Sola andata

Sola andata

giovedì 25 agosto 2022

Long life learning in a little sweet home

 Ormai ho fatto lo spazio che mi serve. L’altro ieri ho dato via un altro dei mobiletti di cui volevo liberarmi, avvicinandomi sempre di più a quell’idea di ordine minimalista a cui tendo da circa un anno. Nel frattempo ho preso dei futon, piazzati sul soppalco e un letto a ribalta, comodissimo, che dopo l’uso non ingombra la stanza che uso anche come salotto e studiolo. Sono tredici anni che vivo in questa casa e ancora non conto le volte in cui mi sono attivata per assecondare la mia maniera di starci dentro. Ogni volta che mi immagino altrove, in un quartiere diverso, uno spazio più ampio, una soluzione più contemporanea, penso sempre che starei di certo meglio ma che niente potrebbe sostituire tutto il divertimento, la fantasia che c’ho dovuto mettere, la polvere e la fatica di tutti i lavori di ristrutturazione, la razionalizzazione di uno spazio sempre troppo limitato per contenere cose poi diventate inutili. E poi le cene dei primi anni, diventate via via sempre più rare, le ospitate, le persone che poi non ho più rivisto, il vicino argentino fesso e rumoroso, ma in fondo buono e gentile, o il bambino/cavallo del piano di sopra (ma che gioia sentirlo piangere disperato quando finalmente i genitori gli dicono che è un rompicoglioni), il cortile dove metto ad asciugare i panni ed è subito anni ’60. Amo ancora troppo questo posto per desiderare davvero di lasciarlo, nonostante tutto. Eppure la casa semivuota, che finalmente tengo meglio pulita di sempre, nuova culla di un ordine mai visto prima, pare quasi suggerirmi una predisposizione al distacco, una specie di progressivo allontanamento, qualcosa di fisiologico che sembra indicarmi cicli che si chiudono indipendentemente dalle mie intenzioni

Intanto Agosto è quasi passato, lasciandosi alle spalle gli strascichi di una estate rovente con dei picchi di disperazione notturna assieme ai ricordi di una piccola vacanza ormai lontana e fatta di esperienze bellissime, come solo sanno esserlo le cose da cui imparo qualcosa. Tipo come si scrive e si prepara un podcast. Ma il passato smette di avere rilevanza quando si decide di affrontare settembre con l’orgoglio di chi sa che non prenderà ordini da un mese che si crede capodanno e invece è solo la breve parentesi tra il periodo più luminoso dell’anno e la fine definitiva di quel che è stato e in cui non c’è molto più da recuperare. E così ho già cominciato a comprare i miei amatissimi pacchetti autunnali di corsi sul cinema e prenotato le mostre a palazzo reale che stanno per concludersi.

Ora che ho fatto spazio in casa ho deciso di occupare solo quello delle esperienze, che di spazio, magicamente, ne creano di nuovo a loro volta e non sottraggono mai niente. E poi non smetto di ascoltare radio, soprattutto per lasciarmi affascinare dalla conturbante erre arrotata della Ema Stokholma, e continuo a leggere con la curiosità di una scimmia il blog di una tipica mamma borghese milanese, provando a trovare il punto in cui il divertimento che mi procura si possa trasformare in intento emulativo (non accadrà, lo so già, ma ne ho bisogno per ricordare la bellezza non scontata della diversa maniera di stare al mondo senza trovare sbagliata nessuna scelta) e a leggere manga con una dipendenza ormai preoccupante. Il mio orizzonte rimane fisso in mezzo alle poche variazioni fatte ormai solo di sottrazioni. Eppure tutto ancora mi appartiene, fino all’ultimo pancake alla farina di ceci e cioccolato che fa storcere il naso a tutti. Fino a quando non lo provano.


Tra qualche giorno torneremo a votare. Neppure la peggiore delle ipotesi mi pare abbastanza eloquente per definire la mia previsione sugli esiti. Per fortuna ho fatto spazio per farci stare dentro tutto: soprattutto l’incazzatura. Ma pure tutto l’occorrente per ridefinirla e renderla accogliente. Proprio come una casa piccola, con le fondamenta fragili e i vicini rompicoglioni. 

domenica 14 agosto 2022

Sentirli tutti. Dimostrarne altrettanti. Questa la speranza

 Ieri era il mio compleanno. Sono 46 ormai. Più vicina ai cinquanta che ai quaranta e ancora non mi riesce di capire neppure come sono stati i trenta. Il tasso di accelerazione di questi ultimi quindici anni è stato così inesorabile da non essere riuscita neppure ad elaborarli. In fondo credo sia anche un bene: se mi chiedessi di scegliere tra serenità senza traumi e svolte epiche ma al costo di enormi sofferenze non esiterei. Io cerco la pace sopra ogni cosa perché per me non è arrendevole pigrizia, ma sforzo quotidiano nella ricerca di un controllo di sè provando a conoscersi e capire sempre di più. Almeno così è se mi pare. 

Le persone a cui tengo di più e quelle di cui ho più stima si sono ricordate di me e io ne sono stata tanto felice. Di contro ho festeggiato da sola ma mi sono fatta fare gli auguri dal primo programma radiofonico che ascolto al mattino (li ho chiamati e gli ho detto di farmi gli auguri), ho cambiato taglio e colore di capelli, mi sono dedicata un pranzo pazzesco e poi km e km di passeggio in una meravigliosa Milano desertica. Poi ho raccolto un po’ di foto dei compleanni degli anni passati e mi sono detta che in fondo non c’è nulla di veramente impietoso nell’implacabile ridefinizione dei tratti che il tempo si è divertito a realizzare con me. Piuttosto ritrovo in certi sorrisi del tempo uno stato d’animo leggermente sfalsato, quando ancora cercavo di dissimulare una gioia che ricordo benissimo di non avere avuto all’epoca, nulla di grave eppure io ho ben presente le mie intenzioni di quella posa lì. Ecco, se ho imparato una cosa in questi anni è il fare i conti con i desideri tiepidi e troppo intrisi di smanie piuttosto che di progetti seri di realizzazione. Poi ho pensato che forse quelli erano soltanto dei miei pretesti: fingere di volere qualcosa ben sapendo che la strada da intraprendere è un’altra ma era ancora troppo la fatica ad accettarlo. Forse fingevo di soffrire per qualcuno solo per paura di scoprire di non esserne davvero capace. Chi lo sa.

Durante il programma radio che mi ha fatto gli auguri su mia richiesta ad un certo punto si chiedeva quali fossero i film o cartoni che nella storia del cinema hanno commosso più di tutti. È venuto fuori: “incompreso”, “una tomba per le lucciole” e “Bamby”. Io li ho visti tutti e tre e non ho pianto per nessuno di loro. E questo mi ha fatto sentire emotivamente inferiore rispetto alla massa. Ho una grammatica delle emozioni tutta scorretta e questo mi fa sempre un po’ male. 

Ho 46 anni da un giorno e sono scampata a molte delle tappe obbligate che l’ortodossia sociale impone, consapevole del fatto che ciascuno di noi ha il proprio personalissimo percorso al quale obbedire nella maniera più minuziosa possibile e nel rispetto di un tempo interiore collocato spesso su un fuso diverso.

Il mio papà ha smesso di fumare tantissimi anni fa. È stato un fumatore accanitissimo per una vita. Poi di colpo le sigarette non hanno più fatto parte della sua epica quotidiana eppure, ancora oggi, quando pensa alla sua vita da fumatore mi pare di cogliere una nostalgia irrisolta. E così ogni volta penso che lui resterà per sempre un fumatore anche adesso che crede di non esserlo più, così come qualche volta si è genitori anche quando non ci sono figli e di contro si può non diventarlo mai pure quando i figli ci sono ma poi non si ha voglia di crescerli. 

Ho 46 anni da un giorno. Di questi ormai un bel po’ fatico ad avere ricordi indelebili e la cosa  non mi dispiace neppure troppo se penso che la mia priorità è approfittare di ogni singolo giorno solo per sentirmi un po’ meno in disaccordo con me stessa. E questo di solito non produce ricordi. Ma delle magnifiche dimenticanze sì. Evviva. Tanti auguri a me

venerdì 5 agosto 2022

Tutto quello che non avrei voluto sapere di me e che ho osato chiedermi

 Probabilmente con certi lati di me non farò mai davvero pace. Ormai ne sono quasi sicura. E non perché li ritenga sbagliati o vergognosi. Direi che è addirittura il contrarioè una specie di incapacità a spiegare la logica sottesa a certe mie convinzioni, unita alla percezione che spesso gli altri restino disorientati dal mio essere diversa da come pensavano: cioè molto dolce, remissiva, altruista. Cosa pur vera in molti casi…ma non così tanto e non così sempre. E allora mi sono detta che potrebbe essere divertente l’esercizio un po’ provocatorio di sollecitare le emozioni di pancia di chi ama farsi custode dei sacri valori sui quali si fonda una società sana, generosa, duratura.

Mi è bastato andare a commentare un post che parlava di bambini piccoli e di mamme che si scusavano per l’eventuale fastidio arrecato su un aereo e ho fatto esplodere il mio piccolo ordigno“intelligente” (senza falsa modestia) dicendo così:  ”io odio i bambini, ma questa storia ha commosso persino me”. Tutto secondo i piani: attacchi, insulti, parolacce, povere argomentazioni basate esclusivamente sulla scorta di reazioni di pancia e altre banalità di questo genere. Da questo piccolo osservatorio è venuto fuori che gli insulti più sboccati provenivano da una che vota Salvini e da un’altra che alla mia terza reazione argomentata si è dovuta arrendere con un po’ di offese gratuite e prive di appiglie poi qualche uomo che ha fatto presto a rannicchiarsi in se stesso dopo poco…gente così, più o meno legittimamente indignata dal mio commento ma in fondo povera di ragioni, di pacato buon senso e in ogni caso oltremodo arrabbiata senza cercare davvero di comprendere o al limite di tacere. A me certi esperimenti divertono sempre moltissimo comunque, perché la dicono parecchio lunga sulla retorica coriacea di valori imposti ma di fatto non intimamente innestati in un sottosuolo culturale fatto di sensibilità, consapevolezza e un’idea davvero inclusiva della società, quella che contempla pure il non voler procreare, la bellezza dello star soli, di una idea diversa di condivisione… tutto retorico, acritico, respingente…in caso contrario la mia provocazione non avrebbe dovuto sortire alcun effetto oppure incitare a qualche straccio di riflessione. Nulla. Ci faccio pace.


ora vengo alle cose con cui non riesco a far pace. E’ verissimo che non mi piacciono i bambini. Intendo proprio come concetto, poi in realtà ne ho conosciuti di molto simpatici e non rompicoglioni, ma sono rarissimi e numericamente irrilevanti per riuscire a farmi considerare positivamente la “categoria”. E sì, lo so, parlo come una che non è mai stata bambina. E invece lo sono stata e pure della specie rompicoglioni tiraschiaffi. Forse il mio è solo un modo di odiare quella piccola e odiosa peste che fui, che - non esistendo più - necessita di capri espiatori di successive generazioni per essere neutralizzata. Vai a sapere. Però questa è la situazione attuale nonché primo tassello delle cose che non riesco a perdonarmi. Colpa grave? Forse sì, ma non mi basta per cambiare punto di vista. E quindi passo oltre.


Non sono brava a coltivare le amicizie e gli affetti in generale. Quando si smette di frequentarsi perché la vita ci conduce in luoghi diversi, quando le divergenze nel modo di vedere la vita, le idee politiche, persino quando alcune convinzioni alimentari sono troppo diverse dalle mie io non riesco ad affezionarmi. Piano piano mi allontano e non ci sono legami abbastanza forti che tengano per riuscire a superare certe distanze. Mi è successo persino con i parenti stretti: una volta non sono andata al funerale di uno zio perché non avevo scordato (e mai scorderò) certe sue frasi sbagliate nei miei confronti. Questo è quello che sono, una persona incapace di perdonare o di convivere con un modo troppo diverso dal mio di abbracciare certi valori. Non è bello eppure per me pure questa volta mi pare giusto così. È mica ho finito.


Non so amare bene. Se mi guardo indietro mi accorgo che sono rimasta infatuata sempre dallo stesso tipo di uomo che, passata la sbornia, ho immediatamente imparato a disprezzare a dimenticare con la leggerezza di un battito d’ali. Passioni e sofferenze da romanzetti d’appendice e poi oblio totale. Per sempre. Ogni volta così. La colpa è tutta mia. Innegabile. Ma per fortuna stavolta è proprio troppo tardi per rimediare. Mi sono persa il grande amore e pure il rischio che si trasformasse in muffa o residuo secco. Della mia autodeterminazione in solitaria ho imparato a fare il mio vero tesoro. Giusto o sbagliato che sia è un problema che, di grazia, non ho più il disagio di pormi.


Di quante altre cose potrei ancora dire di vergognarmi o di essere stata mancante? Una lista forse infinita. Per fortuna ogni tanto mi sottopongo al confronto e mi predispongo a cambiare idea, ottica, visione. E, per la stessa fortuna, trovo una che vota Salvini a farmi la morale...ovvio che poi smetto di sentirmi la persona peggiore del mondo. 


C’è della gente bruttissima in giro. Ed è così diversa da me che mi consola di tutto il non bello che ancora trattengo di me

lunedì 1 agosto 2022

Il contrario del pessimismo (non è l’ottimismo)

 Sono tante le ragioni per cui ricorderò per molto tempo questa estate. Non è solo per questo caldo anomalo e soffocante che in certi momenti del giorno, ma soprattutto della notte, pare voglia suggerirmi forme nuove di disincanto e tristezza, stati d’animo che di solito riservo alla poca luce e al gelo dei mesi invernali. Poi però torna l’alba, l’aria si fa per qualche ora di nuovo respirabile, il silenzio mi concilia di nuovo con le cose, un po’ di meditazione, gli allenamenti e tutto ha di nuovo la forza di un richiamo potente a cui mi piace obbedire come un soldatino.

Ricorderò questa estate balorda perché ne ho anticipato il racconto che era a me riservato prima che potesse restituirmi dei dubbi, perché si è fatta protagonista di cambiamenti epocali di cui vedremo i risultati solo tra qualche mese, perché nella calma apparente di una città che diventa magnificamente vuota io mi ritrovo a camminare per chilometri senza vedere neppure un’anima, per poi arrivare in una piazza piena di persone che mi sembrano catapultate da un mondo altro di cui io non ho mai saputo nulla prima d’ora: abiti leggeri che contengono corpi orgogliosamente abbondanti o filiformi, teste multicolore, giovani amanti e famiglie numerose. Oggi ho attraversato la città a piedi e mi è stato facile notare gli improvvisi passaggi di stato di un luogo che si svuota dei suoi abitanti e accoglie il resto del mondo che è pronto a scoprirla. E allora ho pensato che è vero, e forse lo sarà sempre, che non mi sarà facile scrollarmi di dosso un certo irrimediabile pessimismo, ma per fortuna questo è una cosa diversa dalla tristezza. Non sono una persona triste perché provo ancora un enorme piacere in tante cose. E questo mi pare un fatto proprio bello. Godere del presente, pur non credendo affatto nel futuro, ha in sè qualcosa di profondamente liberatorio e oserei dire persino saggio.

Oggi era caldissimo, ma Milano era meravigliosa  e io ho comprato delle scarpe da running che desideravo da tempo, scontate del 40%. Ho poi pure  risolto un po’ di rogne burocratiche noiosissime e delle quali finalmente non devo più preoccuparmi, ho pensato ai film di una retrospettiva che si è conclusa ieri e che mi ha incantato, mi sono allenata senza sconti e sono più o meno l’unica persona che conosco a non aver preso ancora il covid. Non sono triste perché altrimenti mi sembrerebbe di tradire le mie giornate, la buona sorte, le mie lotte contro la pigrizia.

Agosto è appena cominciato. Non riuscirò neppure a tornare dai miei per qualche giorno (neppure per il mio compleanno) e vivo della rendita ormai lontana della mia scuola estiva s Stromboli e il poco mare che l’ha accompagnata. Sta tornando pure il caldo feroce dei giorni scorsi e mi aspettano giorni strani anche in casa alle prese con i nuovi mobili ordinati.

Ho cominciato a dormire sul futon e garantisco che è una roba davvero parecchio strana. Però mi pare funzionare: dormo abbastanza e non ho dolori. Poi piego tutto e la stanza prende le sue solite sembianze. A settembre si voterà. Con ogni probabilità vincerà la destra, saremo più poveri e forse questo sarà il nostro male minore. Il bello di essere pessimisti, ma non avviliti, è quello di essere pronti al peggio e sperare comunque di avere torto. E poi di certo ritornerà il fresco, che manco mi è mai piaciuto ma solo gli stupidì non cambiano idea.

Sono pronta al peggio ma non sono triste e, se ci penso bene, in un tempo come questo, contraddittorio, fumoso, indecifrabile, degenerato, questo mi pare davvero il più felice dei paradossi possibili.