Sola andata

Sola andata

lunedì 28 marzo 2022

Fare largo alle coincidenze

 Continua la mia fase di decluttering. Non faccio che buttar via cose, sgombrare, fare più spazio possibile, cercare di liberarmi del superfluo facendolo senza rimpianto. Verrà poi il tempo dei nuovi bisogni, di una nuova estetica domestica da soddisfare e altre forme di riconoscenza per quello che possiedo. O forse no, forse mi piacerà questo minimalismo e le sempre meno cose da gestire. Chi lo sa di cosa sentirò davvero la necessità da qui al prossimo inverno, come se poi fosse così scontato arrivarci o anche soltanto conoscerne le premesse. Intanto faccio largo e penso a quando è stata la prima volta che ho sentito parlare di decluttering. Lo ricordo molto bene. È stato durante una trasmissione radiofonica di tantissimi anni fa e che, per come era concepita, ebbe un successo pazzesco e mi fece appassionare del suo conduttore. Ricordo che una volta gli scrissi dicendogli cose del tipo che che la pratica del “decumulare” pare accompagnarsi persino a qualcosa di terapeutico e di necessario, soprattutto in certe fasi della vita. Lui mi rispose divertito dicendomi che era davvero bella la mia “traduzione” italiana e che l’avrebbe usata. Quando sono venuta a Milano l’ho conosciuto perché spesso organizzava degli eventi live che erano ancora più belli delle puntate in radio. Ogni volta che sono passata a salutarlo ha sempre ricordato il mio nome e la cosa mi inorgogliva moltissimo. Durante questi eventi c’era sempre anche la sua bellissima fidanzata (abbastanza famosa anche lei) e ogni volta che li vedevo pensavo a quanto fossero belli assieme. Poi per un periodo mi sono dedicata ad altri tipi di ascolto, poi c’è stata pure la pandemia, le piccole deviazioni dalle abitudini…a suo modo un certo tipo decluttering dei pensieri e delle abitudini pure questo. Qualche giorno per puro caso mi sono imbattuta in alcuni  dei suoi podcast e ho subito pensato che il suo modo di fare radio mi piace ancora moltissimo. Così riprendo ad ascoltarlo. Scopro che è diventato papà da un anno, ma la madre non è la persona a cui lo avevo sempre visto accompagnato. E mi è sembrato veramente tanto strano. In fondo è passato così poco tempo e loro invece stavano assieme da anni. Ma è andata così. E allora ho pensato di nuovo allo spazio che ci creiamo, per liberarci ma poi pure per riaccogliere, a quanto possiamo decidere che tutto continui ad esserci perché in fondo lo abbiamo voluto fino a quel momento o, al contrario, avere il coraggio di comprendere che ormai non fa più per noi. E poi ho pensato alle coincidenze e a come quella volta che ero in India e nel mio gruppo c’erano un marito e una moglie che non avevo mai visto prima e ad un certo punto, non so neppure come mai, cominciai a parlare proprio di quel conduttore e della sua trasmissione e loro si guardarono negli occhi e mi dissero: “lo conosciamo benissimo. È stato il fidanzato di nostra figlia per due anni”. Che roba strana. Almeno quanto un incidente stradale che evitai per purissimo caso, altrimenti chissà da quanto mi avrebbero estratto da quel burrone, o come quella volta che conobbi, qui a Milano,  una che si chiamava proprio come me nel nome e cognome: ce ne sono 81 in tutta Italia. Sono belle le coincidenze, mi fanno credere che la vita abbia una sceneggiatura rigorosa persino per le inezie.

E così in questi giorni strani, in cui la calma si mescola col rammarico delle timide scelte, mi capita sempre più spesso di pensare allo strano percorso che le coincidenze compiono prima di verificarsi. E ogni volta ci vedo strade molto sgombre, senza ostacoli, sulle quali loro procedono sempre un po’ più speditamente di qualunque nostra volontà 

venerdì 18 marzo 2022

Andata e ritorno tra casa e stanchezza

E’ una sensazione strana quella di sentirsi completamente esausti e ostinarsi a continuare a fare tutto come se fosse una colpa sentirsi stanchi, demotivati, troppo tristi per riuscire a conservare il senso e il significato di ogni propria azione. Io mi sento così: psicologicamente ed emotivamente annullata. Faccio fatica a stare in piedi la mattina appena sveglia, mentre sorseggio uno dietro l’altro i caffè da cui pretendo la carica che dovrei trovare altrove e intanto cerco di posticipare il mio allenamento che mi pare ogni giorno più estenuante eppure irrinunciabile. Faccio fatica a sistemare casa prima di uscire per andare al lavoro, a guardare i tg, a parlare con la gente, a trasportare la spesa, persino a sentire la mancanza delle poche persone a cui tengo e che ho perso di vista in questi ultimi anni assurdi. Sento il peso di un tempo che non asseconda il mio bisogno di procedere per step intermedi in vista di obiettivi dal più lungo respiro. Ci sono giorni nei quali non vorrei mettere neppure il naso fuori di casa e quando mi succede mi costringo a farlo con tutte le forze che ho perché mi accorgo che non c’è niente di buono in questa indolenza esistenziale e che ogni sforzo possibile per controbatterla sia doveroso. E’ anche per questo che credo di aver fatto bene a passare un po’ di tempo a casa con i miei. Ma poi la mia vita rimane quella che si articola qui e che proprio qui si affanna a trovare il suo senso. Non è di una vacanza che ho bisogno, perlomeno non ancora, e neppure di compagnia: mi piacciono i miei silenzi in mezzo a questo insopportabile rumore di fondo in cui mi trovo immersa pure mentre tento di isolarmi. Trovo indovinata, necessaria, opportuna, forse persino salvifica la mia solitudine perchè non sarei di nessuna compagnia per nessuno in questo momento e poi non sono ancora diventata la persona che vorrei essere per meritare chi vorrei davvero con me per sempreE’ tutto come deve essere pure in un periodo in cui nulla mi pare sensato, giusto, promettente. Che strano davvero.

Le mie lunghissime camminate degli ultimi tempi includono la compagnia di audiolibri. Di solito si tratta di classici letti in modo mirabile da attori famosi: potrei starmene così per ore ed ore, senza sosta tanto grande è il sollievo e il piacere che traggo da quel doppio gesto che coniuga in un solo colpo azione e contemplazione.  Come si fa ad essere tristi mentre si cammina osi legge? Credo sia impossibile. Ma impossibile è anche pretendere di non fare altro per tutto il giorno e sottrarsi alla provocazione e agli obblighi del tempo. Questo di solito è quello che penso la sera, quando rientro, mentre mi pulisco le scarpe sullo zerbino e accendo la luce di una casa che ho tenuto vuota per tutto il giorno, nella quale domina un altro tipo di silenzio, piatti già pronti e solo da scaldare, cose non ancora vecchie ma che giànon mi raccontano più niente, ricordi sfocati, dolori ridicoli che riaffiorano nei momenti più impensati, come quei programmi lievie accomodanti con Csaba che apparecchia la tavola per gli ospiti come si deve. Che c’è di sbagliato in tutto questo? Credo ogni cosa. Che c’è di buono? Forse lsemplice ma costante idea che ci sia ancora rimedio, che per me esistano ancora tanti libri da leggere, film da vedere, persino il tempo per diventare la persona che vorrei essere e che mi pare ancora troppo lontana, che questa sia una fase di preparazione e, in quanto tale, ricca di possibilità nuove. Del resto io appartengo alla scuola secondo cui la capacità di amare arriva dopo i cinquant’anni, quando ne sai abbastanza di tutto il resto per essere pronta anche a questo. Non devo avere fretta. E’ tutto troppo presto per me. Non posso essere già stanca. Non è il momento

mercoledì 9 marzo 2022

Scorte di futuro a lunga conservazione. Dove? Con chi? A che prezzo?

 Tutti gli scaffali dei prodotti in scatola erano vuoti. Alla coop i reparti dello scatolame, della farina, della pasta erano quasi completamente vuoti. Mi pare comprensibile, anche se non del tutto ragionevole. In realtà me lo hanno riferito i miei: io sono ancora qui da loro in smartworking e in dieci giorni sono uscita solo due volte coprendo duecento metri per fare visita alla nonna. Il mio è un bruttissimo paese nel quale continuo a provare molto disagio, conservare ricordi opachi e nessun senso di appartenenza.E quindi non ho mai voglia di uscire e notarne i cambiamenti.Però in questa casa sto bene, ho tutto, compreso uno spazio molto grande a cui, in questi anni di “bilocalismo” milanese, mi sono progressivamente disabituata. Ormai il terrore di una guerra che potrebbe estendersi anche in zone più prossime appare dominante e io sento quasi nostalgia dell’insulso dibattito tra ottusi fanatici pro vax e altrettanto ottusi e fanatici no vax. Mi mancano quelle inutili farneticazioni nelle quali ognuno snocciolava dati da interpretare senza logica né metodo solo per dare forza ad un pensiero sporcato da ideologia, opinione personale, credenza, umori più o meno plagiati. E’ stato, quello appena trascorso, un periodo che avevo erroneamente battezzato come il più nero di cui avessi memoria diretta, non solo per la pandemia, in quanto tale,ma anche e soprattutto per questa assurda valanga di pensiero debolissimo e prepotente che mi ha umiliato e avvilito. Eppure oggi scopro che si poteva addirittura peggiorare paventando una terza guerra mondiale anticipata da crisi energetiche ed economiche che ancora una volta azzerano ipotesi di riscatto, rinascita, libera espressione, almeno per la maggior parte di noiabitanti di questo tempoConfesso di non sapere bene cosa fare, a parte sms solidali a ripetizione che mi pare sia il minimo dovere di ciascuno. Forse a Milano mi deciderò a contattare qualche associazione e chiederò come potrei rendermi utile. Sì potrei, anzi forse dovrei proprio farlo. Ma fare cosa? Forse qualche folle ingenuo potrebbe ritenermi capace ospitare una bambina piccola, se proprio dovessi pensare alla cosa più campata in aria che mi si potesse chiedere.

I bambini non mi sono mai piaciuti e loro questo lo capiscono abbastanza presto e poi sono sicura che non sarei in grado di occuparmi di un altro essere umano senza alcuna autonomia. No, non credo che sarei disposta a farlo. Che poi mica è detto, le esperienze vanno contestualizzate, magari invece sarei brava e accudente. In fondo che ne posso sapere. Se proprio ci penso bene potrei farmi domande differenti prima di questa. Per esempio cosa ne sarà di me nella fase più matura della mia esistenza, quando la solitudine non mi sarà così cara come oggi e la minaccia di malanni o imprevisti vari mi renderanno fragile e bisognosa proprio come un bambino piccolo? Non che non abbia mai pensato a cose di questo genere negli anni. Ricordo che una volta, una prof di matematica che conobbi in una università in cui ero “ospite” disse che lei viveva sola perché non voleva dare fastidio a nessuno e che l’ipotesi che fosse coinvolta in un incidente in cui qualcuno dei parenti fosse convocato per il riconoscimento del cadavere la spaventava più dell’incidente stesso. Mi colpì moltissimo. Pensai che a volte la solitudine possa addirittura costituire una scelta adottata come forma di puro altruismo, un modo di evitare ad altri il peso della propria inadeguatezza dello stare al mondo. Pur sempre una scelta, appunto. E allora perché mi pare così astratta la possibilità di occuparmi per un po’ di tempo di un bambino che rimane solo non per sua scelta? Cosa c’entra questo con la personale capacità di tenersi da parte per non risultare di ingombro? Dov’è il confine tra una solitudine ricercata, pur corredata di aspirazioni generose o spirituali, e quella fatta di egoismo e rifiuto dell’altro quando ha bisogno proprio di me, persino del mio ingombro? Io non lo so. Ho provato ad immaginare una giornata tipo, una in cui la mia solita sveglia all’alba non sarebbe occupata dallo sport ma da pappe da preparare, pupazzi e palline colorate ovunque, lo smartworkingcon un seggiolone accanto e magari pianti misteriosi da gestire, passeggiate all’aperto, pannolini da cambiare... Non mi sono mai previsualizzata madre nella mia vita, non ho mai fatto nulla dineppure vagamente simile a tutto questo. Nessuno potrebbe davvero affermare che non ne sarei capace  che non mi piacerebbe neppure un po’. Non so neppure come questa cosa mi sia passataper la testaMa sono due anni che non penso al futuro. Prima che sia davvero troppo tardi, direi di ricominciare a farlo con tutto il carico di follia che ci è dato. Possibilmente.

martedì 1 marzo 2022

Giorni di straordinaria follia (o di folle ordinarietà)

 Cambio integrale di registro. Neppure il tempo di metabolizzarlo. Mentre il mondo ancora non ha smesso di parlare, spesso a vanvera, di pandemia, ci troviamo improvvisamente, e forse inaspettatamente, ad occuparci di tutt’altro. Oggi c’è la guerra. Il covid è improvvisamente scomparso dai radar. Non interessa più a nessuno, neppure ai quelli che eruttavano bile appena intercettavano qualcuno che osasse abbassare per mezzo secondo la mascherina per strada. Tutto volatilizzato con la rapidità impressionante di un fulmine che incenerisce ogni cosa in un istante. Se dovessi pensare al mio personalissimo atteggiamento nei confronti di questa amarissima epoca storica potrei dire che comincia ad infastidirmi l’ironia, proprio lei, la mia prediletta formula consolatoria, la carezza agrodolce che ridimensiona fatti e persone con il tocco lieve di un’espressione arguta. Non ho più voglia di conservare uno sguardo disincantato ma piacione nei confronti degli eventi che giocoforza mi ritrovo a subire senza colpe dirette. Sono stanca di trovare accettabile ogni cosa di questa bizzarra maniera di ritenermi ospite poco accudita di questo tempo.

E’ la prima volta che faccio smartworking qui a casa in Campania. Mi piace moltissimo, lo avevo già immaginato talmente bene che ho evitato di farlo prima proprio perché sapevo che mi ci sarei abituata con facilità. Ne ho approfittato giusto perché tra poco ce lo tolgono completamente. E’ proprio vero che la rapidità di riassestamento dell’uomo a determinati cambiamenti, che siano scelti o imposti, è davvero impressionante.

Direi che il sentimento che mi domini in questa fase sia quello di una incoercibile stanchezza: qualsiasi azione da compiere mi pare un po’ più faticosa di come era prima e un po’ meno interessante. C’è qualcosa di logorante in questo assottigliarsi dell’entusiasmo pure verso le cose che ci sono sempre piaciute. Di buono c’è cheormai me ne sono accorta e così attivo dei meccanismi di compensazione da carenza emotiva per esempio allenandomi di più e cercando di trasformare tutto quel carico aggiuntivo di stanchezza in endorfine e riposo rigenerante, e poi leggo di più piuttosto che vivere i social, mi perdo delle lezioni di cui mai mi sarei privata in precedenza ma vedo più film e documentari che mi aiutino a comprendere senza lo sforzo dell’apprendere. Frequento poco, ma questo è come sempre. Ho accantonato la cosa che per me conta più di tutto e che al momento non si incastra in alcun modo con le circostanze universali attuali. No, l’amore in questo tempo non c’azzecca più niente.

Sono due anni che non ho paura di quello che succede e che subisco ogni cosa aggrappandomi come una tellina a una qualchelogica di buon senso. Non ho paura neppure stavolta, mentre me ne sto qui a farmi raccontare dei rischi tangibili di uno stravolgimento dell’esistenza di ciascuno. Non ho paura, indipendentemente da una guerra vera che arrivi fino a casa nostra. Non certo per coraggio, che non credo di averne neppure per tuffarmi a candela, ma per senso di impotenza verso il mio stesso quotidiano, verso la mia voglia di viaggiare, di incrociare persone che mi corrispondano per sensibilità e attitudine supassioni comuni, verso la possibilità di fare ipotesi nuove, di azzardare, di innamorarmi anche solo per un paio di giorni per poi dimenticamene per decorrenza dei termini di folgorazione. Mi manca la casualità illogica di un mondo che procede senza freni con l’intelligenza collettiva che progredisce creando, non distruggendo.

Sono qui a casa. Mi alleno, lavoro, cucino, scrivo solo perché è soltanto così che capisco meglio quello che penso, vedo film. Tutto molto bello. Se riesco ancora a non impazzire