Sola andata

Sola andata

venerdì 26 febbraio 2021

Per un frappè oversize

 Mi sono detta che avrei potuto aspettare. Oggi ho saltato il pranzo. Volevo avere abbastanza fame per il frappè “oversize” che avevo intenzione di prepararmi al rientro dal lavoro: banana surgelata in pezzi, skyr, proteine aromatizzate al cioccolato e burro di arachidi, cannella, nocciole sbriciolate, un ciuffo di panna. Quanto ne sia valsa la pena non saprò mai declinarlo adeguatamente con parole mie. 

I giorni diventano sempre più complicati e difficili da raccontare. Un anno passato così, tra stato di emergenza accompagnato da forme di terrorismo catastrofista, a periodi di  ingiustificato liberi tutti da pagare a caro prezzo. Il tutto ad intervalli regolari di due settimane. Per me invece non è mai davvero cambiato nulla se non lo spirito col quale provo ad assecondare questo tempo strano e indecifrabile. In effetti non mi pare che si possa fare molto altro e in ogni caso mi è toccato di stare anche molto peggio in tempi (sedicenti) “migliori”. Sono molto provata, ma non oso immaginare a come sarebbe stato avere dei bambini che non possono vivere regolarmente la scuola e il loro sacrosanto tempo di gioco e condivisione, o dover gestire una relazione “condizionata” dai limiti imposti, o peggio ancora vivere la fase dell’adolescenza…E’ un tempo ad “amarezza differenziata” e chi, come me, ha imparato da tanto tempo a vivere la solitudine come benedizione piuttosto che come condanna, forse ha qualche risorsa in più su cui poter contare, combinata ad una lunga serie di rogne in meno. Forse sono un po’ invidiosa soltanto di certi proprietari di cani che incrocio al mattino, durante il mio lungo cammino al lavoro. Sì, credo che loro abbiano trovato la quadra perfetta. A me toccano semplicemente il fascino di un ufficio pressocchè vuoto, i libri, i film, le lezioni, gli allenamenti, la cucina. E poi, come una stella fissa, l’utopia di un amore per il quale vorrei farmi trovare davvero pronta. Credo che prima dei 50 anni ormai non se ne parla neanche: la competenza emotiva esige un percorso senza scorciatoie e una persona davvero libera che cerchi le stesse cose. E poi che l’universo giochi a favore.

Temo che il biglietto che ho comprato per tornare giù non sarà utilizzabile e io ormai non so proprio come risolvere questa faccenda. Sento il bisogno di raccogliere i limoni del mio alberello e preparare un dolce con la farina di mandorle per cui tutti andrebbero in estasi. E poi di ritrovare quel dispettoso di micio che per un paio d’anni ha avuto pieni poteri in questo bilocale. E poi di rivedere tutte le cose tristi e senza soluzione che ho lasciato lì con l’occhio pacificato di chi ha imparato ad accettare pure questo.

Chissà se mai si tornerà alla vita di prima, se ritroverò le persone che ho perso da mesi e che mi mancano moltissimo, chissà se cammineremo di nuovo a viso scoperto. Chissà se tornerà soltanto ciò che conta veramente, finalmente depurato da inutili orpelli di un tempo di cui non si comprendeva il giusto valore. Se così fosse sarebbe un po’ valsa la pena aspettare così tanto. Un po’ come ho fatto io col mio frappè gigante modello pulp fiction. Da godersi rigorosamente solo dopo prolungata astinenza. 

sabato 20 febbraio 2021

Un anno dopo. E poi?

 E così è davvero trascorso un anno. Un anno esatto dal giorno in cui tutto è cambiato per tutti i presenti a questo mondo. Senza un minimo di preavviso o almeno qualche forma di preparazione psicologica ad una condizione di cui non sapevamo che cosa pensare.  A volte mi pare passato un decennio. Altre mi pare ieri. All’epoca ero alle prese con il mio ultimo bellissimo viaggio in Islanda e sorridevo per tutte le voci di allarme che mi giungevano da amici o dal tenore delle notizie che mi aggiornavano su questa cosa che vedevo cosi assurda, surreale e comica. E invece anche l’essere poi riuscita a tornare a casa si rivelò una fortuna. E trascorsero diverse settimane prima che avessi davvero percezione della gravità della cosa. Tutto il mio mondo cominciò a cambiare con un tasso di accelerazione che oggi mi appare inaudito. Clausura, impossibilità di fare quasi tutto fuori di casa, dal recarsi al lavoro, alla spesa senza ore ed ore di attesa. Poi ho cominciato a ritarare i miei equilibri, a vivere senza troppi traumi il necessario processo di riadattamento. Ho cercato di vederlo come un’avventura senza precedenti, nonostante il dolore e le notizie sempre più catastrofiche e inequivocabili.

Avrei potuto fare smartworking, ma quasi mai ho aderito a questa modalità e siccome l’ufficio era vuoto mi hanno concesso di andarci. Nel frattempo chiudevano le palestre: io, che in dieci anni ho sottoscritto abbonamenti in otto palestre milanesi, negli ultimi due anni mi allenavo già in casa o correndo da sola all’anello di Linate. Nel frattempo ho smesso di prendere i mezzi e cominciato a comprare cose on line. A seguire corsi on line. E a vedere film in streaming. Ho coltivato al mio meglio forme sublimi di solitudine a cui ero già rodata da tempo. Intanto il tasso di divorzi è aumentato del 60%, i bambini sperimentavano la fatica e i risultati scadenti della dad, tantissime aziende hanno fallito e una pletora imprecisata di categorie poco tutelate è finita praticamente in rovina. Nel frattempo è cambiata la compagine governativa perché, alla fine, la politica non smentisce mai la sua incapacità di farsi carico responsabilmente delle tragedie del suo tempo.

 Se proprio ci penso bene, nella mia vita non è davvero cambiato molto e tutto quello che lo ha fatto non è stato davvero peggiorativo. Forse per uno strano paradosso nei due anni precedenti stavo provando a raggiungere il mio equilibrio coltivando sostanzialmente certi rigori da vita in pandemia. Per qualcuno può sembrare un fatto a suo modo inconcepibile. Per me no: se non ho smanie vuol dire che sto bene e che le mie attese sono state consistenti con i risultasti. Oppure ero io a non cercare più nulla di particolare. Piuttosto, se cambiamento c’è stato, è nella mia prospettiva futura che io colgo i segnali più spiazzanti. È dalla scorsa estate che non  posso tornare dai miei e ancora non mi riesce di sapere quando potrò farlo senza rischiare salute e controlli.  E poi è cambiato il mio senso di questa città e l’azzeramento di spunti di facile fruizione che mi offriva fino a pochissimo tempo fa. Mi manca poter spostare l’orizzonte in avanti. Mi manca il progettare un viaggio lungo, possibilmente lunghissimo, ma mi piacerebbe anche semplicemente un soggiorno in un cottage nella campagna inglese con qualcuno che vuole condividere un po’ di tempo tranquillo assieme a me. Mi manca la possibilità di incontrare una persona bella, anche in modo afinalistico o platonico (che poi solo in quelli io mi sento davvero ferrata). E mi mancano i rossetti, le espressioni dei volti, la condivisione di un pranzo in cui si è persino in quattro in una cucina. Si può fare a meno di tutto questo? Certo che sì, ma sapere che si potrebbe anche tornare a certe piccole normalità inessenziali mi pare ancora una bella tentazione. 

E’ passato un anno. La mia vita  non è cambiata quasi per nulla, al netto di dettagli sopportabili. Per certi aspetti è persino migliorata. Eppure anche a me mancano tantissime cose. Ci pensavo giusto oggi. Mentre il suono delle ambulanze continua a fare da sottofondo alle mie giornate. Dopo un anno. E dopo quanto ancora? 

sabato 13 febbraio 2021

(Tra)vestirsi a festa

 Che luce! Il mio percorso all’anello di Linate mi ha regalato un’ora e mezza di sole, musica in cuffia, aria fredda ma tonificante e di pensieri, che partono annodati e poi si “srotolano” e diventano limpidi man mano che provano a cadenzarsi con i passi e il respiro. Amo certi miei rituali del fine settimana, così uguali e diversi ogni volta. Oggi compio 44 anni e mezzo, che non vuol dire niente eppure per me è importante perché ho una incomprensibile impazienza dei 45 anni: mi pare un’età così bella e impressa in una idea “pacificata” di maturità, quella che senti di aver raggiunto quando non devi più dimostrare nulla o sei riuscita a by passare responsabilità socialmente imposte e che non sentivi, quando ti riesce di non essere un peso per nessuno e addirittura ti è riuscito di capire un bel po’ di altre cose, magari un po’ tardi, ma sempre meglio che mai. Non ho marito perché non ne mai voluto uno (e, per “fortuna”, non l’ho neanche mai trovato), non ho bambini perché non mi interessava averne, e continuo ad amare sopra ogni cosa la mia solitudine, che per me rimane l’unico modo che ho di imparare ad amare tutto il resto. La coerenza di tutti questi anni mi ha incoraggiato e aiutato a comprendere che non esiste un solo modo di stare al mondo e che uscire dalla convenzione è un po’ più faticoso ma assolutamente necessario se quella ti appare come l’unica strada. Ma domani è San Valentino anche per gente come noi. Sento che è in ogni caso una festa anche mia. Non importa quanto sia sola nel tempo e nel cuore: San Valentino è la festa degli innamorati. E io “sto sempre innamorata”,  come dico tutte le volte ad un mio amico che è solito prendermi in giro per il mio romanticismo “utopistico”. Ma è la pura verità: io sono sempre, in qualche modo, innamorata di qualcuno. Io ho sempre una persona che se ne sta lì, tra i pensieri – e a una distanza adeguata e tale da esorcizzare ogni tentativo di conquista - a farmi da faro, spinta, modello da emulare. Funziona. Credo sia un allenamento molto efficace soprattutto a rendermi pronta nel caso la sorte volesse riservarmi l’incontro “decisivo”, quello nel quale credo persino io ma del cui concreto verificarsi non affatto sono certa, perlomeno non nel limite ristretto della mia singola esistenza. 

Domani sarà anche la domenica che precede il carnevale e io ho deciso che mi vestirò da donna fatale, col tacco 12 e una bella gonna. E poi metterò il rossetto rosso e mi truccherò bene gli occhi. E poi proverò a capire quanto di me ci sia in una donna così o se certe risorse femminili non mi appartengano proprio per nulla fino a spiegare un po’ del mio starmene così in disparte. Intanto mi tornano alla memoria i personaggi assurdi che si sono avvicendati nel mio vano peregrinare tra sentimenti in cui trovare un po’ di luce condivisa: da quello che si era scordato di dirmi che era già fidanzato, a quell’altro che era addirittura già sposato, fino a quelli che non si è mai capito che tipo di legame volessero…mah…meglio i sogni e le utopie, fatti di uomini che sanno ancora fare la corte e che scandiscono parole e gesti con la grazia e la naturalezza di una complice affinità, come fanno tutti quelli a cui decido di voler bene senza che necessariamente lo sappiano.

Domani è San valentino e io voglio preparare qualcosa di buono che richieda il tempo e la cura che meritano le persone che amiamo. E che arrivino proprio domani, o in qualsiasi momento decidano loro in totale libertà, non ha nessuna importanza. Sarà San Valentino anche per me. Questo è certo.   

domenica 7 febbraio 2021

Risolvere “alle radici”

 Per fortuna certe cose me le segno, così poi me le ricordo come si deve nei periodi di poca lucidità dovuta ad eccesso di sconforto.  Non mi è mai stato chiaro il concetto di orgoglio delle proprie radici. Sentirmi orgogliosa di essere napoletana è come esserlo di avere gli occhi verdi: è una cosa che capita per puro caso e nessun merito particolare, non incide in alcun modo sullo spessore umano e quindi per me non ha senso parlare di orgoglio.  Sono vissuta in una delle province più degradate della Campania, in un paese di una bruttezza mortificante e dal quale ho sempre desiderato scappar via. Oggi  la penso ancora così e l’ipotesi di dovervi ritornare un giorno sarà dettata esclusivamente da obblighi e necessità familiari. Questo è quello che devo sempre tenere a mente quando devo dare ragione dei miei anni in questa città, nella quale faccio una fatica tremenda a tenere la barra dritta ma senza la quale non avrei mai potuto comprendere quanto sia fondamentale affrancarsi da luoghi, famiglia, abitudini consolidate per autodeterminarsi. Ho fatto in tempo a comprendere che non è sufficiente una casa abbastanza grande per sentirsi a proprio agio, che un ragazzo che ti dà uno schiaffo non ha neppure una scusante che lo renda perdonabile, che il “paracadute” familiare ad un certo punto diventa controllo ricattatorio e manipolazione travestiti da affetto e protezione. Nell’ultimo anno ho per un attimo dimenticato tutto questo, con la falsa convinzione che un rientro definitivo a casa, dopo tanti anni impegnata a gestire una vita che mi ha restituito libertà e capacità di scelta, sarebbe stato un ritorno alle origini, ad un ancestrale recupero di quel vago concetto di radici di cui dicevo prima e che di fatto non ho mai davvero compreso. Milano è ancora il posto più figo in cui potessi avere il privilegio di vivere e sempre quello in cui mi piacerebbe restare più a lungo possibile. Ho persino proposto ai miei di vendere tutto e comprare casa qui. Ma per loro pare essere un fatto assurdo e inconcepibile…eppure lo sanno benissimo anche loro che il paesello fa parecchio schifissimo…ma continuo a passare io per quella strana.

Mi sono prodotta nella mia prima teglia di alici della mia vita. Ho diliscato il pesce mentre seguivo on line una delle mie amate lezioni di cinema. E’ stato divertentissimo, come lo sono certe domeniche in cui fuori è brutto ma le cose che hai da fare in casa ti tengono abbastanza impegnata da farti scordare eventuali mancanze, silenzi e sconforto. E poi ho il mio vicino argentino, credo l’uomo più scemo della terra, che in questo momento sta urlando al telefono come un ossesso (come sempre) e mi fa ricordare del tempo in cui la sua casa era vuota e io sognavo un vicino di casa interessante col quale confrontarmi e sorridere. Mi sono sbagliata e ora quel silenzio fatto di vuoto e finestre chiuse mi manca moltissimo. 

La notizia bomba di questi giorni è la rivoluzione copernicana dovuta all’avvicendamento di Draghi al posto di Conte. Ho salutato il fatto come una svolta epocale e sento che in qualche modo lo sarà davvero. Non sono mai stata tanto curiosa del futuro come questa volta e mi auguro con tutto il cuore di poterne raccontare con le migliori parole possibili.

Forse tra un paio di settimane riesco a scendere un po’ giù dai miei. Ho dei colleghi che sono nelle case d’origine più o meno dall’anno scorso. Avrei potuto farlo anche io. Eppure non c’ho pensato neppure per un istante. Avevo già la risposta da allora nonostante per un po’ di tempo abbia creduto di pensare il contrario. Mi stavo confondendo. Ora sono quasi sicura che i miei tentennamenti siano soltanto colpa di questo vicino di casa scemo. Potrebbe farlo lui il ragionamento sulle radici, visto che sta incollato al telefono con i compaesani dalla mattina alla sera. Vorrei che quella casa fosse di nuovo vuota e tornare a fantasticare ancora sul nuovo inquilino. O immaginare di comprarla proprio io, magari arrivare a convincere i miei a starsene lì. E così arrivare a risolvere, finalmente, la nebulosa questione delle radici, o semplicemente della provincia meridionale squallida e delle distanze. Oppure, semplicemente, delle chiacchiere che offendono la mia casa e il mio silenzio e in cui le mie radici provano a darsi, a modo loro, un’identità     


lunedì 1 febbraio 2021

Domenica e lunedì

 Le ho prese davvero. Ero sveglia da prima delle cinque del mattino e sono stata capace di prendermi tre ore di permesso per entrare in ufficio a mezzogiorno. Volevo cominciare il mese e la settimana seguendo la tabella dei miei piccoli obiettivi prefissati con la calma che si concede solo a certi rituali solenni: finire un film che avevo interrotto ieri sera al limite della mia stanchezza, fare una colazione bellissima dopo un allenamento ingiusto anche per una trentenne. E poi stendere la lavatrice e sistemare casa in modo da non doverlo fare al rientro. Volevo leggere un paio di pagine di un libro e prendere pure un po’ di appunti. Mi sono alzata all’alba e catapultata per strada solo quando la città era già nel pieno dei suoi ritmi frenetici. Non mi capita così spesso: di solito esco che è ancora buio, immersa nel silenzio di strade ancora avvolte dalla quiete di un sonno di massa e cosi mi ha un po’ destabilizzato tutta quella folla che sottrae dello spazio al mio percorso. Però è stato bello rimodulare un po’ di abitudini dettate soprattutto dalle necessità di quest’ultimo anno, credo che mi aiuti a cambiare un po’ la prospettiva, persino ad immaginare di nuovo a possibilità più ampie di socializzazione (soprattutto perché non ne ho più alcuna voglia ma sono ancora in grado di capire che questo non sia affatto sano). È stato divertente passeggiare in un contesto caotico ma vivo che ha un po’ ridisegnato la mia routine.

Ieri mi è capitato di vedere una specie di docu-intervista in cui Katharine Hepburn si raccontava, prima come bambina figlia di genitori straordinari, poi giovane e promettente attrice di talento e infine come donna innamoratissima di Spencer Tracy. Per questa ultimissima fase del suo racconto ho pianto così tanto che in un sol colpo mi sono perdonata tutta  la mia incapacità di commuovermi per ognuno dei film deputati proprio a questo ma per i quali risulto sempre essere l’unico cuore di pietra tra gli spettatori. Invece stavolta non riuscivo a non restare avvinta a quella storia meravigliosa. Per fortuna il tempo era bello e sono uscita per una lunghissima camminata all’anello di Linate. Mi ha fatto molto bene. Al rientro ho dondolato sulla  mia bella sedia rossa mentre andavano le ricette fatte in casa da Benedetta: “l’Italia  del fare” di berlusconiana memoria - col suo pragmatismo alla Art attack”, fino a risolversi nella sua pletora infinita di canali tematici ipnotici, tra tutorial, seduzione del risultato visibile e facilmente raggiungibile, che ben poco spazio riservano alle “traiettorie alternative” del pensiero astratto, profondo, creativo. Ammetto che certe volte sono un vero toccasana pure per me che ne vedo la “pericolosità”.


Qualche giorno fa ho trascorso il pomeriggio in un centro estetico in cui lavorano ragazze che mi piacciono molto: ho fatto un trattamento al viso molto rilassante. Quanto tempo era che nessuno toccava il mio viso, che non sentivo profumi nuovi e non chiacchieravo con una sconosciuta giovane e delicata?

E’ un anno che vivo così: frequentando quasi nessuno, lavorando in un ufficio semivuoto, vedendo film e serie tv, ricordando vecchi amori tutti sbagliati, cucinando pensando a quelli che forse non vivrò mai, cercando di posizionarmi in questo tempo così assurdo eppure, in fondo, per me così ordinario e “bastevole” per andare avanti.


Dovrei tornare un po’ dai miei, ma in teoria ancora non posso, e vorrei tanto passare a salutare le persone di cui sento la mancanza o trovare il coraggio di farglielo sapere. E poi vorrei tornare agli anni dell’università, a quell’esame che mi fece capire che avrei anche potuto mollare, così oggi la mia vita forse sarebbe stata tutta un’altra cosa. No, non è vero. Il mio mondo sgangherato, casuale, sbagliato e “sbadigliante” mi è sempre piaciuto tutto così com’è. Mi è servito ad arrivare ad una domenica di pianto e commozione. E ad un lunedì che sentitamente ringrazia Di tutto questo.