Sola andata

Sola andata

mercoledì 28 luglio 2021

Aspetto. In fondo è già così tardi

 Mi piacerebbe capire un po’ meglio cosa sta davvero succedendo. Per me sarebbe facile assecondare una richiesta che forse non mi costerebbe nulla, visto che godo di ottima salute, sono forte e non mi ammalo mai. Eppure non mi va. La trovo una costrizione così ingiusta, ricattatoria e punitiva che il mio senso di rifiuto a prendere un appuntamento e farmi questo vaccino è diventata quasi una forma di protesta dispettosa. Al punto che neppure l’ipotesi di non poter più andare al cinema, viaggiare e fare quelle quattro cose che adoro fare in mezzo agli altri costituisce un deterrente alle mie resistenze. Mi sento offesa, oltraggiata, discriminata e soprattutto continuo a non essere convinta della assoluta sicurezza ed efficacia concreta del prodotto. Per cui, potendo ancora scegliere, preferisco non vaccinarmi. Se i contagi stanno aumentando non è certo per colpa mia, questo è poco ma sicuro. E poi mi rimane ancora da capire perché si possa entrare in chiesa senza il green pass. Se nessuno me lo spiega bene, ma proprio bene, io non capisco perché dovrei trovare sensato averne uno per entrare in un cinema vuoto. Il diritto a non vaccinarmi ai miei occhi rientra nello stesso dibattito sulla necessità di fare figli altrimenti la specie si estingue, o sul diritto a sposarsi o di divorziare. Ci sono delle aberrazioni antropologiche a cui non ho alcuna intenzione di piegarmi: ho sempre saputo che non avrei voluto dei figli, che il matrimonio è una distorsione individuale e il divorzio l’inutile conseguenza del primo. Eppure non mi ha mai neppure sfiorato l’idea che bisognasse pensarla come me. Non c’è nulla di socialmente pericoloso nel decidere di non vaccinarsi se si adottano le stesse importanti cautele di quando il vaccino non c’era. Gli studi lo dimostrano: mascherina, pulizia, distanziamento sono sufficienti. Soltanto i soggetti fragili e gli anziani hanno un rapporto beneficio/rischio così elevato da giustificare la forte raccomandazione a vaccinarsi. Per tutto il resto esiste, come sempre, il destino cinico e baro. 

A parte questo tutto bene. Tra poco andrò in ferie e proverò a pianificare qualcosa di nuovo da fare e per cui impegnarmi durante il prossimo inverno milanese, ammesso che sia ancora possibile ipotizzare un futuro anche a brevissimo termine. Forse deciderò anche io di fare smart working, se sarà ancora possibile,e stavolta me ne starò giù al sud in un ambiente molto più confortevole, nessun vicino argentino rompi timpani e menosolitudine dentro cui cercare un riparo ormai troppo familiare. Forse il momento di includere anche una simile possibilità, in un periodo che offre un range di scelte che per me si sta facendo sempre più ristretto, potrebbe essere l’ideale. Se non posso fare più nulla qui a Milano, tanto vale decidere di trasferirmi in una gabbia” più confortevole.

Temo di aver troppa paura ad ammette che stia per farsi largo un periodo parecchio difficile per me, molto più di quanto la mia percezione sia disposta ad ammettere. E la cosa comincia un po’ a spaventarmi. Sono davvero troppo stanca per riuscire a formulareuna rilettura edificante di tutto quello che mi circonda, con questa mia smania di individuare ad ogni costo almeno dei fattori di crescita e di consapevolezza. Stavolta non ce la faccio. 

E poi tornerà il tempo in cui il bisogno di andare più lontano possibile si farà di nuovo prepotente, o di provare a non aver paura di cercare una storia vera,  forse semplicemente sarò costretta a farlo e allora anche per me arriverà il momento di vaccinarmi e riprovare a delineare un futuro con qualche possibilità in più sulla quale scommetterePotrei spingermi addirittura a chiedere un anno sabbatico o il trasferimento definitivo giù al sud, riprendere a guidare, provare ad essere utile alla mia famiglia, fare l’abbonamento per andare a Napoli almeno ogni sabato a correre a via Caracciolo come facevo un milione di anni fa. Forse invece correrei soltanto il rischio di pensare che senso abbia avuto la mia intera esistenza fino a quel momento. Che importa, tanto a me non torna mai nulla. Con o senza vaccino.A Milano o  a Napoli, come nel resto del mondo. Ci sono percorsi delle cui traiettorie non si viene mai a capo, al punto che pensi che per alcuni di noi abbia davvero senso solo il lasciarsi trasportare da quel flusso invisibile fatto di intuito e incoscienza senza illudersi che questo basti. Ma senza neppure pretendere che serva dell’altro. Se non aspettare

giovedì 22 luglio 2021

Che male c’è? Tutto quello che vedi

 In fondo è abbastanza divertente pure questa cosa di passare per la no vax che non sono mai stata. E’ davvero curioso quanto sia facile scatenare facili livori anche semplicemente facendosi portavoce di semplici perplessità, intime paure, forme alternative di rispetto verso un problema collettivo. E’ divertente perché mi dice molto del punto in cui sono, delle scelte che ho fatto del mio preferire stare per i fatti miei nonostante non mi definirei affatto una misantropa musona. E’ vero, non ho voglia di fare il vaccino. Non ancora. Mi piacerebbe che fosse meglio collaudato, che non contemplasse tutti quegli effetti collaterali di cui sento quotidianamente parlare dalle testimonianze dirette che ho. E vorrei che funzionasse davvero per abbattere la pandemia, cosa che al momento non è avvenuta visto che i contagi stanno di nuovo aumentando e si parla per l’ennesima volta di zone da colorare. Intanto io non mi sono mai ammalata di niente, neppure di un raffreddore, e continuo ad adottare le solite cautele di quando non c’era un vaccino e neppure le strane varianti che ai miei occhi hanno una curiosa correlazione con lo stesso. Non essendo un medico osservo i fatti con l’umiltà “presuntuosa” di chi pur non sapendo non può essere smentito. Non mi avventurerò in alcuna motivazione: so di avere torto e che sarebbe meglio sposare la causa del vaccino perché altrimenti faccio “free ridinge non è etico, perché potrei davvero ammalarmi e allora un po’ me la sarei cercata, perché potrei muovermi con più libertà e favorire il ritorno alla normalità. So di avere torto. Eppure sento ancora di dover dare retta alle mie ragioni. Certo, se fossi un medico o un’insegnante era fuori discussione, se avessi voluto assecondare il delizioso corteggiamento del mio giovanissimo ammiratore su Instagram sarebbe stata una doverosa forma di cautela, se dovessi fare un bel viaggio o trovassi imprescindibile una vita sociale forse avrei trovato del tutto normale il sacrificio di un vaccino non perfezionato. Ma per il momento vivo questa sospensione della mia esistenza come il decorso più naturale di una fase lunga ma necessaria in cui lo spazio per la riflessione e la riconsiderazione di ogni priorità è stato splendidamente occupato e goduto. A conti fatti credo che la sola cosa che ho davvero imparato da tutta questa assurda esperienza è quella di rimanere fatalista: chi si è ammalato ed è morto quando nulla ancora si sapeva di quello che stava accadendo è stato  semplicemente più sfortunato di noi altri e che chi sopravvive non ha comunque titolo a credersi salvo e fuori pericolo. Che senso ha relegare ogni pensiero del giorno a componenti così aleatorie? Che senso ha vivere solo per salvarsi la vita? Credo che sia questo che con parole struggenti e concetti meglio articolati ribadisce Aldo Nove tra gli scherni di detrattori impietosi.

A me non importa vivere ancora limitata nel mio spazio di manovra. Le cose che mi interessano le ho tutte con me. Le persone che ho voglia di abbracciare le conto su una sola mano: farò presto a rintracciarle quando sarà possibile. Mi fa più specie pensare che mentre la priorità della salute collettiva domina su ogni altra questione del vivere attuale ci sia stato un uomo delle istituzioni che in un bar della provincia ha sparato e ucciso un giovane uomo di colore perché dava fastidio ai tavolini. 

Io ho un rapporto strano con la salute. Quando sto male è perché ho qualcosa di rotto dentro a cui non so mai dare un nome né una cura fatta di pillole o tempi certi di recupero. Di solito provo a scriverci sopra, a camminare per ore ed ore sperando che con l’affanno e la stanchezza passi. Raramente riesco a dormirci sopra. Se esistesse un vaccino per certi tipi di malessere probabilmente nutrirei per esso le stesse perplessità di quelle contro  il covid

Credo  di avere un  rapporto anomalo con il dolore. Certe volte mi pare un male necessario, altre una fatalità inevitabile. Certe volte invece mi basta semplicemente aspettare. Essere fatalisti aiuta quando le certezze sono scadenti e le vite di ciascuno raccontano storie troppo diverse per essere controllate tutte assieme come se fossero una massa omogenea di entità indistinte

venerdì 16 luglio 2021

Sottrazione indebita di spazio (alla fantasia)

 In realtà credo che alla fine, forse, me ne sarei pentita lo stesso. E’inutile che mi cimenti in improbabili what if…” quando in realtà so che non ci avrei fatto nulla o avrei avuta da gestire più di quanto la mia attitudine alla semplificazione del quotidiano avrebbe preteso. Ogni tanto mi capita di lamentarmi (a pieno titolo) del mio “ingombrante” (in tutti i sensi) vicino di casa, che è così vicino che a volte mi pare di averlo in casa ad urlarmi addosso con un megafono puntato nell’orecchio. Credo di aver già raccontato che fino ad un paio di anni quella in cui ora vive lui era una casa vuota perché pignorata già da prima che io venissi a starci accanto. E’ stata messa all’asta e per anni nessuno l’ha voluta. Poi il prezzo ha finito per diventare talmente irrisorio e del tutto fuori mercato che è diventato un bene “speculativo” abbastanza interessante per riuscire a trovare un compratore che la ottenne per un prezzo di ben quattro volte inferiore a quello di casa mia, che è identica. Per anni mi hanno consigliato di prenderla: siccome è ad angolo con la mia, mi sarebbe bastato abbattere una sola parete per avere un quadrilocale con doppia esposizione. Non ho mai accarezzato questa idea perché non avrei saputo che farci con una casa così grande. “Ma come? Stai più comoda. Inviti gente. Se ti sposi hai già tutto a disposizione. La affitti a giornate, visto che hai il Monzino vicino, e così ti arricchisci”. Nessuna di queste ipotesi mi pareva assolutamente allettante: io sto comoda in una casa piccola e che mi impegni poco nella sua gestione. Odio invitare gente e quella che invito riesco a tenerla benissimo anche adesso, trovare marito poi…mai neppure sfiorata l’idea. Affittare poi è una roba che metto a pari merito col desiderio di sposarmi. E poi mi sento già economicamente serena, con buona pace degli invidiosi.

Fatto sta che per anni il meraviglioso silenzio di quella casa ha accompagnato le mie più ingenue e strampalate fantasie mentre contemplavo quella finestra sempre chiusa. Ad un certo punto hocominciato ad accarezzare l’idea che la prendesse qualcuno che avrei amato nel sacro rispetto di quel principio (mai smentito ai miei occhi) che la convivenza indebolisca l’amore fino a farlo diventare asfittico, opaco e anonimo, mentre – al contrario - la stretta vicinanza lo ravvivi. Per anni ho sognato di avere in quellacasa attaccata” ma separata il mio compagno ideale: con la sua autonomia, il suo spazio la sua intimità (proprio come me), assieme alle chiavi della mia casa e ogni altro tipo di condivisione possibile al netto di un pericoloso accavallarsi delle reciproche esistenze. Per anni ho sognato l“condivisione in autonomia” di un legame affettivo. Immaginavo certe mattine d’inverno in cui salutarsi alla finestra, invitarsi a colazione, chiacchierare o stendere i panni assieme nel cortile, darsi poi lì appuntamento per incontrarsi e uscire, e poi rientrare salutandosi alla porta. Oppure concludere la serata assieme, come degli eterni ospiti senza però nessuna fatica logistica. Mi pareva tutto così ovvio e normale.

L’argentino non è il proprietario della casa. Spero che un giorno vada via, non perché non abbia assecondato le mie fantasie, ma perché è davvero un cattivo vicino. E soprattutto perché mi obbliga troppo severamente a fare i conti con la realtà. E io invece voglio conservare spiragli di immaginazione innestandoli nelle infinite possibilità di una condizione di fatto che posso manipolare a piacimento. Ora c’è lui, con la sua musica orribile, la voce troppo alta, quella gente strana che viene a trovarlo nelle ore più assurde. Forse è questo che mi irrita davvero. Più del rumore molesto. Più della sua grossolana rozzezza. Lui mi impedisce di fare ipotesi. E questo non posso perdonarglielo.

E così ho pensato che forse non avrei commesso un errore così madornale se quella casa l’avessi davvero comprata io. Per lasciarla chiusa. E immaginarla “abitata”. Non da me. Ma per me.

martedì 13 luglio 2021

Il sonno della ragione potrebbe non avere torto

 Che meteo assurdo a Milano in questi ultimi tre o quattro giorni. Si passa dall’arsura ad essiccazione lenta alle tempeste tropicali, bombe d’acqua, vento forte senza soluzione di continuità.  Io ne ho subito tutti i capricci col tempismo di un gatto che punta la sua mosca: mentre ero per strada carica di buste per la spesa, con i sandali nuovi, una maglietta di troppo o troppo leggera, senza ombrello…credo che sia un talento pure questo qui di beccare sempre il momento peggiore per stare in strada. 

E poi ho sempre tanto sonno, anche adesso, che dormo moltissimo e sono nella mia settimana di totale relax. Io ho un sonnodevastantequello fatto di stanchezza antica, di questioni che mi annientano per il fatto stesso di non poter essere risolte. E’ il sonno della testa pesante, delle gambe che non reggono, delle posizioni scomposte sul divano e dei cali di attenzione anche dopo dieci minuti di lettura. Non so cosa non funzioni, però sento che non basta il solo riposo, gli integratori o i valori giusti di colesterolo. Qualcosa non torna in questi giorni troppo vuoti eppure variabili più di questo meteo.  Mai come quest’anno sogno una vacanza bella lunga, col mare sempre di fronte, qualsiasi marepure quello terribile di Varcaturo. Basta che ci sia dello spazio blu in cui non sentirmi più così contratta. Ho bisogno di ampie stanze di condivisione, della cucina del sud dove cimentarmi  nelle mie creazioni mentre mia madre mi racconta di fatti e persone  di cui neppure so perché dovrei ricordarmi o mentre mio padre mi dice di farmi trovare a posto per quando arrivano i suoi amici per salutarmi. Di Pablito che si insinua tra le gambe nei momenti più impensabili.


Credo di aver bisogno di quello strano senso di estraneità crescente che provo ogni volta che ritorno dai miei. E ogni volta diventa sempre più spiazzante.  Eppure succede proprio così. Io torno ormai così raramente che mi accorgo di quanto visibilmentele cose cambino, di quanto noi stessi cambiamo nella forme e nei modi. Tornare diventa quasi l’impegno a colmare distanze che si percepiscono proprio nell’istante in cui vengono annullate. Che fatto strano. Solo un emigrante (che però non torna troppo spesso a casa come fanno certi miei colleghi nostalgici che non si rassegnano a questo strappo dalla loro terra) può davvero capirmi.Molte persone che conosco sono tornate con grande desiderio alla casa d’origine e con tutta probabilità prima o poi toccherà farlo anche a me anche senza desiderio.  Ma credo che non sia ancora arrivato il momento per pensare a questa cosa. In fondo la “fortuna” di non avere un legame stabile rende plausibile ogni ipotesi.  Sono sicura che il tempo, come sempre,  mi suggerirà la soluzione definitiva. E poi ho troppo sonno. C’è del senso anche nel lasciarsi esistere senza sentirsi in dovere di stare sempre sul pezzo, assumendo un ruolo di passivo adeguamento agli eventi fidandosi un po’ di loro (o affidandosi a loro). In fondo mancanosoltanto poco più di due settimane alle mie vacanze: mi pare un tempo di “sospensione” molto ragionevole per stare a “folle” (nel senso della marcia non del mio modo di essere) e minimizzare ogni sforzo, ogni impegno, pressione, ansia da prestazione.  Il diritto ad essere stanchi può essere un’occasione splendida per fissare ritmi differenti, una marcia nuova, includere aspirazioni, ispirazioni, idee.


E’ passato più di metà anno e comincio a sentirne tutto il suo peso. O tutto il suo vuoto, che pare altrettanto insostenibile.

Forse nulla di tutto questo vale. Forse è solo che sono quattro giorni che non bevo caffè. Riprenderò a farlo soltanto  dopodomani. Non bisognerebbe mai abbandonarsi a riflessioni eccessivamente impegnative senza aver bevuto del caffè. E’ troppo rischioso. Due settimane prima delle ferie passano presto.  Sono i due giorni prima del caffè a sembrarmi eterni.

 

venerdì 9 luglio 2021

La forma, le formine e altri innocui inganni

 Ho comprato delle formine per fare i ghiaccioli. Una ha la forma di cactus, una di fetta di anguria e una di ananas. I miei gelatini saranno preparati con le polverine strane che faccio venire da paesi lontani e che mi illudo possano darmi carica ed energia per fare tutto quello che voglio. Certe sperimentazioni mi piacciono da sempre: l’alimentazione è un territorio affascinante che periodicamente  mi rapisce lasciandosi declinare nelle sue innumerevoli  interpretazioni: espressione e sintesi massima di creatività, salute, piacere, energia, cura, cultura, liturgia, sensualità, propensione agli altri. O semplice attitudine verso se stessi. Credo che sia questo il vero significato dell’essere ciò che si mangia.

Sono stata vegetariana per tantissimi anni. Poi un giorno, complice una cronica carenza di ferro, ho deciso di reintrodurre il pesce e temo che mi sarebbe ormai impossibile rinunciarvi di nuovo.  Per la verità in questo ultimo anno sono cambiate tantissime altre cose nelle mie abitudini e, alla prova dei fatti, devo compiacermi della forte correlazione tra il mio nuovo modo di nutrirmi e la resa in termini di prestazione sportiva. E’ stato faticoso ma molto divertente e persino interessante, malgrado il fatto che neppure questa  mia svolta salutista mi abbia impedito, in questo ultimo periodo, di sentirmi piuttosto stanca e completamente scarica


Credo di avere un’estrema necessità di mare. Di aria di mare. Di vista mare. Di passeggiate al mare. Per fortuna domani ho uno dei miei magici appuntamenti dalle fatine del benessere per unmassaggio agli oli essenziali di non so cosa e sale dell’Himalaya  (perché guai a essere il volgare sale di Margherita di Savoia). Pregusto già la mia condizione di quando sarò appena uscita da quel piccolo microcosmo in zona Corvetto fatto di musica da meditazione, aromi fruttati, voci soavi di fanciulle gentili e sempre di buon umore.  Quando finisco e ritorno nel mondo grigio che mi separa dalla metro mi pare che tutto il contesto sia meno ostile. Certe cose dovrebbe passarle il servizio sanitario.


Il mio giovane (giovanissimo) corteggiatore di Instagram continua a scrivermi e a dirmi cose carine (sono così sicura che mi cerchi soltanto su quella piattaforma che neppure mi preoccupo che possa leggere quello che scrivo altrove…e la cosa in fondo mi fa sentire molto al sicuro) e a me questo diverte molto, soprattutto perché non capisco cosa possa attrarlo di quelle mie foto così poco seduttive. Beh, bontà sua. Quando si sarà stancato di corteggiare un agglomerato sconosciuto di pixel, che per giunta non mostra nulla di interessante per un contenitore traboccante di ormoni, lo capirò senza stupirmi troppo.  In fondo sono belle pure le cose dichiaratamente finte e vissute senza aspettative illusorie o pretese velleitarie . Mi fanno ricordare di quella volta che sentii alla radio il caso di una vedova sconsolata, convinta per tutta la sua vita da sposata  di aver avuto accanto un uomo innamorato e fedele per poi scoprire, scovando per caso una scatola in soffitta, che lui aveva tenuto per anni un archivio puntualissimo di tutte le sue numerosissime amanti con relativo corredo di foto inequivocabiliassieme a loro. Fu un colpo durissimo per lei, che ormai non aveva neppure la possibilità dell’onore della vendetta. Una vita intera passata nell’equivoco e nell’autoinganno. Non riesco ad immaginare nulla di più triste.


Stasera mi cimenterò nella preparazione dei miei ghiaccioli “finti” a base di integratori e polverine magiche per stare in forze. Mi piace credere che siano gelati e mi piace altrettanto pensare che mi facciano bene. Il cervello ha sempre questa insana pretesa che debba rivelarsi realizzabile tutto quello che si desidera come possibileCome se immaginare e concretizzare rientrassero in una sorta meccanismo sequenziale perfettamente funzionante. La verità è che  questo capita solo qualche volta, e allora siamo dei fortunati che non sapranno mai abbastanza di esserlo.  Molto più spesso l’immaginazione è destinata a rimanere tale, senza contemplare alcuna realizzazione se non il materializzarsi di un pallido riscontro. Quando succede sarebbe buona regola non farci troppo caso

 

martedì 6 luglio 2021

Ciò che rende “caro” un diario. Nel suo costo il suo valore

 Potrei stare ore a cercare le parole più adatte per esprimere le emozioni di un pomeriggio come quello dell’altro ieri. Che poi in realtà si è trattato di un’ora e diciassette minuti: questo è stato il tempo del bellissimo monologo che Moretti ci ha dedicato nella sala di quel piccolo ed eroico cinemino di quartiere che è il BeltradeIo ero in seconda fila, ma la prima era libera e quindi non c’era nessuno ad ostacolare la mia visuale perfetta,. Stavo esattamente di fronte a lui. 

Da sempre io penso che la capacità di raccontare sia la prima vera ragione del mio innamorarmi delle persone. Se per tutto il tempoche ti sto a sentire la mia soglia di attenzione si mantiene costante vuol dire che hai vinto. Potresti fare di me polpette. Ma io di Moretti sono pazza da sempre: è un trasporto che va oltre la poetica stessa dei suoi film, credo che riguardi il suo modosurreale e “vivacemente” apocalittico di intendere il mondo, la sua condotta, l’ironia spigolosa,  il metodo di lavoro stesso, le cose che lo ispirano, quell’universo in pillole che mi pare di ritrovare nei suoi non tanti film nei quali io finisco per trovare sempre tutto quello che mi serve. Moretti è qualcosa che mi sta dentro, annidato in mille forme, a cercare di suggerirmi il modo di vedere le cose e me stessa in mezzo a loro. Ma non vorrei esagerare nel tentare di descrivere l’esperienza mai provata di assistere ad un suo monologo così “ravvicinato”. Che tanto neppure ci riuscirei.


Intanto io pregusto le mie vacanze ancora lontane godendomi il silenzio di un condominio un po’ più vuoto del solito: via i  latinoscaciaroni e pure le coppie urlanti che in questo periodo per fortuna vanno per un po’ ad odiarsi altrove. Ne è rimasta soltanto una che litiga da dodici anni sempre per le stesse ragioni. Un giorno busserò  alla loro porta provando a capire se hanno anche altri motivi per cui detestarsi tanto o se sono proprio appassionati di questioni che non hanno alcuna intenzione di risolvere . Anche la città si sta svuotando a poco a poco, mentre l’ufficio si conferma da tempo l’isolpiù felice del mio approdo diurno nella terra degliobblighi.  Il panificio di via Mecenate è ancora uno dei fattori principali del lieto inizio delle mie giornate: il profumo  di pane  appena sfornato  nel momento esatto in cui passo io, sono la prova certa  di come si possa vivere anche di soli incipit.


In questi giorni leggo con più costanza uno dei pochissimi blog ancora in vita tra quelli che mi hanno appassionato fin dal loro esordio. In realtà i contenuti sono di quelli che non mi riguardano affatto, trattandosi di un diario della vita familiare della sua autrice, una scrittrice e conduttrice radiofonica molto simpatica, che ha tre figli e un marito che fa il professore universitario (marxista) a Londra.  Lei si barcamena tra lavori belli, figli che crescono, una relazione matrimoniale a distanza e cose buffe che le accadono.  E’ ironica e divertente, mi  piace molto il modo in cui racconta i fatti suoi.  C’è della verità nel suo modo scanzonato di descrivere le cose divertenti  o faticose della sua routinequotidiana. Ora è in vacanza in Francia, sta per scrivere un nuovo libro, ha iscritto i tre figli a delle scuole estive di lingua e di musica (ah, la buona e sana borghesia milanese…i mei mai hanno pensato per me cose del genere) e fa yoga tutti i giorni e in qualsiasi luogo si trovi. Eppure io non la invidio affatto. Mai baratterei la mia vita, incasinata altrettanto, eppure svincolata da obblighi e preoccupazioni legate alla responsabilità di qualcuno che dipenda da me e dalle  mie scelte educative.  Non credo si tratti di egoismoSemplicemente non mi interessa farlo. Direi di aver capito, finalmente, che la scoperta della propria identità passi pure per questa cosa qui: trovare sensata e divertente la vita altruipur non trovandovi alcuna ragione di emulazione. Mi pare una conquista per nulla da poco.


A me continuano ad appassionare le mie albe solitarie, i miei silenzi del mattino, la radio da accendere come primissimo gesto  appena apro gli occhi. Amo la mia meditazione, i miei esercizi di preparazione, l’allenamento e pure tutti quei piccoli riti di pochi secondi che accompagnano la mia “twilight zone”, priva di rumori di fondo e una luce ancora discreta che pare contenere ancora tutte le possibilità. Amo non condividere i miei problemi con nessuno mentre continuo ad augurarmi, in modo persino un po’ ottuso, che un giorno mi resteranno da bipartire con qualcuno  tutte le gioie rimaste. Amo le mie utopie, le mancanze, le attese indeterminate che vorrebbero finalmente convergere nel punto esatto della definizione di un progetto. 


Della gestazione di Caro Diario, un film che ho visto mille volte, io non sapevo quale immane travaglio, quanta aneddotica buffa  - ma anche disperata – quante difficoltà, tentativi maniacali e pedanti, quante rinunce, riaggiustamenti in corso d’opera sono stati necessari prima di arrivare ad essere quel gioiellino che poi è diventato. Ho riso molto, mi sono commossa, stupita, meravigliata. Poi ho pensato che quel magnifico raccontodell’altro ieri, quella splendida occasione che ho avuto di conoscere tutta la storia “non visibile”, fosse  - di fatto –  proprio la parte migliore di quel bellissimo film. W Nanni!