Sola andata

Sola andata

domenica 31 luglio 2016

Gli altri siamo noi (e la noia)

Stanotte ho dormito proprio bene. Non succede quasi mai e per questo riconosco benssimo la differenza tra un riposo profondo e ristoratore e uno troppo leggero per essere avvertito come rigenerante. Credo che le ragioni di questo piccolo miracolo siano molte: ieri ero stanchissima. Ho rivoltato la casa tra pulizia e riassetto generale, lavato i tappeti, pedalato per trentacinque minuti, camminato per un'ora, fatto la spesa per tutta la settimana, letto un libro bello, riflettuto sui fatti miei mentre cucinavo delle cose molto speziate...e alle nove ero tramortita nel letto pensando che mi sarebbe tanto piaciuto essere al concerto di Calcutta al Carroponte, ma meno male che nessuno mi ci ha portato perché il mio nuovo cuscino memory all'aloe mi stava restituendo altrettante emozioni.

A volte è veramente curioso notare quanta energia assorba la normalità. Ma come hanno fatto gli eroi a diventare tali? Seguivano una dieta particolare? si allenavano tutti i giorni? Si drogavano? Evitavano di riassettare casa? Oppure facevano tutto questo e però erano dotati di qualche soffio vitale aggiuntivo che non viene concesso a tutti?

Dice che la motivazione è tutto e chi è davvero appassionato della vita non ha bisogno neppure della salute per fare cose eccezionali.
Io non ho le prove, ma si racconta che Totò, negli ultimi anni della sua vita, quando faceva ormai soltanto teatro ed era quasi completamente cieco e impossibilitato a muoversi, quando saliva sul palcoscenico era come se ritrovasse la vista e le forze durante l'intera rappresentazione, per poi ripiombare in uno stato catatonico appena ritornava "fuori scena". Dello stesso si diceva di Eduoardo de Filippo e mi viene da dire che qualcosa del genere accadesse anche alla appena mancata Marchesini, che a dispetto di una malattia cosi di "contrappasso" per chi fa teatro non ha mollato il palco fino alla fine...

Io non sono mai stata una prestazionale. Credo che sia un atteggiamento tipico di chi non è troppo esuberante, o troppo fiducioso nei propri talenti e nella capacità di far cose eccelse. Non ci trovo nulla di colpevole in questa attitudine. Però mi è sempre sembrato un peccato non avere passioni così forti da riuscire ad escludere ogni tentennamento e insicurezza da riuscire a lanciare il cuore oltre l'ostacolo.
Alla fine mi sono sempre detta che dormire almeno sei ore è davvero importante, che non è buona cosa ubriacarsi (eccerto...che mi costa...tanto sono astemia), che in fondo le regole è più comodo rispettarle che provare a vedere che succede a infrangerle, che i piccoli passi sono meglio del passo più lungo della gamba.  No, non è vero che penso a queste cose come buone e giuste in assoluto. Però le faccio lo stesso, perché mi fanno comodo e minimizzano gli imprevisti del mio quotidiano. Mi servono soprattutto ad annoiarmi moltissimo e ad un certo punto mi aiutano a capire che anche io sono capace di accumulare, ad un certo punto detto di saturazione, una forza di reazione sufficiente per cambiare e stravolgere tutte le certezze inutili che una vita irregimentata comporta.

Succede anche a me. Che non sono un genio, non ho passioni insopprimibili o talenti indiscussi. Succede a tutti quelli che pensano che il piacere di vivere sia sempre accompagnato da una strana energia magica che dobbiamo provare a sviluppare tutti in un modo o nell'altro. In alcuni è innata. E beati loro. Noialtri la troviamo solo ogni tanto. Magari grazie a un cuscino all'aloe, qualche corsetta, più di un buon libro...e tanta, tantissima noia...


giovedì 28 luglio 2016

Sosta passeggera per equilibristi stanchi

Milano restituisce un'estate "indulgente" quest'anno: ad ogni tentativo di afa regala un piccolo temporale e qualche volta un po' di vento e lo fa con una tempistica così efficace che non concede neppure il tempo di un lamento vittimistico.
Milano a Luglio e ad agosto diventa un'altra città. Si fa silenziosa e luminosa. Rallenta e respira profondamente. Trovo inconcepibile perdermela in questo periodo, ma forse comincio a trovare inconcepibile perdermela in qualunque periodo ormai. È così. Quest'anno è così. Bene il Portogallo a giugno e benissimo rientrare pochi giorni dopo. Bene la Liguria per un lungo week end e benissimo lavorare in questo periodo. Belle le lunghissime passeggiate, bello il parco fuori casa e bellissimo il temporale estivo di ieri.

È una sera di mezza estate di un anno credo tra i più tremendi che la storia contemporanea stia scrivendo, un anno nel quale ci si sente persino a disagio a pensarsi in uno stato di grazia di cui non sono ben chiare le fonti. Eppure, colpevolmente, ogni tanto non posso impedirmi di stare proprio così.
Tanto poi passa. Passa perché pure chi difetta assai di realismo sa che non basta una città che si fa bella ai tuoi occhi, non basta un clima temperato e neppure il ricordo di viaggi belli per arrivare a consolidare uno stato d'animo in perfetto equilibrio. Non basta neppure aver perdonato ogni offesa ricevuta, sopito tutti i rancori, dimenticato ogni tradimento.

Nulla è davvero sufficiente a garantirci per sempre il miracolo di un perfetto benessere. Perché in realtà il vero equilibrio è il prodotto di una composizione dei contrasti che non ammette perdita di controllo, è il frutto di un lavoro titanico e di una fiducia granitica nelle forze che lo sostengono.
Io di mio ci metto i tentativi, la sveglia all'alba, le vitamine, ci metto un ottimismo spesso traballante e pure la resilienza. E poi ci metto gli sfoghi necessari per tutte le sconfitte  che hanno voluto raccontarmi qualcosa che non ho subito capito. Se uno facesse sul serio parlerebbe con più rispetto dell'equilibrio e della sua apparente banalità. Per questo molti di noi ripiegano sulla follia che sta giusto sotto di lui e rende tutto talmente sfumato da fartela soltanto immaginare la realtà perché a vederla bene certe volte non gliela si fa...

Ma questa è semplicemente una sera d'estate...io non ho voglia di perdermi la mia grazia inconsapevole, immotivata, gratuita, passeggera. Tanto poi mi passa. siamo ancora a Luglio.

domenica 24 luglio 2016

Alzati e cammina. Ma se vuoi, fuggi pure

- Cara C. (collega di stanza con cui mi trovo molto bene.ndr), siamo praticamente l'unico team che non ha subito spostamenti, che ne diresti di approfittare della situazione e provare ad occupare una delle stanze che si sono liberate?
- Mi pare una splendida idea. Qua stiamo in mezzo ad un corridoio di passaggio in cui chiunque può farsi i fatti nostri e prendere atto di quello che stiamo facendo...cerchiamoci una stanza in cui chi ci vuole davvero fa uno sforzo attivo per cercarci

Non ci avevo mai pensato, ma forse certi cambiamenti uno li sente come necessari proprio per questo. Non ci stava proprio nessuna ragione per chiedere di andare altrove. Apparentemente. Ma poi una si mette un po' a fare mente locale e si rende conto che ogni cambiamento di moto a luogo è quasi sempre stato dettato da una intrinseca necessità di andarsene da dove si stava fino a quel momento. Qualche volta le ragioni pur validissime appaiono ancora nebulose, ma questo non ne ridimensiona necessità e urgenza verso il cambiamento.

Mi ricordo che quando stavo nell'altro ufficio ero costretta ad andare in una zona di Milano così lontana da casa mia che non  mi fu difficile trovare delle valide ragioni per chiedere il trasferimento nel mio attuale ufficio. Ma la verità era un'altra. Non la racconto perché non sempre si può spiegare tutto, non quando ci sono di mezzo intrecci anomali, ambiguità e inganni. Sentii il bisogno fortissimo di andar via da lì, di dimenticare quello che avevo scoperto mentre la mia ingenuità provava a proteggermi dallo sconforto e dalla delusione. Tutto passò appena mi allontanai. Un vero piccolo miracolo, ma riuscii a dimenticare tutto e subito soltanto perché la distanza a volte è una cura che funziona davvero benissimo.

Io credo che a volte il vero rimedio contro certe forme di dolore o semplice insofferenza verso un presente che ci mette a disagio sia semplicemente  un cambio di prospettiva. Intendo proprio di quel mutamento di punto di vista che ti impone uno spostamento fisico oltre che di modo di osservare i fatti. A volte si chiama fuga, altre semplice allontanamento. Altre volte basta semplicemente farsi un poco più in là e le cose davvero appaiono talmente diverse che sembrano tutt'altro.
Ci sono presenze che ci feriscono e lo faranno per sempre perché non sono in grado di fare altro per noi. Ci sono luoghi che non ci appartengono e dei quali non ci sentiremo mai parte nonostante ogni sforzo di radicamento. Ci sono cose che è assolutamente inutile provare a cambiare o anche solo accettare per quello che sono. Si continuerà a star male e a rimanere impotenti. Però si può provare ad alzarsi e darsela a gambe più lontano possibile.

Ancora non ho ben capito cosa mi abbia entusiasmato così tanto del possibile cambio di stanza con la collega con la quale andrò in un posto in fondo in fondo al corridoio e dove nessuno ci può vedere (se non per venire apposta a cercare noi). Per ora so che è necessario, che l'idea mi provoca benessere e che mi serve ancora un po' di tempo per capirne anche il motivo. Perché non può non esserci.



venerdì 22 luglio 2016

Destin(o)azione?

"Ciò che è destinato a te troverà il modo di raggiungerti". Se volessi davvero credere a tutte le citazioni nate per accarezzare la disperazione di chi aspetta da troppo tempo senza alcuna soddisfazione, forse me ne starei ferma e immobile in un angolo ad aspettare tutto quello che il destino mi riserva senza porsi il problema di chiedermi mai un parere. Di solito il mio atteggiamento verso frasi del genere attraversa due fasi.
La prima di consolazione e fiducia, come a dire "non accanirti, non affannarti. Tutto seguirà un gioco di incastri che tu non puoi controllare e che ti porteranno esattamente dove dovrai trovarti per chiudere il tuo cerchio". Durante questa prima fase faccio una specie di punto della situazione in cui tento di stabilire la distanza tra ciò che ritengo mi sia destinato e me - che non trovo, per l'appunto - la destinazione per raggiungere il mio scopo. E' una fase che mi mette molto a disagio perché la mia componente fatalista di solito è molto più debole di quella volitiva che mi vorrebbe protagonista e principale artefice del mio destino. Forse queste mie due parti dovrebbero far pace e collaborare...ma di solito non si parlano, non capiscono niente l'una dell'altra e poi io, tutta intera, ci vado di mezzo...

La seconda fase è quella che mi porta a ragionare sulla pericolosità di certe frasi fatte, magari estrapolate da considerazioni articolate meglio e che intendono affermare tutt'altro. Provo ad immaginare ad una cosa, più spesso una persona, che voglio con tutto il cuore...e che pare non essere destinata a me, almeno non ieri, neppure oggi, neppure domani....toh intanto sono passati mesi e anni...Ecco, io gradirei saperlo quanto ogni mio singolo, tenace, imperterrito sforzo è stato e sarà del tutto inutile per il mio cerchio da chiudere. E poi, dopo che ho assodato che quello che desidero non sta su questa terra per me, che mi frega a quel punto sapere che le cose che non desidero e non inseguo sono destinate per necessità a me. Il destino che non si accompagna alla felicità e a uno stato di grazia mi è indifferente e inutile.

E così ho pensato che io non ho voglia di sapere cosa davvero sia destinato a me. Ho voglia di credere che pure quello che forse non lo sarebbe mai sta facendo la mia stessa lotta per arrivare da me pure se il disegno dispotico del destino aveva previsto tutt'altro.
Così mi piace. Così ha senso soffrire, aspettare, lottare. E crederci. Oppure mollare per sempre. "Destin'azione" Paradiso, please!


giovedì 21 luglio 2016

alla ricerca del mercato che non c'è

Le faccio più o meno da quando vivo a Milano. Mi sono sempre piaciute, le trovo interessantissime e sono pure un modo facile e gratificante di arrotondare. Sono quattro o cinque anni che partecipo ad interviste per ricerche di mercato. Se ne fanno per qualsiasi tipologia di prodotto immaginabile, seguono uno schema abbastanza prevedibile ma all'interno del quale ci si muove in modo molto libero e creativo. Di solito si formano gruppi di sei/otto persone e c'è uno psicologo che modera la discussione. Io ne ho fatte di ogni tipo, dalle merendine, ai giornali digitali, alle crociere, ai prodotti bancari, alle caramelle. Ne avrò fatte centinaia ormai e mi piacciono sempre moltissimo. Le considero una specie di osservatorio sulle tendenze di consumo, sulle strategie per dettare la linea delle future campagne di lancio di prodotto e sulle nuove filosofie alla base della "cattura" dei consumatori.  Per me partecipare a queste riunioni significa anche e soprattutto dotarmi di strumenti di difesa da un mondo che procede in modo molto accorto alla conoscenza delle dinamiche di consumo e alla creazione di nuovi bisogni.
Alla fine ci regalano dei buoni benzina, grazie ai quali mio padre va in giro gratis grazie ai pieni che gli garantisco io, oppure dei buoni spesa che di solito uso per svaligiare la Feltrinelli o la rinascente.

In questo momento sono in attesa in una di queste agenzie perché tra poco parleremo di rimedi contro le malattie da raffreddamento. Per questo incontro ci hanno commissionato anche una specie di compito da fare in previsione di questa discussione. Dovevamo fare una composizione, suddivisa in diversi paragrafi, fotografie e immagini rappresentative, che, secondo un canovaccio che ci hanno dato loro, descrivesse una famiglia immaginaria di cui ciascuno di noi era il componente. Bisognava raccontare una situazione in cui i bambini si ammalano e i rimedi, il clima lo spirito con cui si affronta l'evento. Ci hanno detto che la composizione più bella vince un premio.
La mia mi vede mamma "naturista" di Pietro, che si ammala sempre ma al quale non do mai medicine perché la natura ha già tutti i principi attivi che gli servono. Così litigo continuamente col papà "illuminista" che crede solo nella chimica e nei rimedi scientificamente riconosciuti come tali. L'avrà vinta lui. Pietro guarirà magicamente con due tachipirine e tre aspirine e io penserò per sempre che sono soltanto gli effetti postumi del miele, della camomilla e della passiflora. Di sicuro è così.
...Il premio è mio...sicuro...


sabato 16 luglio 2016

Programmi (senza futuro) Rai. Televisione senza una visione

Ho fatto felicemente senza per oltre sei anni. Pensavo fosse impossibile per una che come me con la TV ha imparato a parlare e a sognare e alla quale è sempre stata infinitamente riconoscente. Mi ha fatto da baby sitter, mi ha insegnato i valori dello sport e pure un poco di spirito giapponese, grazie a tutti i cartoni visti fin da piccolissima e in sequenza mixata fino al liceo. Mi sono appassionata alle sit - com americane di ogni specie e qualità e credo di essere stata la più giovane appassionata di Jerry lewis negli anni ottanta, quando per un periodo diedero tutti quanti i suoi film. Ad un certo punto sono stata davvero fortunata perché mi ritrovai nell'età giusta per capire e apprezzare quella stagione irripetibile della Rai tre di Guglielmi. Credo che quel genere di televisione abbia dato un'impronta determinante alla mia formazione e al mio modo di affacciarmi all'età adulta. E sono certa che proprio sulla scorta di quella impostazione "geniale" nell'utilizzo del mezzo televisivo mi sia dotata degli strumenti necessari per comprendere la pericolosità e i rischi di quell'altra maniera di concepire la televisione che animava la fininvest di Berlusconi. Non mi azzardo certo ora e qui a dire cosa abbia rappresentato e come mi abbia condizionato quel genere nuovo e volutamente degenerato di "filosofia" della comunicazione. In questi giorni mi attengo all'eloquenza del non detto come forma di  più opportuna di espressione di certe opinioni.

Io sono una figlia naturale della televisione. Non mi sono mai posta il problema di quanto sia stato un male per la costruzione dei miei schemi mentali. Per fortuna c'è stato anche molto altro nella mia vita, ma riconosco di aver sempre trovato la TV un mezzo estremamente affascinante proprio in quanto contenitore indifferenziato di cose sublimi e pattume infestante che convivevamno piuttosto pacificamente spalmandosi nei diversi palinsesti di canali via via sempre più simili tra loro.

Poi un giorno decisi che volevo innamorarmi della radio, che avevo voglia di educarmi all'ascolto e

alla fantasia delle immagini evocate da parole dette bene. Oggi la radio è la sola cosa che ritenga davvero indispensabile in casa mia. La TV è rientrata da meno di un anno ma rimane quasi sempre spenta. Non ci sono più i miei cartoni, non ci sono più le serie americane  con cui sono cresciuta. L'avevo spenta sette anni fa quando cominciavano a dominare reality e programmi di cucina, e mi ero stancata di vedere ancora Pippo Baudo in prima serata.

Poi l'altro giorno vengo a sapere dei prossimi palinsesti invernali della Rai. I protagonisti indiscussi saranno ancora Pippo Baudo e la Clerici. E poi ci saranno delle grandi novità come il ritorno della Cuccarini e di Ether Parisi...
Ecco come la futura televisione si appresta a raccontare la contemporaneità e la sua complessità. Ecco come il principale strumento culturale di massa di questo paese mi estorce denaro dalla bolletta.
 Lo fa dicendomi le stesse cose che mi diceva quando avevo quattro anni.


...ma davvero pensa che io ci ricaschi di nuovo!?!? Persino Mediaset ha gettato la spugna. A chi mai potrà ancora interessare una Rai così tanto già vista? Fa così paura rischiare di dare strumenti nuovi di lettura del mondo. Qual è la platea a cui si pensa quando viene impostata una programmazione? Perché dovrebbe interessare ai giovani? Perché dovrebbe ancora piacere agli anzian? Come potrebbe ancora piacere a quelli come me? A chi giova davvero una televisione così? Se non ad un sistema che ci vuole pigri e indolenti, arroccati e assuefatti ad un mondo altro che non esiste più e che ci impedisce di vedere meglio e codificare quello attuale?
Chi lo sa. Tanto io la TV la tengo sempre spenta ormai...

venerdì 15 luglio 2016

L'appuntamento. Alla luce di un anno dopo...non era poi così al buio

È passato giusto un anno. Me lo ha ricordato fb. A me sembrava meno. Mi ricordo che fu la prima volta che superai di gran lunga i miei soliti cinquanta lettori di media che si affacciavano su questo blog e la cosa mi stupì moltissimo, ma mi vergognai un po'. Insomma, si trattava pur sempre di un post in cui mi preparavo al mio primo incontro al buio! Forse avrebbe meritato più discrezione da parte mia. Ma in fondo poi perché? È curioso invece il modo in cui oggi ripenso a quell'episodio. Mi ricordo che mi sentivo molto sola, ma non di quella solitudine che ho quasi sempre benedetto nella mia vita (compresa quella attuale) e che per la prima volta non mi pareva assurda l'ipotesi di conoscere qualcuno "sponsorizzato" da persone di fiducia.
Ho riletto quel post con grande divertimento, non ricordavo di aver raccontato pure dei miei precedenti "storici" e neppure di quella strana esaltazione dell'attesa e della curiosità. Però mi ricordavo come mi sentivo mentre scrivevo tutto quello un anno fa, prima di quel l'incontro che nei fatti non si rivelò niente di speciale - ma ormai non aveva già alcuna importanza - per quanto divertente e pure suggellato da una buona cena.
Mi ricordo di un'estate caldissima, di un ufficio in cui ero praticamente da sola, mi ricordo di assenze che mi pesavano e di cui speravo inutilmente il ritorno. Mi ricordo di vestitini che cercavano solo l'occasione  per essere indossati mentre la davo vinta solo a sneakers e magliette di cotone da dieci euro. Mi ricordo che trovavo giusto accettare, tentare e aprirsi a nuove ipotesi.
Avevo ragione. Perché non mi aspettavo nulla, perché non ci stava niente di male, perché faceva un caldo infernale e Milano era semivuota. Come lo ero io.

Oggi non fa più così caldo. E in ogni caso io non soffoco più. In ufficio siamo ancora in tanti. E io sono sola come allora. Ma è tutto tanto diverso da allora. È passato un anno intero e a me è servito per cambiare la mia percezione delle cose e delle persone che non ci sono, non ci saranno mai e che io ho smesso di inventarmi, aspettare, cercare.
E così ho pensato che se è vero che a volte il cambiamento sta tutto nella percezione delle cose viviamo e non nel loro concreto manifestarsi, allora la mia solitudine di allora non è neppure lontanamente imparentata con quella di oggi, che è senza smanie, senza rancori, senza tentativi di annientamento. Io sono fatta esattamente così, non funziono accompagnata perché il carico di idealità che attribuisco ai rapporti li rende praticamente irrealizzabili. E in quanto tali magnifici e inattaccabili.
L'anno scorso queste cose sul mio conto le sapevo già. Stavo solo sperando, per una volta,  di sbagliarmi. Non era vero. C'ho messo un anno intero per capirlo.

mercoledì 13 luglio 2016

Incidenti. Di percorsi "pilotati"

Forse qualche volta si può anche evitare.
Di spingere l'acceleratore emotivo facendo leva sui più facili e collaudati espedienti della comunicazione.
Di forzare l'emozione naturale e legittima per una catastrofe probabilmente evitabile, come quasi ogni catastrofe non naturale, entrando in quelle vite ormai interrotte per raccontare chi fossero.
Di approfittare immediatamente del fatto per fare dell'inutile quanto cialtronesco sciacallaggio.
Di atteggiarsi ad esperti di sistemi ferroviari attribuendo colpe e responsabilità senza alcuno strumento credibile di analisi
Di strumentalizzare ogni dannatissimo dramma di questo paese per orientarlo politicamente o ideologicamente.

Io non so come siano andate le cose. Se mai mi si chiedesse di fare un'ipotesi meramente intuitiva, e per questo del tutto priva di fondamento, penserei ad una tragica fatalità dettata da un ritardo nella comunicazione. Da quel poco che ho potuto sentire dagli esperti il binario unico non è affatto un indicatore di potenziale pericolo. Credo che si sia trattato di un errore di metodo, non legato a condizioni fatiscenti di treni e binari. Ecco, poi non direi più nulla se non che alle volte l'espressione "tragica fatalità" ha in se' una compiutezza concettuale che mal si presta ad ulteriori elementi di analisi, ma solo silenzio e rispetto per morte e sofferenza che non meritano la giustizia del pressappochismo e dell'emotività d'accatto.

Anche a me piacerebbe avvalermi di qualsiasi pretesto utile pur di ricordare al resto d'Italia che ci sta un Sud che sta inesorabilmente morendo sotto i colpi dell'indifferenza di un sistema politico e imprenditoriale che non si occupa più da anni della questione meridionale. Ma sarebbe profondamente disonesto farlo con espedienti del genere: approfittare di una tragedia per ricordare che esistiamo, per rivendicare la necessità di progetti, pianificazione, risorse...come se davero aspettassimo di toccare il fondo per riprenderci la dignità.

Ieri è successa una cosa tremenda. Non doveva succedere, poteva non succedere. Ma è successa lo stesso. Senza bombe e senza attentati. Hai presente? Quelle cose evitabilissime che ci ostiniamo a produrre, vendere, lanciare contro gente che poi muore. E non per una "tragica fatalità"









lunedì 11 luglio 2016

Scelte di vita...scelte da chi?

Credo che siano state soltanto tre le volte in cui ho pensato che l'angoscia e lo stress erano di tale intensità che pensavo che il cuore mi salisse su per la gola soffocandomi per sempre.

La prima volta è stata quando ho partecipato alle selezioni per una specie di master per entrare in coop adriatica. Oggi non mi capacito perché ci tenessi così tanto a lavorare lì dentro, eppure all'epoca era un mio desiderio fortissimo. Mi ricordo che dovetti superare tre selezioni piuttosto faticose e persino un ultimo colloquio con uno psicologo per testare la reale motivazione...una vera esagerazione. Mi ricordo di un'attesa snervante e di una telefonata alla quale non sapevo se rispondere o meno. Era la convocazione al corso. Di lì a otto mesi avrei firmato il mio primo contratto di formazione lavoro. Mi sono licenziata meno di due anni dopo senza alcuna esitazione, nessuna idea di cosa mi sarebbe toccato in sorte e con una strana percezne di scollamento profondo tra idea e realtà.

La seconda volta è stato quando ho fatto l'esame per il dottorato. Esattamente un mese dopo il mio licenziamento ho deciso di fare questa cosa. Ho preso un libro di macroeconomia avanzata, uno di micro e uno di economia internazionale. Ho spedito la raccomandata per il concorso e per un mese esatto ho fatto così. Sveglia alle 5:30 studio fino alle 13:00 scrivendo temi su ogni argomento trattato. Pausa di un'ora e di nuovo fino alle nove. Non oltre. Tutti i giorni per un mese. Mi presento agli scritti. Per vedere affissi i risultati passeranno otto ore. Mi metto in attesa in un 'aula dove ci stavano degli studenti molto giovani che ancora oggi credo che si ricordino ancora di quella pazza con lo sguardo vitreo fisso nel nulla per un'intera giornata. In quelle otto ore non ho detto una parola, non ho neppure bevuto, non mi sono mai alzata manco per andare in bagno. Una mummia col battito cardiaco simile ad un turboreattore. Escono i risultati. Non ho il coraggio di guardare. Sono la prima dell'elenco: il mio scritto ha 58/60. Ok domani ci sono gli orali. confermo la mia prima posizione (per onestà devo dirla tutta...concorrevo con dei ciuccioni...). Vinco una delle due borse di studio in palio. Credo che quel giorno sia stato in assoluto uno dei primi due o tre più belli della mia vita. Eppure mai un solo istante ho pensato di fare la carriera accademica...e allora per quale diavolo di ragione quella volta rischiai la disidratazione per un'esperienza che nella migliore delle ipotesi sapevo che sarebbe durata soltanto tre anni? Mah vai a capire i meccanismi con cui il mio cervello definisce l'area della progettualità...però è stato molto bello. Mi sono occupata delle cause della povertà. Non credo francamente di aver dato contributi significativi, ma è stato spesso un godimento assoluto. Se hai la possibilità, il talento e la voglia di studiare per sempre, fallo.

La terza volta è stato per il concorso che mi ha portato alla vita che ho adesso. La notte prima stavo in un albergo vicino al posto dove avrebbero deciso la parte più significativa della mia vita fino ad oggi. Credo che dopo quella notte il mio cuore sia in grado di sostenere qualsiasi forma di maltrattamento. Eppure da allora mi sono chiesta il perché di tutta quell'ansia. Mi sono domandata quando è stato il momento che ho sognato di entrare all'agenzia delle entrate, a Milano, in un bilocale, tra persone che non avevo mai visto prima, in mezzo a una soltidune spesso esasperante, pure quando ho provato a non esserlo più. Mi sono chiesta, così all'improvviso, se ne Sia valsa veramente la pena. Procedere per tentativi intendo. Piuttosto che avere una visione chiara di quello che si vuole, che si è in grado di fare, della reale vocazione posseduta. E così ogni tanto mi viene da chiedermi chissà dove fosse il Dio delle idee chiare mentre qualcun'altro, forse un angelo apprendista molto imbranato, mi stava progettando.



domenica 10 luglio 2016

Una musa ispiratrice (di cinismo in serie)

Non è mai stata colpa mia. Giuro. Io mi sono sempre fatta i fatti miei. Pure a sedici anni, quando manco mi accorgevo che stavo cambiando in forme e in altezza. Ci stava la comitiva di sempre, il pallone in acqua, le corse del mattino sul bagnasciuga col tifo dei bagnanti e poi la sera a ballare al lido con tutti quegli amici "stagionali".
"Dai facciamo obbligo o verità. Prendete quella bottiglia vuota di coca".
"Ma è mezzanotte...facciamo come al solito...ci sbrachiamo sulla panchina e ci prendiamo in giro a vicenda come sempre..."
"No dai giochiamo un poco"
"A. devi andare da Lucia e dirle la prima cosa che ti viene in mente"
"Ti voglio dare un bacio"
Così mi accorsi di lui. Si, perché me la comitiva fino ad allora era sempre stata un corpo unico, un'amalgama indistinto di tutti quei ragazzi con cui condividevo tutto il giorno senza mai parlare di compiti, interrogazioni e ansie adolescenziali. Erano la luce gialla su quello strano villaggio turistico dove i miei avevano una casa piccola e scomoda, ma io per anni non me ne ero mai accorta.
"Ti voglio dare un bacio". Io me lo ricordo quel momento stranissimo. Mi ricordo che non pensai a nulla, che lo guardai come se quella richiesta fosse strana come l'atterraggio degli ufo. Non lo baciai. Ma era cambiato tutto ormai. La mia comitiva, quel villaggio, il sole, il lido, il pallone in acqua. Niente aveva più la spensierata naturalezza dell'estate come la conoscevo io fino ad allora.

L'estate passò così, con le solite cose che all'improvviso erano totalmente insolite per me. Poi ritornai a casa, col cuore pesante per la mancanza di tutta quella novità, di lui che mi cercava e taceva, con quello che non era accaduto e che forse non sarebbe successo mai.
Non fu così. Poi quel bacio arrivò. E arrivò anche la delusione per l'atteggiamento che cambiava (come banalmente mi è capitato di osservare tante altre volte con altri), poi i raggiri psicologici...e poi ci stava già un'altra da anni e io non lo avevo mai neppure lontanamente immaginato.

Ecco. Io ho cominciato così l'incanto del mio passaggio all'adolescenza e il precipizio verso la delusione e le ferite gratuite.
Ho impiegato anni a riprendermi da questa tremenda esperienza. Non credo di aver mai imparato molto se devo dire la verità. Poi però ho sempre pensato che non sia possibile che tutti gli uomini si comportino così con la precisione matematica con cui lo hanno sempre fatto con me. E allora alla fine mi sono persuasa che sono proprio io ad ispirare certi comportamenti, oppure ho un talento naturale Ad incappare solo in persone del genere. A questo punto vorrei almeno sapere quanti ne sono rimasti, dove sono maggiormente concentrati, se sono anagraficamente compatibili con me...in modo che io possa scappare a gambe levate lontanissimo da loro.
Perché sarà pure motivo di sollazzo machista questo orribile modo di fare. Ma io ci rimango molto male e non ho mai fatto niente per ficcarmi in situazioni del genere. E poi non me lo merito.
No. Non è vero che la colpa è mia se mi lascio ferire. Nessuno si lascia ferire. Si fa male e basta. Senza volerlo affatto.

venerdì 8 luglio 2016

Ti conosco da una vita...lunga almeno dieci minuti

È solo una delle tante formalità obbligatorie da espletare periodicamente quando si è in forze in un pubblico ufficio. Si sa che dura soltanto pochi minuti e in genere non è così accurata da generare sorprese. La mia visita medica di oggi sarà durata non più di una decina di minuti. Il medico era un signore di mezza età, vestito bene e con le bretelle. Che belle le bretelle, ogni uomo dovrebbe portarle, mi danno un senso di simpatia e signorilità assieme. Ha cominciato a farmi le solite domande di rito: "prendi medicine, anticoncezionali..." - "no,mai", "quando rientri dal lavoro avvertì il bisogno di stare seduta al buio? -"no" . "Avvertì spesso stanchezza?"- "No. Cerco piuttostodi fare più sport che mi è possibile" ."porti gli occhiali? - "si. Ma ho deciso che il mio astigmatismo sia tollerabile e quindi per lunghi periodi non li porto" "ora verifichiamo subito quanto sia tollerabile"
Mi fa la visita oculistica e...in effetti le decisioni sul mio astigmatismo vanno riconsiderate, magari inforcando con regolarità gli occhiali. "quando guida prova fastidio?"-" non guido da tanti anni ormai.." "perché? Le hanno ritirato la patente? (Sorride. E penso che ha un sorriso proprio bello e rassicurante) -" no. È che ho deciso che sto più comoda senza la macchina, che riesco a raggiungere molti più luoghi con metodi alternativi e che a Milano non ha davvero senso avere un'auto".
Rimane in silenzio. Poi compila la cartellina che mi riguarda, me la fa firmare e poi mi dice così
"Senta. Lei una donna molto sana e mi pare di capire con delle  idee molto radicali. Perché non usa le sue risorse per faree del volontariato? Non mi fraintenda, non ho nomi di associazioni da farle, né intendo condizionare le sue abitudini. Ma credo che le farebbe davvero molto bene".
 Non lo so per quale oscuro motivo io gli abbia ispirato una riflessione simile, né posso credere che costituisca una sua chiosa di rito per tutti i dipendenti. Ho avuto la chiara percezione che questa cosa abbia voluto dirla proprio a me. Per un momento ho pensato che sapesse tutto di ciascuna delle mie fragilità, quelle che si ripropongono sempre uguali a se stesse per tutto il tempo in cui non rimango distratta dai rituali di una quotidianità senza troppa fantasia.

Mi pareva che a un certo punto volesse dirmi "guarda che lo so che ti senti come non vorresti perché cerchi cose sbagliate nei modi e nei posti sbagliati. E so anche che se pure trovassi quello che cerchi non sapresti cosa fartene perché bisognerebbe volerti davvero un gran bene per accettare tutto quanto comporterebbe lo stare con te e anche solo alcuni dei tuoi guai. E so anche che non hai nessuna voglia di stare per compiere quarant'anni perché senti che il tuo bilancio contiene troppe voci stonate che vorresti soffocare o trasformare in urla di gioia. Provaci, lo so che non lo hai mai fatto. E invece dovresti solo cominciare per capire che forse la strada è solo quella"

Io non lo so se lui abbia davvero pensato a tutto questo. Quasi certamente no. Ma quando mi ha suggerito quella faccenda del volontariato con la consapevolezza asciutta di chi ha una chiara idea di chi gli sia di fronte, ho fatto molta fatica a trattenere le lacrime.
E ho sperato che davvero la visita durasse soltanto pochi minuti come mi avevano detto. E soprattutto ho implorato il cielo che dopo, in ascensore, non ci fosse nessuno a chiedermi perché piangessi.

mercoledì 6 luglio 2016

letteratura vs chimica. Uno scontro o un incontro d'amore?

Domenica danno "c'è posta per te". Mi pare passato un secolo da quando quel genere di incontro al buio pareva una maniera rivoluzionaria di allargare la base degli incontri "efficaci" ad intercettare il vero amore.  Io no lo so perché non mi sia mai lasciata incantare da certi metodi. Forse perché ho sempre fatto molta fatica ad immaginare di innamorarmi senza il colpo di fulmine dello sguardo, di quella strana tensione strisciante che si genera dalla chimica della vicinanza fisica, o semplicemente perché sono troppo romantica e questa forma di cacciagione intenzionale e non generata dal caso non mi ha mai appassionato.

Però devo dirla tutta la verità. Quando aprii il mio primo blog, un po' di persone con le quali ho avuto lunghi periodi di "seduzione"scritta ci sono effettivamente stati. Erano soprattutto blogger bravissimi e molto abili nel coniugare contenuto, ironia, intelligenza, dibattiti folli. E io a certi tipi di talenti sono piuttosto sensibile. Con alcuni di loro si è stabilito da subito un feeling "letterario" fortissimo durato molto tempo e poi quasi naturalmente sfociato pure in incontri. Per tutti quanti l'impressione reale è stata molto differente da quella immaginata quando tenevamo conto conto soltanto dello scambio reciproco di post e e mail...e comunque, anche i più galanti di quegli incontri, non sono stati all'altezza di certi confronti epistolari così intelligenti e divertenti. Non lo so perché sia successo sempre così, però la mia esperienza mi ha resituito questo tipo risultato. La risposta banale, e non vera, potrebbe essere quella che i blog e in generale l'espressione virtuale, sia falsa, ipocrita, un mezzo di  autoesaltazione per proporsi come non si è e in ogni caso molto migliori. Ecco, io non credo affatto che sia così, anzi sono certa che sia esattamente il contrario. Chi scrive con una continuità tale da rendersi sufficientemente riconoscibile dallo stile e dal modo di mettere assieme i pensieri, in realtà si sta esprimendo nella sua maniera più autentica. È la conoscenza diretta che spesso crea filtri, barriere e sovrastrutture emotive e comportamentali che svalutano e riducono il fascino di una personalità brillante ma troppo timida per "metterci la faccia".

Non credo neppure che certi incontri siano ad alto tasso di rischio. Perlomeno non lo sono stati per me, che sebbene sia una collaudata ingenua che vanta ormai un medagliere notevole di fregature da individui conosciuti con incontri avvenuti regolarmente dal vivo,  è capitato invece che  proprio grazie alla lettura costante dei post e allo scambio fitto di idee e opinioni, alla fine potevo stare ragionevolmente tranquilla.
Ma niente, la chimica non è mai scattata. E nonostante la conferma di intelligenza, simpatia, affinità ideali ed esistenziali...quella fascinazione virtuale non si è mai tradotta in rapporti d'amore.

E io mica l'ho capito veramente il perché. O meglio, mica mi può bastare il fatto che la chimica sia davvero quella a cui resta l'ultima parola decisiva per suggellare un legame.
...non mi può bastare...E quindi?
 E quindi basta!


martedì 5 luglio 2016

E la chiamano estate. E tu? Come chiami la tua?

E alla fine pure l'estate ha deciso di farsi viva. Secondo me pure lei si è stufata di arrivare in giorno e mese comandato e a temperature medie prestabilite. Anche io ad un certo punto mi sentirei offesa se ad ogni mio arrivo sento un Tg che mi chiama bella stagione e poi snocciola una serie di raccomandazioni sempre uguali sul bere tanto, non uscire nelle ore più calde...e la frutta e la verdura...ma bella stagione di che!?  Ad un certo punto credo che abbia pensato che se la chiamiamo estate sarà per altri elementi di riconoscibilità, diversi per ciascuno di noi.

Io vedo l'estate nel mio radicale cambio di abitudini: ho trascorso un inverno di sveglie alle cinque e allenamenti antelucani, nessun viaggio da troppo tempo, troppo tempo perduto a cercare e comprendere chi non voleva essere né cercato né compreso, poco esercizio interiore...
E la mia estate coincide con la scoperta di queste magnifiche corse di gruppo, con i risvegli meno traumatici ( pure se sempre molto molto mattinieri. L'alba è un momento imperdibile di qualsiasi stagione), e poi un piccolo preziosissimo viaggio, e poi il ritorno al gusto di star soli senza la retorica "del sarà quel che sarà", potrà anche non essere mai e sarà ugualmente fantastico lo stesso.

Io me lo ricordo. Mi ricordo che sono sempre stata così, pure da piccolissima: sorridente, solare, maldestra, spiritosa. Ma solitaria. È una condizione che percepisci da subito, pure se non sei orso, pure se gli altri spesso ti piacciono tantissimo. Ma senti che quella cosa là, di ritagliarti il tuo tempo, come una specie di seghettatura dei crackers, e staccarti appena ne senti il bisogno, beh, di quella cosa tu lo sai benissimo che non puoi farne a meno. Forse rappresenta quella parte di stagione che non passa mai, quel tiepido inverno in cui mi rintano con la mia perenne copertina di Linus. Credo che la mia preparazione all'estate stia tutta lì, in quei silenzi rammaricati, negli obiettivi troppo mobili, in quelle ferite che mi piace curare male perché è nel dolore sopportabile che ritrovo linfa nuova per immaginare altre vie, che sennò poi va a finire che dimentico troppo presto e il rischio è sempre quello di perdonare troppo in fretta. Le stagioni servono a questo, a fissare le sensazioni in un tempo esatto e necessario a farlo.

Tra mezz'ora mi vedrò con i ragazzi per correre tra le strade belle di Milano, tutti assieme assieme per otto chilometri. Di solito chiacchieriamo e ridiamo e ci incoraggiamo. E io mi sento divinamente con loro. Non mi mancano gli allenamenti in solitaria e lavoro molto meglio e molto di più. Poi forse ceneremo assieme. E sarà ancora giorno. Perché è estate. Non solo dentro di me.

sabato 2 luglio 2016

E' inutile. Allora forse è necessario

Non ci vuole niente a fare confusione. Tutto comincia quando ti convinci che quello che è ritenuto utile ti sia automaticamente indispensabile. E invece bisognerebbe avere da subito le idee chiare su questo punto: tutto ciò che è utile è il male. Io l'ho capito tardi. Da piccola, quando le cose che desideravo dovevo chiederle alla mamma e lei non voleva comprarmele (succedeva molto spesso), lei mi diceva sempre: "no, tanto è una cosa inutile. Non ti serve". E io non capivo il motivo per cui se quella cosa che desideravo tanto era così inutile io ne patissi così tanto la mancanza.
Poi sono crescita e non ho più ragionato in termini di utilità. Tutto quello che accresceva la sicurezza in me stessa era assolutamente necessario e imprescindibile: il rossetto, i levi's, la macchina...nulla di tutto questo ha accresciuto la mia sicurezza, ma credo che a quel tempo niente di niente avrebbe potuto, ma non fare ogni tentativo possibile era impensabile.
Poi ho studiato economia e il concetto di utilità era legata a delle curve, paradossalmente dette di indifferenza, dipendenti da reddito, prodotto e gusti. Poi il marketing mi ha raccontato il resto e mi ha spiegato che se tu non hai bisogno di quasi niente, che tanto vivi solo, tieni casa piccola, non ti piace cambiare il servizio di piatti ogni settimana e non tieni piu la macchina perché ti piace andare a piedi...i bisogni te li crea una generosa industria che viene da te e ti consiglia per gli acquisti. Si prende la briga di chiederti chi sei, che vuoi, cosa ti piace fare più di tutto nella vita e ti costruisce una serie di bisogni che ti spaccia come indispensabili. E invece il più delle volte sono utili o a che molto utili, che è peggio.

Oggi credo che tutto quello che è utile ha in se' qualcosa di spurio. È un tranello che ti costruisci da solo con il materiale pagato a caro prezzo: dalle cose utili ci si aspetta un tornaconto che non porta ad un miglioramento reale della propria condizione ma solo a una distrazione da quello che è essenziale davvero. Se è utile ma non necessario bisognerebbe scappare. Vale pure nei rapporti. Se t'innamori è poi ti chiedi pure se è ricco/a ,sano/a, con un buon lavoro, di buona famiglia...è un amore non necessario, quindi falso. Quindi scappa.

E così ho pensato che me lo devo ricordare. Me lo devo ricordare che dalle cose necessarie ci sta da togliere tutta quella utile paccottiglia accumulata in anni di percorsi e tentativi tortuosi per stare sempre meglio, qualsiasi cosa voglia dire.
E poi mi devo ricordare pure di aggiungere delle altre cose. Quelle totalmente superflue. Quelle che avevo lasciato in sospeso da bambina quando mi dicevano che non mi sarebbero servite a niente. Oggi però, pure senza marketing, ne sento un enorme "bisogno"