Sola andata

Sola andata

lunedì 30 novembre 2020

Pausa (dal) caffè

Ho un mal di testa feroce, come sempre quando comincio la mia settimana senza caffè. Ma quando poi la finisco mi pare di rinascere e quindi so che resistere ha molto senso. E’ anche il mio primo giorno di un periodo di ferie abbastanza lungo se penso che non ho intenzione di andare in giro se non per sopravvivere. Questo secondo periodo di reclusione ha in sé la familiarità e la rassegnazione del già visto. Pare che nel mese di Dicembre si tornerà ad uscire troppo e anche stavolta perderemo l’occasione di uscire da questo pantano. Mi sono rassegnata persino a questo. Io invece ho fatto presto ad abituarmi agli acquisti on line e la cosa mi procura la soddisfazione di un bambino all’arrivo dei regali.

Il mal di testa mi obbliga a movimenti lenti e a pensieri sconnessi e questa sensazione non è poi cosi sgradevole se decido di non fare lo sforzo di oppormi alla mia debolezza. E cosi stamattina mi è successo di pensare alla brutta pubblicità che Lanthimos ha fatto per la Tena: donne non giovani, non belle, non in forma che ci tengono a farmi sapere che, nonostante abbiano delle perdite e che non rispondano ai canoni classici di bellezza, non hanno assolutamente problemi sul fronte del loro desiderio sessuale. Non so dire bene cosa trovassi più sgradevole, non ho capito se fosse per il messaggio in sé, che io non avevo mai messo in discussione, o proprio per quell’orgoglio sfrontato per l’imperfezione che mi è sembrata più una spiegazione  non richiesta che effettivo compiacimento. Non lo so, ma ho provato fastidio misto a disgusto.

Io credo che esista una bellezza oggettiva, stabilita dall’armonia e dalla “statistica”. Ed è per questo che ritengo che non si possa negare l’esistenza della bruttezza. Non ho mai pensato che ci fossero colpe o meriti nel trovarsi a gestire una delle due, forse perché ho sempre fatto mia l’idea che vinca davvero solo “ciò che piace”. Il bullismo o il body shaming si combattono su un piano differente dall’ipocrisia della correttezza. Ed è per questo che trovo orrenda barbie curvy. Trovo parecchio più interessante sviluppare l’autodeterminazione e la valorizzazione della parte migliore di noi stessi, riconoscendo che ne esiste pure una peggiore. Ma non mi addentro in questa faccenda che sennò il mal di testa mi aumenta.

Ho appena ordinato delle scarpe da running. Ho cominciato quest’anno correndo in un’alba gelata. Ero così curiosa ed entusiasta di salutare un anno  nuovo nuovo. Non ricordo bene cosa davvero mi aspettassi. Ho imparato in fretta, e ben prima di quest’anno, a non alimentare aspettative e a fare più autocritica che posso. Pare poco. Per me no.

Di questo tempo credo che ricorderò tutti gli scampati pericoli: da contagio, perdita del lavoro, problematiche scolastiche, gestione familiare, frequentazioni in corso…ci si può ritenere fortunati anche semplicemente per ciò che non si ha. E poi ricorderò che è morto Maradona e con lui l’ultimo pezzo della storia di un pezzo di Napoli che con Pino Daniele e Massimo Troisi ha interrotto la sua narrazione migliore. Forse questa la supererò più a fatica.

Alla tv sta andando Mila e Shiro, il mio mal di testa si sta facendo feroce. E siamo solo al primo giorno. Non so come finirà quest’anno assurdo. 

Io mi riterrò eroica se riesco a superare anche solo questi cinque giorni   


lunedì 23 novembre 2020

Sotto un’altra luce

 Questo Novembre tiepido e luminoso non ce l’ha fatta ad intristirmi. Mi godo questi colori dalla finestra di casa o dell’ufficio, assieme ad un  silenzio che mi pare sempre più  irreale e atipico. Mi mette pace. La sera mi viene sonno molto presto, dormo bene e poi  ho imparato a cucinare piatti nuovi grazie ai quali mi sono autoproclamata la migliore al mondo cuoca di me stessa.  Mi sono concessa pure il tempo per montare la sedia a dondolo che mi era arrivata già da un po’ ma che non osavo  assemblare. E’ stato complicato ma riuscirci ha rappresentato una minuscola prova per la mia autostima, oltre che una vera svolta per la mia felicità domestica.

Ieri sono uscita per una lunghissima passeggiata. Il sole era alto ma per i primi dieci minuti ho avuto un po’ freddo. Dopo non più. Poi sono andata al supermercato e ho fatto la spesa senza alcuna fretta, scegliendo con cura quello che più mi piaceva per i miei nuovi piatti fatti di tempo e cura. E poi ho sbirciato nei carrelli degli altri (lo faccio molto spesso in realtà), ho provato ad intuirne i progetti di consumo e le ragioni per cui si lascino attirare da cose che io invece non comprerei mai. Mi pare sempre un esercizio molto utile, se non altro per capire quanto in fondo pure i consumi di massa in realtà sono capaci di evidenziare diversità reciproche piuttosto che vera omologazione. O perlomeno questa è la mia impressione rispetto al mio modo di consumare.

Da un po’ di tempo uso un additivo per il mio bucato. E’ un profumatore. Bisogna aggiungerlo al detersivo abituale. Uso lo stesso detersivo di mia madre eppure il mio bucato non profuma mai come il suo. E per me questa cosa è troppo straniante. Ho anche imparato a scegliere dei giorni in cui non bere neppure un caffè, a fare dolci a base di legumi al posto della farina, sperimentato un nuovo tipo di allenamento, visto vecchi film e fatto scorpacciate di cartoni anni ‘80. Le giornate sembrano passare molto in fretta quando ti imponi almeno una cosa nuova ogni giorno. O una capace di riportarti ad un passato lontanissimo ma ancora vivo nel tuo vissuto. A cambiare davvero è proprio la mia percezione del tempo e questo mi pare tanto più curioso se penso  che la vera noia si manifesta in tutta la sua ineluttabile arroganza nell’inerzia del presente e nella banalità brutale delle operazioni  necessarie (se trovo chi ha inventato la polvere dietro i libri o l’unto sui fornelli lo condanno al cambio di stagione del mio armadio per l’eternità).  

E’ un Novembre anomalo, dentro un anno andato a male capitato a sua volta in un tempo che  già faticavo a comprendere.  C’è troppa luce. Secondo me è tutta colpa sua

 


martedì 17 novembre 2020

Dove ti senti? In un posto, grazie!

 Credo che non potrei mai smettere di amare Milano. Neppure adesso che, se potessi, me ne andrei volentieri da dove son venuta: un posto che ho sempre detestato da quando sono nata e che peggiora ogni volta che ci torno. Non potrei smettere di amare Milano perché quando vieni da una brutta provincia dell'entroterra napoletano, vicinissima a Napoli ma pur sempre senza il mare, la cosa che ti auguri davvero è di andare a vivere in un posto che non ha nessuna somiglianza con quello in cui vivi. Solo chi esce dalla provincia (perlomeno da una come la mia) può capire quanto sia limitante viverci per alcuni di noi (mica tutti). 

Sono tanti gli amici e colleghi che in questi anni sono tornati nella loro terra. Tutte le volte me ne sono chiesta le ragioni: vivevano in posti più belli di Milano, avevano congiunti lontani, non riuscivano a trovare una loro dimensione in questa città. Tutte motivazioni estremamente ragionevoli e per le quali credo che nessuno di loro si sia mai pentito. Chi va via da Milano di solito lo fa senza nostalgia. E io ho sempre rispettato questo atteggiamento senza però mai riuscire a farlo mio.

Di Milano non ho preso lo stile di vita tipico – o forse solo stereotipato – della frenesia, degli aperitivi, delle grandi aspirazioni di guadagni e carriera. Ci sono venuta per fare un lavoro che amo proprio per la sua totale e anonima normalità, ma che mi ha consentito di concentrarmi su quello che mi appassiona senza scopo di lucro o che ho scoperto appassionarmi col tempo. In questi undici anni conosciuto un numero sufficiente di persone, ma sono davvero poche quelle che porterò per sempre nel cuore. Qualche volta mi sono molto legata, ma poi è passata. C'è una strana fisiologia nell’intensità dei legami che si stabiliscono in una città come questa. Credo che si siano fatti addirittura degli studi per comprendere una certa “volatilità” dei legami che si stabiliscono qui.

Non lo so perché amo così tanto un posto che mi ha anche obbligato ad una montagna di solitudine, e di dolore solitario, di riadattamento…prima subìto e, via via che ne scoprivo i tratti più netti, sempre più ricercato e accarezzato, così tanto che oggi che non è una scelta ma una necessità generalizzata, mi pare la cosa più naturale (e meno faticosa) di tutto questo stravolgimento globale.

Cosa ci faccio in smart working in questa casa che a certe ore del giorno ha una luce che non mi è familiare perché prima ero sempre altrove? Sono passati di qua e poi dimenticati gli anni del sentimentalismo (“E’ lui. Ne sono sicura”. “Mio Dio, ma come ho potuto!?”) , delle corse di gruppo, delle palestre fighette di prima mattina prima di andare a lavorare, dei piccoli teatri di quartiere, del cinema quasi tutti i giorni, di Pablito che mi rompeva sempre tutto (amore), dei pomeriggi alle terme Milano e dei massaggi nei centri benessere che ti insegnavano la mandala nei locali hi tech di via Cadorna (come ho imparato presto la sublime arte dello sperpero di denaro!). Passati e dimenticati tutti questi anni, che mi sembrano solo un lunghissimo ieri, quando di questi tempi già si era coperti dalla neve o da un nebbione avvolgente che mi faceva sognare un Bogart alla fine di ogni strada percorsa a piedi.

Cosa ci faccio ancora qui? Cosa rimane se non le cose che riesco a salvare grazie al web e che potrei godermi ovunque? Penso questo perché è ovvio pensarlo in un tempo come questo? Oppure no? Forse è vero che solo un amore trattiene davvero in un luogo che non è tuo dalla nascita. E lo è altrettanto l'essere costantemente richiamati alle proprie responsabilità da una famiglia lontana.

Credo che non potrei mai smettere di amare Milano. Ma che ci faccio io ancora qui?


lunedì 9 novembre 2020

È proprio come la prima volta. Tutto diverso, proprio come allora

Non è come la prima volta. E’ una cosa diversa. E’ cambiata la luce esterna, manca quello straniamento da novità assoluta e impensabile,  forse adesso sappiamo un po’ meglio di prima cosa si può fare di queste giornate “ristrette” e come approfittare al meglio del tempo aggiuntivo a disposizione. Di fatto si è tutti un po’ più stanchi, forse irritati, perplessi. Per quanto mi riguarda la vera novità è la scoperta che lo smartworking, per un lavoro come il mio, sia una meraviglia assoluta. Mi sarebbe piaciuto tornare giù dai miei, con la speranza di ritrovare la stessa armoniosa atmosfera della passata estate, ma non ho potuto. E così mi ritrovo a trascorrere, ancora una volta, il mio isolamento in questa piccola amatissima casa milanese, che nel frattempo ha sopportato i travagli inaspettati di un bagno nuovo e una disposizione differente dei mobili che mi pare riuscitissima. Adoro questo piccolo spazio in cui vivo costantemente di immaginazione, ipotesi, ricordi, affetti distanti o solo semplicemente desiderati. 

E’ tutto cambiato. Anche per me e le priorità che davo per assodate, come la solitudine che ho sempre considerato il mio unico ponte possibile per un incontro necessario ma frutto di attesa paziente. Intanto è cambiato persino il mondo fino ad ora conosciuto: Trump finalmente non fa più parte dei nostri destini, una donna “indo-giamaicana”è  vice presidente degli USA, Salvini è ormai poco meno che un uomo ridicolo, il paese non si è dimostrato all’altezza dei risultati ottenuti durante la prima ondata e per le spiagge di Mondello c’è una donna assurda che fa un videoclip sull’inesistenza del covid. E in tantissimi la guardano. E si divertono pure.

Io invece mi ostino e sentirmi pacificata, senza sapere bene il perché se non per il fatto che in fondo mi ritrovo a vivere come ho sempre voluto, che poi vuol dire non soffrire mai per amore, allenarmi, cucinare meravigliosamente bene mentre ascolto la radio, lavorare il giusto, vedere film e farmeli raccontare da quella meraviglia continua che sono i corsi di Longtake. E poi vivere di fantasia e di immaginazione per tutto il resto del mio tempo a disposizione. E’ poco lo so. Ma a me basta e poi non so cosa altro potrei fare di utile per il mio prossimo, se non provare almeno a non essergli troppo di intralcio. Non credo nell’etica dell’attivismo ad oltranza e a prescindere. E non mi sento un’egoista per questo.

E’ tutto cambiato. Se mi soffermo sulla sua composizione media, lo stato attuale non mi pare né peggiore né migliore di prima, ma forse questo si perpetua più o meno dall'origine della storia. E’ nelle esistenze individuali che si gioca la differenza vera e in questa fase il vero privilegio è scoprire quanta inesauribile ricchezza, pace, benessere ci sia nella solitudine e nel non avere la piena responsabilità verso un futuro su cui, in questo momento non abbiamo alcun potere di controllo o margini di manovra veramente significativi. 

Un mio amico, quando mi osserva muovermi nel mio quotidiano, ogni tanto mi dice cosi: “Lucia, ma come fai a sopravviverti!”, riferendosi forse al fatto che, qualche volta, sono un po’ svagata o poco pragmatica. Mi ha sempre divertito questa impressione perché, pur confermandola, per alcune cose che mi riguardano e in cui credo molto mi riconosco invece una disciplina ferrea che mi rende inarrestabile di fronte a qualsiasi ostacolo. E così ho pensato che forse tutto a questo mondo funzioni così: come un eterno oscillare tra “sbrodolamento” e rigido rigore. E in mezzo tutta la gamma delle combinazioni possibili che ciascuno di noi prova a mettere in campo per andare avanti come può. Meglio che può. 

E’ tutto cambiato. E’ peggio della prima volta. Ma è anche meglio. Come sempre.