Sola andata

Sola andata

mercoledì 27 settembre 2017

Di cose che passano, persino sullo spazio di quelle che restano

Forse qualche volta avrei bisogno di un angelo custode un po' severo che mi bacchettasse i polpastrelli con la cucchiarella tutte le volte che racconto cose che a distanza di mesi o anni non penso più, non sento nella stessa maniera o smettono del tutto di interessarmi come al tempo in cui ne parlavo. Intanto succede che il tempo passa, io mi dimentico di tante cose, ne capitano altre,  ne lascio traccia qui sopra con la percezione non provata che le sensazioni messe per iscritto facilitino forme di elaborazione di certi stati d'animo, una chiave di lettura, un percorso da seguire. Continuo a credere molto in questo tipo di potere che soltanto la parola scritta possiede.
Malgrado questo, ammetto che quando mi capita di rileggere cose di un po' di tempo fa, provo molto disagio, qualche volta imbarazzo e persino un po' di vergogna e questo nonostante gli unici paletti che mi sia data alla libertà di espressione fossero proprio assenza di volgarità e offese verso chiunque. Oggi è capitato che qualcuno, che non posso sapere chi sia, ha letto un mio vecchio post di cui non avevo memoria fino a quando non sono andata a rileggerlo io stessa. Ogni tanto succede che qualcuno, magari tra quelli che mi hanno trovato di recente, peschi a caso tra cose scritte tanto tempo fa e a me questa cosa fa sempre tanta impressione. Nella fattispecie si trattava di una specie di finto dialogo con me stessa nel quale passavo in rassegna il mio bizzarro modo di voler bene e la maniera in cui questo si è trasformato da quando ero bambina fino all'età che mi ritrovo. È un post abbastanza divertente e divertito, a tratti velato di una certa malinconia per una "grammatica dei sentimenti" mai davvero compresa, o forse semplicemente tradotta male e frettolosamente. Ma non era questa la ragione del mio disagio nel rievocare quel breve estratto di vita "in discussione". Ad un certo punto descrivo un episodio accaduto con una persona a cui all'epoca volevo un bene devastante e che ormai non sfiora i miei pensieri neppure per un secondo della mia giornata, non perché provi odio, rancore o qualsiasi altro sentimento negativo. È che non mi interessa più assolutamente nulla di lui. E mi chiedo come sia stato possibile, all'epoca,  superare ogni remora e ammettere di non riuscire a venirne a capo in nessuna maniera...e poi più nulla. Forse sono un mostro oppure ho bisogno di difendermi, di scappare da sofferenze che sono io stessa a causarmi e dalle quali solo io ho il potere di uscire. Ma come è stato possibile? Quando è successo che ho preso le distanze da quello che scrivevo non molto tempo fa? E cosa avrà pensato lo sconosciuto lettore quando è incappato in quel post? Vorrei chiamarlo e dirgli "guarda che quella non sono più io, ti prego  non leggere quei vecchi post. Sono superati, falsificati da giorni, mesi ed anni che mi hanno voluta diversa". Ma forse chi ha letto ha già dimenticato, riso, è passato oltre...che importa cosa sentivo allora se ora non ne è rimasta alcuna traccia.

In realtà, a mia parziale consolazione, ci sono anche le cose che restano, intatte e uguali a se stesse proprio come al tempo in cui le avevo scritte, come il post che proprio oggi mi ha restituito Facebook: uno di quelli in cui mi ricordo di quanto sia bello sentirsi di sinistra oltre ogni ragionevole dubbio e pure che certi pomeriggi milanesi di mezza stagione sono un condensato poetico ormai irrinunciabile per me. Ci sono temi che tratterei sempre nella stessa maniera, per i quali non ho conflitti o dilemmi per cui macerarmi. E forse è questo che mi pare bello e strano allo stesso tempo della rilettura di un diario: un continuo contraddirsi unito al costante tentativo di tenere la barra ferma.

E così stasera penso che il bello di segnarmi le cose, al di là dell'imbarazzo di restituirle ad un potenziale mondo sconosciuto di cui non posso realmente conoscere reazioni e interpretazioni, sta proprio in questo ricordarmi come ero e non sono più, cosa e chi mi piaceva e ora non più, le persone che ho amato e dimenticato nello spazio di due istanti separati tra loro anni luce e quelle che invece vorrei incontrare subito  per scriverne senza dover mai più cambiare idea.
Grazie, lettore sconosciuto, a tutto questo non avevo ancora fatto caso.


giovedì 21 settembre 2017

Se lo arresto forse mi libero. Persino di me stessa

Alla fine ho ceduto, come mio solito, alle lusinghe delle offerte on line e quell'abbonamento alla palestra di nuova apertura di via Mecenate alla fine l'ho fatto. Credo che di correre non smetterò comunque, anche se sono troppo stanca e in realtà non potrei proprio permettermelo dati i miei valori
di ferro costantemente sballati e le gambe ancora un po' pesanti per certi tipi di sforzo. Eppure
continua a rimanere la disciplina "spirituale" più affascinante che esista. Sono sicura che certi cambiamenti strutturali del mio carattere non sarebbero stati possibili senza quella cosa lì così impegnativa e progressiva e così spesso da maledire.

Ma quest'anno faccio una cosa diversa e mi dedico agli attrezzi e alla "core stability", che tanto pure la forza e l'equilibrio mi servono a pacchi. Ci andrò alle sette del mattino, al posto dei dvd americani con la Rebecca, la tutor che conosco da dieci anni e che non cambia mai, non si stanca mai, ha sempre lo stesso sorriso e io comincio a pensare che dovrei incontrarla, dopo tutti questi anni, e avere la prova che è ancora così perfetta come allora o se comincia ad arrotondare i fianchi come me...😀😀😀

E sempre per restare in tema di salute che non ho, l'altro ieri ho fatto una visita privata presso un medico adorabile che non vedevo da anni e da cui farò un piccolo intervento. Gli ho chiesto consigli per un po' di tono, una strategia di riposo, una pozione magica per dormire. Mi ha detto che mi trova in forma, che va tutto bene e basterà qualche massaggio o un po' di distanza da Milano. Io ho finto di credergli, almeno per attivare l'effetto placebo...

Hai presente quella scritta quando spegni il PC che dice "arresta il sistema"? L'ho già detto una volta, ma da vecchia appassionata di centri sociali io la interpreto sempre come un'esortazione alla rivoluzione. Credo che sia per questa ragione che uscire dall'ufficio per me assuma quasi sempre un significato potenziato, pure se alla fine si traduce soltanto in un ritorno al divano, alle tisane rilassanti o al troppo cibo.
Una cosa simile mi capita col Garmin: quel prodigio tecnologico che tengo spesso al polso a monitorare ogni mio passo, battito cardiaco, ritmo di percorso...Dopo circa trenta minuti, se sono
seduta, comincia a vibrare e compare la scritta "Muoviti!" E io un po' mi spavento, un po' mi vergogno per il monito e un po' mi sento accudita, seppure solo da uno strano marchingegno.

La verità è che la mia paura di riuscire a stare sempre abbastanza bene da potermela cavare da sola in ogni circostanza, anche a dispetto degli anni che passano e della forza che diminuisce, spesso diventa una malattia essa stessa. E questo malgrado sia convinta che sia sufficiente tutto quello che di virtuoso già provo a fare da sempre, i cibi che scelgo, i piccoli interventi medici che mi concedo, i battiti sotto controllo e gli integratori. Tento costantemente di fare la brava scolaretta che deve meritarsi ogni premio.
Eppure, a fine giornata, penso sempre che quello che davvero e in modo del tutto gratuito, ancestrale, innocente, rappresenti per me il vero sollievo dal peso di tutto, e di me stessa, sia sempre quella specie di imperativo lì. "Arresta il sistema"









domenica 17 settembre 2017

Navigatore a "svista"

Sempre inesorabilmente sveglia all'alba. Non c'è proprio niente da fare. Ieri credo di essermi addormentata non prima delle due eppure stamattina alle sei e trenta ero giù dall'alto del mio letto, con una tisana bollente e un caffè e perfettamente riposata. Alle sette mi ha scritto un amico chiedendo asilo sul mio divano perché è rimasto chiuso fuori di casa e ora è li che dorme come un bambino. Sono tornata a letto pure io e per fortuna osservo dalla finestra un cielo grigio che rende meno colpevole la mia assenza alla salomon running: quest'anno non mi riesce di aver voglia di indossare pettorali e correre per le gare. Forse dovrei cambiare sport e rassegnarmi al fatto che i miei valori ematici mi impediscono quel genere di sforzo prolungato e sfinente. Ma ancora non sono convinta di certi cambi repentini d'abito, nello sport come nelle sacre abitudini e in ogni orientamento di fondo che a torto o a ragione abbiamo deciso di darci. Però ammetto che ogni tanto lasciar perdere, sfumare, decidere di sperimentare strade poco intuitive possa risultare l'unica rivoluzione possibile

Non ho ancora terminato un libro che mi piace moltissimo e che ho in mano da tempo e non saprei dire se la ragione sia soltanto perché mi sto impigrendo oppure se si tratti di paura dell'abbandono.
Ieri sono stata ad una festa di compleanno in cui sono stata bene nonostante delle scarpe non troppo comode che mi hanno impedito di ballare quanto avrei voluto. La festeggiata era un'amica in comune con Massimo (siamo entrambe sue cinediscepole) e per arrivare da lei abbiamo ascoltato diligentemente le istruzioni del navigatore...che ci portava sempre in tutt'altro posto. È abbastanza curioso assecondare la perentorietà delle indicazioni di una voce elettronica che sta sbagliando con una tale evidenza che è fin troppo ingenuo assecondarla, ma tu lo fai, segui la sua voce deviante e lasci che ti porti financo in vicoletti stretti che non hanno evidentemente nulla a che fare con la meta effettiva. Mi sono divertita in questo gioco durato in fondo poco e che non ci ha impedito di essere a destinazione per tempo. Nel frattempo ci sono state cose dette e stradine anonime che forse non avrebbero trovato spazi di espressione. È trascorso un tempo che mi è parso giusto e per nulla perso.
Se proprio ci penso bene mi piace molto l'idea di procedere seguendo un navigatore che incorpori una qualche componente di errore piuttosto che andare avanti senza alcuna guida e in modo volutamente random e senza alcuna coordinata. Non è la stessa cosa: nel primo caso mi sto fidando di qualcuno che tenta di portarmi dove voglio, nel secondo non so che direzione prendere né come muovermi per darmi uno scopo.

Stamattina sarei forse uscita, avrei preso della pioggia e avrei mangiato un gelato. Invece sto aspettando un amico che si svegli dal mio divano, ho recuperato un po' di pagine di quel libro che non oso finire, ho capito che non mi dispiacerebbe cambiare sport. Strade diverse, orientamenti che si adattano al caso e all'imponderabile. Mi pare tutto sempre estremamente accettabile se c'è un navigatore, possibilmente difettoso, a guidarmi


lunedì 11 settembre 2017

"Immaginiamoci" in silenzio. Rassegna rapida di rassegnazione verbale

Pare che Instagram stia erodendo in modo inesorabile il bacino d'utenza di Facebook. Direi che in fondo la cosa non mi stupisce molto visto che persino io, che pure sono su Instagram dal 2012, comincio a farne un uso divertito e più intensivo soltanto negli ultimi tempi, forse proprio a causa di un crescente fastidio per l'uso strumentale, violento e incontrollato di opinioni che, "piantate" su fb, si diffondono come gramigna con pretesa di diventare delle verità assolute perché hanno infestato ogni spazio dedicato al confronto.  La rete è nata per realizzare una forma di dialogo potenzialmente illimitata e il fatto che ci sia riuscita e abbia per lo più avuto come risultato degli effetti distorsivi della realtà, quando non di odio e di incapacità di realizzare una visione davvero comune di felicità collettiva, la dice lunga sull'impoverimemto progressivo di tutti gli altri ambiti cruciali in cui si coltiverebbe la crescita umana.
Io ho scoperto la connessione di rete e le sue infinite possibilità attraverso i blog, che erano qualcosa di diverso anche da questo su cui scrivo ora. A me la vera rivoluzione copernicana parve quella: persone che decidevano di aprire un diario, spesso tematico, e di esprimere un'idea nella maniera più chiara possibile, raccontare un'esperienza della propria vita, una convinzione profonda, persino le proprie utopie. Questo significava fare uno sforzo di pensiero e di scrittura, trovare una formula comunicativa adeguata, non noiosa e anzi possibilmente ironica e inclusiva di altre nuove idee e contributi di persone lontane e sconosciute. C'erano i commenti degli altri blogger, tanti spunti nuovi e spesso si diventava a amici e si partiva per conoscersi dal vivo. La prima festa della rete, quella a cui partecipai pure io nel 2008, si chiamava Blogfest e fu una delle esperienze più spiazzanti ed esaltanti della mia vita. Poi però penso che pure i grillini sono nati così e allora capisco che delle falle gravissime in quel sistema già Erano ben presenti...

Poi i blog sparirono quasi del tutto, forse a ragione in molti casi, per altri fu un vero peccato per quanto mi paressero dei nuovi generi letterari di cui scoprire l'evoluzione.
Fb ha intuito che il segreto del vero appeal nella moderna comunicazione è la semplificaziome comprimendo i pensieri fino a farli diventare slogan, poi stereotipi, poi pregiudizi, poi pensieri poveri proprio perché troppo brevi, idee distorte, opinioni infondate, odio.
Twitter è riuscito ad andare addirittura oltre, imponendo la brevità dei 240 caratteri a insindacabile modulo espressivo. Lo assolvo solo come valido veicolo di link, ma la dice parecchio lunga in termini di atrofismo linguistico e lessicale.

E allora? E allora forse alla fine capisci che fai davvero bene se te ne stai proprio zitto e provi a dire tutto ciò che vorresti semplicemente con una foto, magari giocando anche stavolta con prospettive funzionali solo  a quello che vuoi mostrare, usando punti di vista che valorizzano solo alcuni lati e nascondendo tutt'altro e ricorrendo a qualche filtro distorsivo di una certa realtà molto meno interessante.
Tutto questo per arrivare, forse, a "rappresentare" la propria verità individuale... senza parole...senza che nessuno possa dirne di proprie. In un dibattito silenzioso, solo immaginario. Solo di immagini...
Forse

mercoledì 6 settembre 2017

"Ciao. Non devo chiederti niente"

Mica mi abbasso così alle provocazioni. E infatti ho imparato a non raccoglierle più. Sono geneticamente non predisposta al litigio e ai conflitti. Non li trovo utili, non mi piacciono, non mi interessano, secondo me spezzano i legami in modo irrimediabile. Appena noto una disarmonia, giro i tacchi e me ne vado. A me piace ascoltare la radio, leggere e andare a cinema, non parlo mai molto, non mi piace il pettegolezzo ed esprimo giudizi soltanto se richiesti. Non sono una sociopatica, ma francamente neppure una compagnona che tutti cercherebbero per animare una serata casinista. Eppure tutto questo non è bastato per evitare un del tutto inaspettato messaggio avvelenato da parte di una persona a cui ho soltanto detto che se un uomo non la cerca è perché non la vuole. Ho ascoltato con santa pazienza tutti i suoi accadimenti e soltanto dopo espresso una mia legittima percezione. Mica le ho detto che è una verità scolpita nella pietra, ma solo che secondo me non la vuole e che lei non dovrebbe cercare di capire molto altro. Si è offesa e mi ha detto che a me non interessa starla a sentire. Devo dire la verità, solo quando me lo ha brutalmente rinfacciato mi sono resa conto che era proprio così. Non mi interessava più neppur un tantino così ripeterle cose che non aveva voglia di ascoltare e non vedevo l'ora di non perdere più un solo minuto del mio tempo per una faccenda fin troppo limpida ai miei occhi. Quel messaggio così piccato e sgradevole è stato in realtà la mia salvezza.

Nel pomeriggio è passato a salutarmi in stanza un collega molto dolce che mi ha detto esattamente così: "Ciao Lucia, in realtà non ti devo chiedere niente, è solo che non ti vedevo da troppo tempo" e io mi sono chiesta come sia possibile restituire senstimenti tanto diversi nei confronti degli altri rimanendo al contempo esattamente quello che si è.
Io sono una persona fondamentalmente timida e spesso a disagio nella gestione dei rapporti umani, a qualsiasi livello. Non ne ho mai fatto mistero, non la considero una colpa o una forma di egoismo. È semplicemente un modo di essere come un altro e forse pure la ragione principale per cui mi sento più a mio agio in una sala buia o con le cuffie o ad andare a correre. Nonostante questo atteggiamento in fondo non troppo velatamente sociopatico, mi ritrovo sempre circondata pure da persone sinceramente affezionate che non fanno che preoccuparsi per me, di ciò di cui ho bisogno, che mi cercano molto spesso per chiacchierare di faccende di comune interesse, che mi trovano buffa e simpatica. Trovo spiazzante e stupefacente pure tutto questo ad essere onesta...

La verità è che forse è proprio vero che non si può piacere a tutti a meno di essere una specie di Zelig che prova ad assecondare tutti dimenticandosi di se stesso. Ma credo che sia altrettanto vero che è quasi impossibile non piacere proprio a nessuno. Pure se frequenti poco, o se pensi che te la cavi meglio facendoti il più possibile i fatti tuoi, pure quando una all'improvviso ti riempie di insulti perché le hai detto semplicemente che la verità è che non gli piace abbastanza...

La prossima settimana sarò a cinema praticamente ogni giorno, il mio collega di stanza dovrà assentarsi di nuovo forse per tanto tempo, riprenderà il palinsesto invernale di radio due e io i miei allenamenti. Direi che non prevedo troppe occasioni di dialogo. Può essere, ma stavolta sarò io ad andare da chi mi ha regalato stupore e riconoscenza per dirgli: "Ciao. Non devo chiederti niente. È solo che non ci vediamo da troppo tempo"


venerdì 1 settembre 2017

Dove ero rimasta? Qui, ma "rientro" anche io

Mi ha preso in pieno. Oggi è piovuto seriamente solo per una decina di minuti, gli unici in cui ero in strada e senza possibilità di riparo. Ne sono stata felice, mi è sembrata quasi un'iniziazione. Per fortuna ero vicino a casa e l'i pad stava nello zaino più figo della terra e che non teme intemperie di sorta. Io invece ero completamente fradicia e affamatissima. Ho saltato il pranzo per correre a vedere un film che in realtà mi ha annoiato, ma l'idea che lo animava è buona, il messaggio mi convince e ogni tanto mi è sembrato sufficientemente poetico da giustificare la mia fame e i miei jeans inzuppati.

Via Torino era gremita e mi pareva un posto completamente diverso da quello in cui pochi giorni fa camminavo, praticamente sola, in mezzo ai saldi al 70%. E invece solo oggi ho scoperto che hanno aperto una particceria napoletana piccola ma bellissima  che mi ha fatto venire voglia di tutto, ma non ho osato neppure entrare a curiosare.

I colleghi sono rientrati in massa: venerdì è un rientro furbissimo. Li capisco, avrei fatto anche io così. È tornato anche il mio compagno di stanza. Mi ha portato la pastarella di mandorle dalla Sicilia, sta riposato, come al solito spegne la luce nella stanza perché gli dà fastidio e  ancora non riesce a capire quando andrà in pensione. E poi è passato a trovarmi il mio collega cinefilo, così sicuro che avessi visto Dunkirk da chiedermi direttamente come lo avessi trovato e se valesse la pena vederlo. Mi piace tanto quando le persone mi sopravvalutano.

Come primo settembre direi non così male. In fondo ho trascorso un'estate facile e felice, in una Milano abbastanza diversa da quella di oggi, perché vuota, rovente, silenziosa. E tutta mia, con le sue albe variopinte ammirate correndo fino a star male, quasi fossero roba da meritare, mentre saluto un'età strana e straniante e nella quale non so esattamente che tipo di abitudini cambiare.
Un amico oggi mi ha fatto notare quanto sia brutta una mia foto di qualche giorno fa: sono io dopo una corsa di undici kilometri percorsi all'alba e a stomaco vuoto, per di più durante una cura massiccia per carenza di ferro. È vero sono bruttina assai in quella foto. Ma poi mi è bastato fare una lunga doccia, abbassare il battito cardiaco, fare una colazione abbondante, truccarmi, mettere le cuffie, lasciare agire le endorfine e davvero tutto era cambiato, perlomeno nella percezione che ho avuto del mio sentirmi bellina e a posto. Ma ammetto che se non passo per quella condizione lì, se non includo la bruttezza, la fatica, la solitudine, il silenzio, la carenza di ferro...non provo mai alcun incanto. E qualche volta sono felice di questo. Altre volte per niente.

Milano si sta riappropriando del suo grigio "necessario", io forse riprenderò ad allenarmi con i miei gruppi di running o a seguire i corsi belli dello scorso inverno. O forse a farmi suggerire dell'altro da una città che è sempre stata più intelligente di me. L'estate milanese non mi ha chiesto nulla e mi ha restituito tutto il tempo e lo spazio di cui avessi bisogno. Posso cominciare a restituire tutto, con congruo interesse...magari reciproco