Sola andata

Sola andata

venerdì 31 luglio 2015

Quella "mela"...e i suoi piccoli peccati...

Nel 2008 ho comprato il mio primo dispositivo Apple. Con gli anni ne seguiranno degli altri, che nonostante i guai e il mio modo maldestro di interagire con loro, sono diventati un accessorio imprescindibile della mia quotidianità connessa.
Il primo, come dicevo, fu un i pod nano. Ancora oggi è il mio principale accompagnatore durante la corsa. All'epoca dell'acquisto ci tenevo dentro le canzoni che mi dessero spinta energia e ritmo. Un bel giorno me ne vado in Inghilterra in compagnia di una persona che mi piace tanto, mi prende l'iPod e mi fa una playlist con 560 canzoni tra le più belle di tutti i tempi tra tutti i generi.
Come spesso mi è malcapitato negli anni, questa persona si distrae, si allontana senza troppe spiegazioni e si mette con un'altra conosciuta su internet. Ci rimango male per il tempo giusto ad elaborare l'umiliazione. Ma poi tutto a posto. Lui si sposerà con un'altra persona ancora. E tutto procede come la sorte ha deciso.

Qualche giorno fa una persona che è vicinissima ad entrambi mi dice una cosa tenerissima. Mi contatta in chat e mi dice:
- hey lu ho appena chiuso la chat con  ####
- uh...e come sta?
- sapessi, mi ha detto che devo assolutamente salutarti. Mi ha raccontato che appena si sposò ti aveva mandato un messaggio e che tu eri stata gentile. È stata una cosa che si è sentito di fare solo con te.
- si. È vero, mi ricordo di quel messaggio
- e poi mi ha detto che pure se è contento della sua vita, di sua moglie e di sua figlia, quando pensa a quello che ti ha fatto si sente ancora male
-....ma figurati...
- eh, ma a me ha detto proprio così


Va bene, va bene....doveva andar così e basta. Però io dal 2009 ad oggi non mi sono sognata mai, neppure per un istante, di cancellare quella magnifica playlist, pure se ragioni di amor proprio avrebbero richiesto un drastico reset.
Oggi sono tanto tanto contenta di non averlo fatto


giovedì 30 luglio 2015

Mi faccio un piccolo "presente"

I convenevoli sono un lubrificante sociale realisticamente inevitabile. Questa è la lezione che ho scelto di portarmi via dal mio devoto pellegrinaggio ai film di Ozu. Che ha fatto pure una strana magia "ricostituente". Ero a pezzi e sono uscita da quel cinema che volteggiavo: i suoi film sono la cosa più vicina all'innamoramento che io possa provare. Primo spot pubblicitario concluso

Domani invece sarò agli antipodi. Il cineforum mi propone "un tram che si chiama desiderio" e siccome  Marlon Brando è l'unico uomo al mondo che ha mantenuto il suo carisma istrionico pure quando aveva ottant'anni e pesava 180 chili, figurati se me lo perdo nel film dove si presentava a zero difetti. 

Oggi ho ascoltato una monografia su Gigi Rizzi, famoso play boy dalla vita incredibile. Mai sottovalutare i noti play boy...o forse a contare tanto era pure un certo tipo di contesto socio economico e storico che ha consentito certi percorsi così avventurosi e il fiorire di personalità  costruite apposta per un romanzo. Ah...mi trovo sempre a rimpiangere tempi non miei, come se il passato ci prendesse gusto a raccontarmi la sua magia al solo scopo di mortificare costantemente le cose che accadono sotto i miei occhi. 
E qui la domanda a forma di dilemma che non vuole risposte perché già le sa, ma solo comprensione per chi il tempo non ha capito come si usa. Quanto ha davvero senso vivere il presente "costruendolo" continuamente attraverso il cinema, l'evocazione di un passato che non mi appartiene, il fantasticare su un futuro improbabile e sempre troppo incerto?
( la risposta è ovviamente: non ha alcun senso. Il presente solo conta, se non sei in grado di starci dentro tutta intera è colpa tua. Ndr)

E allora? Cosa rende il presente davvero degno di essere vissuto in quanto tale? 
Il nuovo Mc flurry al cornetto algida, per quanto un ottimo motivo, non mi pare del tutto una risposta esaustiva. Ma per il momento me la faccio bastare
 





mercoledì 29 luglio 2015

Il "vale tutto" percepito (pensieri buddisti climatizzati)

Ieri i miei mi hanno fatto recapitare in ufficio un bel deumidificatore. Pesa tredici chili, ma quando me lo sono caricato tutta sola per portarmelo a casa aveva un peso percepito tale da farmi sentire come certe rappresentazioni di Atlante mentre sostiene il pianeta.
Si, perché in effetti per quanto la percezione sia una falsa rappresentazione di un fenomeno, in quanto non basata su un dato scientifico ma sulla personale condizione individuale, poi gli effetti nel percorso esistenziale possono anche essere di portata variabile e dalle conseguenze indefinite.

L'idea del deumidificatore ha qualcosa di più interessante del climatizzatore: non c'è lo scopo di alterare la temperatura, ma al contrario di garantire quella effettiva evitando di percepirne una più elevata a causa dell'umidità.

E così mentre oggi vivevo di temperature percepite, di pesi massimi percepiti, di mal di testa percepito, di voglia percepita di variegato all'amarena, mi sono chiesta quanto conti davvero che queste percezioni siano reali o false sensazioni che sottendono una condizione ideale. In realtà forse capirlo sarebbe importante e magari sta tutto nello stesso principio del de- umidificatore : cioè nel principio del togliere.

Pensare a queste cose mentre il deumidificatore mi evita il solito collasso sul divano, mi aiuta a riflettere sul reale significato di alterazione della verità. Ero alterata prima, quando stavo così male? Lo sono adesso, che sto tanto meglio? È pensabile che in realtà nessuna condizione sia, paradossalmente, reale e che tutte le condizioni che viviamo siano il prodotto di un artificio? E che tutto quello che ci rimane da fare è solo sceglierci quello che ci procura meno grane? 
È pensabile una condizione ideale, che sia anche autentica, e che non ci costringa a un riadattamento
 continuo per provare a trovare un po' di pace?

E soprattutto, ti pare possibile che un deumidificatore di marca tedesca ispiri pensieri buddisti proprio mentre leggo che Crimi crede nella verità inconfutabile che il figlio abbia residui di scie chimiche sotto i piedi che hanno camminato scalzi per terra??? 


martedì 28 luglio 2015

Del capire una cosa mentre se ne guarda un'altra pensando a tutt'altro

Non ci stavano santi. La prova d'amore seria stava in quella cosa lì. E io li avevo bocciati, non erano felici. Lo capii in quel momento preciso creato ad arte. Erano sposati da tantissimo tempo, tante moine, tanti aneddoti inutilmente mielosi. Ma io avevo bisogno della prova. Sapevo che lei era una cultrice del caffè molto più di lui. Vado in cucina, faccio un caffè alla napoletana perfetto, con la schiumetta bella densa. E poi ne faccio un altro senza la schiumetta. Metto le due tazzine sul vassoio e lascio scegliere a lui. Il caffè perfetto se lo prende lui. Il mio fu un giudizio insindacabile: non si trattò giammai di amore.

Oggi quei due sono separati. E sono sicurissima che solo apparentemente i motivi erano più seri di quel caffè "scorretto".

Sono sempre molto affascinata dalle innumerevoli ricette elargite con piglio espertodalle persone coinvolte in legami che auspicano eterni. Ci stanno quelli che ti dicono che è inevitabile il compromesso, il saper abbozzare, il dialogo, la comprensione, il prendersi i propri spazi, il non essere egoisti...e così via a snocciolare il prodotto non finito di rapporti che ce la mettono tutta a realizzare la formula magica delle unioni riuscite. Quasi mai mi convincono, ma contenti loro...

A me è spesso bastato poco poco per capire che proprio non ce n'era. La mancanza di puntualità è più che bastevole. Mi dice quasi tutto sul l'idea del tempo in cui io sono inclusa. Intollerabile.

Dico questo, che in fondo per me ha l'importanza molto relativa di chi osserva certe dinamiche con l'occhio asettico dello scienziato, e intanto penso a Roma, a quanto era già tanto sporca nel 2008 che è l'ultima volta che ci sono stata rimanendone sconcertata. Penso a quanto sia facile discutere di
problemi macroscopici ma vecchi come il cucco, risolti nel modo che il problema persista per  sempre. 

Quanto sarebbe più interessante occuparsi delle cose della vita immaginando che la vera chiave di tutto stia in una visione trasversale, apparentemente lontana dai ristretti recinti dell'ortodossia, della 
banalità di geometrie antiche, per non dire superate. Non basta pagare le tasse per non sporcare. Non basta essere un sindaco per distruggere la dignità di una storia millenaria. Però forse è sufficiente essere cittadini livorosi e miopi, sciatti e negligenti quasi con orgoglio.

Io ricette non ne ho, tant'è che vivo per conto mio e non faccio politica.
Ma del mio caffè posso dire di essere ancora molto orgogliosa ;)


sabato 25 luglio 2015

Da cosa nasce casa. Uno strano caso

Ho comprato la casa in cui abito con la stessa leggerezza con cui si aspetta il proprio numerino alla fila dei salumi. Non per spavalderia e neppure per atteggiamento superficiale su uno degli investimenti più delicati e carichi di significato che si possano fare nella,vita. Però avevo le idee molto chiare: volevo una casa tutta mia, volevo che fosse a Milano, non volevo che costasse troppo, non volevo fare una ricerca troppo affannosa e lunga.

Sono stata in affitto soltanto tre mesi, durante i quali non ho fatto altro che lavorare e girare per quartieri a vedere case. Così ho conosciuto la città. Così mi sono fatta un'idea veloce ma abbastanza precisa di cosa avevo davvero bisogno.
 Poi un giorno, per puro caso, capito nel posto in cui poi sarei rimasta. Leggo un foglietto sbiadito su un cancello, chiamo, prendo appuntamento, un adorabile ultra ottantenne mi fa vedere questo piccolo, vuoto bilocale, al pian terreno di un cortile come se facevano nella metà del secolo scorso. Tratto con la figlia e suo marito. Compro il mio nido, che...si...in effetti è a Milano, ma così in periferia che se allungo un poco di più la gamba sono già a Peschiera Borromeo. Ma mi sta bene anche così, il quartiere mi piace, è collegato bene col centro, e con gli anni è diventato sempre più curato e suggestivo. Niente preliminaridi vendita. Mi faccio consigliare un notaio da un collega. La casa diventa mia.

Era gennaio, niente riscaldamento. Solo il letto e il microonde. Vivrò così per quasi un mese, durante il quale passo tutto il mio tempo libero all'Ikea e a montare i suoi mobili, dopo che un collega gentile mi aveva accompagno in un posto dove si vendono cucine a prezzi modici e te le vengono pure a montare. Con gli anni ho fatto lavori di soppalco, di isolamento termico, armadio a muro, ardite ritinteggiature dallo spirito freakkettone, e tutto quanto la facesse diventare sempre più somigliante a
me, oltre che più funzionale e accogliente. Ho imparato a riconsiderare l'idea di spazio e di cose necessarie, come solo un luogo molto piccolo può importi di fare. Ho capito il vero significato di accoglienza, di intimità domestica, ma pure quello di predisposizione all'ospitalità, con miei tre posti letto in più.

Nel ripercorrere così velocemente il ricordo di un passo così importante, fatto con la solita smania che mi contraddistingue proprio nei momenti in cui, pare, si debba riflettere con cautela, ripenso al mio amico incontrato stamattina, che non vive più a Milano e sta per vendere la sua bella casa di Corso Buenos Aires. Mi sono venuti i brividi a pensare che potrei dover fare pure io una cosa del genere.

Non so quanto davvero riuscirei a separarmi da una cosa che è ormai così parte di me, di quello che
anche grazie a lei sono diventata, delle persone che l'hanno vissuta anche per poco, di quelle che ne
hanno visto solo il cambiamento, dei miei allenamenti delle cinque del mattino, del micino che mi ha rotto tutti i soprammobili (cosa per cui in fondo lo ringrazio), della mia cucina etnico-sperimentale, delle incomprensioni poi chiarite con la dirimpettaia, delle riunioni multilingue a casa del vicino di buona
volontà....

No. Non è perché questa sia casa mia. È che sono io ad essere sua. Sarà lei a decidere se e quando darmi via.

venerdì 24 luglio 2015

La lontananza sai è come la curcuma...

Mentre scrivo sono in pausa pranzo di un ufficio già abbastanza decimato dai vacanzieri "classici". Di solito condivido la stanza con altre due persone, con cui ho un rapporto direi perfetto: non entro mai nelle questioni finestra chiusa/aperta, temperatura del condizionatore, luce spenta/accesa...l'unica oggettiva contestazione che mi si potrebbe muovere potrebbe riguardare gli strani aromi che si diffondono quando apro la mia schiscetta. Sempre troppo curry, curcuma, ma pure aglio e cipolla...si è un mio limite, ho un'alimentazione fortemente sociopatica.

Da quando i miei colleghi sono in ferie io sto quasi sempre zitta zitta a lavorare, ma posso finalmente evitare le cuffie e tenere i podcast di mix 24 estate a tutto volume, ad una temperatura che scelgo solo io, con la porta chiusa e tanta pace e serenità.
Riflettevo su questa cosa e intanto mi chiedevo come sia possibile che pure quando le persone che mi stanno intorno e che mi piacciono, poi alla fine mi capita di stare sempre un poco meglio quando me ne sto da sola, a gestire tutto lo spazio che ho senza dover mediare, senza adattamenti e forzature reciproche e apprezzando di più anche le mie solite attività di routine.

È andata così pure quando sono andata via di casa, pure quando ho lasciato i miei numerosi coinquilini. Sono tante le volte in cui ho voluto più bene man mano che mi sono allontanata. E altrettante quelle in cui mi è parsa una liberazione da incompatibilità insuperabili.
Vero è che io non faccio testo, essendo una che mai si è spaventata dello star sola, però c'è una qualche magia nella lontananza tra persone che si vogliono davvero bene, una specie di "depurazione" dalle storture che l'eccesso di prossimità, la fatica e la noia della convivenza spesso oscurano.

Credo che la vera prova del nove dell'autenticità di certi legami stia proprio nell'effetto che fa starsene lontani. E non è che ci si deve proprio mancare, perché pure in questo c'è una qualche insana forma di dipendenza. Credo che sia sufficiente pensarsi col sorriso, pur ammettendo che in fondo si può sopravvivere anche senza convivere.

E niente, è l'una e mezza, io ho appena inondato la stanza di particelle leggere propagate da una scodella contenente ceci, curcuma, aglio, peperoncino. E credo che un po' tutti siamo felici di certe reciproche assenze.

Tra poco riprenderò a lavorare....il collega in ferie mi ha lasciato anche le sue pratiche. Forse voleva ricordarmi che spesso il valore della condivisione e della collaborazione qualche volta meriterebbe  anche il sacrificio di un eccessivo individualismo.

Buona estate. Con chiunque decidiate di essere o da cui stare lontani

mercoledì 22 luglio 2015

Specialista o generalista?

Sono giorni un po' faticosi. Di un anno molto faticoso. E non credo sia solo per il caldo eccessivo, che appanna i sensi, indebolisce la volontà, rallenta lo spirito. Dovrei dormire. Vorrei un po' di mare. O anche semplicemente una buona idea da coltivare per più di quattro minuti.
Credo che il mio vero guaio sia l'eccesso di superficialità verso quasi tutto quello che mi piace. Se fossi intellettualmente onesta farei della mia passione del momento, i film di Ozu, una ragione di vita fino a quando non mi sia passato davanti l'ultimo fotogramma dei suoi quasi sessanta film. E avrei dovuto fare cose del genere pure per i libri di Roth, per la macroeconomia, per la linguistica italiana, e perché no pure per i mille modi di cuocere le uova che tanto adoro.
E invece mi concedo solo passioni passeggere, che durano il tempo subito precedente a quello del diventare davvero competente. È come se avessi paura, come se non mi sentissi all'altezza di una conoscenza davvero evoluta, come se avvertissi troppo il peso della fatica che questo comporta.

Anche le ossessioni primordiali non attecchiscono al punto da diventare delle note caratterizzanti. Per dire, in questa fase vivo un trasporto di amore appassionato per il Müller alla vaniglia,  illudendomi che sia uno yogurt piuttosto che l'agglomerato di zuccheroso colesterolo che in realtà è. Ma lo so già che non esiterò prima o poi a lasciarmi distrarre da altro appena il mercato mi avrà inquadrato meglio...
 Non è bello il dilettantismo, costeggia perennemente la mediocrità, non lascia afferrare l'essenza reale delle cose, non è davvero interessante né divertente.
Ma come si fa? Ci vuole tempo? O semplicemente metodo? O il talento accompagnato all'entusiasmo? Oppure un bravo maestro? Una forte motivazione? L'inquietudine? Tanta fame?

In realtà a me "planare" sulle cose piuttosto che penetrarle piace tanto. Mi piacciono i panieri pieni di cose tanto diverse ma tutte utili, da cui pescare e reinterpretarne creativamente gli usi. L'eccesso di
specializzazione mortifica la creatività e finisce col concentrarsi sull'infinitamente piccolo.
Che, ma guarda un po', è approssimabile al nulla.

Non è vero. Ma ho una giusta causa da perorare: il bisogno di perdonarmi almeno quando fa così caldo e non ho la forza di essere neanche di poco migliore di quello che sono

lunedì 20 luglio 2015

Ogni tanto mi fermo a viaggiare

Il mio papà ha lavorato nelle ferrovie dello stato fino ai cinquant'anni e dopo ha continuato in società private, ma comunque sempre impegnate nei trasposti. Per anni ha lavorato per Air One e anche per un interporto. Il viaggiare per me è sempre stato un concetto familiare, naturale e poi addirittura necessario.
Ho cominciato a viaggiare molto presto. Prima con i miei, poi sempre e rigorosamente da sola.

La tappa prediletta delle mie prime avventure in solitaria era l'Inghilterra, terra per cui ho tuttora una fascinazione quasi mistica. Se dovessi davvero raccontare le cose che mi sono capitate durante quei miei soggiorni e la maniera in cui ho risolto certe situazioni in cui sono incappata, faccio fatica a pensare a come sia riuscita a cavarmela. Dico solo che una delle volte in cui sono rimasta a Londra per più di un mese, ho trovato un piccolo lavoro come receptionist in un take away gestito da afgani nel quartiere più malfamato e violento e vivevo in un ostello condividendo la camera con altre sette persone. Ma ancora oggi ho il coraggio di dire che fu tutto fantastico....
Poi ho deciso che non per la sola Europa si deve girovagare.
 E allora me ne vado in  India, forse con la sola intenzione di smontare quella stucchevole retorica che quando ci vai torni cambiato. Non è vero, o perlomeno non più vero che per altri luoghi. Ci vai perché in nessun altro posto più  di quello riesci ad avere la percezione del contrasto, della coesistenza degli opposti, dell'infinitamente magnifico, scintillante e mistico con l'orrore massimo della miseria e della disperazione.
E poi l'Africa dove pare che il tempo tenda a dilatarsi all'infinito per quanto tutto pare  scandito da una specie di battito di natura che domina e annulla il tempo individuale.
E poi le Maldive che nulla vogliono dirti se non che per essere felice hai bisogno solo di un costume,
Di quel sole, di quel mare e di quella sabbia. E nulla di nulla più.
Poi è arrivata l'America.  Metti piede li e dopo cinque minuti hai già fatto la tua prima lezione di imperialismo. Poi però se dimentichi l'umiliazione dei controlli all'ingresso, gli obesi, i Victoria Secrets...scopri un posto magnifico dove addirittura potresti desiderare di vivere per tanto tempo.

Se quest'anno fossi stata un po' meglio avrei programmato un viaggio a Tokyo. Mi sono innamorata di Ozu e adesso ho in mente solo il Giappone. E non vale giocare di immaginazione. Non sono Salgari e se in certi posti non ci vado di persona non posso avere delle suggestioni verosimili. C'è una globalizzazione che non si realizza con la semplice esportazione. Certe emozioni si producono solo in loco. Il viaggio è un prodotto insostituibile.

Io ci metto pure Milano tra le mete del mio vagabondare. Milano è la città delle mie tappe fondamentali, del mio percorso interiore reso possibile grazie agli spunti che solo qui ho raccolto.
Conosco Milano molto meglio di Napoli ormai.

E così, pure se  il Cristo Velato rimane ancora oggi la cosa di gran lunga più bella che abbia mai visto in tutta la mia vita, quando torno giù al sud la prima cosa di cui avverto la mancanza è la linea gialla che mi porta al Duomo

sabato 18 luglio 2015

"chi parla male, pensa male e vive male"...e spesso fa vivere male gli altri

Circa due mesi fa è venuto Nanni Moretti a Milano a parlare del suo "Mia madre". Io, che sono cresciuta nel culto dei suoi film, visti e rivisti decine di volte ciascuno, che potrei citare a memoria interi spezzoni, che delle sue ossessioni ho fatto il mio personale bagaglio di esorcismi al baratro esistenziale (no, non esagero è proprio così), quando ho realizzato che finalmentelo avrei visto in carne ed ossa, mi sono sentita come un'adolescente al primo appuntamento.

Mi ero appena operata al piede, la ferita era freschissima, giravo con le stampelle. Quando sono arrivata al cinema mi sono trovata una marea di altri "devoti" morettiani per i quali ho provato una gelosia infantile. In biglietteria mi dissero che a causa del numero eccessivo io avrei avuto posto nella sala accanto in videoconferenza. Ovviamente non permisi che andasse così. Con le mie stampelle e il mio piedino maciullato mi infilai nella sala in cui lui sarebbe stato, costringendomi a stare tre ore in piedi, ma in prima linea a contemplare uno dei principali responsabili della mia formazione.

Promisi a me stessa di non cedere alla tentazione di  fargli delle domande: qualunque cosa gli avessi chiesto sarebbe stata di certo troppo stupida o non degna di lui. Poi sentii cosa gli chiesero gli sprovveduti che osarono rivolgersi a lui e riconsiderai subito il mio eccesso di pudore. Addirittura si alzò una vegana che gli chiese se volesse farsi promotore della causa servendosi di un bicchiere di Nutella vegana....mio dio, era seria e non scorderò mai l'espressione di malcelato sconcerto di Moretti.

Ecco, io capisco che tutti abbiano il diritto di dire la propria e che se possono esprimersi e se qualcuno è disposto ad ascoltare e dare delle risposte, allora io devo accettare con gioia questo "splendido" esercizio democratico. 

Però io ero li, in piedi da tre ore e con un piede infermo, ci stava Moretti, un inarrivabile, uno che ha condizionato la grammatica del pensiero per intere generazioni, e c'è chi non avendo chiaro nulla di tutto questo ha creduto di avere il diritto di umiliare le suggestioni di un intero pubblico che incontra il proprio riferimento.

Credo che accada molto spesso. Quello di non riuscire ad entrare in modo corretto nello spirito delle cose, di credere di saperla bene al punto che "ora te la spiego io" e invece ci si trova su tutt'altro emisfero, fino a risultare del tutto ridicoli e inopportuni. Che brutta cosa, pure perché uno mica se ne rende conto, mica sono tutti così delicati da fartelo capire con i giusti toni, mica si è sempre così autocritici da arrivarci da soli....forse la mia è una forma di intolleranza su cui dovrei lavorare, un limite alla capacità di ascolto. Oppure semplicemente la stupidità esiste davvero e spesso può essere arduo evitarla senza risultare antipatici...

La verità forse è che avrei voluto essere l'unico pubblico di Moretti, essermi riservata il posto a 
sedere che non avevo trovato, aver trovato il coraggio fargli tutte le domande che da tutta una vita 
tenevo in testa. 
Mangiare pane a Nutella con lui mentre ragioniamo su quanto davvero le parole siano importanti. O se non lo siano di più le intenzioni che le sostanziano




venerdì 17 luglio 2015

Il "calcolo combinatorio" (... la matematica applicata ai cuori non sa contare...)

Comincio dalla fine. Ho passato una serata bella bella, divertente, partita da subito con i toni giusti e tanta leggerezza.
Da questo bizzarro incontro, audacemente combinato dalla mia amica folle, non ho incrociato l'uomo della mia vita, come realisticamente già sapevo, ma una persona interessantissima, con un lavoro fighissimo beato lui, con un vissuto piuttosto travagliato sentimentalmente (...ahiahiahi...ora mi spiego tante cose sul tentativo della mia amica...).

Ci ha portato a cena in un ristorante pugliese dove credo di aver mangiato le orecchiette più buone di sempre. L'atmosfera  è stata rilassata da subito, forse perché in questi incontri a sorpresa credo che tutto si decida nel primo istante, superato il quale sai già da che parte ti sei posto. Se ti senti subito a tuo agio puoi avere ragione di pensare che non stai vivendo un colpo di fulmine, ma hai di fronte una persona per bene, che hai fatto bene lo stesso ad accettare, che hai scoperto un ristorantino dove di certo ritornerai, che finalmente hai capito di cosa cavolo si occupi un project manager.

Io avevo un bel vestitino che non mettevo ormai da tempo, i tacchi che erano lì a ricordarmi che sono già abbastanza alta, il rossetto che non metto mai. Mi ha fatto piacere aver dedicato del tempo a questa cura. In questa fase avevo adottato un atteggiamento volutamente minimal sul piano estetico, sia per ottimizzare il tempo della mia preparazione, sia perché in fondo mi sono stufata degli orpelli e di certi taciti tentativi di voler piacere agli altri con degli stratagemmi. Ma è bello concedersi delle occasioni per farlo ancora, per scoprire come basti così poco per apparire subito diversi e come questo incida anche su corde più profonde. L'apparenza può contare qualche volta.

Ecco. Tutto bene. Grazie alla mia amica, che nel suo "calcolo combinatorio" forse non c'ha proprio preso, ma mi ha regalato una bella serata. E un pomeriggio "preparatorio" ricco di immaginazione e cure di bellezza che altrimenti non mi sarei concessa più.

mercoledì 15 luglio 2015

Alla luce di tutto questo buio...perché no?

Sono qui a mantenere la promessa. Quella del misterioso incontro al buio a cui sono stata invitata. Ma prima un paio di premesse. E qualche precedente storico, buffo come quasi tutto quello che mi succede in questo campo.

Premessa 1.
Nemmeno un nano secondo della mia vita è stato speso nella ricerca di un marito e anzi ho sempre trovato piuttosto unsexy e del tutto prive di fascino e di interesse le donne che mostrano questa smania elemosinando affetto.
Mi è dispiaciuto non essere incappata in un grande amore o di non averlo riconosciuto in tempo, ma l'idea di affiancarmi a qualcuno così  a prescindere e senza trasporto totale e profondo mi procura solo nausea.

Premessa 2
Non credo negli incontri al buio, non mi interessano le frequentazioni studiate a tavolino e che non siano nate da una scintilla improvvisa su cui costruire una qualunque cosa anche di breve termine. In questo c'è il mio inossidabile angolo romantico che credo sia la causa principale del mio "meglio sola"
Sono anni e anni che non mi riesce di perdere la testa per qualcuno. Qualche tentativo, ma poi mi ero clamorosamente sbagliata. E amen

Quando avevo 15 anni e vivevo ancor nel mio paesello campano facevo una cosa che poi ho rinnegato, essendo io oggi non credente. Andavo a messa tutte le domeniche alle 7:00 del mattino con
 mia madre. Ero pazza, mi pare ovvio. Eppure un giovane studente di medicina si accorse di me
mentre passavo sotto al suo balcone per andare in chiesa. E così un giorno mandò sua madre e le sue zie a casa di mia nonna per chiedermi in sposa. No vabbè mica pretendo che comprendiate quello che negli anni '90 ancora succedeva in certi posti del sud....
Non seppi mai chi fosse, e neppure ebbi il minimo dubbio che potesse valerne la pena.

Nel 2001 ero rilevatrice per il censimento del mio comune. Un giorno busso alla porta di uno, che tra l'altro aveva il mio stesso cognome, per consegnargli la scheda. Questo mi guarda impietrito, io mi impressiono tantissimo sperando che non sia uno psicopatico che mi farà a pezzettini. Gli biascico quattro cose e me ne vado. Dopo un paio di giorni mi arriva il fioraio a casa con uno splendido mazzo di rose rosa e un biglietto appassionatissimo. Solo molti mesi dopo riuscirò a liberarmi del suo discreto ma implacabile tampinamento.
No, non sono una presuntuosa, non ci godo a respingere gli uomini, ma non c'è lusinga a cui io possa
cedere se non sono innamorata. Se non succede quasi subito, non succederà mai. Inutile insistere.

E oggi? Cosa è successo oggi? Mi chiama una signora, stravagante ed eccentrica ma anche molto intuitiva e pragmatica.. Ci conosciamo ormai da anni grazie a certe attività molto interessanti in cui mi coinvolge spesso e che lei gestisce con successo. Mi dice
"Lucia, cara dove sei in questo momento, ho bisogno di parlarti di una cosa importante"
"Ciao T. Dimmi cosa ti sei inventata stavolta. Ultimamente sei più vulcanica del solito"
"Ahahah no, non ti spaventare, è una cosa a cui tengo molto. C'è una persona a cui voglio molto bene, la sua attività principale è in America, ma sta aprendo una filiale pure qui a Milano e ora sta per tornare da Tokyo. Lucia è uno che non fa altro che viaggiare perché solo così ha potuto consolidare il
suo lavoro così bene"
"T. Cosa mi vuoi dire?"
"Lucia io lo trovo un ragazzo adorabile e ora che torna qui a Milano vorrei che conoscesse una brava persona. Lucia a me sei venuta in mente solo tu. Senti, faccio tutto io, organizzo un aperitivo, ti
chiamo, tu vieni tutta messa carina e passiamo un pomeriggio assieme. Fidati"
"Ma T. Così su due piedi ti devo dire che faccio?"
"Tu fidati di me. Io non ho dubbi"
Non lo so cosa mi abbia spinto a dirle di si. Forse ho trovato un segnale significativo il fatto che l'orologio che mi ha regalato un mio ex fidanzato nel 1998 e che io ho sempre indossato da allora, proprio oggi si è fermato.
Tutto qui. Svelato il piccolo arcano. Io ci vado.
Poi, se volete, vi racconto pure come va a finire. :)




martedì 14 luglio 2015

cose a caso in un 14 luglio non troppo rivoluzionario

A me un poco fa specie questa cosa che Ilaria D'Amico pare abbia evaso 400.000 euro. Le donne molto belle, e di cui riconosco intelligenza e professionalità, non dovrebbero mai essere invischiate in storie di avidità. Certe donne non dovrebbero proprio occuparsi mai di denaro. Quello che dico non ha senso, ma lo rivendico lo stesso...

Oggi è il compleanno di uno dei miei attori più amati. Io di Renato Pozzetto credo di essere stata pure un po' innamorata da bambina. Quel pacioccone con la faccia così troppo seria e impassibile da muovermi alle risate più viscerali per l'immobilismo stesso delle situazioni in cui avrebbe invece dovuto destreggiarsi con prontezza. Auguri ad uno dei più amabili milanesi che mi vengano in mente.

Oggi si celebra la rivoluzione francese. Quella cosa che la mia generazione avrebbe per sempre associato alla morte di Lady Oscar proprio quando scopre che Andre la amava da sempre e noi per loro abbiamo rinunciato per mesi e mesi ai giochi nel cortile. Poi danno la colpa ai tablet...

Non capirò mai il successo spropositato di Jovanotti, ma neppure quello di Ligabue, ma neppure di Checco Zalone o di Siani...
 
Ozu io non lo conoscevo. Non conoscevo colui che per Wenders è il più grande regista di tutti i tempi. Benedetta sia la rassegna che lo celebra e a cui io ho partecipato, perché da anni non vedevo film così splendidamente costruiti, tra commedia degli equivoci, incastri amorosi, variabilità affettive,  analisi psicologica. Mi darei un bacino quando decido di fare queste cose, invece di macerarmi sul divano a prenderci gusto nel vedermi sempre peggiore di quello che sono.
 
Come si fa a fare un'altra rivoluzione con questo caldo? Il caldo è il vero responsabile della povertà di spirito contemporanea, ti toglie la forza e la voglia di agire. Tutto spiegato

domenica 12 luglio 2015

E tu? A cosa pensi quando ti pensi?

"Una donna è tanto più bella quanto più si avvicina all'idea che ha di se stessa".  Diceva più o meno questo Agrado, la transgender di quel bel film di Almodovar "Tutto su mia madre". Ho creduto vera questa affermazione fino a quando sono incappata nelle sconvolgenti trasformazioni estetiche delle mie beniamine, in particolare di quelle attrici che hanno modellato per sempre la mia impostazione emozionale, con conseguenze che forse meriterebbero anche qualche attribuzione di responsabilità. Premetto che sono sempre stata favorevole alla chirurgia, non mi ha mai scandalizzato, né  impressionato e trovo piuttosto fastidioso che sia moralmente accettabile solo per chi ha subito incidenti gravi o amputazioni. L'accettazione di se' segue i percorsi più strani e tortuosi e ognuno si sceglie i suoi. Se Meg Ryan è contenta allora ero io a non aver capito nulla di lei quando si presentava ad Harry....ma tant'è. È un problema mio.

"Sai Lucia, per me ha funzionato così, mi è venuta voglia di fare un figlio solo perché sono così innamorata di mio marito che volevo qualcosa che ci contenesse entrambi. Io non ho mai avuto l'istinto materno. Ma sono pazza di mio marito". Così mi ha detto un giorno una delle poche madri perfette che abbia mai conosciuto. Ha solo un paio d'anni più di me e ha deciso di avere un figlio solo dopo dieci anni di felicissimo matrimonio, durante il quale si è concessa il tempo di costruire tutto con suo marito, da un rapporto sempre più solido e pieno, alla costruzione di un lavoro stabile e che le consentisse anche altro. Ora è la mamma di un bimbo di tre anni, bellissimo, allegrissimo è simpaticissimo. La mia amica mamma e donna bella e brava non pensa mai che suo figlio dovrà essere a tutti i costi il migliore, vuole solo che sia solido, allegro, buono e consapevole di ciò che davvero gli piacerà.
Quando la ascolto, penso a come tutto in lei sia perfettamente armonioso. Dal tono della voce, al senso della misura che ha in tutto quello che fa e che dice, al suo modo di vestire e di valorizzare le sue qualità migliori. Mi sembra una sinfonia perfetta. Starle vicino pacifica e rilassa

Ecco. Mentre pensavo a Meg Ryan e poi senza un apparente collegamento mi è venuta in mente la mia amica, mi è sembrato di capire un poco meglio quello che intendeva Agrado. "Una donna è tanto più bella quanto più si avvicina all'idea che ha di se stessa", probabilmente è una formula che funziona bene quando  l'idea di se stessa è pure sufficientemente chiara

venerdì 10 luglio 2015

Lasciare un segno. O lo zampino

Sono cresciuta senza mai poter avere animali in casa. Mia madre era contraria e per dissuadermi diceva sempre " niente cani e gatti perché quando muoiono ti dispiace". Per quanto trovassi piuttosto convincente la motivazione del diniego, credo di aver sottratto molto tempo alla mia spensieratezza infantile a cercare di capire perché questa cosa non valesse per tutti legami affettivi, durante i quali direi che sostanzialmente interagiscono esseri che muoiono e per i quali i sopravvissuti più o meno si dispiacciono. Poi non ci pensai più perché capii che era solo una scusa per tenere pulita la casa.

Quando abbiamo traslocato, per passare da un appartamento ad una casa indipendente con un bel giardino, un giorno si presenta un micio bianco piccolo piccolo. Guarda mia madre fissa negli occhi e riesce a rimediare acqua e latte. Rimarrà fino alla fine dei suoi giorni. Sono passati cinque anni e mia madre, che ora non vive senza gatti intorno, di quel micio li, sfrontato e tenerissimo, non si è scordata mai. Mio padre ha ancora la sua foto nella schermata principale del Pc e del cellulare.
Qualche anno fa ho adottato anche io il mio micino milanese. Pablito è stato con me circa un anno. Non saprei dire quanto avessimo davvero legato. Io ce l'ho messa tutta a farlo sentire il vero padrone di casa, amato per quanto mi era possibile e coccolato per come ero capace. Però erano troppe le ore in cui lo lasciavo solo ed era una pena vedere quegli occhi,verdi verdi proprio come i miei, che mi salutavano la mattina quando uscivo. Non era felice, ormai lo sentivo, e così la terza volta che è venuto a Napoli con me ho lasciato che i miei lo tenessero in comodato d'uso gratuito.

Mio padre ormai non se ne separa mai, è il suo primo pensiero del mattino e quando la sera mi telefona e mi racconta delle malefatte di Pablito, se non sapessi che sta parlando di un gatto, penserei
che si sta trattando di un bambino magico dotato di talenti speciali e venuto in terra per salvare il
mondo. Mia madre mi racconta che quando lo vede arrivare in salone e lei è seduta sulla sua poltrona, si alza subito e gli cede il posto perché ormai ha deciso che quello è il suo posto in quella stanza.

È andata così, mi pare un giusto contrappasso, al dispiacere della perdita futura si rimedia con l'appagamento di un legame profondo, silenzioso, intelligente e divertente.
E quella me bambina? Che voleva cominciare subito con tutta questa puffosa tenerezza? Che avrebbe voluto scoprire da sola quanto valeva la pena di provare la pena del distacco? che avrebbe preferito sapere come sarebbe andata mentre eravamo tutti vivi?

Credo che sia più o meno così che ho cominciato a chiedermi quante cose belle mi sono persa nella vita solo per la paura di perderle prima di averle vissute. I miei sono stati più fortunati di me a recuperarle.
Ma in fondo Pablito è solo in prestito. Prima o poi toccherà anche a me ;)

giovedì 9 luglio 2015

...chissà se è successo solo a me così spesso....

C'è una cosa degli uomini che mi interessavano che mi ha quasi sempre divertito abbastanza. O forse farei meglio a dire che mi ha divertito quando ho iniziato a capirne il meccanismo ripetuto, fino al punto di diventare così prevedibile da non offendermi più.
Tutti, ma proprio tutti, i maschietti che mi son piaciuti hanno adottato un comportamento strategico di stimolo al mio struggimento per loro. Quando ho iniziato a capirli e anticiparli sui tempi ho cominciato a provare della vera tenerezza per la categoria.

Provo a dirla. Si parte da una delicata e creativa fase 1 in cui mi pare che non possano fare altro che pensarmi, cercarmi sognarmi...dura poco, ma sinceramente è quella che preferisco e che vale anche la delusione successiva :)
Poi c'è una fase 2 in cui si esce, ci si frequenta e sembra tutto naturalmente promettente.
Poi c'è una fase 3 . Si fa volutamente tardi agli appuntamenti, si scherza con le altre, si declinano gli inviti. Il tutto con un continuo tira e molla che può fare solo chi è abbastanza infantile e per nulla innamorato.
In fondo credo che siano questioni piuttosto comuni quando si fanno dei tentativi un po' casuali di approccio e di conoscenza. Ci può stare. Pur trovandolo piuttosto scorretto e alquanto maleducato, direi che rientra nelle regole del gioco della seduzione fallita.
Quello che trovo paradossale è la mia personalissima e profonda convinzione che certi giochetti abbiano invece proprio lo scopo di legarmi di più a questi professionisti del distacco emotivo.
 E invece no, sono al contrario la mia principale terapia al distacco reale e definitivo.
E così senza apparenti e fondati motivi, una cosa che poteva essere o diventare bella, divertente e profonda, magari concedendole il giusto tempo speso bene, diventa subito brutta irritante e
superficiale.
 E poi non c'è più nulla da fare. Nemmeno dispiacersi...

martedì 7 luglio 2015

Bilancio di metà anno e poco più

Di quelle giornate in cui lo capisci subito che l'aria è pesante, che tutto ti verrà difficile, che quelli che incontri non faranno che rendere tutto ancora più disarmonico e problematico. Sarà che fanno 40 gradi, che a Milano sono una cosa brutta assai da sopportare, sarà che davvero quest'anno sono stanca come a mia memoria non lo sono stata mai, che me ne sono capitate di ogni in questi primi sette mesi, direi che posso già fare un primo bilancio abbastanza negativo al punto di sperare almeno di riuscire a stare a galla fino a fine anno.
In realtà la cosa veramente strana è che pur avendo visto tempi molto migliori, sia in termini di appagamento personale, di relazioni umane e di generale condotta di vita, io non mi sento affatto triste. Sono stanca morta, faccio una fatica incredibile a farmi piacere le mie sette ore e dodici quotidiane, mi piacciono ormai solo pochissimi miei colleghi al punto che pure la pausa pranzo mi piace farmela in stanza per minimizzare gli incontri con una umanità con cui in fondo non ho scelto di convivere e con cui purtroppo non ho molto da spartire. Ma non sono triste. Non mi ricordo più da quanto tempo ho smesso di piangere, di sentirmi profondamente offesa, di provare rancore per qualcuno, di avere desideri che non sono capace di realizzare. Forse perché ho smesso di pensare che la mia felicità possa dipendere da qualcun altro, non rincorro piu affetti e amicizie finte, mi scelgo i libri con più accuratezza, non manco mai di farmi l'abbonamento almeno a due cinema, presto i miei dvd solo a chi se li merita davvero.
Si, forse la felicità non ha necessariamente a che fare con lo stare proprio bene bene che meglio non si può, o col piacere a tutti senza condizioni. Non per questo saprei dire con cosa davvero la felicità abbia a che fare, ma il fatto che non sia in cima alle mie curiosità mi pare già di per se un ottimo traguardo.

Sono tornata a casa da un' ora e manca la corrente. Il frigo, per la primissima volta da quando vivo sola, è completamente vuoto. C'era solo il variegato ai frutti di bosco in freezer. Ho fatto appena in tempo. Si era sciolto proprio alla maniera che piace a me.
Perché dovrei essere triste!

domenica 5 luglio 2015

A chi credi? A me o a loro? E loro credono a chi?

Facciamo finta che sia tutto tratto da storie finte. Che io questi tipi di cui parlo non li abbia mai conosciuti e che mi servono per parlare male della categoria, che è colpa mia, che sono una rancorosa vendicativa e me le invento tutte per ferire chi non mi piace.
 Sulla base di questa premessa edificante che scagiona tutti tranne me direi di avere diritto di parola.
Qualche anno fa conoscevo un ragazzo dell'Opus Dei con cui condividevo la stanza dei dottorandi. Una volta se ne venne tutto alterato perché aveva litigato con un edicolante a cui aveva fatto un predicozzo per certe riviste con donnine discinte. Gli aveva detto che i bambini potrebbero vederle e non sarebbe educativo. Poi fa una pausa e mi dice che lo aveva fatto perché era arrabbiato della multa che aveva ricevuto sul l'autobus perché non aveva fatto il biglietto....ma del resto non lo faceva mai quindi era ancora in attivo...nella mia storia finta io lo guardo sconcertata ma non riesco a dire niente. Un altro giorno mi dice che il suocero gli ha dato tantissima frutta e che il giorno dopo me ne avrebbe portata con piacere per condividerla. Il giorno dopo fu l'unico in cui a mia memoria risulto' assente. Come quella frutta che non vidi mai e che non gli avevo manco chiesto. Nella storia finta io ancora resto muta.
Tra le buone abitudini che il mio religioso e puro di cuore collega aveva c'era quella di ordinare un caffè in un bar molto lontano dall'ufficio. Se lo faceva portare dal ragazzo, un solo caffè e niente più, gli dava gli 80 centesimi e nemmeno mezzo di mancia, lo ringraziava tanto e lo salutava. Nella storia finta io ancora assisto perplessa. Una volta mi chiede di anticipargli dei soldi per un regalo di nozze. Me li ridarà solo dopo aver chiesto conferma ad altre persone del importo esatto.
 Non so cosa feci nella storia finta....in quella vera lo bollai come una delle più viscide creature che il buon Dio abbia creato, ma nella mia infinita misericordia mai gli diedi a vedere cotanto mio sdegno.
Oggi fa l'accademico, pure se io in quei tre anni mai nulla di intellettualmente valido mi risulta che
gli abbia sentito dire....ma tutto torna pure in questo...la ricerca universitaria...come no...

E veniamo alle storie finte più recenti. Collega cattolicissimo fino al fanatismo più esasperato, fresco sposo con pargolo prossimo venturo. Viene chiamato al tel da altro collega amante delle belle donne per registrare un atto: "scendi a registrare un atto che c'è una ragazza che aspetta giù" e lui "solo se è gnocca" e il mio collega " si lo è molto" tempo venti secondi questo si fionda come se mai donna
avesse visto in vita sua.

 Storie tratte da una fede finta....uhhhh mi si scusi....in fede, che non smette di vacillar, sono episodi tratti da storie finte. Nessuno si senta offeso. Tranne me.

sabato 4 luglio 2015

Colli passioni

Se dovessi dire quale sia il primo ricordo significativo che ho, sarebbe sicuramente quello. Il mangiadischi arancione. Quando la mia manualità da piccoletta con una naturale capacità distruttiva me lo permise, cominciai a ficcare in quella specie di misteriosa bocca della verità qualunque 45 giri mi capitasse a tiro. Poi un giorno me ne capito' una tra le mani che non smisi di sentire che dopo un infinito numero di volte che occuparono giorni e giorni interi di ascolto compulsivo. Sul perché di quella assurda fissazione non saprei assolutamente dare conto, visto che è una cantante di cui nella vita non ho più nutrito il benché minimo interesse. Anzi, credo di averla addirittura disprezzata moltissimo per le sue scelte ideologiche.

Il 45 giri di cui parlo conteneva due canzoni di Ombretta Colli. Erano una specie di stornelli su una che non si voleva sposare e trovava una scusa per ogni giorno della settimana per evitare l'evento.
Direi che oltre al merito di essere stata vagamente profetica, direi che non si trattasse di una canzone degna di immortalità.

Mentre riflettevo su certe assurde fissazioni, di cui facciamo esperienza fin dai primissimi anni della vita, e che per fortuna abbandoniamo, pensavo a quali siano i veri precursori di una forte passione. E quanto siano davvero significativi per la vita anche quando questa ossessione svanisce. È solo una patologia passeggera e in fondo sempre infantile pure se si presenta in tarda età oppure aiuta a capire meglio quello che siamo e che vogliamo davvero?

Ombretta Colli in questo mi sembra il più perfetto esempio che mi riguardi su certa mutevolezza del nostro atteggiamento verso le cose che riempiamo di significato. Chi lo sa cosa avrà pensato Gaber
quando ha assistito al suo di passaggio da una passione ideale a quella opposta. Forse ci si ammala
pure di certi inganni della vita, di certa eccessiva variabilità del sentimento per le cose e delle
cose...ma in fondo io che ne so...

Nella vita di ossessioni me ne sono venute tante altre. Per certi film che ancora non mi stanco mai di rivedere, per i Led zeppelin che invece non posso più riascoltare perché li associo subito ai jeans di Plant e faccio peccato, per certe persone conosciute nell'adolescenza e a cui oggi non degnerei neppure di un saluto. O semplicemente per  certi cibi (credo che ormai ogni cellula del mio corpo abbia la stessa composizione chimica della Philadelphia...basta così per il resto dei miei giorni)

Le passioni che mi hanno attraversato non hanno mai motivi troppo fondati, e forse è per questo che poi si rivelano passeggere, ma pure spaventose e salvifiche al tempo stesso. Spesso arrivano per ricordarmi che essere vivi non solo in senso tecnico ha a che fare con certe tachicardie e ossessioni,
che può valere la pena anche deviare di molto dai rassicuranti binari senza incidenti di percorso, per
imbattersi in strade nuove che rivelano nostri lati insospettabili. Come quello di venerare Ombretta Colli a sei anni per poi riflettere su quello che è diventata come precisa metafora etica.

Poi magari potevo essere pure un po' più fortunata...che ne so potevo beccare tra quei 45 giri un Guccini. Se non altro avrei imparato meglio e prima il valore della coerenza

mercoledì 1 luglio 2015

Segni indelebili

Quando decisi di farne uno avevo trentasei anni suonati. Mille dubbi e perplessità pur sapendo che lo avevo sempre voluto. Ma come si fa...ma mi posso fidare...ma da chi vado...
Poi un giorno mi decido e vado dalla collega più dark/punk/hard rock che abbia mai conosciuto e le chiedo tutto. Mi voglio fare un tatuaggio ma tengo paura. Lei, che ne è coperta dalla testa ai piedi, mi guarda come un'aliena, trovando strano proprio tutto quel mio assurdo timore. E così dopo due giorni mi prende e mi porta dal suo tatuatore. Mi dice che posso chiedergli qualunque cosa che tanto lui è l'equivalente maledetto di Caravaggio ( ...giusto così per rassicurami....).
Era un caldissimo pomeriggio di giugno, Caravaggio aveva appena fumato, era un po' ubriaco e, mentre io provavo a decidere cosa farmi imprimere per tutta la vita sulla pelle, lui continuava a ripetere che quel giorno non aveva proprio voglia e che gli si chiudevano gli occhi dal sonno.
Gli dico che posso ritornare un'altra volta, ma lui mi "rassicura" e mi dice che mi farà quello che gli chiederò.

Ancora oggi non so come feci a decidere di fidarmi di lui, e perché avessi tutta questa urgenza di porre un segno definitivo sul mio corpo e neppure quale strano incantesimo si realizzò in quel piccolo laboratorio Alle spalle di largo marinai d'Italia. So però che quel tatuaggio fu per me un piccolo rito di iniziazione, la percezione esatta di scelta irrevocabile, la sfida a tutto ciò che è temporaneo e passeggero. 
Decidemmo assieme le varie ipotesi e poi elaborammo al computer la figura di due leoni stilizzati che si scontrano. Nessuna particolare simbologia se non l'aumspicio di forza e coraggio.
Il mio tatuaggio sulla schiena segna il mio vero passaggio all'età della consapevolezza. ne fui felice in modo infantile.

Di quel pomeriggio assolatissimo di una Milano semidesertica, in quel piccolo laboratorio più' simile ad una catacomba che a un negozio, oltre ad un ago che mi pizzicava la pelle facendomi sentire un dolore bello, caldo, religioso,  mi ricordo di una signora russa molto bionda e giunonica con una scatola piena di grilli appena nati e poi di un signore molto anziano e pieno di tatuaggi "accumulati" in una vita intera.
Il mio Caravaggio, benché ubriaco e un po' fumato, fece un ottimo lavoro. 

Durante tutta la seduta ragionammo sul perché ci sono persone che decidono in un certo momento di imprimere sulla pelle le cose più disparate. Per pura vanità, per trovare la maniera di fermare un momento preciso della propria vita, onorare un simbolo, un'idea, un verso, un eroe, o anche solo per portare addosso un disegno ben fatto. Tatuarsi e' probabilmente il tentativo ad alto rischio di fare del proprio stesso corpo una forma d'arte vagante e strumento autonomo di comunicazione.

Quando il tatuaggio fu completato mi resi conto che ciò che mi incuriosiva davvero in quel momento
era sapere come avrebbero reagito i miei. E il fatto che a loro piacque molto costitusce ancora oggi
una delle più rivelatrici fonti di stupore della mia vita.