferto molto di più in altri tempi, mi sono persino sentita molto meno bella di oggi, sono stata meno ricca, meno consapevole, più goffa e superficiale, meno risolta. Quest’anno ho avuto il raffreddore per un solo giorno ed è rimasto il mio unico malanno dal 2015. E’ stato un anno orrendo eppure non mi ha fatto niente per cui dovessi sentirmi peggiorata. Forse è tutta colpa della distanza. Quella che passa tra la mia storia e quella di questo tempo sbiadito che prova a contenermi. Una distanza che andrebbe coperta con l’amore che non ho più voglia di provare. Chissà, forse un giornodi nuovo…tutto diventerà più interessante perché amabile.

Di certo non oggi. Di certo non nel 2022

martedì 13 dicembre 2022

Nel dubbio, respira (o chiedi ai gatti)

 Quante cose sono successe negli ultimi giorni di questo anno orrendo. E che ci sia del buono in ogni cosa forse è una roba che ci raccontiamo credendoci il giusto che serve per farlo diventare vero. Il mio feroce programma alimentare detox è stato portato a termine anche a questo giro senza neppure un errore e io credo di non essermi mai sentita meglio e più in forma in vita mia. Ho rivisto persone care e notizie sorprendenti che mi hanno destabilizzato e modificato la percezione del senso dei miei legami con le persone a cui tengo. Ho alleggerito il cuore e fatto pace con tutto quello che mi è precluso e mi sono finalmente resa conto che non necessariamente i cambiamenti debbano avvenire soltanto attraverso il dolore. A volte ad essere rivelatrice può essere, semplicemente, una bella notizia inaspettata. 

Sono stati giorni di profondo silenzio e di sublime solitudine accompagnata da letture lievi e vecchie commedie divertenti. Chiudo quest’anno con l’ostinata intenzione di riservare anche a lui un sentimento fatto di gratitudine e riconoscenza: per tutto il dolore che mi ha risparmiato e di cui non possiedo contezza, per gli spunti, solo in apparenza casuali, che mi ha concesso per approfittare della bellezza che mi sta intorno e che chiede solo un po’ più di attenzione. Per gli affetti, che si trasformano senza per questo esaurirsi. 


Oggi è il mio onomastico. Per l’occasione mi sono regalata dei pasticcini di ricotta, cocco e mandorle ricoperti di cioccolato. Sono squisiti. E poi ho fatto un allenamento nuovo che mi diverte molto ma che richiede un tipo di respirazione diversa se non voglio entrare subito in affanno. E ho pensato che è un fatto davvero strano: uso dei pesi inferiori rispetto a quelli soliti madevo saltare di più, fare più esercizi differenti e con minori tempi di recupero tra l’uno e l’altro e questo fatto mi ricorda parecchio proprio quello che ho deciso di fare nel mio quotidiano accompagnamento verso la conclusione di questo ultimo strano scorcio di anno. Vivere alla giornata non ha per me alcuna valenza negativa: è il solo modo che conosco per “seguirmi”, o meglio “accompagnarmi”, verso forme di nuove di ammirazione del mio tempo e di pormi traguardi compatibili con le aspirazioni che sento il diritto di avere. E per tutto questo imparare a respirare correttamente credo sia fondamentale. Perché si fa presto a dire “allenarsi è importante” …meno lo è sapere per cosa abbiamo scelto di farlo.


Sono giorni che penso spesso a Pablito, il micino che adottai e che visse con me a Milano per un paio d’anni, prima di trasferirsi per sempre giù dai miei. E’ morto l’estate scorsa eppure la sua assenza si avverte ancora fortissima tra tutti noi che lo abbiamo amato per ogni attimo di gioia vissuto con lui. Era un gatto strano, ma forse la verità è che lo sono tutti a modo loro. Quando viaggiava non batteva ciglio: era capace di starsene immobile per una giornata intera senza protestare eppure quando usciva non stava fermo un secondo. Non ha mai aggredito l’albero di natale e stava molto attento a non rompere niente. Lo amavamo per il solo fatto di esistere e di essere sempre presente a se stesso. Bastava questo a renderlo la creatura più affascinante che rallegrava ogni singola giornata con lui. Da allora la mia casa non è più la stessa e ogni volta che torno penso sempre che la sua mancanza non smetterà mai di essere avvertita come nell’istante in cui è venuto a mancare. Che bello sarebbe essere ricordata così: senza alcun merito eppure avere un tale significato da restare intatta nel cuore di chi mi ha amato. Quest’anno lo tenevo in braccio fin dal risveglio. E pure quando l’ho salutato per l’ultima volta. E poi ho continuato a sentirlo ancora. Anche dopo che è mancato. E a mequesta cosa pare una meraviglia.


E così ho pensato che anche io, nella mia ostinata marcia solitaria dentro un presente che quasi mai trovo accettabile davvero eproiettata verso un futuro colorato soltanto col fumo, trovo la pace nelle maniere più bizzarre: in un respiro che cambia il suo ritmo, in un micio che fa compagnia nei ricordi. o in un dolcetto col cioccolato dedicato a me stessa nel giorno più corto dell’anno. In fondo è quasi finito. Come tutto. Come niente

martedì 6 dicembre 2022

Otto meno tre (e di altre certezze positive)

 Otto giorni senza. Forse per chi ci è abituato non vuol dire nulla. Per me invece rientra nella sfera delle piccole grandi sfide che provo ad impormi e a superare anche solo per vedere l’effetto che fa. Io, di prassi, bevo tanto caffè, sebbene limiti il mio consumo solo nell’arco della mattinata e non perché sia particolarmente appassionata di questa bevanda ma solo perché nella mia percezione rappresenta una fonte immancabile di energia e di qualche  barlume di lucidità. Sono otto giorno che non prendo caffè e tutte le volte che succede mi stupisco di quanto il mio corpo reagisca sempre nella stessa identica maniera: per i primi tre giorni ho un mal di testa cosi forte che la vista mi si appanna, faccio fatica ad alzarmi in piedi, ho i crampi alle gambe per i primi dieci minuti di camminata e sono accompagnata da una sonnolenza acuta e insidiosa per l’intero giorno. Poi la svolta. Dopo tre giorni il mal di testa passa completamente, assieme a tutte le strane anomalie da astinenza correlate, i pensieri si fanno lucidi (compatibilmente a quello che posso “produrre” io di lucido), dormo molto profondamente (anche se sempre molto poco), ritrovo energia per fare qualunque cosa e la pelle è più luminosa. Questo fatto mi colpisce sempre molto perchè ogni volta mi chiedo come mi sentirei se non avessi abbastanza forza per sopportare quei primi terribili tre giorni. In fondo mi basterebbe prendere un caffè proprio quando mi manca di più e il mal di testa mi passerebbe immediatamente. Ma io mi ero imposta di non farlo e questo significherebbe punti in meno nell’autostima e nella capacità di porsi degli obiettivi e di portarli a termine. Quando cerco scuse per mollare di solito mi dico cose del tipo in fondo chi mi assicura che starò davvero meglio se continuo a resistere? Nessuno. E’ un piccolo test, se vuoi un atto di fede, una cosina così ma faticosa abbastanza da metterti alla prova per testare quanto è davvero grande la tua forza di volontà. Per me ha senso ma poi ho bisogno anche del risultato. E ormai lo so che per me arriva soltanto dopo quei tre giorni. In realtà assieme al caffè smetto di assumere moltissime altre cose perché questa prova di fatto si inserisce in un percorso detox molto restrittivo e dal quale esco sempre conoscendo qualcosa di diverso di me. Tre giorni di agonia, più qualcuno di forte restrizione alimentare in cambio della mia piccola rinascita. Credo che ne valga la pena.

Alla radio sta passando il report del Censis, quello che annualmente “fotografa” il Paese basandosi su parametri che restituiscano in qualche misura lo spirito del tempo. E’ emersa la parola malinconia. Siamo un paese bloccato non tanto nella sua possibilità di crescita economica, quanto perchè emotivamente congelato, immobilizzato dai traumi recenti e dall’incapacità di osservare il futuro in modo creativo e curioso. In fondo nessuna sorpresa, anzi, ci si stupirebbe del contrario. Eppure, sempre il Censis, ci ricorda che non siamo mai stati meglio di cosi: il paradosso vero del contemporaneo è che, nonostante il covid, le guerre, la crisi ambientale…in realtà le condizioni (in media) di salute, l’aspettativa di vita, le condizioni economiche sono migliori che in qualunque altro passato della nostra storia. Ad essere malato è solo lo sguardo sul futuro, le aspettative e questo dato, assolutamente aleatorio e non realmente basato su alcun fenomeno fattuale, ha un potere di compressione emotiva così forte da impedire all’ottimismo di guidarci. Una roba che a pensarci bene mette i brividi. Eppure è proprio così. E così ho pensato che è bello imporsi delle sfide che ci fanno un po’ paura perché sono quelle che ci danno la misura delle possibilità raggiungibili e della forza da dosare per ottenerle e che questo dovrebbe valere anche per un paese intero che sceglie di star fermo solo perché ormai ha troppa paura di non farcela.


Di questo ultimo scorcio di anno, che non ho esitato a definire uno dei più faticosi e oscuri per me, vorrei provare, proprio imponendomela come sfida, a trovare qualche ragione per esercitare, stavolta, la riconoscenza e tutto il buono che si cela nei momenti percepiti come ingiustamente complicati. E così mi sono detta che la vera riconoscenza sta tutta qui, sta proprio nell’abitare la complessità del mio tempo allenandomi a viverlo senza paragoni con un passato spesso ingannevole. Perché non è vero che sono stata meglio di adesso e non perché me lo dice il Censis. Ma perché sono otto giorni che non bevo caffè. E dopo i primi tre sono rinata. Come previsto