Sola andata

Sola andata

martedì 28 agosto 2018

Non tanto per cominciare

Non mi faccio illusioni. L’estate sta finendo anche per me che neppure ho ancora cominciato le mie vacanze. Il vero principiare rimane sempre il momento in cui si scelgono il diario, la cartella, le penne e le matite, forse perché in fondo Settembre non se la toglie mai quella divisa da maestrino che ti chiede attenzione e ti ammonisce se non stai dritto sul banco. Pure quando cresci e smetti di studiare, quando non devi più rispondere ad altri che a te stesso, della posizione e del contegno che ti sei scelto. Lui conserva sempre intatta la sua aura di spirito guida verso altre ipotesi di noi stessi, tra cose nuove, impegni di lungo termine, interessi che vorremmo diventassero passioni o addirittura ragioni di vita, incontri da trasformare in legami, intuizioni per un cambio di rotta. Settembre si prende tutte queste responsabilità in modo anaffettivo, quasi cinico. Lancia le sfide con la superbia dell’osservatore esterno che monitora il tempo in cui gli entusiasmi saranno ormai appannati e gli obiettivi ridimensionati dallo scoramento o dalla perdita di motivazione.

Ma con me non attacca. Gliel’ho fatto capire un sacco di volte che i veri inizi non obbediscono mai a date convenzionali. E allora lui ride, perché lo sa che pure io, come tutti, comincio adesso. Cosa comincio adesso? Se davvero lo sapessi non avrei aspettato settembre, credimi. Mi ci sarei fiondata molto prima e con tutto l’entusiasmo che è proprio degli inizi. So solo che comincio, ma per capire che cosa, ho provato a fare così. Mi sono chiesta cosa non mi riguarda proprio mai, nemmeno a settembre. E così mi sono detta che, per una volta, potrei accantonare la mia avversione per le liste e provare a stilare un elenco delle cose che mi piacciono sempre e che vorrei facessero parte di ogni mio inizio, continuazione e fine. Più o meno ci metto dentro cose così:
- gli ultimi tre minuti dei miei allenamenti e i primi dieci dalla fine
- il silenzio delle cinque del mattino
- qualche buona cena con persone che mi fanno dimenticare  iPad, orologio, il piatto che ho davanti
- dei buoni film in una sala senza cellulari accesi
- le persone gentili che bussano alla mia porta per parlare proprio con me
- la colazione proteica che non mi fa venire già fame dopo tre quarti d’ora
- dimenticare. Perdonare. Non sentirmi più in colpa per colpe che non ho
- i friarielli già pronti di Marrazzo che sono tornati sugli scaffali di Esselunga dopo mesi e mesi di disperata assenza
- un’estate intera a Milano ad aspettare le vacanze di settembre

Ecco. Io credo che pure senza avere lo sventurato immenso talento di un David Foster Wallace, ognuno di noi possa crearsi un proprio personalissimo elenco delle priorità sul quale costruire le proprie personalissime sfide e attese e per contrasto escludere automaticamente quello che ci fa così male che frenerebbe ogni possibile nuovo inizio. Io, con questa scelta rapida e grezza di cose che considero necessarie ho capito che per me vale tutto ciò che mi aiuti nelle attese. Sì, la mia vera sfida sono proprio quelle.
Perché aspettare qualche volta può essere terribilmente difficile, se non hai il fisico, tempra interiore e qualcuno che ti aiuti ad ingannare le distanze aleatorie del tempo. E questa è una cosa a cui penso sempre più spesso. Soprattutto a settembre.

sabato 25 agosto 2018

Un buon risveglio

Ho dormito per quasi nove ore. Mi ha svegliato solo il tuono fragoroso che anticipava una pioggia che invocavo da tempo e che ha reso finalmente respirabile il mio riposo, altrimenti tormentato e frammentario. Forse è per questo che sono persino riuscita a sognare. Che poi sogno non era, nel senso che si trattava di una specie di riflessione su una cosa accadutami per davvero . È successo che è riemerso il ricordo di un ragazzo che mi aveva lasciato, per una conosciuta in chat e mai vista prima, e che dopo anni mi scrisse una mail. Fu la sera prima che si sposasse (con un’altra, non quella della chat) e mi chiedeva  scusa per quello che mi aveva fatto e che ripensava continuamente a quanto fosse stato pessimo, che mi augurava il meglio e che mi voleva bene. Io ne fui molto colpita e pensai che qualche volta pure le storie sbagliate hanno il loro lieto fine. Anni prima avevo pianto molto, ma avevo così tanta stima di quel ragazzo intelligente e brillante che imparai ad essergli riconoscente per tutto quello che mi aveva lasciato, piuttosto che a portargli rancore per ciò che non era riuscito a darmi. Quella mail mi intenerì molto e fu la conferma che non mi ero sbagliata sul suo conto. Nel sonno ricordai pure che l’anno scorso una persona che abbiamo in comune mi contattò e mi disse che lui le aveva parlato di quella mail e addirittura che io ero stata l’unico suo rimpianto prima che si sposasse. Perché mi sia venuto in sogno tutto questo, ormai passato e lontano, proprio non lo so, ma credo che sia una delle ragioni del mio sentirmi così riposata inquesto momento.

Nel frattempo ho creduto di amare un’altra persona, eppure sono ormai più di due anni da quella domenica mattina gelata ma col sole, quando il cuore pareva essersi fatto di tanti piccoli cristalli di vetro appuntiti per trasformarsi in tutte le lacrime che non riuscii a fermare per giorni. Oggi, che lo incontro praticamente ogni giorno e che, come allora penso che sia bello, simpaticissimo e intelligente, vedo in lui un ragazzo gentilissimo e premuroso (di certo più di allora) e sono sicurissima che anche a lui sia dispiaciuto di avermi ferito, forse senza volerlo, oppure volendolo, perché gli uomini sono strani in questo. Ma che importa in fondo. Non era neppure lui, altrimenti quella volta non avrei pianto così tanto e oggi non sarei invece così pacificata.

È così strano eppure è successo questo quando ho amato ma in realtà amore non era: è come se tutto mi fosse stato poi restituito tradotto nella lingua che gli era propria, che include sì l’affetto, la stima, la tenerezza e il ricordo, ma poi, come tutte le traduzioni, perde un po’ del suo significato. Pure quando  non ci sono errori di trascrizione.

È una mattina fresca, non ho ancora fatto molto. Sarà che mi pare di aver già fatto così tanto semplicemente riuscendo, per una volta, a dormire bene.


mercoledì 22 agosto 2018

500

Meglio non sapere. Tanto più se serve a compensare un difetto di coraggio, quello che avrei dovuto avere per affrontare l’incontro dal forte impatto di oggi pomeriggio. È andata così: qualche giorno fa un amico mi ha regalato una smartbox che ho deciso di convertire in massaggio tailandese presso un centro molto carino  a piazzale Lima. Pensavo che avrei raggiunto il Nirvana grazie al tocco carezzevole di una fanciulla minuta che mi avrebbe regalato benessere e oblio. E invece non ho impiegato molto tempo per capire che la piccola donna molto robusta che mi avrebbe manipolato per quarantacinque minuti, mi avrebbe ridotto in tanti mucchietti di ossa raggruppati per categoria e poi ricomposti secondo i sacri principi dell’olistica orientale (dico parole a caso ma il concetto sono certa che sia chiaro). Tuttto è cominciato con un ingannevole, perché piacevolissimo, lavaggio di piedi con un’asciugamano imbevuta di gradevoli sostanze profumate. Non potevo ancora sapere che sarebbero stati gli unici due minuti di piacere, perché subito dopo ha cominciato con pressioni tali che neppure il mio pudore nel lamentarmi o muovere critiche al lavoro altrui mi hanno impedito di urlare più di una volta. Ad un certo punto la piccola donna molto robusta ha cominciato a camminarmi sulla schiena e poi a piegarmi le braccia come quando si bloccano i ladri per evitare che scappino. Dopo circa venti minuti, forse per rassicurarmi, mi ha detto in un italiano molto incerto “eh, massaggio è così...”. Intanto io vedevo tutte le stelle e sentivo le ossa fare tanti rumori diversi, come se volessero imprecare nella loro lingua. Poi mi ha detto di girarmi e ha cominciato ad accartocciarmi e scartocciarmi mentre saliva sul lettino e faceva una serie di pressioni pesanti su collo e spalle. Ancora non posso credere di essere uscita intatta da quella prova di demolizione e riassemblaggio.
Quando mi sono alzata per rivestirmi mi girava la testa. Ma è durato pochissimo. Poi ho sentito di stare divinamente, non avevo nessun dolore, neppure al braccio che mi fa male da più di due anni. Incredibile. Quando sono uscita dal centro ero così rilassata e avevo così tanto sonno, nonostante fosse le quattro e mezza del pomeriggio, che ho avuto problemi e rientrare a casa senza svenire
nell’autobus. Sono collassata sul divano e ho messo uno dei dvd trovati per caso qualche giorno fa. Era “Dolls” di Kitano. Non lo avevo mai visto prima, pensavo che fosse noioso e criptico, e invece ne sono rimasta completamente folgorata. Anche in questo caso assecondare esperienze di cui non conosco la natura mi ha procurato un immenso beneficio.

Qualche anno fa seguivo un blog molto divertente di una persona che ora seguo su fb e i cui aggiornamenti sono sempre arguti e molto divertenti. Lui si è separato molto presto, quando il suo bambino era ancora molto piccolo, per cui gestiva il rapporto con l’amatissimo figlio secondo una tempistica rigidamente predefinita e di cui lui ogni tanto raccontava.  In uno dei suoi post scrisse, in occasione del decimo compleanno del suo bambino, “sei la percezione esatta dell’amore”. Mi sembrò una frase così bella da parte di un padre che non la scordai mai più. Oggi quel figlio è un adolescente, io continuo a trovare interessante il modo in cui si evolve il rapporto con il suo papà e a leggere incuriosita i suoi auguri di buon compleanno. Avverto ancora lo stesso amore, ma le parole sono diverse, riguardano anche considerazioni sul suo carattere, le discussioni, i conflitti generazionali, una testardaggine emersa con gli anni...e io penso sempre a quella “percezione esatta dell’amore” che è così facile, prevedibile e intuitiva quando tutto è controllabile. E invece così eroica, sorprendente e interessante dopo, quando tutto è meno netto, più sfuggente, più articolato.

E così ho pensato che qualche volta le cose che scegliamo sono spesso tali da farci credere che ciò che decidiamo di fare, essere, amare, sia poi pure controllabile nei suoi esiti, per il solo fatto che ne abbiamo una coscienza e volontà iniziali. E invece, ad un certo punto, pare che vengano a dirci “adesso ti faccio vedere io cosa volevi davvero ma ancora non potevi saperlo”.
A volte. Mica sempre. Ma quasi sempre.

Avrei voluto dire tante cose per il mio post numero 500. Ma poi mi è venuto questo. Che ne sapevo.

domenica 19 agosto 2018

Di svago e divagazioni. E ritorno

Sono rientrata a Milano ad ora di pranzo dopo due giorni trascorsi in un posto fresco e bellissimo sulle montagne nel bergamasco, assieme ad un amico. Bella la casa che abbiamo trovato, belli pure i posti che ho visto e la pace che si sentiva. Belle le chiacchiere in auto durante le trasferte, o sul balcone a discutere di viaggi, di amori, di lavoro. Divertenti i suoi moniti da quando mi conosce: truccati poco, lascia perdere chi gioca ad intrappolarti senza volerti davvero, frequenta più uomini, non fumare mai...cose così. E a me diverte sempre e non mi mette mai a disagio.
 Credo che il piacere di passare del tempo con persone come lui è che non c’è mai stato equivoco sulla natura del nostro rapporto: non potremmo mai essere altro che amici perché nulla potrebbe suggerirci dell’altro. E così succede che anche quando guarda il suo cellulare per ore ed ore mentre parla con me la cosa non mi disturba e quando mi racconta delle sue avventure sentimentali io mi diverto e mi appassiono. E poi non mi interessa niente che mi veda nella mia condizione migliore, se mi trova struccata o in pigiama. C'è qualcosa, nell’amicizia fatta di confidenza e disinvoltura, che le fasi - soprattutto quelle iniziali - dei rapporti d’amore non  contemplano e questo mi è spesso di grande conforto.

E così è successo che gli ho raccontato di una cosa che mi ha un po’ ferito e che non ho per nulla compreso, con la speranza di ricevere un parere maschile che mi aiutasse a capire ed eventualmente a correggere colpe che i miei esami di coscienza non sono riusciti ad individuare. Mi ha detto semplicemente di lasciar perdere e dimenticare tutto come se nulla fosse perché non posso farci niente. Inutile chiedere spiegazioni, inutile provare a capire. Mi diceva questo ieri sera, mentre stavamo per addormentarci. Gli ho lasciato il lettone e stavo nel lettino alla sua sinistra sotto una copertina soffice e profumata.  Avevo  già tanto sonno e forse è anche per questo che quella raccomandazione mi è sembrata accettabile e piena di buon senso. Poi mi sono addormentata come un sasso e mi sono svegliata ricordando le parole della sera prima, respirando l’aria fresca del mattino, facendo una doccia nel bellissimo bagno della casa che ci ospitava. Trovavo quelle parole ancora del tutto ragionevoli.
Il mio amico si è svegliato subito dopo, mi ha chiesto se avesse russato...ma io non lo saprò mai perché ho dormito bene come non mi succedeva da una vita.
Siamo andati a fare colazione in un posto bello dove c’era il cappuccino con l’uovo sbattuto e le brioches più soffici del mondo, abbiamo camminato in un bosco...e smarrito la via che abbiamo ritrovato molto presto. Siamo rientrati in una Milano caldissima e che a me pareva stranissima.

Il frigo era vuoto. Sono uscita per comprare l’Espresso, che non leggevo da tanto tempo, e l’ho letto come per recuperare una realtà che mi era sfuggita o forse per giustificare due giorni di evasione, di pace e di confronto
Poi ho preso delle uova e del latte, che domani voglio di nuovo l’”ovocappuccino”. Credo che mi faccia bene. Quasi quanto un amico, le montagne, l’aria buona e un sonno ristoratore

giovedì 16 agosto 2018

Centro di levità temporanea

Finalmente. Dopo settimane e settimane di inutile attesa che la città si svuotasse e che il caldo infernale avesse un po’ di pietà per chi temeva notti infuocate, ma senza i piaceri che vi annette certa retorica maliziosa, ecco che oggi si è magicamente realizzata la mia estetica estiva metropolitana: andare al lavoro e incrociare meno di dieci auto nel raggio di quattro km, l’ufficio semivuoto tra avventori e colleghi, un silenzio irreale, una temperatura che comincia a farsi ragionevole. Tutto molto gradevole fin dal mio rientro di ieri sera: il tempo di festeggiare il mio compleanno e il ferragosto in famiglia, tra mare, cibo pazzesco, dialoghi fittizi con Pablito e piccoli e meno piccoli problemi di sempre...

Poco prima di arrivare a Milano mi ha scritto A. per propormi una serata al Carroponte. Per me andare lì è sempre una festa e ho accettato volentieri. A. non ama la solitudine come me e da quando lo conosco ha cambiato credo centinaia di ragazze con cui si trova bene. Poi però finisce sempre tutto e io lo invidio molto per questa sua capacità di stare dentro le cose senza mai rimanerne davvero avvinghiato. Siamo stati al carroponte solo poco tempo, non c’era molto da ascoltare, ma a me piace stare lì anche senza una ragione: credo che sia quella luce rossa che illumina la struttura della fabbrica che c’era un tempo. Poi mi ha riaccompagnato a casa e fatto un po’ di considerazioni sulla condizione dei nostri conterranei meridionali con poco lavoro e troppa famiglia sul collo. Ci siamo raccontati episodi che un settentrionale bollerebbe subito come residuati di un’ idea tribale della società e dai quali pure noi, che in fondo ancora abbiamo voglia di capirne le cause, prendiamo le distanze. E questo poco ha a che fare col fatto che solo qualche ora prima i miei ripetevano per l’ennesima volta che devo assolutamente trovare la maniera di tornare lì da loro. Hanno ragione, prima o poi dovrò occuparmi di loro, che non hanno nessuna intenzione di trasferirsi al nord e nessuno su cui contare laggiù. Ma sono sicura che a tempo debito ne verrò a capo...

Ma parliamo della bella giornata di oggi. Avevo paura del rientro e invece era tutto tranquillo e io avevo la possibilità di pensare a cose strane che mi tornavano in mente senza motivo, come quella volta che andai dal prof di microeconomia e gli dissi così: ” prof., ma come mai quando leggo la parte teorica mi pare di capire tutto e invece quando provo a fare gli esercizi non riesco a risolverli?” E lui mi disse: ” Cara Lucia, quando è così può voler dire solo una cosa e cioè che non hai capito niente della teoria”. Pensai a quella risposta per tanto tempo perché pensavo che la teoria e la pratica fossero due esperienze diverse. E invece no. La pratica è esatta solo quando la base teorica è solida e bene interiorizzata...altrimenti è movimento cinque stelle...ahahaha...

Anche quando sono uscita dal lavoro il percorso verso casa era ancora completamente sgombro da auto, persone, suoni. Era tutto mio. Forse è per questo che mi sono resa conto soltanto dopo che ho fatto una cosa che non faccio mai: andare e tornare dal lavoro senza le cuffie. Ad un certo punto ho pensato ad un’altra cosa stupida. Precisamente questa: ma perché Battiato cercava un centro di gravità permanente? Cos’avrebbe mai di auspicabile la gravità? Permanente poi? E poi ho capito che certe domande hanno senso solo ogni tanto, forse giusto oggi, che ho trovato tempo e spazio per il mio centro di “levità” temporanea, esattamente incastonata in quell’interregno franco che sta tra la fine della mia vacanza e l’inizio di quella altrui





sabato 11 agosto 2018

Un’ “Intravista”

Credo di averne immaginata qualcuna ogni tanto. A me piacciono molto le interviste. L’idea che due persone possano garantirsi di avere qualcosa da dirsi perché ci sono delle domande già pronte e che l’improvvisazione è concessa solo alle risposte, mi è sempre sembrata una cosa rassicurante. E poi, se le domande sono oneste e ben costruite, l’esperienza di un dialogo “delimitato” diventa un percorso condiviso di incontro. Oppure di allontanamento. Non potrei giurarci, non avendone esperienza, ma credo che anche l’analisi si basi sostanzialmente su una formula simile. E chissà magari un giorno deciderò di farmi fare domande “scomode” da qualcuno a cui confiderò cose, che mi riporteranno ad altro e ad altro ancora, fino a quello che avevo scordato per poi sentirmi dire che sono io la causa di ogni mio male. E tante grazie, è stato un vero piacere. No, non sono pronta a quel genere di domande. Lo sono per altre, per quelle che potrei farmi da sola e alle quali mi impegnerei a rispondere in tutta sincerità. Ma  poi come si chiama un’intervista a se stessa? Ci sono! La chiamerò “intravista”, come quelle cose che riesci a vedere di sfuggita ma che non fai in tempo a mettere a fuoco. Ma pure come le cose “viste dentro”. Intravista significa due cose opposte se ci pensi: la superficialità e l’interiorità (scrivere mi porta sempre a carambole lessicali insospettabili che ogni tanto benedico).
E allora oggi mi concedo una intravista. Se vuoi rispondi anche tu.

- Ciao Lucia. Grazie del tempo che vorrai dedicarti. Ti ho cercato molto e in realtà credo di non averti ancora trovato. Grazie per la parte di te che vorrai concedere al giudizio insindacabile di te stessa
- Ciao! Sì, Agosto è sempre un mese complicato per me che lo vivo sempre come una specie di staffetta tra ciò che è stato e le cose nuove che vorrei garantirmi per il prossimo inverno. E poi c'è il tornare a casa dopo un tempo abbastanza lungo da notare i cambiamenti e le cose che cominciano invece a sfuggirmi...ma scusami sto divagando. Fammi prima la domanda
- Sì, vedo che almeno hai compreso che un’intravista necessita di regole e la prima è quella di mettere a fuoco un tema. Di te sappiamo che pensi da tutta la vita che il tuo sedere sia troppo grosso (lo pensi perché è vero...), che ami star sola ma non sei una solitaria, che qualche volta hai amato ma poi hai deciso che sarebbe stato meglio provare a smettere, che potresti vivere anche soltanto di gelati e di anelli di cipolla panati (vedi sedere di cui sopra). Ora io ti chiedo, c’è qualcosa o qualcuno per cui saresti disposta  a cambiare totalmente vita? Per esempio mollare tutto e vivere solo viaggiando, oppure rimetterti a studiare una cosa di cui non sai nulla e farne la tua nuova strada, o andare a vivere in Giappone, per esempio?
- Sì, ma si chiamerebbe amore e, vedi sopra, avrei deciso di smettere per manifesta incapacità a trattare la materia
- Quindi per te la decisione di rivoluzionare se stessi deve necessariamente avere una motivazione esterna, un innesco generato dal legame con qualcuno o qualcosa che non sia semplicemente tu stesss
- Sì. Un vero cambio di prospettiva può essere dettato solo dall’amore per qualcosa d’altro da sé
- Uh...e se invece fosse il prodotto di una consapevolezza, di una raggiunta coscienza di sé?
- Può essere, ma “se dipende da me allora sono sicuro che non ce la farò” direbbe Moretti
- Cosa non tolleri?
- Salvini. Ma anche Di Maio. No, in realtà non tollero un intero spirito del tempo, ma forse è solo perché questo tempo mi è toccato a questa età, ormai ingabbiata in schemi rigidi legati ad una visione del mondo che non ha più i numeri per realizzarsi
- Quindi ti ritieni una persona sfortunata?
 - Mi ritengo una fortunata rassegnata. Credo di aver avuto abbastanza dalla vita. E questo qualche volta non mi pare abbastanza
 - E, in quanto fortunata rassegnata, pensi di avere sogni da realizzare?
 - Sono rassegnata alla realtà. Mica ai sogni che gridano vendetta!
 - Hai delle dipendenze?
 - No. Ma non ne vado mica così fiera
 - Ti è successo qualcosa di speciale oggi?
 - Ho avuto notizie di una persona che non vedo da tantissimo tempo. Mi hanno detto che ha messo pancia e che ormai ha tutti i capelli bianchi. Non pensavo a lui da tanto tempo ma quella notizia mi ha colpito molto. Così tanto che ho fatto in modo di non sapere nient’altro. Ma grazie per la domanda...
 - Figurati. Era solo un’intravista. Possiamo anche mantenerci sul vago




giovedì 9 agosto 2018

Cambiare aria (speriamo poco condizionata da quella che tira)

Uh...mi appresto a concludere una settimana insospettabilmente faticosissima. Al lavoro mi sono ritrovata a gestire afflussi di portata davvero imprevedibile, mentre in casa ho dovuto fronteggiare delle temperature con picchi da forno crematorio poiché non ho l’aria condizionata: sono anni e anni che continuo a considerare questa abitazione come provvisoria e che sia pertanto inutile ritenere che sia ancora migliorabile con investimenti ulteriori. Eppure, nonostante tutte le crisi e la voglia sempre più insistente di una stanza in più magari in un quartiere più fighetto, sono ancora troppo affezionata a questa ”cuccia” colorata e allegra che conserva il grande merito di “contenermi”, sia concretamente che nelle mie inutili velleità.
In questo momento è perfettamente in ordine e profumata come riesce ad essere solo quando parto per un po’ di tempo. Finalmente domani sera tornerò giù per un po’ e il mio solo scopo è quello di fare il meno possibile, per quanto più mi è possibile, ad una temperatura sostenibile.

Stanotte, per la prima volta, ho dormito con tutte le finestre completamente spalancate. Non credo che sia esattamente la cosa più ragionevole del mondo da fare se vivi al pian terreno E infatti non lo farò più ma è stato proprio bello starmene sul divano con la luce dei lampioni che sottolineava i contorni delle cose presenti nella mia cucina. Ad una certa ora l’aria si è fatta respirabile e io mi sono irrimediabilmente addormentata come un sasso. Quando mi sono svegliata era ancora buio, non avevo sudato come le altre notti, ero abbastanza riposata e ho scoperto che è stato nominato un nuovo capo all’Agenzia delle Entrate. Sono stata felice di vivere l’alba con un caffè fatto bene e che il frigo fosse vuoto così da potermi concedere a suggerimenti alimentari alternativi alle mie inutili merendine virtuose.
La giornata in realtà si è articolata in modo da Annientarmi, ma poi alla fine tutto è andato come doveva, ho pranzato col gelato bello di “melaverde”: il gusto bacio è pura poesia e quello allo yogurt greco al pistacchio è un’ipotesi di felicità in crema. Poi ho preso dei film in biblioteca, ricevuto dei complimenti che mi servono a capitalizzare un’autostima sempre bisognosa di conforto, reale o immaginario, e ho infine fatto una lunga passeggiata verso casa.

Stasera è più fresco di ieri. Forse non è necessario tenere le finestre aperte e credo pure che mi addormenterò molto prima. Ma la sveglia di domani è la stessa e la moka è già pronta. Il frigo è ancora vuoto e in questo momento Di Maio sta parlando alla 7 anche del nuovo capo dell’Agenzia delle Entrate, oltre che di altre cose a cui non riesco a credere neppure con la massima buona volontà. Ma forse è davvero tutta colpa mia e dell’aria che respiro io. E poi a quest’ora ho già abbastanza sonno e sento di avere solo il diritto e la lucidità appena sufficiente per pensare ai gusti da scegliere domani a pranzo, dopo che avrò visto di certo troppe persone. Tutto accadrà prima di salire su Italo. Verso un’aria nuova. E condizionata

martedì 7 agosto 2018

“Mi piace” “non seguire più” (se poi non posso soffermarmi)

È da qualche giorno che ci penso. Forse la cosa comincia a diventarmi chiara solo da un po’ e provo a prendere le misure con un fenomeno in fondo relativamente nuovo. Parto dall’inizio. Qualche anno fa frequentavo assiduamente un amico con cui condividevo passioni comuni, in primis il cinema, che ci vedeva almeno tre pomeriggi a settimana assieme, e poi incontri legati a forme condivise di impegno e cene con bella gente che conoscevo all’epoca. Ad un certo punto lui mi scrisse sulla chat di fb dicendomi che mi avrebbe bloccato perché cominciava a soffrire all’idea che saremmo stati soltanto buoni amici e che stava male anche al solo pensiero di ritrovarsi finanche a contare tutti i like che mettevo agli altri, a leggere ciò che qualcuno mi scriveva per farmi sorridere e persino al mio modo divertito di rispondere sempre a tutti. Mi disse anche che si rendeva conto dell’assurdità della cosa, ma che non poteva fare a meno di farlo, nonostante questo lo annientasse. Fu quello il suo stranissimo modo di dichiararmi un affetto diverso dalla semplice amicizia, sulla quale io avrei sempre voluto contare. Prima di quel messaggio non avevo mai capito nulla e soprattutto mi colpivano le ragioni della sua sofferenza: i miei like, dati e ricevuti, non erano (e non sono) messaggi occulti di ammiccamento, come non lo è nulla di quello che scrivo su fb. E lui invece ne soffriva. Soltanto molto dopo ho capito che quel comportamento era il suo tentativo di accettare il fatto che non fossi innamorata di lui e che la sola cosa che gli riuscisse per provare a stare meglio era quella di non sapere più niente di me.

Dopo qualche tempo mi riscrisse, forse per capire se mi fosse mancato almeno un po’, ma io detesto che le persone soffrano inutilmente per me e in quella occasione non gli lasciai alcun dubbio residuo. Credo che chiunque dovrebbe fare così: essere chiaro e onesto anche al prezzo di essere odiati. In fondo è giusto così e poi dopo un tempo fisiologico di elaborazione si torna a stare tutti molto meglio.
 Mi è dispiaciuto molto non vederlo più, per tanto tempo ho sentito la mancanza delle nostre gare su chi imbastisse la recensione più riuscita dei film visti assieme e anche di tutte le cene e di certe paranoiche conversazioni su un tempo che non ci apparteneva mai del tutto...ma poi mi ripeto ogni volta che il detto “dove non puoi amare non soffermarti” rimane sempre il mio imperativo categorico, anche quando sono io quella che non si può amare. E così non ci siamo visti più da allora. Non avrei potuto offrirgli altro, nonostante gli volessi molto bene, ma sono certa di essergli ormai completamente passata dalla mente e dal cuore. E poi i cinema esistono ancora, come pure il buon cibo e le belle conversazioni con persone che ci somgiglino, ma è proprio sulla scorta di questa mia piccola esperienza che mi trovo sempre più persuasa del fatto che fb stia generando una strana forma di relazioni umane che chiamerei “socialogia” degli affetti di cui forse bisognerebbe prendere seriamente atto.

Io non blocco mai nessuno. È successo soltanto una volta con un’amica, ma poi ci siamo ritrovate. Per tutti gli altri lascio che la mia presenza sul loro profilo vada di pari passo con l’interesse reale che ho per loro. Tranne in un caso. In “quel” caso ho conservato l’amicizia ma  ho messo l’impostazione “non seguire più”. Ormai già da un po’ di tempo. Io credo che oggi sia più complicato di un tempo allontanarsi da qualcuno a cui a vario titolo ci sentiamo legati, proprio in virtù del fatto che le distanze da prendere non sono più soltanto quelle fisiche, “E siccome è facile incontrarsi anche in una grande città”...figurarsi quanto lo sia sui social!

E così oggi ho ripensato al mio amico di allora, a quanta inconsapevole sofferenza gli avevo procurato, e alla sua drastica ma condivisibile decisione di non vedermi neppure di “profilo”. E poi ho pensato ai rimedi nuovi per fronteggiare tutto questo dolore, dettato da cause reali e immaginarie, e ho notato che in fondo finiscono per rispondere sempre alla stessa logica: quella di proteggersi dalla gelosia e dal rifiuto. Ed è per questo che hanno ogni ragione anch’essi.

 “Dove non puoi amare, non soffermarti”. Solo questo “Condivido” e “Mi piace” proprio sempre. Dove non si può, in tutta franchezza, direi  che posso anche “Non seguire più”...

sabato 4 agosto 2018

Ho un problema con Cary Grant

Ormai non c’è più alcuna possibilità di redenzione e riabilitazione. Ci sono cose che non devo sapere, verità che devono essermi celate accuratamente, perché conoscerle significherebbe rompere un idillio o, peggio, generare traumi irreversibili. È per questo che ormai non posso più vedere film con Cary Grant. Ho letto che era avarissimo e che addirittura aveva richiesto, e gli era stato accordato, che da contratto poteva tenersi tutti gli abiti su misura che indossava nei film che girava. Lo sciupafemmine... Ecco, il risultato di questa verità che non volevo affrontare è che io adesso, ogni volta che mi imbatto in un suo film, vedo solo un “pulciaro” terribile e quindi non riesco più a godermi il film. Bisognerebbe avere più rispetto del mondo della “finzione” e non rischiare di abbassare mai un “divo” al suo livello umano. Del resto si chiama fabbrica dei sogni, mica bocca della triste verità...

Oggi sono stata al parco  Vittorini, quello in fondo alla mia strada. Per arrivarci devo fare una piccola passerella davanti ad una specie di spin off dei peggiori bar di Caracas. Ci sono personaggi molto naïf, che di solito stanno fuori a fumare e bere fiumi di birre, e che quando mi vedono passare sono soliti fare i brillanti con frasi da galletti che non mi offendono ma a cui non reagisco (lo farebbero con qualunque donna comunque) ma mi limito a camminare con la testa bassa sperando che quella manciata di secondi di imbarazzo passi in fretta.
Quando sono arrivata alla mia panchina preferita ho trascorso un paio d’ore tra pace, sole, lettura e qualche foto ad un parco desertico e magnifico. Poi avevo davvero troppo caldo e ho deciso di rientrare. C’erano ancora tutti. Io ho di nuovo abbassato lo sguardo, e di nuovo ho sperato che tutto finisse presto. Ad un certo  punto uno di loro ha detto “scusami...hey, scusami...ma perché non parli mai? Secondo me non sei di questa terra per quanto sei bella. Dai parla!”. Ho alzato lo sguardo soltanto in quel momento, gli ho sorriso per mezzo secondo e ho proseguito come sempre. Avrei voluto dirgli “caro mio, io pur di non passare davanti a tutti voi farei il giro della città ma ho troppa voglia di prendere il sole sulla mia adorata panchina a dieci metri da qui e se il mio prezzo sono gli occhi dei clienti dello spin off del peggiore bar di caracas che mi vedono donna giunonica per fantasie di cui credo di non aver grande cognizione, così sia. E poi sai che ti dico? In fondo è piuttosto divertente farti credere quello che credi, qualunque cosa sia”.

Chi sono io per infrangere i sogni e le credenze degli altri? Chissà quanto troverebbero noiosa e seria questa passante col prendisole e gli occhiali anni sessanta se davvero si concedesse al dialogo con loro. E invece sono anni che questi simpatici perdigiorno mi dicono cose inutili a cui abbiamo tutti deciso di credere. Per ben cinque secondi alla volta!

Domani alle 14:00, sulla 7Gold danno “il visone sulla pelle”. Con Cary Grant. Mi sa proprio che non me lo vedo. A quell’ora sai quanto sole si prende al parco 😝😉

giovedì 2 agosto 2018

Quando ero “Semi_Seri” e coltivavo dubbi

Da domani comincio a prepararla. È da un po’ di anni che adotto questo metodo e devo dire che mi ha sempre premiato. Non avverto la fatica dell’ultimo momento e neppure l’obbligo di una pianificazione troppo accurata grazie alla predisposizione di una lista. Io la valigia ormai la faccio così: la tengo aperta per circa dieci giorni e parto daLle cose strettamente necessrie per arrivare a gradi successivi di utilità. Dopo tre giorni, se non è diventata troppo pesante ci metto dentro tutto quello che non intendo riportare al mio ritorno tra regali, vestiti che non metto più ma che non riesco a buttare, libri letti, dvd, soprammobili che ormai non rappresentano più il mio spazio, cibo locale...
La prossima settimana tornerò per pochissimi giorni a casa: il mio papà mi ha preso i biglietti tre mesi fa ritenendo la mia presenza nella settimana di ferragosto un fatto necessario. Obbedisco.

Stasera avevo intenzione di rivedere un film che apprezzai molto al cinema assieme ad un amico che non frequento più da tanto tempo per ragioni che mi ha spiegato dopo e delle quali ho rispetto. Si trattava di “Dio esiste e vive a Bruxelles”, ma purtroppo c’e lo speciale camera e sono troppo delusa per assecondare un cambio così al ribasso.

In questi due giorni di caldo eccessivo, pressione così bassa da provocarmi problemi quando mi alzo, nottate sul pavimento per cercare refrigerio, mentre previsualizzavo il contenuto della mia valigia mi è tornato in mente l’ultimissimo post del mio primo blog, quello chiuso il giorno prima che partissi per emigrare in Lombardia. Era il 2009 e il blog si chiamava “Semi_Seri”, sottotitolo “alla ricerca di un terreno fertile su cui germogliare”. L’ultimo post si intitolava “bagagli e fardelli” che poi è un giochino di parole che riprendo ogni tanto perché mi sembra molto esplicativo di un’idea precisa di cosa sia per me davvero necessario e cosa invece una inutile zavorra fatta spesso di ciarpame di eccessivo ingombro. Mi ricordo che ero spaventata ma felice, che quelli che mi seguivano all’epoca furono adorabili e pieni di parole di incoraggiamento ma anche di tristezza per un’esperienza di condivisione che si concludeva. E poi mi ricordo di un commento che diceva “mi raccomando ricordati la maglietta della salute che al nord fa freddo”. Era un blogger di Padova che avevo anche conosciuto al primo blog fest della storia d’Italia che si tenne a Riva del Garda. Che tempi! Chissà cosa ne è stato di quelle migliaia di pionieri del popolo 2.0 che affollavano le strade e gli stand di quella gigantesca manifestazione. Io ci andai partendo con un blogger del mio paese con cui interagivo da mesi ma che conobbi solo quando partimmo per quel lungo viaggio. Fu lì che conobbi Matteo Bordone, uno dei miei idoli radiofonici assoluti e grazie al quale il sabato e la domenica pomeriggio sono il mio tempo non negoziabile per nulla al mondo ancora oggi.

Dall’avvento del dominio di fb quel genere di composizione della rete si è via via disgregato fin quasi ad annullarsi o riconvertirsi in qualcosa d’altro. Anche questo blog è tutt’altro da quel primo concepimento di scrittura condivisa. Credo di non aver mai fatto davvero pace con questa cosa. Quello era un salotto di discussione, una cassa di risonanza, una rete di idee spesso condivise, altre volte no, ma c’era modo di capirsi ed argomentare. Mi ricordo che c’era uno sforzo di documentazione e di elaborazione del pensiero che ormai stento a ritrovare, anche nei miei timidi tentativi attuali. All’epoca avevo dieci anni di meno, non lavoravo e avevo tanta paura del mio presente di allora e di tutto il futuro possibile, venivo fuori da una storia sbagliata e quando non scrivevo...piangevo.
Oggi no. Tutta quella paura di partire e salire qui me la sono fatta passare, ho imparato a viaggiare sempre più leggera e se scrivo lo faccio immaginando di non rivolgermi a nessuno, ma lasciando la porta aperta. E poi ormai non piango quasi più, qualsiasi cosa questo voglia dire. Ma devo confessare una cosa. Non ho mai portato con me la maglia della salute. Secondo me non mi sarebbe servita, ma ormai che importa...