Sola andata

Sola andata

venerdì 29 maggio 2015

Estatica estate statica

Il mio vero inizio d'estate è quella roba là: il Carroponte che apre i battenti e il biglietto inaugurale nelle mie tasche e - meteo permettendo, perché l'anno scorso non ha avuto pietà - una selezione ingorda di una programmazione sempre strepitosa. Mi chiedo come si faccia a lasciare questa città proprio nel periodo in cui si dimostra così generosa. Le ferie a luglio e ad agosto sono per me un mistero. Si...è vero questa l'ho sparata un po' enorme....però quel posto che da ex sfigatissimo spazio di dismissione di fabbriche, di perdite di lavoro, di storia delle più epiche battaglie operaie, che si è poi trasformato in magnifica acheologia industriale dove si fa la meglio arte che ci sta in piazza...beh è davvero difficile che non ti entri nel cuore.


 Il babbo mi ha chiamato e mi ha detto che viene perché vuole andare a Expo...gli ho chiesto come mai visto che gli ho già spiegato dettagliatamente che è una colossale bufala piena di fuffa. Mi ha detto che vuole fare il figo con gli amici....mi pare un'ottima risposta. Ce lo porto. E gli compro un lecca lecca nel padiglione degli Stati Uniti.
Gli ho detto che lo porto pure a vedere lo spettacolo di Bergonzoni...un giorno capirà il giusto valore delle cose e quale priorità attribuirvi. Ne ho fatto una missione

E maggio se ne è andato così. Tra la magica scomparsa delle persone negative,  la mia nuova abitudine dei pomeriggi dopo il lavoro direttamente al parco, senza i pad ma solo con il libro ( ho capito che ne è geloso e ha ragione), la mia panchina preferita, le t shirt di cotone. E due ore di santa pace ritrovata.

Di Milano io temo solo l'inverno. Forse è per questo che da anni la prova costume per me slitta sempre a Novembre😎



giovedì 28 maggio 2015

E liberami dal mercato. Amen

In verifica presso una importante azienda produttrice di una cosa che solo in due al mondo producono e ora si stanno fondendo (dicasi monopolio)
Io: buongiorno signor amministratore delegato della ******. Allora credo che questa sia una delle ultime verifiche prima della fusione con la vostra unica competitor americana. Vero?
Signor amministratore delegato: eggia'. Si sfrutta meglio la scala. Meno costi, più efficienza
Io: meno concorrenza, meno garanzie, meno posti di lavoro, costi più elevati per le strutture che hanno bisogno dei vostri prodotti, più profitti per voi....
Signor amministratore delegato: ...no ma vede...non è esattamente così...poi le strutture ci chiederanno degli sconti....poi la selezione naturale...certi lavori e certi lavoratori sono ormai delle zavorre...
Io: certo certo. Dal vostro punto di vista basta non erodere i profitti in qualche modo...
Signor amministratore delegato: guardi che è molto più disonesto illudere i dipendenti che saranno garantiti e poi li mandano a casa. Noi li prepariamo a tutto questo con la pianificazione che limpidamente gli abbiamo illustrato
Io: ah certo, se gliel'avete limpidamente illustrata... Allora, dovete fare una distruzione di merci invendute di quasi trecentomila euro...
Signor amministratore delegato: si. Ma sarà l'ultima volta
Io: non ne dubito

mercoledì 27 maggio 2015

Rimanere Desigual a se stessi

Come funziona veramente quel meccanismo per cui una roba che ti piace tantissimo fino all'ossessione, ad un certo punto non ti interessa niente niente più?
No. Per una volta tanto non mi riferisco a quella strana pratica umana chiamata relazioni sociali. Sono sicura che prima o poi troverò il modo di trovare pure quella una faccenda naturale anche per me.
 No, mi riferisco a certi cambiamenti piuttosto incontrollabili, imprevisti e inspiegabili che ad un certo punto pare stravolgano dei percorsi ormai ben solcati. Ecco cosa mi è accaduto.
Credo di aver dilapidato il frutto di una un'infinità di ore/ lavoro per comprarne così tanti, visionato per mesi e mesi ogni cambio vetrina  di Corso Buenos Aires, contemplato con estatica ammirazione tutti i  cataloghi. Sono stata una Desigual addìcted. Credo che alcuni dei modelli acquistati non siano stati ancora indossati neppure una volta. Una vera ossessione. Di cui oggi non c'è più alcuna traccia. Sono mesi che metto solo t- shirt nere e jeans.
Credo che sia una specie di reazione fisica dopo tanta bulimia di colori e di flowerpower fasullo e finto povero.
Mi vesto come  mi vestivo quando avevo vent'anni, ma non me ne sono resa conto subito. Non è giovanilismo. Al contrario, è presa di coscienza. Vedere tutti quegli abitini, con troppi colori, troppi fiori, che tanta soddisfazione mi hanno dato, e ora più nulla, e' un po' come ritrovarmi a riprendere i libri letti all'epoca, la musica ascoltata allora...e ricordarmi che non ero poi tanto male.
Cosa sia successo nel frattempo e fino ad oggi in parte mi sfugge e in parte non mi serve.

La maglietta che porto ora me l'hanno regalata il mese scorso quelli di radio due. Se avessi avuto vent'anni me la sarei tirata alla grande. Non vedo cosa mi impedisca di farlo oggi

martedì 26 maggio 2015

Quanto costa un ricavo? E poi ti piace?

Una delle regole base dell'economia aziendale stabilisce che "un mancato costo costituisce un ricavo". Pure Epicuro ha in qualche modo elaborato un concetto analogo affermando che un mancato dolore e' in realtà il vero piacere. Non so quanto questo simpatico giochino lessicale sia replicabile anche in altri ambiti e in realtà mi riesce difficile trovare divertente riscontrare che da un processo continuo di sottrazioni e mancanze si ottengano mete ambiziose.

Il preambolo-pippone mi serve per fare una amara considerazione autobiografica. Ho quasi trentanove anni, a parte la pressione bassissima direi che godo di ottima salute, ho una rarissima forma di contratto di lavoro definito a tempo indeterminato, ho gli occhi verdi e per queste quattro cose mi reputerei una persona fortunata che vive in un paese sempre meno interessante, soprattutto se paragonato ai restanti posti dell'Europa dove le cose invece accadono e sono belle.

Un mancato costo è un ricavo. Non direi. Non in un Paese che ha in realtà bisogno di investire moltissimo per non sostenere i costi ben più alti del restare indietro rispetto a chi ha saputo su quali risorse puntare e quali mete raggiungere. Un mancato costo è una forma miope di austerità che nulla di buono può portare in un paese che non ha la forza di guardare lontano, è un paradosso della parsimonia che non fa che generare ulteriore povertà. Un mancato costo è spesso un costo ancora più alto.

Un mancato dolore è un piacere. Forse. Se penso alle quattro cose di cui sopra riferite al mio piccolo mondo di individuo insignificante. E pure se penso a tutto il dolore che spesso mi ha procurato la ricerca di forme di piacere dipendente dagli altri. E poi boh...io quando mi alleno e mi sento morire per quanto mi fanno male gli adduttori, sapessi quanto ci godo :))). Chi lo sa, forse un giorno stilerò una lista dei dolori buoni e di quelli cattivi. Come il colesterolo.


La verità è che forse non saprei davvero dire quanto sia più auspicabile lasciarsi guidare dalle legittime ambizioni o dal rilassato fatalismo. Quanto ne valga davvero la pena. A tutti i livelli, dalla piccola e insignificante esperienza individuale a quella storica e collettiva.

A me Epicuro è sempre stato simpatico. Ma credo non lo vorrei mica come primo ministro greco....


lunedì 25 maggio 2015

È andata

Ormai è andata anche la seconda settimana di rientro al lavoro. Dopo il primo impatto traumatico, tutto ha ripreso il rassicurante ritmo di sempre. Bene così. Anche i colleghi antipatici, portatori di tensione e tristezza, sono magicamente spariti, o forse sono io ad averli cancellati così bene da non vederli più. Che bello pensare che l'umanità sia magnifica solo perché tu un giorno decidi che sia così o ti limiti a vedere solo quella che trovi bella e buona.

Il fatto che Nash sia morto così, con la sua amata e magnifica moglie, mi rende l'episodio dolorosamente suggestivo. Pure se a dirla tutta, quando ai tempi studiai la teoria dei giochi per uno degli esami più ostici che si fanno a economia, credo di avergliene tirate dietro quattro. Ma giuro che nell'incidente non c'entrano niente i miei accidenti, pure perché a quell'esame poi ebbi 30 anche grazie a lui. Riposa in pace splendido genio delle scelte ottime in condizioni di incertezza.

Le scelte ottime in condizioni di incertezza. Io mi accontenterei anche di scelte incerte in condizioni ottime

Boccuccia da pianto bambino per la non vittoria di nessuno dei tre splendidi film in concorso a Cannes. Un po' sono contrariata un po' e' la conferma che il cinema che mi piace e' giusto che non sia macchiato dall'istituzionalita' parruccona (macché!!! Meritavano di fare incetta di premi. Giuria farabutta).

Oggi non ho incontrato persone cattive. Poteva andare peggio. Poteva andare meglio. È andata



sabato 23 maggio 2015

Gap gender. O qualcosa del genere...

Alla radio sto ascoltando una trasmissione in cui si parla del solito virtuoso ed evoluto Nord Europa in cui la parità di genere è talmente applicata alla lettera, che i bambini -tutti- fin da piccoli imparano a cucire, lavare, usare il trapano e tutte quelle pratiche che li rendono individui autonomi. Nessun uomo considera scontato che la propria donna si occupi da sola delle faccende domestiche e ogni donna sa fare lavori di idraulica o può ambire a lavori di alta responsabilità pur avendo famiglia e figli.

Ecco. Nella mia fallimentare esperienza nei rapporti con l'altro sesso, la cosa che ho sempre avuto cura di notare è questa: il 100% dei ragazzi che ho frequentato ha sempre dato assolutamente per scontato che io dovessi preparare da mangiare per loro, lavare i piatti da sola e che questo sia una cosa del tutto normale. Ed è stato ancora più malinconico  quando si facevano scrupolo dei miei sforzi solo ai primi appuntamenti...e poi invece più nulla, anzi atto dovuto.
Alla fine ho sempre pensato che la decrescente stima che ho provato per gli uomini che ho frequentato affondasse le proprie radici in questa faccenda qua. Ad un un certo punto mi ritrovo a previsualizzarmi come la sguattera di un pantofolaio apatico ed egoista, incapace di apprezzare la propria donna, attento agli spiccioli....

E così in un scatto di orgoglio, apro gli occhi, smetto di preparare pranzi, le cose "stranamente" cambiano. La pacchia finisce. E pure le frequentazioni.
A questo punto la mia prova d'esame si conclude. Capisco, ancora una volta, di non aver perso nulla. Un po' mi dispiace e un po' mi dico che l'ho scampata bella....

Mi chiedo perché non ho mai pianificato un viaggio nel Nord Europa. È evidente che l'uomo della mia vita solo da quelle parti può stare.


Gadgets....(e altre cose necessariamente inutili)

Giuro che non ricordavo affatto del referendum, eppure la mia colazione di stamattina, e chi mi conosce sa che è la pura verità, sono stati due fish &chips al forno è un irish coffee. Non arriverò a leggere "gente di Dublino" per omaggiare l'Irlanda per il magnifico e invidiabile risultato di civiltà raggiunto, ma mi inchino e mi inchino mille volte, perché dalle mie parti chissà quando potrei farlo.

Altri hanno già sollevato il problema e devo dire che pure a me sta cosa manda ai matti. Mi riferisco al fatto che ormai da mesi noti marchi italiani di yogurt propongono lo yogurt "ALLA" greca, mentre noi ci incarogniamo tutte le volte che gli altri paesi vendono il "parmesan". Non riesco a capire...no no...

La promoter della Rio mare mi avrebbe regalato una tartaruga gigante di peluche, quella degli m&m's delle tazze rosse o gialle, quella della manzotin un tupper Ware, quella della lindt un abbonamento on line a donna Moderna....mi sono negata a tutte loro. Sono fuori dal tunnel dei gadget. Mai credevo possibile guarire da una simile ossessione. Però il tonno mi serviva....

Liberami del superfluo mi ha aiutato a capire ciò di cui avevo davvero bisogno. E così, dopo più di un anno a lavare i panni a mano, con nessuna esitazione ho rinunciato alla magnifica lavasciuga che mi pare quasi un'astronave. Le sono passata davanti e ho chiaramente sentito che mi diceva " Lucia, affrancati dalla schiavitù del lavoro domestico. Smettila di fare la minimalista freakketoneggiante. Sei ridicola. Comprami, portami da te, te li lavo, te li asciugo, a stirare non hai mai stirato..."
Come facevo a dirle di no. È stato in quel momento che ho capito quanto sia insidioso il senso della sfida, le pene che decidiamo di infliggerci perché pensiamo che ci migliorino e ci fortifichino. Non tutti i sacrifici ci rendono virtuosi. E stare bene non sempre è una colpa.
Mi pare ovvio. E invece ogni tanto me ne devo ricordare

venerdì 22 maggio 2015

Se Maggio facesse il suo lavoro....

Quando sono venuta ad abitare a Milano ho trascorso tre mesi da una anziana signora che era appena stata lasciata dal marito dopo quaranta anni di matrimonio. All'epoca la cosa mi turbò moltissimo, poi ho invece scoperto che è un fenomeno sempre più diffuso. Quello che però all'epoca mi colpì davvero era l'atteggiamento di quella donna. Mi raccontava che erano ormai moltissimi anni che la loro unione non aveva alcun senso e  quello che davvero le faceva rabbia e la mortificava era non aver preso lei la decisione per prima.

Mi sono ricordata di questa cosa quando ho ascoltato nel pomeriggio un'intervista a Ozpetek che raccontava un episodio analogo ed aveva più o meno le mie perplessità. Poi parlava del suo idillio d'amore che resiste ormai da quattordici anni e di cose correlate con l'argomento, tipo la necessità degli affetti per esorcizzare la morte.

Cosa spinge due persone che non si amano a stare assieme per quasi tutta una vita, per poi pentirsi negli ultimissimi momenti pensando di poter rimediare agli errori? E poi rischiare di morire soli.
Quanto coraggio ci vuole ad ammettere un errore prima che sia tardi? E quanta paura si deve provare nell'ammetterlo quando ormai non ha più senso?

Sarà che ho ancora in circolo quel capolavoro di Sorrentino, che non parla esattamente di vecchiaia e  di rimpianti. Parla coscienza di se' in quanto individui che si compiono solo con l'appartenenza, con una qualche forma anche folle di declinazione affettiva. Con l'amore.
Poi ci stava pure una parte molto interessante su noi mancini che non mi ricordo alla lettera, ma che faccio mia lezione di vita...una roba sulla necessità per noi di essere "distorti" che sennò le cose non
ci vengono bene. Ma questo vale solo per noi che siamo sempre "contromano"....

Oggi mi sembra Novembre. Se Maggio si comportasse da Maggio, penserei a tutt'altro.  Me ne sarei andata ai Navigli che oggi comincia piano city. 

mercoledì 20 maggio 2015

Io, tu...le rose...le spine...i biscotti...fate voi....

Sono giorni complicati. Si vive alla mezza giornata. Che è già qualcosa se non ha ancora fatto la fine della mezza stagione. Partivo da questa amarissima costatazione meteorologica, perché davvero passare un intero giorno fuori significa cominciare in canotta e occhiali da sole e finire col piumino e l'ombrello,  per rendermi conto che lo scandire dei giorni di un mese che "promette", che spinge alla pianificazione e ai progetti trova il suo senso nelle rose ancora da cogliere e le spine che invece hanno già punto.

Io lo sapevo che sarei ritornata ai miei vecchi schemi. Che mi sarei alzata di nuovo alle cinque per fare sport, per prepararmi tutti i pasti della giornata, che avrei smesso di mangiare carne. Che ci sarei rimasta male per tutto quello che invece avrei voluto cancellare.

In realtà io credo nel cambiamento. Credo nel potere della forza di volontà e che si possa decidere di scoprire di essere tutt'altro da ciò che abbiamo deciso o immaginato di essere. E in realtà davvero io sono cambiata, pur facendo esattamente quello che facevo prima. È cambiato l'approccio alle cose, il modo di vivere il tempo in cui le faccio, la coscienza di tutte le mie azioni. Tutto è cambiato pur restando come era.
Ma che c'entra questo con maggio, le mezze giornate, la pianificazione...che ne so, io sono brava a pianificare giusto la spesa settimanale col volantino davanti, che è il solo arco temporale che posso tenere sotto controllo.

 Ci stavano i Mc vities in offerta. Si sono permessi di proporre i biscotti più buoni dell'universo con delle immonde farciture che stravolgono totalmente la purezza adamantina del prodotto originale. Ci sono cose che non devono cambiare, che non vogliono aggiunte, arricchimenti, riproposizioni. Ci sono cose per le quali il valore del cambiamento può soltanto essere concepito di riflesso, quando un'anima affine ne valorizza la natura. Nel latte, nel caffè, così come sono. Ma per favore niente farcitura.

Sii tu il vero cambiamento. Che io c'ho già il mio bel da fare a cercare di restare più o meno così come sono...


martedì 19 maggio 2015

La regola di quale arte?

Di solito laTriennale mi piace da impazzire. Ma adesso, la cosa che sia l'unico padiglione Expo all'interno di Milano me lo rende un luogo meno suggestivo e  troppo posticcio.
Ho appena assistito ad una lezione di cucina per la preparazione di un piatto totalmente improbabile raccontato da Alessandro Borghese, quel ragazzo piacione che credo lavori a Sky e a real time.
Non lo so perché sono qui, non lo so perché davanti a me c'è l'allestimento della storia della Mc Donald ( cioè il Mc ha già una storia?!?!?) e una mega esposizione di saliere di tutte le forme possibili....
 Qui gli avventori sono tutti strani, hanno delle collanone strane, l'aria  assorta, fanno finta di leggere gli opuscoli e i programmi....ma secondo me quello che tutti vogliono davvero è accaparrarsi il numero maggiore possibile di grissini gratis ricoperti di cioccolato.

Tra poco farò la fila per fare il pancotto. Quando mi sono prenotata non sapevo neppure di cosa si trattasse. Tuttora non lo so. Sono venuta qui direttamente dal lavoro, non me ne importa niente di quello che ho visto e fatto fino ad ora. Forse tra poco piove e io manco ci volevo venire fino a qui.

No. Non lo dire. Queste domande banali del tipo "ma chi ti ha costretta" non si fanno. Vengono qui da tutto il mondo, ci sono ovunque occhi orientali pieni di stupore e di curiosità, ci sono le istallazioni del Mc Donald, ci sono le saliere, ci sono i grissini...
...Lucia, se tutto questo non ti fa venire gli occhi orientali pieni di stupore e meraviglia è un problema solo tuo



lunedì 18 maggio 2015

Magari è tutta colpa mia ( breve sfogo da disagio misantropico)

Niente. Non ce  la fa. Pare che per certe persone con cui ho avuto a che fare un po' più del normale "oh ciao, tutto a posto? " , "si tutto a posto" , "bene bene. Allora ciao"...dico, quando vado oltre queste battute dalla sceneggiatura non proprio sofisticata, le persone con cui un tempo ho condiviso delle esperienze, pare si sentano in diritto di mostrarsi ai miei occhi come degli idioti olimpionici. Ho un fluido speciale nel trovare questa gente qua....

Passi pure che vuoi far finta di non sapere che mi sono assentata per più di un mese  perché mi sono operata, ma poi perché quando mi vedi mi chiedi se sono caduta? Pezzo di idiota di collega. E' davvero avvilente scoprire che persone che ritenevi intelligenti e interessanti, in realtà all'improvviso e senza fondati motivi, si rivelino irritanti, insulse e immotivatamente dispettose. Mi chiedo cosa mi sfugga di queste dinamiche. Cosa dovrei intuire, come dovrei reagire, dove starebbe il gioco psicologico...
Io ce la metto tutta ad evitarlo, ma poi succede che ho bisogno di un caffè e alla macchinetta prima o poi te lo ritrovi...e ti scrocca pure il caffè...

Alla fine credi di averla imparata la lezione. E invece no. Decidi che ci sono persone che speri siano come pensi. E invece sono come di quel solito deludente tipo di cui ti accorgi puntualmente un po' tardi. E liberartene è faccenda tutt'altro che scontata.

Poi dice che una si stufa, che preferisce farsi compagnia da sola...ma se il mio talento si risolve in questi soggetti....forse il problema è davvero tutto mio...


domenica 17 maggio 2015

Per le altrui scale...ma basta anche solo la Scala

Sono quasi certa che non vivrò a Milano per sempre. Non prevedo allontanamenti imminenti, ma sono ragionevolmente convinta che, fermo restando la mia attuale condizione, non concluderò la mia esistenza in questa città.

Da quando sono andata via di casa, ormai un'eternità se non considero il triennio di dottorato, ho sperimentato la vita in molti posti parecchio diversi. Forse le Marche sono state il luogo dove ho davvero pensato di trovarmi in un piccolo Eden. Sì il periodo ascolano mi è proprio rimasto nel cuore, come tutte le magnifiche persone conosciute e amate in quel periodo. Però è dal mio approdo in terra padana che mi si è aperto l'universo di spunti che dalla mia stanzetta campana aveva solo i tratti vaghi dell'utopia malinconica.

Io a questa Milano sono agganciata come certi ciondolini appesi agli zaini degli adolescenti: sbattuti in ogni direzione, buffi, ma in fondo questo solo sono tenuti a fare. Ecco io faccio così. Mi lascio guidare verso posti impensati e non capisco come riesca a decidere di prenotare persino  una lezione di "mug cake " in Triennale o un incontro sulle regole d'oro per il pancotto ( che cavolo è il pancotto, perché ho deciso che mi interessa saperlo?!?!)...o a farmi scapicollare in un cinema di periferia dove danno un film su dei malati di mente che hanno fatto un viaggio a Pechino e dopo c'è l'incontro con il regista ( napoletano) che ne parla, assieme ad alcuni dei "protagonisti". E poi tengo la casa davanti al parco...non so se ho sognato di più questa cosa o il mare. E poi il Carroponte che da quando so che esiste è la mia vera estate. Niente più ferie in luglio e agosto ormai.

...Però Milano bella anzi bellissima...capisci bene che per quanto  tu mi sia più seduttiva di una Circe navigata, io non ti posso dare proprio tutta quanta la vita mia. Non sarebbe nella natura delle cose e non dipenderebbe solo da me.
Detto questo, città dalle mille risposte, mi spiegheresti come si fa? No perché in realtà pur volendo accettare un tempo medio lungo di ritorno in terra natia, io mica avrei un'idea di come si farebbe...o Persino Ulisse si è guardato bene dal passare di qua perché aveva già capito che non era aria...








sabato 16 maggio 2015

Sotto pressione (divagazioni sconnesse di un'aspirante ipertesa)

Oggi la mia pressione è proprio bassa bassa. Doppia dose di Gutron e speriamo di rimanere in piedi che devo fare un sacco di cose. Dice che la pressione alta è una malattia del benessere, che nessuno ne soffrirebbe se conducesse uno stile di vita sano e senza eccessi. Non mi risulta che invece per la pressione bassa ci siano ragioni particolari legate allo stile di vita, e quindi mi viene solo da fare una deduzione linguistica fin troppo elementare: è giocoforza una malattia del malessere...da cui forse il termine depressione. Ovviamente sono mie supposizioni meramente lessicali, non supportate dal alcun fondamento scientifico o letterario. Fesserie a gratis...mi si scusi

In realtà perdere i sensi non è sempre una brutta sensazione. Dico davvero. Se hai il tempo di capirlo e accompagni la caduta per attutirne il colpo, o sei hai la fortuna di poterti accasciare su una superficie morbida, beh allora "assentarsi" per un po' in modo repentino e non perché si ha bisogno di dormire, ha una sua strana magia. Come a dire, ho l'occasione di non-essere, di non vedere e non sentire nulla. Non voglio saperne mezza di niente e siccome non so fare la meditazione trascendentale, mi rimane solo questa cosa qua. Sperimento il coma per qualche istante e poi riprendo coscienza e riaccetto il patto dell'esistenza. Ci mancherebbe che non lo riaccettassi.

Se sono sicura che funziona sempre così mi pare una gran bella cosa. Ma non è mica detto. Se la pressione non è abbastanza bassa, si rimane svegli ma senza forza, fa male la testa e ci si stanca subito. Se la pressione è bassa, agli occhi degli altri sembriamo mosci, alla meglio calmi e miti e invece è solo perché non ce la facciamo a dirgliene quattro per le rime. La pressione bassa mi aiuta ad avere un buon carattere, a sembrare una persona migliore, a frenare i miei istinti. Gli altri pensano che sia una persona dolce.
E invece è solo perché non tengo la forza di infuriarmi come l'ipertesa che è in me




giovedì 14 maggio 2015

Un posto a tavola.

Quando mangio il tonno direttamente dalla scatoletta penso che mi sto facendo del male senza però capire subito che tipo di umiliazione mi stia infliggendo. La premessa è che questa è una cosa che faccio piuttosto spesso e la condizione è che io sia l'unica invitata alla mia tavola. In aggiunta ci deve stare che non ho alcuna voglia di cucinare e neppure di lavare i piatti.

Il tonno in scatola è forse il mio piatto preferito da quando ho smesso di mangiare solo ortaggi. E poi, da quando la Rio mare ci ha messo pure il contorno di fagioli o piselli potrei anche decidere di boicottare per sempre l'elettrodomestico più indispensabile che ho, sua maestà il microonde

Ho sempre usato il servizio buono di piatti per chiunque abbia messo piede come commensale in casa mia. Ho passato ore e ore tra ricerche degli ingredienti migliori, elaborazioni di ricette complicatissime, combinazioni auspicabilmente raffinate di pietanze...per tutte le volte che ho invitato qualcuno ad assaporare i miei piatti. Non potrei immaginare di fare diversamente per chiunque sperimenti un pasto preparato da me.
Il tempo dedicato è il supremo atto di altruismo che si possa compiere e se questo tempo è anche speso per un gesto primordiale come quello di alimentare è il valore del gesto stesso che "lievita"

Ecco. Ora ho capito. Ho capito che tutte le volte che mangerò il tonno, ricavandone un certo e indiscusso piacere, devo ricordarmi almeno di metterlo nel piatto più bello che ho, prendermi la briga di tagliare due pomodorini, condirli a regola d'arte e accompagnare il tutto con del pane fresco con i sesamini sopra. E mi devo pure ricordare di fare tutto con la dovuta calma. Alla fine mi renderò conto che non avrò sporcato nessuna pentola e che mi resteranno soltanto un piatto bello da lavare e
un'ospite felice :)
P.s. Le foto sotto sono i miei ricordi maldiviani....no...non sono fuori tema....riguarda sempre il volersi bene e il trattarsi come si deve a tavola. Pure se  è una tavola lontana lontana...:)

mercoledì 13 maggio 2015

Dello star comodi a fatica

Sono belli. Quando non vogliono che capisca parlano arabo. Litigano come pazzi e poi all'improvviso smettono e ridono. Mi hanno fatto dei lavori di ristrutturazione proprio belli, forse hanno impiegato più tempo del dovuto, forse mi hanno pure chiesto un po' troppo... però se ogni tot di anni non rifaccio trucco e parrucco alla mia tana mi pare di non sentirla più casa mia.

ora è tutta verde, ho fatto fare un gigantesco armadio a muro dove metterò la metà degli abiti che avevo prima, perché nel frattempo che metto a posto provo pure a mettere via. E poi il bagno bello bello in modo assurdo...

Sono anni che l'appartamento adiacente al mio è stato messo all'asta dopo un esproprio. Ormai lo danno via praticamente gratis. Tutti mi dicono "prendilo. Quella casa è lì apposta per te". No. Io non voglio una casa più grande. Cosa se ne fa una persona sola di una casa in cui potrebbero starcene quattro? Dice: ma staresti tanto più comoda. Io non voglio stare comoda. la comodità è una zavorra che progressivamente tiene inchiodati al divano di fronte alla TV con cibo spazzatura. La comodità appanna i sensi, invoglia alla pigrizia, fa passare la voglia di uscire e di abbattere i muri, fossero anche semplicemente quelli delle proprie pareti.

Penso a tutte queste cose e intanto mi spiego quasi tutte le altre...sulla manutenzione e sulla fatica che si fa per contrastare i cambiamenti che non ci piacciono e che pure semplificherebbero quasi tutto. Sull'idea che uno si fa di luogo che non sia troppo comune. Sulla difficoltà di essere se stessi in uno spazio e  in un tempo che vorremmo sentire più nostro con aggiustamenti, sottrazioni e aggiunte



lunedì 11 maggio 2015

questa è la mia strada. L'uscita

Pregusto già da qualche giorno il momento in cui tornerò in ufficio. Manco da un tempo incalcolabile e sarei una bella ipocrita se dicessi che non ne ho ricavato un beneficio molto più che proporzionale alla sofferenza di una operazione e ai disagi di una casa in ristrutturazione.

Non amo il mio lavoro e non ne ho mai fatto un segreto. Lo benedico, ne colgo il valore incommensurabile che rappresenta oggi più che mai, sia concettualmente che pragmaticamente. Ma non lo amo. Non favorisce in alcun modo la mia crescita individuale. Non mi appassiona. Non mi interessa. Lo faccio. Non perdo tempo alle macchinette del caffè , non mi nascondo in bagno, rispondo sempre a telefono, chiamo sempre per l'attività di sportello, cerco di portare a termine tutto quello che mi si dice di fare....
 Ma la vera liberazione è la fine della giornata di lavoro. È così da sempre. Non è una cosa che mi è venuta dopo anni di lavoro. È una smania  da "dopolavoro" che ho sviluppato dalla prima ora del mio primo lavoro.

Eppure per me non può che funzionare così. È una cosa che ho imparato ad accettare fin da subito. Il paradosso che mi accompagna è che io in realtà vivo per lavorare. Non il contrario. Io vivo principalmente per quel l'attesa compressa da un tempo che non mi da scelta, perché altrimenti niente del tempo che mi rimane riesce ad acquistare lo stesso sapore.

Forse è per questo che in realtà non vedo l'ora di rientrare in ufficio.
È insopportabile la mancanza di quella benedetta, salvifica, "proiettiva" timbratura d'uscita

domenica 10 maggio 2015

meccanismi di compensazione ( teoria per una esistenza sostenibile)

Quanto è bella la nuova Feltrinelli in piazza Duomo. E quanto ti piace scoprire che i pochi Philip Roth che ancora ti mancano sono a meno 20%  e mancano pochi metri per prendere il sole al Sempione e hai con te la pasta con le zucchine per un pic nic vegano-casereccio.

Come si fa a non accorgersi quanto sia facile. Non ho mai commesso reati "di espressione " gravi come quello di dire a qualcuno "buona vita", se dovesse accadere mi presenterò io stessa alle autorità chiedendo pena esemplare. Però l'ho sentito troppe volte da non averne subito la tossicità. Una volta ho sentito uno che mi diceva che De Andre' è una palla e mi risulta che sia ancora vivo, ma spero che le mie orecchie non abbiano mai più a soffrire tanto. Una volta sono uscita con uno che mi ha chiesto se potevo offrire io, lo feci nonostante all'epoca io non lavorassi e lui si...

Insomma credo di avere dato tante valide prove per definirmi una brava persona. E credo che una giornata di sole come quella di oggi, in cui tutto mi pare funzionare esattamente come deve, sia venuta a dirmi che questa panchina, questa magnifica luce e la Feltrinelli e Philip Roth si sono dati appuntamento oggi, qui, solo per stare con me, a compensazione di tutta la piccola tolleranza quotidiana di cui ho dovuto attrezzarmi e che ancora mi servirà assai. Prima di diventare completamente matta.

venerdì 8 maggio 2015

Mamma mia...

È che proprio non mi interessa. Niente, ci penso, ci ripenso, mi chiedo come potrebbe essere. Niente. Ci sono cose che senti di non volere e  lo fai a dispetto di tutto, delle convenzioni, di una certa morale dominante, di una retorica dei sentimenti, di un presunto istinto, di un ma tu non puoi saperlo finché non provi.
Ci sono cose che senti e basta e che non ritieni di dover provare. Lo sai che non le vuoi ed è giusto così.

Volere un figlio non è un fatto scontato. Io non ne ho mai voluti. Mai mai. E non perché non mi piacciano i bambini, non perché sono una cupa e malmostosa pessimista, non perché nessuno mi abbia mai ispirato questo desiderio. No. È che proprio che la maternità è un ruolo che non mi appartiene e che non trovo invidiabile. E perché non ho mai davvero compreso la disperazione di quelle donne che si sono sottoposte a qualsiasi forma di tortura pur di soddisfare questo desiderio. Io non lo farei mai. Forse davvero si tratta di un'esistenza meramente fisica, visto che si può declinare la maternità in mille modi a prescindere da una "fabbricazione in proprio". Una volta uno mi disse che bisognava fare figli perché altrimenti li fanno solo gli extracomunitari e l'italiano si estingue...no comment. Un'altro continua a fare figli perché tiene solo femmine e vuole pure il maschio....????...un altro perché non saprebbe a chi lasciare le sue sostanze 😣...e un sacco di gente semplicemente perché così va il mondo...prendo atto e vado avanti.

Non è la prima volta che parlo di questa questione. Mi ricordo che nel vecchio blog, ormai quasi dieci anni fa, quando dissi questa cosa più o meno in questi termini, mi arrivarono una raffica di violentissime invettive. Non ho mai capito perché. Perché una donna dovrebbe sentirsi in colpa se il suo desiderio di tenere qualcosa in braccio rimane appagato già con un cucciolo di micio?

Stasera butto. Poi faccio di tutto

Come si fa a non volergli bene. Sono in casa con i miei operai di fiducia, un piedino che mi fa ancora un discreto male e un casino totale che mi fa sognare l'ultima scenaa di Zabriskie point...
Ma io a questi ragazzi belli, ma belli che la metà basta, allegri e gentili, che lavorano in modo preciso ed efficace, beh io a questi qui mi ci sono proprio affezionata.
Non oso pensare quando saranno andati via, quando la casa ormai trasformata non mi riserverà più sorprese, quando sarò sola a pulire tutto, a buttare la metà delle cose che hanno perso il diritto di ingombrare il mio rinnovato spazio. Infatti, non oso pensare.
Come è bella la gente che ricostruisce sulle macerie, intendendo per macerie tutto ciò che non ha più una sua vera funzione, d'uso o emotiva. Io al massimo le sposto da una parte all'altra, ma non mi riesce mai di liberarmene veramente. Invece quando decidi di cambiare la forma del contenitore, pure il contenuto è costretto ad adeguarsi. E cosi finalmente ho buttato un vecchio armadio in fondo al quale era annidata una quantità enorme di abiti di un tempo remoto ( mi stanno ancora tutti, sia chiaro :)) legati al periodo in cui ero appena approdata a Milano, che vestivano una persona che ormai mi farebbe tanta tenerezza e che forse all'epoca non ho trattato con la giusta indulgenza. Poi c'ho trovato un pupazzo di snoopy, tenuto li sotto per paura che la polvere lo alterasse, regalatomi da una persona poi rivelatasi orribile. Non ho alcun motivo per tenerlo ancora, nonostante sia carinissimo. Farà felice un bambino. Di certo molto di più di quanto abbia fatto con me. In uno dei cassetti ho persino trovato un vecchio biglietto per uno spettacolo di Rezza. Uh, che serata magica quella....ma tanto non la dimenticherei a prescindere.
Quante cose è capace di contenere una casa così piccola. Quanti sentimenti materializzati in piccoli insignificanti oggetti è capace di imprigionare per ricordarci con quale piede siamo partiti e che andantura abbiamo tenuto.
Io voglio buttare tutto....quasi tutto....ma sarebbe meglio tutto. Ho deciso di essere non solo quello
 che sono stata, ma pure quello che ho deciso di non essere più. Ora vado a svuotare i cassetti, che c'ho troppi sogni che ne sono rimasti fuori

mercoledì 6 maggio 2015

Se non è amatoriale non è. Con tutto il mio cardio

Ci devi mettere cuore. Così mi diceva uno che voleva che provassi gusto nello sforzo e nella difficoltà. Mi diceva che non c'era modo di decidere di non mollare quando si è troppo stanchi per trovare la voglia di andare fino in fondo. Il cuore.
Pure se non c'è lo metti i risultati possono arrivare, ma non è la stessa cosa....
Io non credo nella retorica dell'averci provato. Per me i risultati contano e se faccio una fatica io pretendo un ritorno del mio investimento in fatica che sia più che proporzionale. Però se quello che fai ti è soltanto utile e non anche interessante...eh beh...quanta desolante malinconia...
Quando ho cominciato a fare sport, lo facevo solo perché garantiva una bella forma fisica e questo me lo rendeva una pratica ostile e terribilmente faticosa. E così un giorno ho provato a non considerarlo un mero bruciatore di calorie, ma piuttosto nella sua accezione "filosofica". Lo sport come progressivo superamento dei propri limiti, come spinta verso un altrove"mistico". Lo sport come "motivatore" per affrontare il quotidiano con uno spirito diverso. Mi chiedo come farei oggi, senza tutta quella dopamina che mi mette in circolo e che mi rende tollerabile praticamente tutta la mia vita da sveglia. Ci vuole cuore. Un cuore sano che regga la fatica e un cuore appassionato che riesca a benedirla tutti i santi giorni

martedì 5 maggio 2015

Se ci metti la faccia, poi perché te la togli?

In linea di massima bisognerebbe fare così: impedirsi il giudizio almeno su faccende che in alcun modo incidono nella nostra vita, nella storia, sulle generazioni future, o sono lesive della dignità. Si come no. Ma se da stamattina non riesco a sapere altro sui social se non che Gabriel Garko, la cui unica qualità era quella di essere esteticamente perfetto, si è talmente dato al Botox che il suo codice genetico sta ispirando l'ultimo romanzo di Dan Brown... questo sì che si può definire dolore collettivo. In realtà un po' di tempo fa ci sono cascata anche io: assistere alla metamorfosi "indotta" di quella strepitosa attrice che all 'inizio del duemila animava Bridjet Jones e che mi dipingeva in modo così preciso, mi ha procurato una fortissima crisi di identità. Era un po' come se non riconoscessi più me stessa. Credo che sia stato allora che ho smesso di essere certa che presto sarebbe arrivato anche per me il mio Colin Firth.

Ecco, io credo che esistano dei cambiamenti che solo apparentemente non ci riguardano, e invece capitano per ricordarci che la nostra identità si forma attraverso una miriade di innesti con cui moltiplicare la possibilità di essere sempre più noi stessi. Sempre più noi stessi ma solo attraverso gli altri. Ma se smetto di riconoscerli come parte di me io mi sento tradita e tradisco me stessa.

A me il cambiamento in realtà piace assai. Ma ci vuole metodo e onestà. Ci vuole che capisci prima cosa sei e come ci vuoi arrivare. Bridjet Jones non era solo un film dove una donna buffa faceva i conti con i suoi fallimenti grazie ai quali trovare chi ne facesse motivo d'amore. Quel film era il lamento malinconico di una generazione intera di donne che a quella goffa e tenerissima donna avevano affidato il compito di farle luccicare.

Tutto questo per dire cosa? Tutto questo per dire...ah sì...che se Gabriel Garko vuole diventare il sosia di Eva Grimaldi per me va bene. Io sono troppo occupata a sostituire la mia Bridjet Jones

lunedì 4 maggio 2015

Del fare spazio in quello che ho già

È la seconda volta in cinque anni. Vivo in un bilocale piccolo piccolo alla periferia sud di Milano da poco più di cinque anni e una delle mie ossessioni più adrenaliniche è immaginare modalità sempre nuove di gestione del mio piccolo spazio: sistemi di isolamento moderni, soppalco, armadio a muro, posizionamento strategico dei mobili, adesivi coreografici alle pareti....essi perché so' buoni tutti a fare gli estrosi nelle case grandi. La vera sfida è tentare di impreziosire uno spazio limitato cercando di valorizzare al massimo lo spazio e la possibilità di viverlo comodamente.
E io di fare questa cosa qua non smetterei mai. Pure se per almeno una settimana vivrò in un casino totale, fianco a fianco con i miei operai egiziani ormai di fiducia, e pure se quando tutto sarà finito il secchio e lo straccio saranno la sola coppia riuscita con cui mi confronterò per scoprire il segreto di un rapporto che funziona.

La verità è che pur potendo pensare ad una casa più grande io sento invece il bisogno di una casa che sia sempre più mia. E quando rifletto sul fatto che il piccolo spazio che ho mi è in fondo sufficiente, mi rendo conto che è addirittura troppo quando comincio a liberarmi di tutta quella inutile paccottiglia accumulata negli anni.

Negli ultimi tempi sta spopolando un libro che si chiama "il magico potere del riordino" che aiuta a liberarsi delle cose con un metodo assolutamente strepitoso: sostanzialmente bisognerebbe tenere solo le cose che ci restituiscono una reale emozione. Tutto il resto è perfettamente inutile e quindi da buttare.
Mi sono resa conto che dalla mia piccola casa sta per uscire un sacco di roba. Dunque sta per entrare un sacco di spazio

venerdì 1 maggio 2015

C'era una volta il primo ed il primo era maggio

Piove da stamattina qui a Milano. A quest'ora tutto quello che c'era da sapere di quanto è accaduto è ormai cosa nota. Cominciano finalmente i sei mesi nei quali indovinare la svolta epocale a cui l'umanità assisterà a colpi di ricette di Bottura. E così, mentre le alte cariche inaugurano, soltanto in italiano (!!!!) l'esposizione universale, nel centro della città 500 deficienti tentano con un certo successo di devastare le strade meglio messe di Milano.

Io non ero lì dove tutto questo accadeva. Ho passato due ore magnifiche della tarda mattinata qui in casa con due ragazze molto simpatiche. Poi loro sono andate via e io ho cucinato cose per una settimana intera, interrogandomi senza abbastanza curiosità  su cosa stesse bollendo nelle pentole del padiglione tailandese. Poi ho ascoltato un pezzo del concertone e mi sono chiesta come sia possibile che non ci si sia ancora stancati di questi primi di "maggio-fotocopia" che parlano una lingua vecchia, impoverita e fasulla che tratta vecchi temi con metodi arcaici.

Non c'è niente di quello che è accaduto oggi che evochi un'aria nuova, che giustifichi il mettere il naso fuori di casa anche oggi che piove, che la disoccupazione ricomincia ad aumentare, che l'Expo ridendo e scherzando alla fine eccola qua e con una certa presunzione cerca di farti scordare come ci è arrivata.
Mi pare una bella cosa non avere voglia di spaccare tutto, di non voler buttare trenta euro e passa per vedere come coesistono nello stesso spazio Eatly e il McDonald, di non sognare più di essere al"concertone" perché tanto Bertoli non c'è più da un pezzo e "Lo Stato Sociale" vengono pure al Carroponte tra pochi giorni.

Ci vuole un bello stomaco a pensare che il primo maggio sia ancora un giorno di festa. Ma ce ne vuole ancora di più ad accettare che sia diventato un giorno come tutti gli altri senza che sia stato fatto abbastanza per impedirlo