Sola andata

Sola andata

sabato 27 giugno 2020

Ho fatto in tempo a...

Oggi sono stata a fare un giro in centro a Milano dopo veramente un sacco di tempo. Era semi desertico e faceva molto caldo. Ho fatto un paio di soste quasi d’urgenza per gestire una spossatezza eccessiva: la mascherina è una vera tortura e l’aria è di nuovo irrespirabile. Ormai questa è una città che fatico a riconoscere e credo che sia normale e persino un po’ giusto. Sono terribilmente stanca, sento che questo periodo ha assorbito energia e motivazione, in certi momenti della giornata mi viene da chiedermi cosa mi è successo in questi anni per cui stare qui mi piaceva un po’ di più di adesso. Che cosa ho fatto in tempo a fare? Provo a ricordare senza pensarci troppo. Ho fatto in tempo a:

- A passare un concorso per il quale credevo di non avere alcuna speranza e che mi ha regalato un senso di stabilità che va oltre la tranquillità economica. Qualche volta mi chiedo cosa avrei fatto se avessi dovuto inventarmi per tutto il tempo il modo di mantenermi. Niente. Non sarei stata capace di fare nulla. Lo so.
- Ad andare al Leoncavallo  per i 99 Posse e ritornare col ricordo a quando andai a sentirli a Officina 99 a Napoli tanti anni prima
- A fare viaggi magnifici e assurdi, prima di capire che viaggiare da sola può essere moto rischioso
- A innamorarmi senza nessuna buona ragione. E poi a smettere. E a chiudermi sempre di più sperando di evitare il più possibile che ricapiti
- A veder aprire i primi Starbucks e a vivere il fatto come un evento  antropologico epocale
- A conoscere tutti i miei beniamini radiofonici partecipando ai loro live e raduni come se tutto il mio immaginario da cameretta di provincia trovasse all’improvviso una sua ineffabile conferma di realtà
- A seguire dei corsi bellissimi di un sacco di cose che mi appassionano e soprattutto di cinema. Ora che ci penso non ho mai detto ad Andrea che il sole 24 è l’unico sito on line che si può leggere in ufficio e che la sua è stata da sempre l’unica firma (lui scrive di cinema) che ho cercato nella mia lettura di quel giornale, da almeno dieci anni a questa parte. Mai avrei immaginato di conoscere anche lui di persona e di affezionarmici così tanto.
- A comprare una casa che ho ristrutturato come volevo io e che vorrei che restasse sempre mia anche quando non ci abiterò più, per quanto mi somiglia come niente altro al mondo
- Ad avere amici che mi piacciono. Ma pure altri che ho perso senza neanche rendermene conto. La volatilità dei rapporti è una cosa che qui mi ha accompagnato dal primo momento
- A fare la depilazione laser
- A fare un tatuaggio
- A fare una foto con Nanni Moretti
- A stare tre mesi chiusa in casa senza vedere nessuno. E scoprire che si può fare senza impazzire e che anzi può essere un’occasione irripetibile se si prova a fare un paio di conti con se stessi
- A non sposarmi e a non essere costretta a decidere se avere o no dei figli

Ho poi fatto in tempo ad affezionarmi senza farlo poi sapere, ad accettare il distacco o il semplice starmene da parte. E a trovare tutto questo molto corretto e rassicurante. L’affetto va protetto in qualche modo, anche con dolore. Questo l’ho imparato con un certo sforzo ma mi è utile.

E poi c’è l’oggi, questo tempo fatto di drastica rottura con tutto ciò che è stato e che riparte con un passo inedito, imprevedibile ma inevitabilmente tutt’altro da ciò che era prima. Ho fatto in tempo a tornare in un ufficio semivuoto e trovarlo una dimensione ideale che vorrei durasse per sempre.
Ho fatto in tempo ad ammettere che prima o poi Milano tornerà ad essere una città molto lontana da me e nella quale mi succederà di lasciare un pezzo enorme della mia vita e del mio cuore.
Fino ad allora vorrei ancora fare in tempo a...


mercoledì 24 giugno 2020

Amore non è amore quando scopre mutamento (altrimenti ci arrabbiamo)

Anche io ho sempre pensato che il solo vero stato di grazia di un individuo sia l’innamoramento. Più del suo fratello nobile, che ci ostiniamo a tenere distinto, e a cui attribuiamo tutta la responsabilità  della definizione di amore. Credo che la vera causa di ogni mio malessere resterà sempre questa fragile utopia smentita da ogni esperienza a me nota. Ma purtroppo questo mi è toccato e sono sicura che fino all’ultimo istante della mia vita penserò che un sentimento che muta non valga la pena di essere vissuto. Forse è per questo che l’unico anime della Ghibli che non apprezzo è “I miei vicini Yamada” , quello in cui si raccontano le piccole beghe quotidiane di una tipica famigliola giapponese che riesce a stare in equilibrio nonostante crucci, dispetti, disattenzioni, noia, fatica e obblighi da parte di tutti i suoi componenti. E questo nonostante persino io sia convinta che in fondo la famiglia sia davvero tutta lì, in quelle parole-chiave che il marito trova in “rassegnazione”e  “perdono”. Eppure nulla di quanto riguardi una famiglia tipica e ne promuova il perdurare mi suscita desiderio di realizzarne una tutta mia. Proprio nulla. E ogni volta che ci penso vorrei piangere, chiedere scusa, ammettere che non possa esserci nessuna felicità neppure lontano da quel modello. Ma poi alla fine lo sento fino alle doppie punte dei capelli che le mie ragioni sono sempre più robuste delle mie perplessità.

E invece l’innamoramento dura? Pare tra i sei mesi e un anno. Ci si bacia sempre, ci si cerca continuamente, la pelle e lo sguardo sono lucenti, si agisce solo nell’interesse dell’altro, un dare senza pensare di ricevere, una moltiplicazione esponenziale di energia, motivazione, propensione, voglia di rischiare e sorprendersi...uno stato di grazia senza uguali. Alcuni lo liquidano sbrigativamente attribuendolo ad una fase ormonale temporanea. Una specie di febbre che sicuramente passerà. Poi ci sono i pochissimi eletti che trovano tutto questo in se stessi, senza un preciso destinatario. Beatissimi loro. Altri non ci riescono mai davvero in una vita intera. Peccato, sarà pure quello un fatto ormonale. Per la maggior parte di noi invece, durerebbe, per l’appunto, un tempo più o meno limitato prima di “trasformarsi” in qualcosa di più importante. Così dicono. L’amore vero pare che sia quello che viene “dopo”. Dopo le farfalle nello stomaco, dopo gli entusiasmi e la smania di aversi, dopo il batticuore quando ci si sta per rivedere, dopo il pensarsi costantemente trovando tutto il resto secondario. È amore solo quando si comincia a condividere un progetto e poi ad esercitare la pazienza e la comprensione, a ricomporre gli inevitabili conflitti, stabilire ruoli e confini. È amore se si desidera procreare e assumersi delle responsabilità. Sarà...ma io preferisco quello che viene prima. Oppure mi manca tutto quello che serve per trovare bello anche quello che viene dopo. E forse un giorno capirò che forse è una fortuna pure questa.

Dalla mia famiglia d’origine ho imparato presto che mi confrontavo con montagne troppo alte da scalare e che piuttosto che ricevere l’ennesimo rifiuto dei miei avrei trovato più dignitoso non chiedere più nulla e procurami in altri modi quello che desideravo. E così è stato per troppo tempo. Ho sentito genitori dire “noi viviamo dei vostri successi” e di pensare che fosse la cosa più stomachevole che un padre o una madre potessero desiderare da un figlio.  Ho assecondato ambizioni non mie, pretese per le quali non mi è mai stato chiesto un parere. Mi sono confrontata con la mia incapacità ad esercitare la disobbedienza e a quanto tempo ho impiegato a rendermi conto di quanto poco rispetto abbia riservato a me stessa..

E ora mi chiedo che diavolo c’entra tutto questo con la faccenda dell’innamoramento che è meglio dell’amore?
Niente. Non c’entra niente. Ma potrò pensare quel cacchio che mi pare almeno qua? O neppure nel mio spazio sono padrona?
Vi amo tutti lo stesso. Così, quasi per vendetta

venerdì 19 giugno 2020

Si salvi. Se può

Se sapessi davvero che pensare forse troverei le parole più adeguate per raccontare cosa ha potuto provare una persona che si è adattata ad un cambiamento radicale, e del tutto imposto, del proprio quotidiano quasi come se fosse la cosa più naturale del mondo. Senza contraccolpi, senza attaccarsi al telefono, senza risentire delle ore ed ore di vita domestica in uno spazio per puffi senza troppe pretese. Ho salutato il nuovo anno col progetto di un viaggio in Islanda, che ho fatto giusto in tempo a godermi e a trovare perfetto, per poi ritrovarmi catapultata in una realtà surreale che ho impiegato giorni a prendere sul serio. Poi, in un attimo che non ho neppure avuto il tempo di cogliere, mi sono ritrovata blindata in casa mentre l’inverno fuori lasciava il posto ad una luce ed un sole quasi dispettoso. Sono stata lontana dall’ufficio per più di due mesi e mi è parso di tornare a quel limbo indefinibile di tanti anni fa quando non riuscivo ad immaginare cosa avrei fatto della mia vita e però disponevo del mio tempo come un’occasione preziosa che valorizzavo in un modo solo mio. Ci sono stati d’animo che non hanno una definizione precisa perché dovrebbero coniugare esaltazione e panico assieme. E non mi pare troppo facile.
Sala ha detto che bisogna evitare l’effetto grotta e di smetterla di lavorare da casa, bisogna uscire, lavorare, spendere, andare in vacanza all’idroscalo...e questo nonostante qui in Lombardia i contagi viaggino ancora a tre cifre. Lo dico dai tempi di quella mostruosità che fu Expo che Sala non è persona che merita troppa considerazione e stima.

A volte penso a come sarebbe uno smartworking che mi consentisse di lavorare dalla Campania. Tornerei sulla mia mansarda bella, grande, luminosissima, con Pablito acciambellato sulla scrivania. E poi limonate fresche, qualcuno che mi eviti la fatica di cucinare sempre, ritrovare forme di condivisione familiare senza pero essere costretta ad abbandonare la mia cuccia milanese in cui continuerei a ritrornare più volte al mese. Così non soffrirei per nessun distacco, potrei vivere la mia vita in entrambi i posti, tra la pace della mia dimensione autonoma faticosamente raggiunta e la necessità di esserci per una famiglia che avrà prima o poi bisogno di me. È tutto cambiato così in fretta che pure questa ipotesi non mi pare più troppo peregrina.
Ho recuperato gli ultimi post del 2019. Lo salutavo come un anno si: il 2019 mi è piaciuto e neppure so il perché, visto che non mi è successo niente di speciale, però non ho preso neppure un raffreddore, non sono stata tradita da nessuno, ho pensato al bene che voglio alle persone che stimo senza per questo pretendere che mi fosse ricambiato. Mi è piaciuto il 2019 perché credo che sia stato quello in cui ho imparato più di sempre a prendere le misure, che a volte erano semplici distanze, ad aspettare, accettare, non rincorrere e neppure offendermi per aspettative disattese. Ho imparato abbastanza bene che in fondo tutto, ma proprio tutto quel che mi accade, è giusto. Il 2020 ha fatto in fondo la stessa cosa e in più mi ha restituito un tempo che di solito rincorro con molto affanno. Detto questo, che bello pure tornare in ufficio a ribadire certi rituali fatti di orari precisi, trucco, percorsi a piedi in ore ancora silenziose, che fortuna aver evitato anomalie come le video lezioni e gli spazi di una condivisione forzata. Ma in fondo che ne posso sapere...

Provo ad immaginare il modo in cui saluterò quest’anno. Se preferirò ringraziarlo per tutto il dolore che non mi ha inflitto o bacchettarlo per la sofferenza collettiva che ha prodotto, per il terribile incidente che vede un immenso uomo come Zanardi lottare ancora una volta per la vita, per le incertezze crescenti per chi è più fragile, per tutto quello che neppure sappiamo di esserci persi. Io sto uscendo volentieri dalla mia “grotta”, perché a me questo riesce ancora facile. Il problema è quando in quella stessa grotta io poi rientro. E mi metto a contare le volte in cui penso che è quello che rimane ancora il posto in cui mi piace più di tutto trovarmi.

venerdì 12 giugno 2020

Esami. Di coscienza e poca maturità

Direi che ci siamo quasi. Pare che il transito verso una ritrovata normalità, o presunta tale, a dettare meccanismi e equilibri collettivi sia ormai avviato. Io riesco a rientrare in ufficio con più frequenza, vado in giro, faccio cose, addirittura vedo gente. Anche per me, che pure ho avuto l’immensa fortuna di non soffrire per nessun motivo, è cambiato tutto. Sì, credo che non mi sia mai capitato, in tutta la vita, di avere così tanto tempo per pensare e ripensare alle cose che mi stanno davvero a cuore con tutta la calma e la concentrazione possibili. Non è bello che dica questo proprio a ridosso di un periodo così nero e oltretutto in una regione che, nei fatti, non ha ancora davvero risolto questa tragedia.
Ma, parlando a titolo strettamente personale, io l’ho vissuta così: un’occasione preziosissima e irripetibile per sottopormi a “processo” e, a seconda dei casi, attribuirmi colpe o assolvermi. Non è stato mica facile: realizzare che troppo spesso ho attribuito responsabilità ad altri per una mia sofferenza, quando in realtà avevo soltanto una percezione distorta dei fatti o dei sentimenti, quando sono stata io ad aver detto cose sbagliate a causa di poca sensibilità o pretese che non avevo diritto di avere...è stata una faccenda proprio dura da ammettere. Eppure bellissima e necessaria. Mi sono resa conto che fare questo esercizio ha fatto sì che mi fosse molto più facile ricordare il male che ho fatto io agli altri, piuttosto che il contrario. E per quanto per me costituisca una esperienza illuminante, ho dovuto respirare a fondo per sopportare tutto quello che ho scoperto di me e tirato fuori da quel contenitore compresso fatto di rimozioni e traumi sopiti.

Ho vissuto questa casa con lo stesso spirito di chi sta per traslocare e non intende portarsi dietro troppe cose. Quando c’era Pablito era più facile: lui mi rompeva tutto quello che credevo bello e utile e che in realtà mi toglieva solo spazio e aria. I gatti hanno una saggezza insita per ciò che è essenziale e quello che invece è superfluo e da eliminare. Questa è una casa perfetta per una persona. Con un gatto.
Là fuori il dibattito si alternava tra efferatezze indicibili di cui porterò memoria, anche senza fissarle qui, e una retorica dei buoni sentimenti su quanto ne siamo usciti migliori e come ritorneremo più solidi ai nostri nobili progetti. Io invece vorrei solo ricordarmi che, assieme ai competitivi cinici e ai cooperativi “anime belle” , ci sono pure quelli che fanno percorsi alternativi per collocarsi nel mondo senza fare troppi danni e provando ad essere migliori semplicemente partendo da se stessi. Di questi ultimi mi sento umilmente di far parte.

Sono sveglia da almeno tre ore: non ho smesso di dormire poco, di cucinare con grande cura, di smadonnare contro quella specie di wonder woman che mi insegna dalla TV a sollevare pesi, continuo a servirmi del cinema per capire la realtà, a pensare alle persone che mi piacciono e a sperare che stiano bene. Continuo  a cercare senza farlo veramente, forse per paura di trovare. È cambiato tutto anche nelle cose di sempre, ma posso accorgermene soltanto io.

Questi sono i giorni della maturità per una fascia di umanità che non invidio affatto. Io sono tra quelli che non ne hanno un buon ricordo, soprattutto per le questioni irrisolte di cui dicevo prima. Eppure uscii da quell’esame con un onorevolissimo 58/60. Ricordo che all’epoca ci rimasi molto male. Oggi invece penso che sia stato un voto decisamente troppo alto visto che ero davvero brava soltanto in latino e per il resto vivevo di glorie attribuite ma non pienamente giustificate. Se lo avessi capito all’epoca forse oggi avrei meno colpe da ammettere e scelte meno avventate a cui porre rimedio. Quello che non potrò mai sapere, però, è se la Fortuna, a cui credo di essere stata fino ad ora parecchio simpatica, avrebbe vegliato su di me con la stessa commuovente partecipazione anche se fossi stata un po’ più giusta di come, ancora adesso, non mi riesce di essere veramente.




domenica 7 giugno 2020

Piove

Oggi è piovuto tutto il giorno. Ne ho sofferto solo per la mancanza della mia consueta camminata di un paio d’ore all’aeroporto di Linate. Per il resto non mi è pesato starmene in casa e ascoltare lezioni di cinema, impastare una focaccia e cimentarmi nel mio primo, e riuscitissimo, esperimento di banana bread. Era tutto molto silenzioso oggi. Più del solito: meno sirene dell’ambulanza - ne avrò contate un paio - e nessuna musica a palla dalla porta accanto. Credo di non aver detto una parola ad alta voce in tutto il giorno se non per le tre telefonate ricevute.

Ogni tanto, ad intervalli di anni credo, ricevo un messaggio dalla signora che mi ha affittato una stanza quando sono arrivata qui a Milano. Rimasi da lei per tre mesi, prima di comprare la casa in cui vivo tuttora. Mi chiede come sto e mi informa che la piantina che le regalai prima di andar via fiorisce ancora. Una volta, durante una delle nostre conversazioni serali, le dissi che quando smetto di vedere le persone io non sono brava a conservare i rapporti e che non avrebbe dovuto offendersi se avrei mancato di far sapere mie notizie una volta che me ne fossi andata: purtroppo lo so già che quando smetto di condividere un tempo comune di esperienze condivise per me tutti i legami inesorabilmente tendono a diluirsi fino ad annullarsi. E così in questi anni è stata sempre lei a scrivermi e a sincerarsi che stessi bene. E io ogni volta penso di essere proprio storta o poco sensibile. In realtà so che non è esattamente così...potrei fornire spiegazioni molto convincenti per un simile atteggiamento...ma tant’è.

Cosa è stato di questi tre mesi? Cosa mi manca davvero della mia “vita precedente” e cosa credevo fosse indispensabile e invece non era poi così irresistibile? Cosa ho scoperto e che mi piacerebbe conservare? Vediamo un po’
- Cucino cose che mi piacciono più di come le preparavo prima. Questo è sicuro almeno per il mio palato. È stato bello per una volta pensare di cucinare apposta per me. Sembrerà strano ma io ho sempre cucinato pensando a qualcuno che non fossi io. Giuro. Che sciocca.
- Ho imparato a camminare dritta sui tacchi. Ma continuo a piacermi molto di più con le sneakers
- Continuo a vedere film molto belli. Ma non mi manca per niente la sala e la scadente umanità che la popola senza rispettare le regole di una visione corretta
- Non giocherò più in borsa e sono felice di non avere una elevata propensione al rischio. Diversificare è sempre un approccio saggio a quasi tutte le scelte possibili
- Sono felice di non avere dovuto gestire una relazione lontana o dei bambini che non vanno a scuola o dei rapporti familiari problematici. Se sono una persona calma e pacifica è solo per questa ragione. Mi manca l’amore. Non le sue conseguenze
- L’amore immaginario è una grandissima risorsa. Se si ha fantasia sufficiente è il più potente dei motori di una vita solitaria piacevole eppure in costante attesa di contraddire clamorosamente se stessa

In realtà mi mancano un sacco di cose. E allora faccio finta che sia tutta colpa della distanza di sicurezza, del brutto tempo, del caso, della necessità. E quando sono fortunata riesco addirittura a credere che davvero sia così.
Chissà a che punto della fioritura è la piantina che regalai alla signora. Sarebbe il caso di sentirla




martedì 2 giugno 2020

A spasso

Oggi fa proprio caldo. Sono appena rientrata dal mio percorso di camminata meditativa all’anello di Linate. Prima lo coprivo correndo, adesso preferisco approfittare di quel tempo per pensare a un po’ di cose che mi porto appresso assieme alle cuffie per ascoltare in pace i miei programmi preferiti e un po’ di musica. Sono totalmente dipendente da quei dieci chilometri. E ora che sono rientrata sono tutta rilassata e mi sono accorta che nel libero fluire dei pensieri, quando smetto di preoccuparmi per le solite cose, mi è tornata in mente una vecchia intervista di Marchionne quando, già giovane manager rampante, raccontava ad una televisione svizzera della sua fede cieca nel libero mercato. Ricordo che mi colpì molto, non solo per questa dichiarazione - che con gli anni ha sensatamente in parte modificato - ma perché durante quella conversazione si diceva fortunato di aver trovato una moglie molto comprensiva e inoltre che quel giorno suo figlio compiva otto anni. Fu proprio durante quella diretta che quel giovane papà prometteva che in onore di suo figlio avrebbe smesso di fumare. E io ho pensato a quella promessa non mantenuta (rimase un fumatore accanitissimo fino alla fine dei suoi giorni) e anche a quella moglie da cui in seguito si sarebbe separato. Ho capito in quel momento quanto possa dirsi ampio lo spettro di definizione della parola successo anche per chi ha dato conferma della sua tempra in contesti tanto strategici.

Ero più o meno a metà strada del mio percorso abituale quando mi sono soffermata su quello che ha detto Nicoletti in un podcast recuperato stamattina. Parlava con una ragazza che si era intestardita a rincorrere un uomo che rimaneva sfuggente. Lui le ha detto  che se un uomo vuole davvero una donna una maniera perché lei capisca, per poi raggiungerla, la troverà sempre. Se non accade è solo perché non la vuole. Lei non deve fare nulla di nulla: una donna che rincorre un uomo perde in partenza. Credo che sia vero. Di sicuro io ormai non riuscirei a fare una cosa del genere anche perché mi mancherebbe ogni coraggio.

Ieri ho incrociato il mio vicino sudamericano rumoroso. Lui non sa che io qualche volta mi lamento di lui e quando mi vede è sempre molto sorridente e gentile. Ero appena tornata dalla passeggiata e lui stava con un amico e gli ha detto: ”questa è la mia vicina, hai visto come è bella?”. Mi sono sentita molto in colpa e mi sono detta che non sono capace neppure di detestare come si deve una persona che pure mi offre ottime ragioni per farlo. Che storia...

Ho preparato una cheese cake senza zucchero davvero molto saporita, nonostante abbia meno della metà delle calorie. O forse mi sono semplicemente tarata su livelli di soddisfazione meno ambiziosi. Mah...vai a sapere...

Sono sola da troppo tempo. Forse ha ragione la mia amica quando mi dice che non c’è proprio niente di male a mettersi in contatto con qualcuno che la pensi come me, che abbia i miei gusti. Per me che esco poco e frequento ancora meno sarebbe un’ottima modalità per conoscere persone simili. Non c’è niente di male infatti. Ma io non ci riesco lo stesso. Mi pare ancora la cosa più stonata del mondo.

È tutto strano.

Poi ho completato il mio percorso. Mi sono seduta sulla panchina, ho bevuto alla fontanella. Me ne sono stata lì per qualche minuto a prendere un altro po’ di sole.
Poi sono rientrata in casa. E mi è sembrato tutto, di nuovo, totalmente normale