Sola andata

Sola andata

sabato 28 ottobre 2017

Il valore variabile di una stessa esperienza

È la seconda volta di seguito che mi succede. Anche questo allenamento del sabato, quello di gruppo al Sempione, non sono riuscita a portarlo a termine. a metà del secondo giro, più o meno al quinto chilometro, mi fermo di colpo, lascio superarmi da tutto il gruppo e comincio a camminare. Non ne saprei la causa visto che sento di avere ancora forza e possibilità di continuare. Ma niente, mi assale una specie di panico da obiettivo, come se fosse chiedere troppo arrivare fino in fondo. Forse è solo un modo di assolvermi da una settimana intera di allenamenti all'alba in quella dimensione che mi è tanto più congeniale che è lo star sola a farmi indicare distanze e andatura da una macchina che non mi assolve, ma neppure ha pretese e forse per questo mi è più facile assecondarla. Non lo so, sono due esperienze così uguali e così diverse, tipo mangiare lo stesso gusto di gelato nel cono o nella coppetta...

Ora sono nel cortile della Statale, devo aspettare le tre e mezza perché per questo e un altro sabato ho il pomeriggio felicemente dedicato ad un altro di quei corsi di cinema senza i quali non so come farò a stare senza, quando avrò concluso tutte le combinazioni possibili di tematiche offerte. Ma poi si fa. È fisiologico, normale, necessario.

L'altro ieri mi è successa una cosa che continuo a ripensare, per il senso di colpa che mi procura e forse pure per il fenomeno che sottende. Ero alla fermata proprio fuori all'esselunga, nell'istante esatto in cui fotografavo uno dei miei momenti un po' fessi che amo condividere con spirito infantile: 19.000 punti sono una notizia in effetti. Ad un certo punto mi si avvicina una anziano signore, con marcato accento milanese e un tubetto vuoto di kukident. Mi chiede 2 euro per comprarne uno nuovo, visto che non gli fanno credito all'esselunga e la nipote gli aveva fatto il bonifico solo quel giorno e lui avrebbe dovuto aspettare tre giorni per vederli sul conto, ma intanto non riusciva mangiare pane da due giorni senza avere i denti ben fissati. Mi ha anche detto che me li avrebbe restituiti. Io ho ascoltato la sua storia, l'ho guardato tutto il tempo impassibile, gli ho dato i due euro con la ferma intenzione che capisse che non credevo affatto alla sua storia. Lui mi ha ringraziato, è entrato di corsa al supermercato e ha comprato davvero il tubetto di pasta dentale. Io mi sono sentita la persona peggiore del mondo nonostante quella moneta alla fine gliel'avessi data senza fare storie.

È che avrei potuto farne un'esperienza diversa e più degna di una persona perbene. A parità di moneta.
Ma è un periodo in cui faccio fatica a fare tutto. Posso solo migliorare





mercoledì 25 ottobre 2017

Autonomi coi santi degli altri

Sono un po' di giorni che ci penso. Non che la cosa mi tolga il sonno, però credo che sia giusto provare a capire, magari proprio partendo da una esperienza personale, a dire il vero condizionata da una adesione cauta a certi stereotipi ma pur sempre condita, ahimè, da certi pregiudizi...
Io ho da sempre un problema con il Veneto. Il mio problema è questo: alcune delle persone più simpatiche, generose, ironiche e in gamba che conosca sono venete. Le trovo sinceramente delle persone adorabili eppure non mi bastano per evitate di pensare che il veneto, in quanto entità antropologica e luogo fisico astrattamente considerato, sia una regione in cui sono felice di non essere nata. Non mi toglie il sonno neppure la faccenda della pretesa autonomia, che se fosse davvero tale significherebbe per esempio non poter essere più la regione con il più elevato tasso di evasione fiscale. Quello che trovo spregevole e offensivo come italiana è il fatto che ne facciano una ossessione isolazionista. Non mi stupisce a questo punto neppure la questione surreale della contemporanea pretesa autonomista di Belluno dal veneto stesso. Io direi di passare direttamente ad un cuccuzzolo di montagna procapite...

In realtà non mi importa davvero molto: è una tendenza perfettamente in linea con quella di questo scorcio di storia e, nella sostanza, potrebbe voler dire molto poco perché essere del tutto autonomi è impossibile, sempre e oggi più che mai. Molta retorica, interessi economici dal respiro corto, politiche raccogliticce sostenute da un localismo arraffone.
Comunque sono ugualmente molto curiosa di sapere cosa intendete davvero, voi, popolo di bevitori fortissimi, saldamente orientati al profitto e all'ostentazione del vostro benessere, razzisti e leghisti...davvero, sono proprio curiosa di sapere dove porteranno i vostri sani valori dominanti...

Tutta questa faccenda mi ha riportato ad un ricordo divertente e ormai lontano che mi lega al veneto
Nel 2008 partii in solitaria per una breve vacanza che mi portò  in quella regione per la prima volta. Ci andai per incontrare una persona che conoscevo da tempo soltanto attraverso il blog. Una volta lui mi scrisse dicendomi che il mio blog era stato il primo nel quale si era imbattuto e che, sulla scorta di come lo avevo impostato, aveva capito come avrebbe voluto orientare il suo. Nel tempo lui divenne uno dei blogger più famosi della rete e ancora oggi, su altre piattaforme, vanta migliaia di seguaci. Il fatto che sia tra i miei follower anche qui mi fa un certo piacere e anzi, se passa di qua, approfitto per salutarlo.
Una vera star...e io l'ho conosciuto di persona e in tempi non sospetti come sua ispiratrice...ehehehe...

Quelli furono giorni molto divertenti, durante i quali, a bordo del suo scooter gironzolammo per il veneto, avendo come base Treviso. Vidi luoghi magnifici, con delle tonalità di verde che non ho mai più ammirato altrove, apprezzai l'ordine, la pulizia ma anche e soprattutto il fascino di un luogo dove
si è fatta la parte migliore della storia d'Italia. Mi resi conto che nessuno emetteva lo scontrino e che il caffè è bene che specificare che non sia corretto, incontrai degli alpini molto anziani e molto bevuti che mi cantarono omaggi coloriti, passeggiai per Conegliano pensando che anche io mi attaccherei alla bottiglia se vivessi in un posto così modello bomboniera e dove la cosa più memorabile che conservo di quella cittadina fu la conversazione di una madre alla sua bambina che le chiese di comprarle una collanina di plastica. Ad un certo punto le disse:"te la compro solo se non la fai provare alle tue amiche".

Quando salutai il mio amico blogger andai a Padova perché mia madre mi raggiunse lì, che ci teneva ad accendere un cero a S. Antonio. Anche Padova è bellissima. Ma quando sono andata in Portogallo
ho sentito che stanno ancora aspettando la salma del loro santo...

Io vivo di stereotipi e di pregiudizi. Mea culpa. Ma i veneti simpatici che conosco vivono a Milano o
altrove e per questo credo che stiano diventando un campione sempre meno rappresentativo, come sempre meno chiaro rimane per me l'idea che un piccolo territorio decida, all'improvviso e solo perché  più ricco grazie a condizioni contingenti favorevoli, di non sentirsi parte di una nazione. A me non importa nulla, davvero, facessero quel che vogliono. Però mi fanno specie lo stesso la grettezza dei toni e  le  motivazioni pretestuose.

Mi risulta che persino il mio amico blogstar non viva più lì. Ma del resto non era veneto neppure lui.



giovedì 19 ottobre 2017

"dipende". Risposta esatta

Quando cerco di raccattare motivi più o meno credibili per trovarmi simpatica di solito comincio da quelli. Dai miei piccoli azzardi di gioventù. Non era scontato che ne facessi: non amo i conflitti, non ambisco né al comando né all'obbedienza, non mi piace chiedere le cose ma trovare possibili strade per andare a prendermele. Quando si è così ci sono solo due possibilità: diventi una disadattata cronica oppure il prodotto di una combinazione di cocciutaggine e flessibilità che tornano sempre utili, quando incespicare è più una scelta di vita che una condizione sfortunata.

Quando i miei mi hanno detto di fare economia non ho battuto ciglio, eppure non c'era una sola cellula di me che la ritenesse una decisione sensata. Non lo era infatti e non lo sarebbe stata se non avessi trovato sul mio percorso un prof. che ho adorato per tutta una vita, per il quale ho ripetuto l'esame tre volte, ma con cui ho poi fatto la tesi e che ho ritrovato come tutor per tutto il dottorato, quello che ho conseguito dopo essermi licenziata da un lavoro che avevo desiderato tanto e che invece era altro da quello che io mi aspettavo per il modello cooperativo su cui era impostato. Chi lo sa se oggi troverei mai il coraggio per fare una cosa del genere, eppure io lo feci con la naturalezza e la spocchia che solo la giovinezza incosciente possiede senza il filtro di un contegno soffocante.

 L'economia mi ha insegnato che la risposta più sensata che si possa dare a qualsiasi problema complesso è "dipende" ed è questa la vera lezione che mi ripeto  ogni volta che cedo alla tentazione di trovare la ricetta definitiva ai dilemmi credendo davvero che esista una verità assoluta che mi salvi dall'errore, dalle delusioni, dai miei "pregiudizi di conferma", quelli che si hanno quando si cerca solo il conforto verso ciò di cui si è già convinti. In economia il "dipende" ha pretesa di esattezza matematica applicata all'imponderabile e questo ai miei occhi ha qualcosa di divino, oggi più che mai che il "dipende" vuole avere pretesa di libertà di scelta basata solo su sensazioni, universi mitologici "tribali" popolati da vegani, rettiliani, antivaccinisti e complottisti non meglio definibili ma sempre pronti al conflitto, allo scontro perenne o, al contrario, al settarismo massonico.

Oggi è stata una giornata difficile al lavoro, ho un problema che non so come risolvere, l'anno scorso invece mi sfogavo su questo blog perché ero l'unica a non aver partecipato all'assemblea sindacale e per questo avevo fatto servizio al pubblico tutta da sola. In altre occasioni ho raccontato di quante volte ho chiesto inutilmente di poter fare un'esperienza di lavoro all'estero e che l'amministrazione non ha mai neppure considerato la remota possibilità di farmi accedere ad uno dei bandi a disposizione dell'agenzia. Mi sono chiesta tante volte se questa fosse davvero la vita in cui speravo, con questi muri che spesso non comprendo, le anomalie a cui faccio caso soltanto io...e mi ripeto che forse, sì, io  volevo proprio una vita così, magari dopo essermi licenziata senza timori, dopo un dottorato per chiudere il cerchio di un percorso conflittuale, magari dopo un anno di vuoto assoluto come quello in cui davvero cominciavo a fare i conti con tutti quanti i miei "dipende".

Di tutto mi rimane l'incapacità di accettare i conflitti e di voler fuggire soltanto da quelli, la ricerca di una composizione armonica delle contraddizioni e il tentativo perenne di rinnovare e purificare lo sguardo senza la smania di cambiare costantemente punto di vista. O, forse, tutto questo "dipende" soltanto dagli anni che hai. Il fattore tempo in economia è la variabile fondamentale per analizzare qualsiasi fenomeno...un caso. Non credo.






venerdì 13 ottobre 2017

Un venerdì 13 è per sempre (...mi piacerebbe...)

Ormai mi convince. Sono circa due settimane che le mie albe, ormai sempre meno luminose e mai troppo illuminate, hanno esordi differenti che alterano rituali consolidati di anni di fede incrollabile a collane di dvd americani, pedalate domestiche, corse attorno all'aeroporto di Linate...e tutta una serie di attività solitarie nella preparazione di colazioni strane, beveroni, doppi e tripli caffè. Cosa non ci si inventa per sentirsi pronti ad affrontare la giornata...
Dicevo, sono due settimane che la mattina - prima del lavoro - vado in una palestra che apre alle 7:00 e che è esattamente a metà strada dal lavoro. La parte più difficile è uscire di casa senza trucco, col borsone e il solito carico per l'ufficio (compreso il pranzo). A quell'ora c'è solo il proprietario, un signore non più giovanissimo ma con un ancora evidente glorioso passato da sportivo. Ha già imparato i miei orari e da un paio di giorni viene anche qualche minuto prima: accendiamo assieme tutte le luci, per la prima mezz'ora ci sono soltanto io e tutto mi pare già molto familiare. Di solito corro in salita per una mezz'ora, faccio un po' di pesi per le braccia e, soprattutto, finisco l'allenamento su una pedana vibrante che credo simuli il Nirvana. Faccio la doccia, mi trucco, bevo delle cose giallo-verdi, saluto il proprietario della palestra, che credo noti la trasformazione radicale e, forse per questo, mi saluta con un sorriso più ampio. A questo punto percorro i residui venti minuti che mi separano dal lavoro  coi capelli ancora umidi, un pezzo di crostata sempre troppo piccolo, le cuffie con "i conigli" e tutto un compiacimento un po' infantile che poi però si stempera durante il giorno.

Al lavoro sono ancora sola in stanza e questo mi consente di sentire i podcast di radio24, di stare zitta per tante ore, di ricevere colleghi adorabili che mi portano la cioccolata o altri generi di conforto - oltre  amabili minuti di conversazione, per poi godere ancora di un silenzio irreale. Oggi in realtà ho dovuto fare due ore di servizio al pubblico e c'era un signore che mi ha detto che era da tanto che non mi vedeva, ma io non ricordavo assolutamente di averlo mai visto e un altro che mi ha raccontato di quanto sia orgoglioso di suo figlio trentenne, della sua passione per i cavalli e per l'ippodromo di Agnano e poi una sorridente signora peruviana, che vedendomi scrivere con la sinistra, mai ha detto che sono "più intellighiente". Mi succede spesso: quando sono giù allo sportello c'è sempre chi ritiene di fidarsi abbastanza di me da raccontarmi piccoli o grandi episodi della propria vita, o decide di affezionarsi al punto di farmi dei piccoli regali, portarmi i cornetti alla crema, dirmi cose carine...e io un po' mi pento della mia preferenza per il mio studiolo vuoto e silenzioso e un po' sono contenta che non tutti se ne accorgano subito.

Questa settimana ho preso un po' dei molti giorni che mi residuano per vedere dei film, fare un massaggio e finire un fumetto molto bello e ho dormito mediamente un'ora in più. Ecco, se proprio dovessi dirla tutta, ammetterei che sia davvero difficile pensare ad una vita più ordinaria e meno appassionante di questa. È più di un anno che non programmo un viaggio e, per fortuna, che non piango per qualcuno, che non ho subito torti imperdonabili o problemi insolubili. In linea di massima sento che non vorrei avere una sorte troppo diversa da quella che i quaranta mi hanno riservato. Potrei chiedermi se abbia trovato finalmente la mia comfort zone che mi isoli da rischi ed imprevisti, ma pure da sorprese e rivoluzioni copernicane, oppure se sia un assestamento che finalmente mi rappresenti in pieno. Forse è semplicemente giusto così per il fatto stesso che non è altro che così e che per una volta potrei addirittura non preoccuparmi del mio stare in pace.

Oggi è venerdì 13. Pure quando sono nata era un venerdì 13, anche il mio onomastico cade il 13, anche la casa in cui ho scelto di vivere sta al 13. Dicono che porti sfortuna. Io invece a volte  penso di non averlo mai davvero meritato...Ecco lo sapevo. Non riesco a godermi mai niente fino in fondo




sabato 7 ottobre 2017

Indicatori di "micro" benessere esistenziale (che con le tre S sono bravi tutti)

C'era un sole splendido oggi a Milano e così, verso le tre del pomeriggio, sono corsa sulla mia panchina "estiva" con la smania di chi non vuole tardare ad un appuntamento importante. Sono giorni che non prendo appunti o scrivo cose che vorrei mi fossero ricordate tra un anno e poi ancora, finché social non ci separi dal nostro passato. È la prima volta che lascio che la vita trascorra senza che trovi necessario anche trascriverla: forse sto abbastanza bene da non trovare utile tentare una qualche analisi alle cose che mi capitano, oppure davvero non mi succede niente di speciale da meritare ricordi tracciabili, o semplicemente sono stata molto stanca per tutta questa settimana e sacrificare il rituale serale delle impressioni scritte delle giornate mi è sembrato un fatto necessario. Scoprire che il mondo non abbia accusato il colpo di questa assenza mi è di un certo sollievo in effetti...Eppure a ben pensarci è stata una settimana un po' speciale per me, che dormo sempre poco e male, e invece sono giorni che Morfeo rimane con me fino a ben sei ore! E poi ho visto un film su Napoli così divertente e ben fatto che ne porto addosso i benefici persino ora. In effetti sono inezie assolutamente essenziali come lo sono per me la necessità di rigenerarmi e vedere buoni film, cose queste che sfuggono ai racconti avvincenti, ma meno male lo stesso che esistono.

Qualche giorno fa, nella sua trasmissione alla radio, Gianluca Nicoletti ha parlato di indicatori di benessere individuale, vale a dire quelle personalissime condizioni a cui ciascuno di noi aspira perché ritenute i fondamenti imprescindibili della felicità. Era un giochino divertente perché partiva dall'escludere i "macrofondamenti" banali delle tre "S" (sesso-salute-soldi) per entrare nel dettaglio "micro" delle essenzialità meno catalogabili. Faccio fatica a spiegarla ma è subito chiaro quando l'esercizio comincia. Io ho provato a fare così: mi sono creata una specie di personali categorie del "benessere" e all'interno di ciascuna ho inserito una piccola lista di indicatori rappresentativi del mio stato di grazia. Le categorie erano 1) il materialismo (...non solo in senso marxista...) 2) l'"intangibile" inteso come l'insieme delle intime sensazioni legate ad esperienze minime e apparentemente odinarie 3) la bellezza a partire dalla sua accezione profana per arrivare fin dove sia dato di incantarmi

Nella prima categoria ho messo questo:
- le lenzuola profumate di bucato su un letto ben fatto. Potrei affondarci dentro per sempre e sentire che tutta la mia infanzia più felice, l'assenza di ogni preoccupazione e stanchezza si realizzano in quella condizione li, in un corpo che non ha bisogno di difendersi ma solo di respirare a pieni polmoni.
- le mie crostate di marmellata. Il piacere comincia da quando compro gli ingredienti, li predispongo sul tavolo, impasto la frolla, arrivo fino al delicato momento della cottura per poi raggiungere l'acme del piacere col primo morso, che cerco di far coincidere in un momento di appetito sincero, quando è ancora caldissima. Non so se si tratti di felicità ma sono sicura che sia una cosa che le assomigli molto.
- ogni nuovo paio di scarpe da running Dalla contemplazione della parete con tutti i modelli fino alla scelta e i lacci tra le mani prima del primo allenamento
- quando vado a fare la spesa e ci sono i miei biscotti preferiti (gli inarrivabili Mc Vitie's digestive) scontati al 40%
- la doccia dopo lo sport con la pressione e la temperatura che dico io
- un cappuccino ben fatto

Nella seconda categoria ci stanno queste cose qui:
- Il pensiero di rivedere a breve una persona a cui voglio bene e, dopo, il pensiero di averla vista ed aver trascorso un tempo piacevole
- cucinare per qualcuno a cui tengo
- le luci che si spengono al cinema
- un trenta e lode a un esame per cui avevo studiato tantissimo e un altro per cui invece conoscevo solo le domande che mi furono rivolte
- tutta la musica che tengo in un  iPod dal 2009. Se sparisse credo che mi ammalerei
- stare sulla mia panchina preferita in questo parco con questo sole in silenzio e senza smanie
- le persone che sanno incantarmi quando parlano

 La categoria della bellezza, infine, ha carattere residuale e volutamente generico. Io ci metterei
 - Pablito e in generale tutti i gatti
 - i miei trent'anni
 - i baci
 - certi bambini "problematici" e simpaticissimi di cui vorrei conoscere il futuro e il modo di districarsi nel mondo
 - Milano e Napoli

 In fondo è una lista furba. Per alcune faccio presto, per altre devo confidare un bel po' nella buona sorte, per altre mi faccio bastare il ricordo. Ma va già bene così