Sola andata

Sola andata

venerdì 28 ottobre 2016

Cosa è successo? Niente, ma direi che può già bastare

Mi ero ripromessa di fare questo esercizio non prima dell'ultimo giorno dell'anno. Ma poi mi sono detta che ne ho voglia adesso e che i tempi sono ormai maturi per costruire la traiettoria di un percorso di cui ho deciso di lasciare traccia con regolarità sufficiente per riuscire ad estrarne degli elementi significativi.

Stasera ho passato in rassegna tutti i miei post di quest'anno, ho preso degli appunti per ciascuno di essi e li ho catalogati per macroaree tematiche. A stupirmi non sono stati tanto i temi trattati : ormai mi conosco abbastanza bene da ricordare che le mie materie d'elezione sono sempre le solite, quelle che oscillano tra vana ricerca del compagno della vita ideale e il gusto dello starmene per conto mio, i film, lo sport...cose così che trovano nel racconto del mio quotidiano oggetto di appunti e ricordi più o meno cari. Quello che davvero mi stranisce è la maniera con cui rivivo oggi quelle esperienze che raccontavo allora, dopo il tempo e l'elaborazione, dopo che altre cose si sono sovrapposte e nuove scelte sono state prese. E non lo so se sia un esercizio sano. Vediamo...

GENNAIO
Ho cominciato l'anno buttando via le cose che ritenevo superflue ma da cui facevo fatica a separarmi. Ne ho fatto una metafora catartica e l'intenzione di dare spazio a tutto ciò che è davvero importante. Ho coniato il verbo "decumulare"
FEBBRAIO
Vedevo un cartone americano che mi faceva riflettere sull'imperfezione di ogni rapporto fino all'inevitabile fallimento di ogni pretesa di assoluto. 
Facevo chiarezza su un mio personale equivoco durato tanto tempo e ho capito che i baci caratterizzati da "asimmetria affettiva" sono un piccolo crimine che non voglio commettere mai più.
Vedevo perfetti sconosciuti
Febbraio mi pare di ricordare che sia stato un mese faticoso...
MARZO
Comincio a correre con altre persone.
Scrivo un post al vetriolo su un collega che scatena un insospettabile clamore di cui oggi non vi è che qualche impercettibile traccia
APRILE
Scrivo un post sulla gelosia che sottoscrivo ancora adesso parola per parola. Se amo sono gelosa. Chi mi ama davvero non deve far altro nella vita che evitare che io lo sia. Sento gli applausi e il sorriso beffardo del vincitore a tavolino di signora Solitudine a questa dichiarazione...
MAGGIO
Malinconia da cambio di stagione. L'idea che Bernie Sanders potesse realizzare l'utopia del 
socialismo al potere in America...
GIUGNO
Una contrattura alla spalla che mi ha fedelmente accompagnato fino ad oggi, un viaggio in Portogallo  perfetto e una parola nuova "phubbing", ovvero l'interesse per il proprio smartphone piuttosto che per chi ti sta vicino. Mi si è aperto un mondo e poi l'ho immediatamente richiuso per rifiuto e frustrazione
LUGLIO
Comincia la mia vacanza a Milano, accompagnata alle mie solite elucubrazioni esistenziali che tanto terreno fertile trovano nella quiete della città semivuota. Equilibrio instabile, destino e azione come parole chiave
AGOSTO
Arrivarono i 40 anni
SETTEMBRE
Separazione di due attori americani che non ho mai trovato interessanti in quanto coppia. Io che corro, che comincio a divertirmi di più con cose e persone nuove, che non ho più voglia di permettere
 a qualcuno di offendermi con i miei tentativi ingenui di fiducia mal riposta, mentre continuo a fare spazio senza cercare di riempirlo di nuovo. Io che provo a cambiare meta.
OTTOBRE
Le scarpe nuove. Le mete si cambiano più facilmente con scarpe nuove e un passo diverso

Mancano  soltanto due mesi. Cosa mi ha voluto dire quest'anno mi pare già abbastanza chiaro. Direi che potrei provare ad usare questo tempo residuo come preparazione all'anno che verrà. Una specie di anteprima. Ci sarà pure un trucco per far finire prima un anno come questo del quale, non so come, ho annotato tutte queste cose? Come dici? Chi mi garantisce per un 2017 diverso? Addirittura...e cosa altro può "non" accadere?


lunedì 24 ottobre 2016

La mia teoria sulle dipendenze: dipende

Ci sta una regola fondamentale che viene insegnata alla scuola di running che frequento il sabato mattina ed è questa: non ha nessun senso decidere di cominciare a correre se prima non si ha in mente un obiettivo preciso. Uno solo, ma deve essere molto chiaro e perseguito con metodo e continuità. Sì, può sembrare strano eppure uno sport apparentemente così semplice e ancestrale in realtà può essere declinato in una infinita di modi, partire dalle motivazioni più disparate e perseguire i più improbabili scopi. Si comincia a correre per dimagrire, per elaborare un dolore, per mettersi alla prova, per guarire dalla depressione, per imporsi delle sfide progressive, perché è liberatorio, perché aiuta la concertazione, perché mentre corri ti conosci e ti ascolti come non ti succederebbe mai, perché consente di affrontare la giornata, la vita, gli altri con tutto un altro ritmo. E perché quella storia che la corsa crea dipendenza alla fine è proprio vera.

Non sono mai stata pregiudizialmente contro tutte le forme di dipendenza. Ce ne stanno alcune che vorrei che fossero tali fino al punto di diventare delle ragioni di vita e per le quali può non anche non essere sano avere il senso della misura. Penso a chi divora continuamente libri, agli impallinati di cinema, ai melomani. Ci sono magnifiche ossessioni che non giustificano alcuna regola, da cui dipendere totalmente senza timore di sentirsi schiavi ma anzi in cui sentirsi liberi soltanto così, coltivando con cura pervicace e inarrestabile quel tarlo che si insinua dentro di noi in momenti insospettabili o con cui conviviamo da sempre come una folgorazione dalla nascita.
Mi piacciono le dipendenze frutto di una scelta consapevole o di un approccio naturale e inevitabile. Si tratta di una faccenda che non ha nulla a che fare con l'alterazione artificiosa della volontà. Quella è un'altra cosa, spesso gestita da altre categorie o entità a cui conviene renderci fumatori, alcolisti, giocatori d'azzardo, mangiatori compulsivi, drogati.

Una volta una persona mi ha chiesto quanto contasse per me la bellezza. E io risposi che, siccome per me la bellezza è qualsiasi cosa che non contraddica l'intelligenza, conta moltissimo. Arriverei addirittura a pensare che bellezza e intelligenza siano esattamente la stessa cosa. Nessuna delle due si consegue per meriti, si ricevono e basta. Quello che le rende sublimi è il modo di servirsene e renderle funzionali a se stessi e al mondo. La bellezza di una passione autentica si esprime con l'individuazione lucida di uno scopo. E l'intelligenza del percorso sta nella fascino del risultato finale. È la lucida follia delle ossessioni a salvarle dalla banalità.

E così ho pensato che ognuno di noi dovrebbe scegliersi con cura una qualche personalissima forma di schiavitù nella cui dipendenza possa riuscire a trovare la propria cifra e la sua personalissima forma di libertà.

Per il momento io mi sono scelta la corsa. Ma la questione è ancora controversa, perché se è vero che l'obiettivo mi è chiaro e la motivazione è forte, sento di fare ancora troppa fatica per decidere di non mollare mai e raggiungere i miei obiettivi dalle lunghe distanze. Ma poi insisto, ci riprovo, resisto sempre e dopo mi sento come mi è impossibile sentirmi senza tutto quell'infame affanno.
 E così ho capito che in realtà io non dipendo propriamente dalla corsa. Quella la eviterei volentieri se potessi. Io dipendo solo da quello scatto finale terribile ma fatto di pochissimi istanti prima dei quali so che sarà tutto finalmente finito.
 E poi penso che questa sia davvero una gran fregatura...





venerdì 21 ottobre 2016

Siamo quello che siamo (oltre a quello che proviamo a non essere) #1

Quello di evitare di manifestare apertamente certe mie resistenze ai valori mainstream più consolidati è un esercizio che ho imparato a ripetere spesso. Lo faccio per quieto vivere e perché io stessa non concordo con le mie sensazioni. Però riconosco che è una gran fatica e sto cercando rimedi alternativi di libera espressione del mio sentire più autentico.
Da tanto tempo mi sono ripromessa di non litigare più col collega di stanza per le inaudite scemenze che in nome del suo credo porta avanti come argomenti asuo parere validi su temi come l'aborto, l'obiezione di coscienza, le aperture domenicali dei supermercati e così via su questioni che difende arrampicandosi su tutti gli specchi che non gli ho ancora frantumando contro solo per carità di pace. Ho imparato che con persone così si può andare anche molto d'accordo a patto di parlare del nulla con affabilità e assertivita' reciproche. Sono secoli che sostengo che il dialogo funzioni solo in rarissimi casi nei quali i codici logici e comunicativi siano molto affini. Altrimenti è come parlare due lingue diverse e sconosciute a entrambi.
Però al netto di dialoghi impossibili con ben definite categorie umane, può valere la pena, ogni tanto, far presente un gusto o un disgusto atipico, un modo di reagire a certe tendenze...cose del genere. Potrei partire col mio outing in modo innocuo, magari confessando che non ho mai mangiato sushi in tutta la mia vita e non ho alcuna intenzione di farlo. Ci sono dei trend di cui non comprendo il senso è che mi fanno sentire tutt'altro dal contesto in cui mi muovo. Parlo del sushi ma in realtà mi estenderei a moltissime tendenze molto consolidate,dall'abbigliamento alle serie TV, al cibo a certi libri di classifica...io non ci sto dentro mai in simili percezioni e non le capisco e non so trattarle...

Vado oltre. In un ipotetico confronto di tenerezza tra bambini e gatti, questi ultimi vincono a man bassa. Si, l'infanzia non mi interessa quasi mai. Non so spiegarlo, ma mi succede così. E non capisco. E mi vergogno.

Non perdono nessuno per le offese arrecatemi. Non dimentico mai nulla neppure dopo tantissimi anni, neppure quando apparentemente è tutto normale. E se poi mi si presenta l'occasione mi vendico.

Odio i mercatini di Natale e il Natale stesso, mi piace ogni anno perdermi tutti i pranzi e i cenoni di famiglia perché in quei giorni tutto diventa teso, triste, faticoso e falso. Ai miei credo dispiaccia tanto, ma io da quel l'orecchio ormai non ci sento più.

Non ho mai ultimato la lettura di "cent'anni di solitudine" e questo nonostante Marquez con il suo "l'amore ai tempi del colera" sia in assoluto il mio scrittore preferito di sempre. Niente l'ho ripreso mille volte e altrettante abbandonato.

Ecco, questo è il mio piccolo elenco, soltanto iniziale, per provare a fare outing delle mie idiosincrasie legate a convivenza civile e al mio inevitabile modo di essere. Non mi pare un quadro iniziale molto edificante, poi però penso che siamo tutti un mix sapiente di orrido e sublime in proporzioni variabili che solo in piccola parte dipendono dalla nostra sensibilità "educata" dal contesto.
Credo che continuerò, almeno fin quando troverò sopportabile interfacciarmi con le mie meschinità e repulsioni.
Però dovreste vedermi quando osservo un gatto...il più tenero dei cuori non ha partita col mio. pure questo è amore e perciò vale. Mi salvo! Potere ai mici nel mio migliore dei mondi possibili.


mercoledì 19 ottobre 2016

lavorare stanca. E qualche volta la fortuna è proprio questa

Come è bello essere stanchissima e a pochi centimetri dal lettone che si occuperà di ciò che resta di me con un sonno ristoratore mentre io divento più inanimata di un sasso.
Oggi ero l'unica di sportello per la mia attività, non ho voce perché sto pagando molto caro un allenamento forsennato sotto la pioggia, poi sono stata in un posto a discutere per due ore di un programma televisivo molto bello e ora sono qui a pensare che domani ci sono gli allenamenti ed è di nuovo prevista pioggia, ma io non mi spaventerò per questo.

Ci sono diversi modi di essere stanchi. Ce n'è uno che conosco piuttosto bene che è quello della stanchezza affranta, di chi fa tentativi continui, aspetta, riprova, si affanna cambia metodo ma non ritrova i risultati sperati. Da quel genere di stanchezza non ci si rigenera, rimane depositata in qualche parte dentro di noi in forma di tossine e difese immunitarie offese. Non ci sono benefici dalla stanchezza da sforzi non riconosciuti. E poi ci sta l'essere stanchi perché ci si è donati completamente in una passione o perché la giornata ci ha messo alla prova e dopo si è ricordata di ringraziare.

Credo che oggi mi sia successa proprio questa cosa qui. I contribuenti sono stati tutti comprensivi e dolci, nonostante i tempi di attesa fossero lunghissimi per carenza di personale. Il direttore mi ha addirittura inviato una mail di ringraziamento per l'aiuto mentre ero così malconcia. Non mi ricordavo una giornata di lavoro così appagante da un sacco di tempo.
Io non partecipo mai alle assemblee sindacali. Non lo so perché, ma credo perché non mi interessino niente. Non mi sento vessata sul lavoro, non credo di non avere abbastanza diritti, ovviamente non penso di guadagnare molto ma per me è abbastanza, di ragioni di rabbia per questo assurdo paese ne ho anche io ma non sono strettamente connesse alla sorte che è toccata a me. Mi reputo una persona sufficientemente fortunata, perlomeno in termini relativi, per quello che il Caso e un po' del mio sforzo mi hanno riservato. Lavorare durante l'orario di lavoro è il minimo che io possa fare.

Ora sono tanto stanca, quasi completamente afona e alla TV ci sta una specie di film porno di cui mi sfugge la trama. Non è successo niente di indimenticabile eppure sono esausta. Non mi è successo niente di male e questo mi basta per essere felice di come sia andata.
E così oggi ho pensato che la mia felicità è forse solo la composizione anomala di momenti trascurabili di questa stanchezza, la stessa che trova le ragioni del suo riposo nel ringraziamento di un giorno che si è ricordato, per una volta, di essere gentile con me


domenica 16 ottobre 2016

Le ragioni del "chitticrede"

Il problema è uno e dal mio punto di vista sacrosanto. Ci sta un paese che viene chiamato ad esprimersi su una questione che in tantissimi non sentono come propria, che non comprendono fino in fondo, di cui non sono ben chiare le conseguenze e che rimane come questione secondaria rispetto agli affanni quotidiani, le cose che Bettarini e un altro imbecille si sono detti nella casa del grande fratello, lo sport, l'arte...ci sta una vita da vivere e può essere una gran seccatura adoperarsi per occuparsi di cose di cui non comprendiamo bene il valore, la portata e le conseguenze.

Detto questo, siamo dei cittadini e prendere una posizione in un sistema apparentemente ancora democratico può essere fortemente consigliabile.
Ecco come provo a fare io. Le ragioni del no mi convincono all'80% per cui, a meno di ritrovare nel rimanente 20% dei bonus particolarmente incentivanti, voterò no. Il punto è esattamente questo. Renzi è un neo-democristiano e sa come funziona il meccanismo psicologico del votante non ancora perduto del tutto. Sa che tutti noi abbiamo un prezzo e che in un sistema fatto di categorie definite e con grado di malcontento elevato, questo prezzo è facilissimo da definire e pure da pagare. E difatti proprio sulla scorta di questa semplice idea si sta muovendo. Tra ieri e oggi pare che abbia accontentato più o meno tre quarti del paese, ha trovato soldi per tutti loro e raccattato nella rosa di nomi ridicoli e indecenti a favore del si pure delle persone di tutto rispetto e credibilità.

Io continuerò a votare no, proprio perché ho capito questo giochino infame che per quel che mi riguarda ha solo ulteriormente ridotto quel mio 20% di incertezza. Ma sono quasi sicura che sarà inutile. Che vincerà il si e che soltanto allora si capirà perché Renzi ci tenesse così tanto.

Confesso che a me il tema continua ad appassionare poco, perché la Costituzione  è alquanto disapplicata pure adesso che è ancora tra qui noi..e quindi amen...

Per ora mi sconcerta di più la finta indignazione per un modello culturale che ci portiamo ancora addosso tutto intero mentre crediamo di aver fatto progressi. Altrimenti perché dovremmo assistere ad un dibattito tra Hillary e Trump esclusivamente basato su sesso e potere economico (mentre Qui da noi, molto più modestamente ma con lo stesso spirito, Bettarini e il deficiente si raccontano cose che il 90% dei maschi italiani pensano)?
Noi molto banalmente siamo questo. O perlomeno quello che ci rende statisticamente rilevanti è questo e non altro. La parte "evoluta" del mondo ha in realtà bisogno di pochissimo. Ed è questa la fortuna di chi aspira al potere: bastano strategie molto elementari per attirarne il consenso.

Intanto io provo a continuare ad indignarmi davvero per come ancora oggi gli uomini considerano le donne e sul concetto di partecipazione. Ma ancor di più me ne starò per conto mio ad immaginare l'utopia anarchica.

  "...Certo bisogna farne di strada da una ginnastica d’obbedienza fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni..."


venerdì 14 ottobre 2016

Sento meglio col silenzio (breve battibecco col mio angelo presuntuoso)

- Vista da qua mi fai la stessa tenerezza dei mici quando hanno la testolina abbassata e gli occhi imbronciati. A che pensi? È venerdì, oggi ti sei presa il giorno di ferie. Perché stai abbacchiata?
- Eh...la fai facile tu. Intanto mi sono beccata secchiate e secchiate d'acqua perché sono in giro dalle sette di stamattina. Poi la dottoressa mi ha fatto un cazziatone perché il mio ferro non accenna ad aumentare. E poi ho finito di leggere un fumetto bellissimo e ora mi sento sola.
- Lucia, non mi freghi...a te di tutte queste cose interessa come un programma di raisat2000. Dimmi che hai
- No...ma figurati niente...è che da un paio di settimane sto facendo una specie di esperimento. E gli effetti sono strani.
- Che esperimento?
- tu sai che io cammino molto. Se consideri i 42 minuti per andare al lavoro e altrettanti per tornare, poi ci sta una media di un'ora di mezzi pubblici, sai bene che tutto quel tempo è la mia occasione per stare con le cuffie e non sapere niente di quello che mi accade intorno. Ma soprattutto non mi occupo di me. Quello che ascolto assorbe tutta la mia concentrazione e attenzione.
- E allora? Lucia mi sto annoiando. Ho capito. Mi vuoi dire che da un po' di tempo te ne vai in giro senza ascoltare musica o radio e stai scoprendo l'ignoto...
- Non ridicolizzarmi sempre. Sì...comunque sto facendo questo. Succede soprattutto la mattina presto, che ormai non c'è ancora luce e neppure traffico, in quel silenzio mi tornano in mente cose del passato a cui non pensavo da tanto tempo e che credo mi facciano assumere l'espressione ebete di certi miei compagni di strada, che a quell'ora forse tornano da una notte brava. Oppure non si sono mai neanche mossi da lì.
- che ti sei ricordata?
- ma niente...cose tipo la vera ragione di quando mi licenziai dal lavoro. L'ho menata a tutti che è perché la coop mi aveva rotto, che mi volevo dare altre opportunità...ma tu lo sai quale fu il vero motivo. Quelle telefonate che mi fecero decidere che avevo proprio voglia di tornare giù a Napoli...
- Si Lucia, solo io e te lo sappiamo quali sono gli strani percorsi che ti portano a delle scelte azzardate. Meno male che io sono un angelo custode in carriera, ambizioso e qualificato. Sennò un caso "umano" come te chi se lo incollava...
- E sai pure che, nonostante tutto, non mi pentii mai di quella scelta
- lo so. Lo so. E so pure che non hai imparato niente. Che quando decidi di voler bene a qualcuno hai bisogno di fracassarti da sola la testa. E poi pure il cuore. Perché tanto sono e saranno sempre tutti sbagliati quelli che ti scegli...ci vuole talento anche in questo.
- E dire che mi hanno voluto bene così tante brave persone...ti ricordi di M.? Non molto tempo fa mia mamma lo nominò per ricordarmi di quanto era chiaro che mi adorasse pur non assillandomi mai e non ricevendo nessun riscontro da parte mia. Un Natale di tanti anni dopo mi chiamò per gli auguri. E solo allora mi sentii davvero in colpa
- ...Lucia purtroppo funzionano così quasi tutti i rapporti affettivi. L'amore non va da chi lo merita, esula da certe logiche. Parcheggia dove gli pare, sosta per il tempo che vuole e di solito riparte in quarta sulla corsia di emergenza. Anche tu hai subito esperienze del genere. Chi non ti vuole abbastanza bene non fa nessuna fatica a trattarti con sufficienza o infierire sulla tua sensibilità facendo il pagliaccio con chiunque altra. Lo hanno fatto tutti tuttissimi quelli a cui ti sei affezionata. Tutti uguali li trovi. Chiediti se non sia un po' anche responsabilità tua, che ispiri questi atteggiamenti cretini. Ormai mi fa specie pure che ti stupisca ancora. Prima ne hai sofferto, poi ti sei arrabbiata e offesa, poi ti sei calmata e ora provi ad accettare pure il fatto che non ti innamorerai mai più, ma come tutti speri che ti ricapiti.
- Senti, angelo custode, io ti ringrazio perché sono certa che se sopravvivo nonostante la testa gloriosa che mi ritrovo è anche grazie a te. Credo che continuerò a camminare senza cuffie, perché ricordare è divertente e mi aiuta a riprendere il filo.
Ma tu prometti di non prendermi in giro. Altrimenti non ti racconto più niente

mercoledì 12 ottobre 2016

Quando cominciai da me e arrivai "A te" (storie di blog che chiudono tra un Linus e unJovanotti)

Se lo ha fatto anche lui, allora forse si è davvero definitivamente conclusa una fase. Pure Linus ha chiuso il suo seguitissimo blog. In realtà la gloriosa era degli scrittori di massa che si scoprivano scrigni di sapienza e verità ad alto click si è miseramente piegata alla più comoda immediatezza di Facebook o,meglio ancora di Twitter. E del resto perché lambiccarsi in faticosi costrutti sintattici e articolate argomentazioni, quando le verità assolute di cui ci sentiamo depositari si possono esprimere con la perentoria secchezza di qualche frase a effetto. Si chiama potere di sintesi...o povertà di pensiero. Dipende.

La questione è controversa perché in realtà quando i blog sono nati hanno prodotto una tale varietà e quantità di tipologie di "scrittori" che alcuni ci hanno meritatamente costruito un mestiere. Quindi io, che pure non ho mai avuto nessuna velleità coi miei blog,  se non quella di risparmiare i soldi dell'analista e confrontarmi con le affinità o contrasti di un ipotetico resto del mondo che sarebbe passato a sbirciare, ho sempre pensato tutto il bene possibile di questo strano modulo espressivo. Mi sono divertita ad assistere ai cambiamenti di forme e contenuti. Io addirittura tenevo la colonna sonora di benvenuto (era l'unica canzone di Jovanotti che mi sia mai piaciuta "a te"), poi una serie di link utili a corredo di un mood che si tentava di rendere quanto più originale e personalizzato. Era un impegno davvero notevole tenere un blog con continuità e contenuti.

E niente. Il blog è morto. Viva il blog! Io voglio resistere un altro poco. Per tanti motivi. I miei lettori che continuano ad aumentare e io vorrei tanto sapere il perché. Il mio perverso piacere a raccontare i fatti miei, pure se in realtà si risolvono in malinconiche riflessioni sul mio controverso rapporto con la solitudine o con gli incontri di cui fraintendo gli scopi. La scoperta tutta personale che le uniche volte in cui mi accorgo di capire quello che penso è provando a scriverlo...altrimenti non so davvero cosa diavolo mi passi per la testa e come tutta questa confusione si traduca in azioni ancora più incomprensibili. Immaginare scenari possibili: è una capacità che mi viene concessa solo dallo scrivere. Parto da un episodio qualunque della mia banalità quotidiana e me lo ridipingo secondo schemi traducibili solo dentro una frase scritta, dove l'utopia cerca punti di incontro con le ipotesi razionali.

Solo così capisco le cose. È così che ho capito che l'incertezza di un sentimento non è mai ravvedibile. Me ne sono resa conto raccontando di volta in volta episodi, parole e atteggiamenti che piano piano mi aiutavano a vedere che quadro fosse. Un mare, tanti pesci...e io che non ho raggiunto nessun amo. Non amò mai.
E sempre scrivendo ho capito come si elaborano i dolori e le delusioni, come ci si apre agli altri senza  necessariamente diffidare di tutti, quanto è bella Milano, quanto è divertente lo sport assieme agli altri...non è vero che la vita sia poi tanto monotona. Nel suo apparente fluire disinteressato fa succedere un sacco di cose nuove che non vediamo bene soltanto perché nel frattempo le stiamo vivendo.

È solo scrivendo che fermo tutti gli aspetti più interessanti della mia vita, altrimenti me ne dimentico
o, peggio ancora, non ci faccio caso.
Ho sempre avuto un diario segreto per raccontarmi le cose. Lo facevo per assecondare il bisogno di sfogarmi, di urlare senza passare per una paranoica senza controllo, di ricordarmi di pensarci meglio in un altro tempo e con un'altra testa. Poi ad un certo punto ti chiedi se possa stare qualcun'altro come te. Prima dei blog mica era facile saperlo. Poi loro sono nati e a quel punto, pure se la Einaudi non si accorgerà mai di te, la magia dei meccanismi di identificazione e di condivisione ecco che l'hai creata pure tu. Proprio come gli scrittori seri.

Non ho mai letto il blog di Linus, ma ne ho letti tanti altri e lo spirito era più o meno questo. A me pare ancora un esercizio valido. Quando raggiungerò le certezze di Linus o altre maniere per fissare le tappe della mia vita, saluterò tutti anche io. Ma sarà stato un vero piacere aver costruito questo piccolo ponte tra me e voi,che solo in parte so chi siate, che di sicuro mi capite ma che qualche volta vi chiedete...ma forse per questa, qualche buona cura...chissà.

lunedì 10 ottobre 2016

La paura fa '90. Poi arriva a 2000...e passa

Da quando ho ripreso a rivedere "Will &Grace" mi sono ricordata di come ero io negli anni novanta, quel decennio per me abbastanza terribile a cavallo tra il liceo e l'Università. Mi ricordo che le mie giornate erano scandite tra versioni di latino, materia che amavo moltissimo, e funzioni matematiche, materia in cui zoppicavo parecchio. E poi ci stavano quelle magnifiche serie americane delle quali stilavo una classifica soltanto ipotetica perché ero totalmente dipendente da tutte quante: Willy il principe di bel air, Friends, casa Keaton, beverly hills 90210, e tantissime altre da cui ho maturato il falso mito americano e una idea stereotipata della bellezza e dei rapporti umani...ma se alla fine sono qui ad ammetterlo forse i danni subiti, se tali furono, non sono stati poi così irreperabili e intanto io mi sono divertita moltissimo a ripetere quegli appuntamenti fissi, che dettavano la mia tabella quotidiana banalmente bipartita tra obblighi da risultato e svagatezza giovanile.

Gli anni novanta sono la mia terra di mezzo. Se degli ottanta ricordo poco e male e se col senno di poi sono ragionevolmente certa che sia stato un periodo storicamente funesto per questo paese, degli anni novanta ho un'idea netta e totalmente "egoriferita", non per vano narcisismo ma perché in quell'arco temporale sedici-ventitré anni ho deciso di avere a che fare con me stessa. Non ero per nulla una persona simpatica, facevo uno sport che odiavo e nel quale non ero assolutamente dotata, cominciavo a legarmi a ragazzi che con me avrebbero tutti assunto sempre lo stesso identico comportamento fino ad oggi. Cominciavo a scegliere per conto mio cosa leggere e avevo paura di tutto. Provavo a darmi una definizione, ad autodeterminarmi, ma mi ricordo perlopiù di una costante angoscia strisciante che mi impediva di essere lucida e sicura come avrei voluto.

È rarissimo che decida di ripensare a quegli anni, mi dà fastidio e ogni tanto penso che siano stati una gigantesca occasione perduta. Frequentavo lo scientifico e avrei tanto voluto fare il classico, giocavo a pallavolo e io volevo solo imparare a correre bene, mi sono iscritta a economia ma volevo diventare giornalista.

Ci sono scelte e decisioni da prendere che esigono un tempo esatto dopo il quale solo una tempra e una follia non comuni ti permettono di tentare in momenti diversi della vita a realizzare i tuoi sogni. Non dico che sia impossibile, ma è parecchio difficile. Potrei addirittura confidarti che al mio attivo avrei pure un esame di linguistica italiana alla facoltà di lettere della statale perché un tentativo di ridisegnare il mio futuro volevo concedermelo. Mi hanno detto che l'esame di linguistica è il più difficile di tutti a lettere moderne. Non faccio fatica a crederlo perché mi ha fatto impazzire. E comunque ho scoperto che sapere qualcosa di economia è una bella cosa lo stesso...

Forse è vero che tutto è sempre esattamente come deve essere, pure quando pensiamo che sulla bilancia dei tentativi a rischio non calcolato pesino di più i fallimenti e le scelte poco ponderate. Eppure quando provo ad immaginarmi in altri panni, a fare altre cose, con competenze più qualificanti e affini alle mie inclinazioni, davvero non posso sapere quali sarebbero stati gli esatti percorsi che avrei seguito, quanta fortuna avrei avuto e che persone avrei incontrato per assecondare il mio destino.
Non posso saperlo e in fondo questo mi dà ragione pure di quegli anni novanta vissuti un po' così, a fare tentativi rivelatisi sbagliati ma in fondo dal bagaglio generoso.

Stasera ho visto tre puntate di Will&Grace e sono ripiombata in un tempo in cui mi arrotolavo in una vecchia coperta, con il libro sulle ginocchia e davanti alla fiamma di un camino, a ripetere cose che non mi interessavano mentre mi facevo spezzare il cuore da qualcuno a caso.
Non mi manca niente di quegli anni, neppure il camino. So soltanto che oggi trovo questa sit-com molto ma molto più divertente di quanto ricordassi.



sabato 8 ottobre 2016

Le ali ai piedi...no, forse basta solo essere leali coi piedi

Credo che sia vera la leggenda che vuole le donne indissolubilmente legate all'ossessione per le scarpe. Un esperto parlerebbe subito di surrogato emotivo. Ed è curioso anche osservare che questo assioma viene confermato dalle fonti più disparate: da Cenerentola  alle scarpine magiche del mago di oz..a Nanni Moretti con il suo "ogni scarpa una camminata, ogni camminata una diversa concezione del mondo"... e pure se il tacco dodici è il dettaglio più scontato per evocare una tipica scarpa da donna, io voglio ancora sperare che non sia soltanto così. Altrimenti non mi salvo neppure in quanto donna...

 Io non posseggo scarpe tacco dodici, anzi per la verità ho un paio di sandali in vernice di quella "levatura": usati soltanto una volta ma sufficiente per comprendere come ci si sente a perdere l'uso dei piedi. Però ammetto che l'ingannevole effetto gamba slanciata se sfruttato bene avrebbe potuto restituire riscontro. Ma io non sfrutto mai.
Qualche volta indosso un paio di scarpe col tacco basso, ma sufficiente a farmi inciampare continuamente. Per il resto ho tante Clarks, un paio di all star rosse, un paio di stivali neri e le scarpe per andare a correre. Le scarpe sportive sono quelle che in assoluto mi affascinano di più perché dalla capacità di scegliere quelle che maggiormente fanno per noi dipendono tantissime cose. Da una scarpa scelta con cura dipende una buona andatura, la salute del povero piede così duramente sollecitato, l'integrità della colonna vertebrale, la velocità, la falcata e in generale l'intera qualità della prestazione e della soddisfazione che ne consegue. Le scarpe sono la sola vera cosa che conta quando si corre, se non sono perfettamente corrispondenti alle necessità di chi le indossa è meglio correre senza (la leggenda di Abebe  Bikila insegna). È proprio così.

"Ogni scarpa una camminata. Ogni camminata una diversa concezione del mondo". E cos'è una corsa se non la versione stressata di questa idea? Durante quel tempo lì, quello che ha senso se vivi e accetti la fatica come il tuo vero obiettivo e che ciascuno decide come gestirsi secondo le proprie risorse fisiche e interiori, sembra che la banale ripetitività dei passi non abbia nulla di interessante: c'è solo la fatica da gestire e uno scopo da raggiungere. E poi c'è l'andare verso o il fuggire da, c'è l'idea del percorso e di una distanza sempre maggiore da coprire. Ci sta lo star soli fortissimamente soli, pure quando lo fai con un gruppo in cui ti riconosci. Ci sono i passi, ognuno diverso dall'altro eppure continuamente simile a se stesso. Ci sono i pensieri cattivi, che mentre corri si trasformano in ispirazioni, sfide e opportunità. Credimi, tutto questo vuole delle scarpe con un tale carico di responsabilità da sopportare che secondo me serve la laurea.

Oggi mi sono stancata più del solito. Avevo ai piedi le mie belle Nike, vecchiotte ormai ma ancora degne di me e della mia andatura incerta ma decisa: ero sottotono, sto ancora combattendo contro la carenza di ferro, ho dormito poco...però anche io ho voluto obbedire alla sacra legge del legame indissolubile donna/scarpa e così ho preso delle nuove scarpe da corsa da cui non ho alcuna speranza di guadagnare in sensualità e fascino ma sulle quali mi muovo come su una nuvola perché è solo di leggerezza e di passo spedito che avevo bisogno e non sapevo in quale altro negozio andare. Le ho tenute tutto il giorno, ho cominciato a camminare per sentirle da subito mie e ho capito quasi da subito che erano loro. Ho trovato le scarpe per la mia camminata...e quindi per la mia concezione del mondo. Forse esagero. O forse no. Chi lo sa davvero che cosa è che passa per la testa e i desideri di una donna. Non lo sanno certo gli uomini, questo è sicuro. Ma forse neppure io, che non ho mai visto una sola puntata di "Sex and the city" in tutta la mia vita. Pare che in quella seguitissima serie non si facesse molto altro che camminare per le strade di New York su dei trampoli, fare shopping e cercare un uomo. Anche io metto gonne e ho tanti vestitini, ma sono sempre e solo i jeans l'unico indumento che metterei in salvo se la mia casa si allagasse. Sono femminile a comando ma unsexy per DNA. E il mondo che percorro ormai se n'è accorto. Io posso solo limitarmi a smettere di rincorrere sempre le stesse mete con scarpe sempre inadatte...





mercoledì 5 ottobre 2016

A guardar mostri (più o meno sacri)

In fondo chi la stabilisce l'esatta misura dei legami? Cosa è davvero mostruoso e cosa invece semplicemente "altro"? E poi, quanto una terra può condizionare tutto il vissuto di chi ci è nato con l'intenzione di restarci  e l'impossibilità di decidere davvero cosa essere o come realizzare un desiderio?
 Questo è piu o meno ciò che mi sono chiesta quando ho visto "Indivisibili", film originalissimo e "pasoliniano" , come dice Nicola, che prende a pretesto il vincolo di unione obbligato di due gemelle siamesi per raccontare il loro percorso di liberazione da una famiglia disfunzionale, da una terra morente e martoriata e dominata da un prete naïf che fa sermoni agli immigrati con processioni più simili a riti pagani che allo spirito cristiano.
A fare da corollario una passerella inquietante e grottesca di mostri umani che popolano quartieri sordidi e fatiscenti, nei quali le belle gemelle si esibiscono come fenomeni da baraccone per arricchire  cerimonie iconiche ammantate di sacralità.
Il loro bisogno di separarsi nascerà più dalla profonda esigenza di affrancamento da quel mondo che le fagocita piuttosto che da quel pezzo di carne che le tiene unite. Le due sorelle si amano, sono indispensabili l'una all'altra ed è proprio per preservare la profondità di questo legame simbiotico che sentono che è il momento di combattere facendosi in due. Bella prova, interessantissima intuizione, scritto bene e raccontato meglio.

Cosa stabilisce davvero un legame profondo? E quanto conta davvero condividere ogni cosa perché si rafforzi o se invece è tutt'altro che cementifica il pensiero e il bisogno di sapere l'altro felice? 

Ma che ne so...ti pare che se lo sapessi me ne starei qui, a cercare di capire che cosa sto vedendo su Rai due, mentre parla Briatore, mentre preparo la schiscetta per domani e mi rammarico della lampadina che illumina la cucina perché ho preso quella a luce bianca e non gialla e mi pare di stare nella sala di un ospedale. Io sono solita condividere poco e raramente il mio tempo più significativo con altri, credo di non avere mai avuto una esatta percezione dei legami perché mi spaventano, mi annoiano o semplicemente non li conosco perché non mi sono mai davvero capitati. Che io sappia spesso nascono da un bisogno disperato, qualche volta perché si ha la fortuna che si sa esattamente ciò che si vuole. Quelli che invidio di più sono i legami con gli animali perché sono gli unici in cui non avverto il fantasma della crisi. 
E poi ci sono quelli che osservano tutto questo e ancora provano a capire cosa si stanno perdendo o quanto dolore si stanno risparmiando. E alla fine ci sono io, sì persino io, che qualche volta so di cosa sto parlando e altre invece mi pare di non averci ancora capito assolutamente niente.
Uh...ma con Briatore ci sta Santoro...a proposito di riti pagani e mostri sacri contemporanei...

domenica 2 ottobre 2016

"Le passanti". Loro, lui, il tempo...e io

Se gli uomini davvero sapessero. Ci sono dei luoghi in cui è quasi inevitabile incappare in certe conversazioni e farlo in modi e termini che solo in contesti così "protetti" diventa possibile. Da quando sono tornata a frequentare gli spogliatoi delle palestre, oltre ad avere riscoperto il gusto di fare le cose assieme a persone adorabili, ho ritrovato il senso di una certa complicità femminile che negli ultimi anni avevo accantonato nell'errata ricerca di altri tipi di contatti umani.

Non ho mai fatto mistero della mia naturale attitudine solitaria, interrotta soltanto dal ciclico (fallimentare) bisogno di trovare pure io l'uomo della vita. Però ammetto che è stata una vera scoperta costatare che in fondo io non rappresento che una condizione piuttosto comune per una donna sola che vive in un tempo come questo. Per esempio non avrei mai pensato che oltre a me ci potesse essere qualcuna che, in tono rassegnato, mentre parlava dell'ennesima relazione deludente, asciugandosi i capelli esclamasse: "io ormai non ho più davvero parole". Credo di averle sorriso, o fatto qualche espressione di perfetta intesa mentre mi tamponavo con l'accappatoio e mi rilassavo nell'aria rarefatta dal vapore delle docce.

Qualche giorno fa, scherzando con un collega più giovane e che mi prende sempre in giro sulla mia singletudine ambigua, gli ho chiesto di presentarmi uno dei suoi amici, che io cerco solo una brava persona che sia disposta ad avere occhi soltanto per me. Ovviamente non volevo davvero che mi presentasse qualcuno...però mi sono resa conto che in fondo la mia richiesta risponde esattamente a quello che, oggi, mi piacerebbe trovare in una persona...ma in fondo questo che vuol dire? direi nulla, perlomeno alla luce delle esperienze di spogliatoio.

Uno dei miei personalissimi esperimenti è questo. Quando conosco un uomo che ascolta seriamente
De Andre', gli chiedo subito quale sia la sua canzone preferita e il dato, che ormai non mi stupisce
più, è che viene sempre citata "le passanti". Ecco, quella è la canzone simbolo che, secondo la
persona che io trovo potenzialmente interessante, delinea meglio l'insondabile pianeta donna. Tra l'altro si tratta di una canzone magnifica (in realtà è una poesia di Brassens, che pure di donne ne sapeva a pacchi)  e che descrive in modo sublime l'intero universo femminile e tutte le possibili suggestioni del mistero mai svelato che si porta dietro. Ma è proprio questa consapevolezza che mi restituisce l'esatta idea che io non potrò mai essere davvero tutto quello che desidera un uomo,
neppure se corrispondessi esattamente al suo ideale, perché ci sarebbe sempre dell'altro in qualche
altra donna da scoprire e in cui in non sono contemplata.

E così ho pensato che quando il mio collega, ridendo della mia richiesta scherzosa, mi ha detto "no Lucia lascia perdere, ormai è tardi per queste cose", io ho riso. E non perché ho sperato che scherzasse. Ma perché ho pensato che forse ha proprio ragione lui.