Sola andata

Sola andata

mercoledì 23 settembre 2020

Presente in attesa

Alla fine è solo quello. Tutto si riduce al modo in cui si ordinano i pensieri. È questo che ci fa amare uno scrittore più di un altro, cercare gli articoli di un giornalista piuttosto che un altro e in generale che ci fa trovare più o meno interessanti le persone che incrociamo. E’ questo che a me fa innamorare oppure no. Non l’identità di vedute, non il merito delle questioni affrontate, ma il modo di confrontarsi con quello che possa riguardare chi si approccia a certe riflessioni. È solo questo che trovo davvero carismatico negli altri e che mantiene viva la mia curiosità. Perché dico questo? Perché me lo voglio ricordare quando ne avrò bisogno, perché un giorno la smetterò di tirare un sospiro di sollievo tutte le volte che mi piace qualcuno che però è già impegnato solo perché penso che tanto non avrebbe funzionato lo stesso. Un giorno giuro che la smetterò di trovare interessanti solo gli amori immaginari o quelli con la data di scadenza incorporata. Ma dovrò essere pronta. Oltre che paziente.

Ho ripreso ad andare un po’ al cinema, ho ancora un po’ di problemi con la casa, sono tornata a dormire nel mio lettone sotto il tetto, le giornate tornano ad accorciarsi sempre di più e io, che vivo di mancanze e qualche malinconia, non riesco a non sentirmi grata lo stesso di tutta questa normalità. Sì, io credo che i continui litigi dei vicini e di tutte le coppie che non riescono a convincermi della loro riuscita siano un’ottima ragione di tutto ciò che sono stata disposta a perdermi in questi miei anni così strani e necessari.

Il mio bagno nuovo è davvero figo. Hanno sbagliato quasi tutto, ma la pazienza mi sta premiando. Mi piace lo specchio grande, con la luce sopra che mi fa truccare meglio e quello sfondo fantastico di piastrelle blu che mi fanno sentire in un albergo a cinque stelle. Mi piace rendermi conto di quanto incidano certe piccole novità anche nella semplicità di un’esperienza che non ha pretese. Anche il mio vecchio bagno era carino e funzionale. Ma chissà perché all’improvviso non bastava più. 

Sto per fare una cosa che durerà cinque giorni e che mi impedirà di bere caffè. Non so se ci riuscirò ma conto di parlarne appena capisco bene quali effetti avrà. Mi hanno assicurato che avrò un gran mal di testa ma che ne varrà la pena. E io, se ne vale la pena, ci rimetto pure la testa.

È incredibile quanto sia facile raccontare la propria vita anche quando non succede molto. Deve trattarsi di  un talento che viene dato a noi appassionati di attese. E di presente che le ospita




lunedì 14 settembre 2020

Certe volte non tornano

 Continuano a non tornarmi troppe cose in questo anno assurdo in cui tento di ridefinire i confini del mio spazio d’azione e di quello vitale. Non credo di essermi mai sentita così disorientata, invece qualche volta penso che in realtà  sia sempre stato così e che questa fosse solo l’occasione per farci caso. E poi quali sarebbero le cose che non mi tornano? È una serata piuttosto calda e io sono un po’ stanca, non vorrei arrischiarmi in labirintiche elucubrazioni per scoprire che mi sarebbe bastato un triplo cioccolato con panna e granella alla qualunque purché granella come se piovesse.

 Sono rientrata da una settimana: ho ritrovato il mio piccolo bagno ancora da finire assieme a qualche problema piccolo pure lui ma dalle grandi potenzialità di crescita, un amico mi ha regalato l’abbonamento ai film in streaming di Venezia e io ho ripreso i ritmi di una vita in fondo tranquilla, pacificata da sogni che non pretendono pure di realizzarsi e che si accontentano di dettare la linea. Mi illudo ancora di non avere alcun diritto al lamento e questo qualche volta mi sembra parecchio frustrante.

Qui in casa ho creato lo spazio per mettere il divano nell’altra stanza. Al suo posto ci sarà un televisore grande che presumo vedrò stando seduta per terra su grossi cuscini e sul tappeto. Sono giunta ormai ad una età in cui credo di essere certa che non smetterò mai davvero di avere quindici anni. Il prossimo week end si andrà a votare e con ogni probabilità si deciderà per  un taglio dei parlamentari. Io, pur senza tutta la convinzione che richiederebbe l’orrore di un ridimensionamento della rappresentatività e quindi della democrazia, spero che vinca il No. Nella mia regione ci saranno anche le elezioni regionali: pare che vincerà  De Luca, soprattutto grazie a suoi irresistibili siparietti. I suoi colpi di teatro ai miei occhi celano solo un uomo dispotico, poco orientato al dibattito democratico e un millantatore. Ma indubbiamente la sua formula comunicativa è efficacissima. E poi l’alternativa è assai peggio.

Ho fatto il risotto con le verdure. Non avrei dovuto usare il riso integrale. Credo che sia per questo che non è venuto cremoso. Invece ormai sono un asso dei pancake alla farina d’avena. È stato così che ho scoperto che mi sono persa troppo burro d’arachidi nella mia vita. Ho pulito casa per ore eppure mi sembra ancora tutto in disordine, un disordine che pare volermi dire qualcosa che però ancora non comprendo. Nella mia casa in Campania invece mi piace tutto. Tutto mi pare avere un suo senso preciso. È facile quando quello spazio non ha dovuto ospitare tutta una vita e il suo carico di variabilità emotiva.

Credo che dormirò sul divano anche stasera. Poi domani lo sposto e io tornerò a stare nel mio lettone sul soppalco. Fa ancora molto caldo ma io l’estate non la sento già più

E ancora troppe cose non mi tornano


martedì 8 settembre 2020

pausa pranzo

 Come quando ti buttano senza preavviso in piscina per la prima volta quando sei troppo piccolo per ribellarti. Superi quel timore (qualche volta è un vero trauma) soltanto vivendoti meglio che puoi una situazione a cui non puoi opporti. Un atto di prepotenza che ha in sè l’ineluttabile dolore che affianca la crescita. Così mi sono sentita io quando ho varcato la soglia della mia cuccia milanese, quella da cui mi sono assentata per un tempo che non mi ero mai concessa da quando sono qui. Avevo persino rimosso l’odore  di calce dovuto al lavoro lasciato in sospeso per rinnovare il bagno. Che delusione pure questa. Gli errori di progettazione imporranno un ulteriore prolungamento dei tempi, io sarò costretta a lavorare da casa e tutti i benefici effetti del sole e del mare saranno inesorabilmente azzerati. Tutto in perfetto mood 2020 direi. In fondo la sto prendendo bene.

Dicevo che mi ritrovo catapultata nel mio ufficio con le mia carte, intatte come le avevo lasciate, e con altri documenti appoggiati sulla sedia a testimonianza del passaggio di chi era qui mentre io cercavo di fissare un ricordo accettabile di me in bikini, o di qualcosa di appassionante o mentre guardavo un film per esorcizzare la noia del tapis roulant. Chi lo sa cosa viveva Milano mentre non mi  tratteneva a sè.

 In fondo io ho semplicemente trascorso le ferie a casa mia, non ho esplorato posti nuovi in cui testare le colazioni e il mare cristallino. L’anno scorso ero a Venezia e provavo a mediare lo stupore per un’esperienza bella come quella della mostra col disagio delle file, della folla e di  una città che trovo ostile e avida, prima che bella e poetica. 

È da ieri che non faccio che pensare a un film che ho visto su Netflix per due volte di seguito. “Sto pensando di finirla qui” di Charlie Kaufman mi ha letteralmente lasciato senza ossigeno, pietrificato come non mi capitava da tanto tempo. Forse per questo il viaggio di ritorno mi è parso brevissimo. Ci sono tanti modi di giocare con la “sregolatezza temporale“ e Nolan non è l’unico a cimentarsi con questo genere di esperienza narrativa, onirica e legata ai temi dell’esistenza e della condizione umana. Per fortuna. Lo stile di Kaufman tocca corde differenti ma che mi riguardano molto più da vicino. Dopo ogni suo film sento che l’infelicità abbia il diritto di rientrare a pieno titolo nell’atteggiamento razionale di un individuo e che, come tale, esso non sia nè colpevole nè vittimistico. Un lavoro di scrittura e di adattamento a cui mi inchino con ogni riverenza.

Ho ricominciato. Era tutto tranquillo qui in ufficio. Ma io lo so già che in realtà ho un sacco di cose da fare. La mia cuccia milanese mi pare più piccola del solito. Il bagno è ancora da finire e io proverò a lavorare da casa come gli altri colleghi. 

Stanno per cambiare un sacco di cose


giovedì 3 settembre 2020

“‘Na grazje e’ Die”

 Eh, ma stavolta non ci voleva mica molto. Tanti giorni di ferie, tutti destinati a riposo, mare vicino e soltanto di mattina, la comodità di una casa con uno spazio che a Milano non mi permetto neppure di inserire nell’immaginario più ambizioso. Per questa estate incastonata nell’anno più assurdo della mia vita non sarei riuscita a fare niente di diverso: allontanarmi da una città che mi ha blindato, isolato, affaticato, complicato la vita e azzerato ogni mia consuetudine assodata. Ora in questa molle transizione da agosto a settembre, quando l’aumento dei contagi pare evocare un passato recente che non ho ancora fatto in tempo a metabolizzare, mi chiedo già cosa significherà per me ritornare a Milano. Perché non è mica così normale per me tornare ad affrontare la quotidianità problematica di una città in cui sono ancora alle prese con una ristrutturazione che mi ha creato una serie assurda di problemi, un lavoro che non so quanto ancora cambierà in modalità e contenuti. E la paura, nuova compagna dall’aspetto variabile che ha cominciato a fare il suo ingresso anche tra le mie scelte più elementari. Io non lo so proprio cosa proverò stavolta al mio rientro. Il bello di non avere scelta in fondo è solo questo: non ha alcuna importanza quello che sento io. Farò tutto quello che c’è da fare, troverò giocoforza delle soluzioni. E di sicuro mi chiederò come mi ci sono ficcata in queste situazioni. Io sono così, credo che tutto quello che faccio sia in realtà soltanto un pretesto per poi bacchettarmi.

Oggi in spiaggia, durante la mia solita passeggiata, un ragazzo che faceva la stessa cosa con degli amici, venendomi incontro mi ha detto in dialetto stretto che ero una vera grazia di Dio. È stata una cosa del tutto inattesa per me e direi pure molto divertente. Lui era piuttosto giovane e io non sono più abituata da anni a ricevere quel genere di apprezzamenti. E così ho pensato che forse se qualcuno mi trova ancora carina è perché in realtà io sto ancora aspettando di piacere all’unica persona che mi piacerebbe incontrare e che tutto quello che ho ancora voglia di fare, capire, imparare trova il suo senso solo in questa assurda aspirazione. Non mi salvo, lo sento. Camminare molto, in una spiaggia quasi desertica, ma nella quale all’improvviso succede qualcosa e io la traduco così. In fondo credo che avrò bisogno anche di questo piccolo bagaglio di sensazioni al mio rientro a Milano, lì dove incontrare qualcuno capace di improvvisare siparietti simili è un’ipotesi non contemplabile, dove non ho più voglia di uscire e frequentare nessuno Lì, dove mi faccio bastare gli spunti creativi della rete. E poi basta.

La mia estate sta finendo così: con un’abbronzatura dorata, tutto il riposo di cui avevo bisogno, il mio carico di amore platonico, sempre perfetto e privo di nevrosi e gelosie, su cui ho meditato pure durante le mie passeggiate marine. A tutto si aggiunge questa inedita paura del futuro unita a quella da rientro in una città in cui ho fatto una fatica crescente per fare qualsiasi cosa. 

Ho riposato bene. Direi che sono stata “nella grazia di Dio”. E non lo so quanto questa sia, di fatto, davvero una buona notizia