Sola andata

Sola andata

martedì 31 luglio 2018

Piacere! (...a chi?)

In realtà non lo faccio mai. Perlomeno non da quando ho superato i trenta già da un pezzo. Però, complice un caldo davvero atipico, avevo deciso che questo week end mi sarei vestita da femmina che vuol farsi guardare...beh, detta così direi che non mi fa troppo onore. In realtà ho indossato semplicemente una canotta con delle trasparenze e una gonna molto ampia e colorata. Poi ho messo i tacchi e della biancheria nuova e un po’ elegante che ho dedicato soltanto a me stessa perché avevo sentito una volta una diva americana dire “indosso sempre della biancheria intima molto bella. Gli altri non lo sanno, ma io sì e cammino diversamente”. Aveva ragione: la sensualità non ha nulla a che fare con la bellezza banalmente “visibile”. Non sarò certo io a riferire se il mio esperimento “frivolo” sia riuscito o meno. Mi sarebbe già bastato sapere che ho camminato senza mai inciampare, che quella canotta mi sta ancora come l’ultima volta che la indossai (tanti anni fa) e che mi trovavo proprio bellina. E così, nonostante la mia naturale attitudine alla maglietta dei tre allegri ragazzi morti, jeans sdruciti e sneakers, mi pare sensato ogni tanto scoprirsi ed essere qualcos’altro.

Ormai ho imparato a riconoscerli tutti dal loro modo di bussare. I colleghi che mi vengono a trovare in stanza per un breve scambio di idee, amenità, pettegolezzi...sono tutti riconoscibili dal tocco: c'è chi deve assolutamente raccontarmi cosa ha visto al cinema, chi degli intrighi di palazzo, persino chi mi racconta delle sue esilaranti avventure amorose per le quali io rimango quasi sempre di stucco. La mia bolla fatta di silenzio, lavoro sempre uguale, luce naturale e poca aria condizionata, viene allegramente interrotta da queste sporadiche ma affettuose presenze. E a me questo piace sempre molto. Purtroppo in questo periodo mi toccherà quasi sempre coprire la prima informazione e l’attività di sportello. Starò sempre con la gente, alle prese con cose da dire e da ascoltare. E questo mi affatica. Ma poi oggi è successo che ad un certo punto improvvisamente, un contribuente mi ha regalato della frutta: l’aveva appena comprata e me ne ha data un po’. Gliene ho chiesto i motivi e mi ha detto che sono dolce e simpatica e la cosa mi ha seriamente commosso. E poi tutto accadeva senza che portassi i tacchi tacchi o trasparenze.

A volte mi chiedo cosa sia davvero determinante per piacere agli altri e a se stessi senza nevrosi,
ansie, ipocrisie. Ci sono dei momenti in cui penso che la solitudine e la rinuncia a coltivare legami profondi e duraturi siano soltanto il frutto dell’immensa paura di non essere mai davvero abbastanza per nessuno. Forse amo così tanto la radio anche per questa ragione: mi godo, senza precauzioni, le voci di persone che ho imparato ad amare e apprezzarne l’impostazione, le proposte musicali e intellettuali, l’allegria e gli spunti, senza pure l’obbligo di contribuire attivamente in questa lunga frequentazione, temendone le critiche, la stanchezza, un terreno di scontro. Credo che la radio rappresenti il mio surrogato più perfetto, e comodo, dell’amicizia.

Intanto adesso che è sera e tutto è stato già raccontato e ascoltato, me ne sto su questo divano, che in estate diventa pure il mio letto, a godermi un silenzio magnifico e una cena veloce fatta di quel pochissimo che ho in frigo, in compagnia solo delle ultime pagine di un libricino che vorrei non terminasse mai E con i brutti pensieri che cominciano a stemperarsi, proprio come hanno fatto quelli precedenti. Ormai la radio è spenta, una doccia fresca, i pantaloncini corti, la maglietta di cotone, la faccia pulita e la coda tirata. E poi le mutandine con i manga stampati, su entrambi i lati. Tanto non mi vede nessuno. Peccato, perché stasera penso di essere davvero bellina cosi messa. È trasparenza anche questa.




sabato 28 luglio 2018

Darsi all’ottica (e non perdersi di sviste)

Se l’avessi capito prima sarei sparita subito. Però alla fine è andata bene così: volevo completare un ciclo e al contempo necessitavo di ulteriori elementi per capire meglio. Non è detto che poi di fatto questi elementi esistessero o che ci fosse davvero qualcosa da capire meglio. Quello che è certo è che le cose finiscono. E questo è abbastanza normale e persino sano. Ciò che invece mi spaventa è scoprire che mi ero sbagliata su quasi tutto e che vivevo le esperienze con tutt’altro spirito. E questo è spiazzante, perché mi fa pensare di non aver nessuna percezione della realtà mentre la vivo. Le cose mi diventano chiare dopo, quando tutto ciò che sento di poter fare è andare via e aggiungere un tassello di diffidenza e rammarico. O forse è semplicemente così che funzionano tutte le cose belle che devono avere una buona scusa per finire prima che stanchino e diventino scontate. Va bene. A malincuore accetto che le esperienze e le persone che mi sono piaciute, ad un certo punto, con modalità e motivazioni differenti spariscano dalla mia vita. E io dalla loro.

Estate stranissima questa qui. Negli anni passati avvertivo in modo netto l’interruzine delle attività di una città che all’improvviso assumeva ritmi lenti e dilatava lo spazio. Adesso no. Anche i miei programmi preferiti alla radio stanno ancora andando, sebbene questa sia proprio l’ultima settimana. Credo che avvertirò una battuta di arresto generalizzata e improvvisa proprio da oggi in avanti, la stessa che sento in questo momento mentre pianifico il mio autunno, come se fosse un dirittto acquisito invece che un’ipotesi tra le tante, mischiata con gli imprevisti di un tempo in fondo abbastanza lontano. È che stavolta non vorrei sbagliarmi, vorrei non sentire il peso dell’equivoco o delle cose che mi sembrano belle ma che poi non erano davvero tali, ma solo il frutto un po’ immaturo di un entusiasmo coltivato male. O più semplicemente mi ostino a vedere una realtà distorta ma rassicurante..

Luglio è passato troppo in fretta e mi è sembrato che volesse darmi uno schiaffo che ho schivato giusto in tempo mentre ne avvertivo tutta la violenza. Spero che agosto trascorra abbastanza lento da aiutarmi a pianificare il mio tempo senza che abbia poi voglia di offendermi.
Sì, è proprio una strana estate, meno bollente dello scorso anno e col cuore che batte piano, con la testa che pulsa per colpa di una strana paura di cose finite ma non ancora passate. E i miei difetti di vista, che temo di non riuscire mai a correggere. Neppure con la luce calda di agosto.

giovedì 26 luglio 2018

Raccontami una storia. Puoi anche miagolarla, persino abbaiarla, se vuoi

Anche oggi, come ieri non ho portato con me l’i pad e mi sono limitata a vedere solo le eventuali notifiche sul mio debole cellulare. La mia vita social-contingentata mi pare cosa ottima, sebbene abbia scoperto che il post scritto ieri e non linkato su fb non sia stato raggiunto da altri canali. Mi stupisce sempre molto il meccanismo della visibilità di qualcosa che è comunque sotto gli occhi di tutti...davvero una faccenda strana.

Come credo di aver già detto qualche volta (e come sarebbe facile intuire) sono ancora una lettrice abbastanza appassionata di blog. Mi piacciono quelli buffi di certe mamme moderne, alternative, ironiche e che vivono la maternità senza alcuna retorica. Di solito il meccanismo che scatta nella mia testa è quello di mettermi nei loro panni e provare a capire cosa farei io alle prese con un bimbo che cresce e che di fatto non si conosce ancora, nonostante sia figlio. La mia anima freakettona mi vedrebbe in qualche posto di campagna, alle prese con giochi fatti a mano, colori, dolci da farcire, collanine colorate. E poi però vorrei pure che frequentassero la scuola americana: confesso che per anni ho messo da parte i soldi proprio per fare una cosa del genere. Oggi ho decisamente variato la destinazione d’uso di quei risparmi...ma tant’è.
E poi leggo i blog biografici con annessa autoironia: di solito si tratta di single rassegnate dai continui casi umani con cui si interfacciano, o di ragazze con disturbi alimentari esorcizzati brillantemente con un paio di maritozzi, oppure leggo le storie di ragazzi timidi che raccontano dei loro approcci falliti come se si trattasse ormai di uno sport estremo di cui collezionano medaglie da podio. Sì, direi che il mio senso di appartenenza si configuri con l’adesione soprattutto a un certo genere di narrazione. E questo indipendentemente dalla mia identificazione alle specifiche esperienze. Si tratta piuttosto di una forma molto delineata di empatia e di interesse per chi parla di una cosa propria centrando bene il modo con cui lo fa.

Una volta un bravo “raccontastorie” che fa delle cose molto belle in radio e in certi locali di Milano, Matteo Caccia, parlando del ruolo dello “storytelling” (termine da usare con molta parsimonia per favore), disse che si tratta di un atto fondamentalmente politico, anzi l’atto politico per eccellenza. Riflettendo sulla mia esperienza credo di capire cosa davvero intendesse. E forse lo ha ben capito pure una certa classe politica che ha saputo costruire la propria vittoria a tavolino facendo della narrazione sui social un potentissimo strumento di propaganda. Ma questa forse è ancora un’altra storia...

Ah dimenticavo. Oltre ai blog, mi piacciono pure i video buffi sui cani e i gatti. È uno dei modi più sublimi che ho di perdere il mio tempo senza pentirmi. Forse  perché mi pare che sia in certe loro irresistibili gag che io vi ritrovo frammenti di quei famigerati “atti politici per eccellenza”. Incanto di semplicità e istinto.
E così ho pensato che tornare a casa e riaccendere l’i pad, dopo una giornata in cui sono stata felicemente senza, sia proprio una bella storia. Che per fortuna ne racchiude tante altre.


mercoledì 25 luglio 2018

Logiche analogiche di un social privato (di un po’ di pubblico)

Potrei giurare che sia la prima volta da quando ne possiedo uno. Ma credo che sia proprio così: quella di oggi è la prima volta che sono uscita di casa senza portarmi dietro l’i pad. Dal 2012 ad oggi ne ho cambiati quattro ed è stato subito amore. Mica come col telefono che di solito è di marca scadente, non lo faccio costare più di 199 euro, ha solo 1 giga di internet e non ho mai messo neppure whatsapp. Sì, direi proprio che la mia “protesi emotiva” per dirla alla Gianluca Nicoletti sia sempre stata il mio i pad. Eppure oggi ho deciso che avrei trascorso la mia giornata senza di lui. Non un minuto su fb, se non per le notifiche sul cell, non una ricerca di info, neppure le mail. Oggi sono ripiombata in una vita pressoché “analogica”, ma non l’ho fatto per dimostrare a me stessa quanto sia meglio, perché di fatto secondo me non lo è. Le mie intenzioni erano altre: per esempio evitare di cadere nella tentazione di condividere a tutti i costi un pensiero, una sensazione, o il piatto che ho davanti, o la luce che spero valorizzi i miei occhi...e tutte quelle forme di vanità per le quali in altri tempi avrei provato un po’ di imbarazzo e che invece oggi tendo a considerare come cose potenzialmente interessanti almeno per qualcuno dei miei “avventori”social. Oggi ho voluto che i fatti miei rimanessero davvero tali e che riflettessi su quello che mi sta più a cuore senza disperderne i pezzi nella rete. Non è sempre indispensabile dare una voce ai pensieri, a volte possono restarsene sospesi tra la testa, il cuore e lo stomaco sostando negli spazi limitati ma esclusivi di un’esperienza tutta individuale.  E così sia, almeno una volta tanto.

Oggi è morto Marchionne e lo ha fatto con la stessa impressionante rapidità con cui ha smantellato il concetto di familismo d’impresa nel cosiddetto “sistema Italia”. I risultati gli hanno dato ragione. Del resto ad un manager è richiesto di far tornare i conti, mica di essere pure una brava persona.
È successo pure che la Grecia sta bruciando tutta e, pare, non per cause naturali. La situazione appare ingestibile e la colpa si espande dai fiammiferi ai tagli alle spese per la cura e la tutela del territorio.
Potrei continuare con questa cronaca un po’ generica per raccontare di un tempo che in linea di massima mi pare ostinato a volare basso, tra deputati cinque stelle che dicono di fare politica anche dalla barca, o un’ossessione non meglio motivata per i crocifissi negli uffici, fino a misure dal fiato cortissimo per favorire la crescita...ma è anche vero che forse è un gioco troppo facile quello di vedere nero parlando in modo così generico.

Una volta mi capitò di ascoltare l’intervista ad uno scrittore americano che non conoscevo e di cui non ricordo neppure il nome, ma pare fosse molto famoso, che disse così “l’unico modo che ho di offrire un contribuito con la mia esistenza è scrivendo libri. Non so fare altro, non mi interessa altro. Per questo non mi informo e non leggo nessun giornale”. Io credo che una risposta simile possa permettersela solo un genio, tutti gli altri un minimo di “coscienza” del mondo sono purtroppo tenuti ad avercela. Ahinoi...
Però qualche volta, quando mi pare di capirci addirittura meno del solito di tutto quello che mi accade intorno e che mi viene raccontato con un filtro mediato da voci dissonanti o parziali, viene anche a me da pensare solo ai fatti miei, ai film belli, alle corse in compagnia, alle lezioni sul cinema, alla crostata di ciliegie, al mio sentirmi insignificante. E poi alle passeggiate di sera e a qualcos’altro per cui le parole non servono..

Per tutto questo non serviva l’i pad. Però mi serve adesso, che è sera e sto sul divano dopo che ho ripensato a tutto quello a cui tenevo senza “digitarlo”. Adesso invece hoavuto voglia di ricordare un po’ di cose e concederle al blog, ma stavolta tengo fuori facebook, che forse è davvero un’altra cosa. Il cellulare invece è proprio spento. Conta il pensiero. E poi conta altrettanto la libertà con cui scegli o meno di diffonderlo. Possibilmente un po’ prima che si trasformi in inutile vanità


lunedì 23 luglio 2018

La regia degli affetti

Qualche volta c’azzecco proprio. È rarissimo ma quando capita mi pare un miracolo. Ricomincio la settimana lasciandomi alle spalle un magnifico week end pieno di cose molto diverse e tutte felicemente necessarie alla mia sempre precaria visione ottimistica delle cose. La cosa è tanto più strana se penso che tutta questa carica positiva è scaturita da un bel documentario su Ingmar Bergman, notoriamente non proprio un allegrone. Di lui ho sempre pensato che, oltre ad essere un genio inarrivabile, fosse uno di quei traditori seriali che non mi augurerei mai di incrociare nella mia, già di suo sfortunata, vita sentimentale e invece ho scoperto che il suo ultimo amore, quello della maturità, è stato per una donna con cui è rimasto felicemente fedele per venticinque anni, prima che una malattia portasse via quella adoratissima donna e dopo cure e presenza premurosa da parte lui. Gli ho voluto ancora più bene di prima. Il documentario  era notevole anche per molte altre ragioni, ma forse io sentivo soprattutto il bisogno di riabilitarlo su questo fronte. Immenso Bergman, anche per aver imparato ad amare come si deve, seppure soltanto in vecchiaia.

Ieri invece ho fatto una lunga escursione con alcune delle persone che più mi piacciono quando faccio sport di gruppo e, nonostante mi sia affaticata più di quanto pensassi, ho ancora negli occhi scenari incantevoli, risate collettive e conversazioni buffe. Tutte cose per cui poi mi pento della mia dominante attitudine alla solitudine. La verità è che le persone mi piacciono quasi sempre più di quanto io stessa sia pronta ad ammettere e garantisco che riconoscerlo non è così automatico. Forse la spiegazione è che , per dirla con lo stesso Bergman, “tutti i legami sono complicati” e credo che per legami lui intendesse il piccolo, o immenso, sacrificio che compie ciascuno di noi per aprirsi all’altro e accoglierlo in quanto tale. Ciò che non è legame non è complicato, ma ahimè, privo pure di bellezza e di senso.

Oggi mi è capitato di rileggere lo scambio di messaggi con una persona a cui voglio bene e al quale una volta ho detto “sei adorabilmente gentile”, col tempo non ha confermato l’impostazione di allora, ha spesso assunto comportamenti che mi hanno spiazzato e che non ho mai completamente compreso. Io l’ho assecondato, mi sono chiesta spesso cosa avessi detto o fatto perché ad un tratto non fosse più così sfizioso nei modi e, in generale, perché lo sentissi meno amico e meno presente. Non mi sono mai data una risposta e ho accettato la cosa per quella che era: nulla di particolare. “I legami sono complicati”, le cose semplici invece si perdono da sole sfumando in un tempo che ad un certo punto non ne definisce più la natura. Quando succede mi dispiace un po’. Poi però mi passa, come è giusto che sia, e mi ripeto che in fondo l’affetto altro non è che un atto unilaterale di durata variabile. Se non sei abbastanza fortunato, o bravo, da farlo diventare una cosa felicemente complicata. Bergman, che era Bergman, ci è riuscito soltanto da vecchio. Pensa tu quanto è difficile...

venerdì 20 luglio 2018

Quell’ora mai persa

Non è come gli anni precedenti. L’ufficio non è vuoto come gli altri anni. I colleghi non sono partiti in massa: hanno capito anche loro che le vacanze a macchia di leopardo e in periodi diversi da quelli appartenuti ad un modello economico sociale che non esiste più da tempo ormai, offrono vantaggi notevoli. A me invece un po’ dispiace non essere più “quella strana” che parte quando tutti rientrano. Ma tant’è e pure i miei storici avventori dello sportello sono ancora qui e mi tengono aggiornati, bontà loro, delle loro piccole e grandi faccende di vita quotidiana . Ce n’è uno che ho conosciuto prima che si sposasse, che mi ha aggiornato sul matrimonio, l’arrivo della prima figlia, i cambiamenti che non aveva previsto “Lucia, non ci crederai, ma mi ha urlato di andare fuori di casa perché avevo messo in disordine. In quel momento ho pensato ma come è possibile? Io avevo sposato una ragazza dolce. Chi era questa?”. È passata pure la commercialista alle prese con una ONLUS ladronissima che sfrutta una legge che la agevola per lucrare e non pagare neppure un centesimo di imposte e lei la odia ma non sa trovare la maniera di non abusare di una legge nata per altri scopi. E poi la mamma bionda separata,  e con figli adolescenti del tutto ingestibili.
Ne ho tantissimi di questi affezionati confidenti che mi rendono partecipe dell’evolversi delle loro storie. E a me quasi sempre piace ascoltarli. Mi interessano soprattutto certe narrazioni del quotidiano di cui provo ad intuire le tracce e i percorsi futuri e ho molta riconoscenza della fiducia che mi viene accordata.

 Ma per fortuna oggi è venerdì e quando si fa sera tutto è ormai stato, sono soltanto io a decidere cosa raccontarmi o che ricordi far affiorare. E allora proviamo a ricordare. Cosa? E quando? E chi?

Potrei partire da un messaggio di un paio di giorni fa che non mi aspettavo, di cui non avevo previsto il contenuto e al quale ho tentato di rispondere con tutta la delicatezza e il tatto possibile. Lo spero davvero, e grazie comunque per le belle parole. Le belle parole... sempre colpa loro se poi uno se ne serve per confezionare un ricordo indelebile. Ci pensavo mentre lavavo l’insalatae mi chiedevo quale fosse la cosa più bella che mi sia mai stata detta.  Ce l‘ho. Non può che essere quella. Una frase precisa, molto probabilmente detta senza alcuna convinzione - come quasi tutte le migliori cose spontanee - e di certo chi la pronunciò oggi non la ricorderà neppure. Io invece non l’ho mai scordata e anzi mi ricordo bene che pure il cuore, per un istante, rimase sospeso e attonito da quella frase inaspettata.

“Lucia, un’ora con te non è mai persa”. Così mi disse il mio prof. quella volta che mi seguiva nella tesi di dottorato. L’argomento che tentavo di trattare non era il suo campo di ricerca e lui era in ogni caso troppo bravo per stare appresso a una come me. Mi conosceva già da tanti anni (oserei dire che fosse una delle persone che mi conoscesse meglio), non gli ho mai dato del tu e pure la sua severità non l’ho mai davvero scordata. Però una volta la signora delle pulizie del dipartimento venne a dirmi che era stupita perché io ero l’unica a cui consentiva di entrare nel suo ufficio anche in sua assenza.

Mentre finisco di lavare l’insalata e mi ricordo di una cosa che non c’entra niente nella mia vita e nei suoi esiti, penso che ci sono persone che hanno uno strano modo di imporsi nella vita, e nei ricordi, di qualcuno senza usare le forme classiche dell’affetto. Io non lo so cosa lo spinse a dire quella frase così imprevedibile, di certo non troppo plausibile e che mi zittì per secondi che mi parvero infiniti. Però la pronunciò davvero, la scelse al posto di qualsiasi altra cosa potesse dire. E bastò perché io non la dimenticassi più.
Nel frattempo ho ricordato anche altre cose e nessuna era all’altezza di quella frase detta un po’ così, a cui non si sbaglierebbe a non credere, che sto qui a ricordare dopo undici anni. E che mai più scorderò.
Poi ho mangiato l’insalata e, stranamente, mi ha completamente saziato.

sabato 14 luglio 2018

Milano è un metodo (...senza entrare nel merito)

Che pace. Temo che siano gli ultimi giorni che mi sarà garantito dirlo con questa convinzione. L’abitazione sulla mia testa è ancora disabitata e questo meraviglioso silenzio, forse anche dovuto a partenze di massa da Milano, è la cosa migliore che potessi augurarmi per oggi. Per la verità stamattina sono stata tutto il tempo in centro, ho camminato molto, consumato il mio pranzo al sacco ai giardini Montanelli, usato una gift card in una profumeria e ceduto alla tentazione di un paio di running scontate. Poi mi sono diretta a via Cadore per prendere il 66 e mi sono ricordata che tutto è cominciato da lì, proprio in quella strada dove ho abitato per la prima volta e che all’epoca mi pareva così diversa da oggi, quando nulla mi era familiare e mi perdevo appena giravo l’angolo. Pare ieri e invece sono nove anni che atterravo dall’Inghilterra, una signora prendeva i miei bagagli per sbaglio e io andavo ad abitare presso una ex insegnante steineriana abbandonata dal marito dopo quarant’anni di matrimonio. Quale battesimo migliore in fondo. Oggi penso che sia la città più interessante in cui si possa vivere, qualche volta mi affatica con le continue proposte in cui mi tiene intrappolata, altre la sento ostile e ogni tanto mi chiedo come farò a riconsiderare i miei obblighi con le origini.

Fa davvero caldo oggi, credo che i panni si asciugheranno presto nel cortile. Dovrei ricominciare la cura di ferro, me lo ha ricordato ieri mia madre (ma come fa a saperlo?) . E poi dovrei sbrinare il frigo: ormai c'è soltanto l’anguria da finire e un paio di hamburger vegetariani. In fondo cosa è cambiato in questi quasi dieci anni? Casa, ufficio, viaggi che non faccio più da anni, la tv che rivedo solo da un paio di anni, la carne e il pesce che non mangio più, qualche amico, qualche più o meno amico, qualche incontro sbagliato, qualche non amico...chiunque, io stessa, mi direbbe che tutto questo si fa ovunque, non è necessario vivere a Milano. Può essere. Ma io non ci sono mai riuscita. Quando lavoravo nelle Marche ero capitata in un posto che mi pareva il paradiso in terra e andavo al mare da aprile ad ottobre. Poi un bel giorno sono salita all’ufficio del personale e mi sono licenziata. Sono così ritornata negli agi domestici per tre anni durante i quali vivevo con una borsa di studio e mi veniva solo richiesto di scrivere una tesi che sostenesse un’idea tutta mia. Nulla di più. Ma niente, non funzionava e non sapevo, neppure stavolta, perché.

 E Milano? Milano funziona? E che domanda è? Milano funziona o non funziona come tutto a questo mondo. Sono io a (pensare di) funzionare meglio qui, mentre assecondo le mie malinconie o provo a misurarmi con certi contesti ostili, le cose che mi annoiano e che non posso evitare e quelle che mi piacciono e che qui trovo prima che altrove. Io credo che sia un errore analizzare il benessere entrando nel merito delle cose. La differenza vera nelle cose della vita secondo me la fa il metodo. Io al sud sono diversa: mi muovo, interagisco, mangio, parlo diversamente. I miei hanno problemi diversi, la luce è un’altra, gli odori pure e tutto questo mi predispone e spinge sempre ad atteggiamenti che poi a Milano non mi servono a niente. E non è una questione di sentirsi una specie di Zelig...no, è un’altra cosa. Riguarda quello che ti hanno inculcato e che non hai interiorizzato del tutto e così lo respingi e riaffiora a seconda di quanto stai soffocando o ti è consentito di respirare a pieni polmoni.

 La verità forse è solo che è da un mese che provo a svuotare il frigo per sbrinarlo ma non potevo perché c’era sempre qualcosa che avanzava e che sarebbe andata a male e invece i miei hanno il frigo no frost e questa cosa non la fanno mai e poi non hanno paura che qualcuno gli venga ad abitare sulla testa e farà un rumore infernale e poi hanno addirittura un balcone per asciugare il bucato e vanno al mare tutti i giorni e si godono la pensione e fanno solo quello che hanno voglia di fare . E  si sono pure presi il mio gatto. Tutto a loro.
Però vuoi mettere. Io sto a Milano. E morirò di dispiacere, o sofffocata, quando succederà di doverla lasciare. E dico seriamente

sabato 7 luglio 2018

Ricordami di me. Tu che lo fai a parole mie

No, non credo sia una forma di vanità. Anzi mi pare che sia addiritttura il contrario, date le motivazioni per cui ho cominciato a farlo. Da un po’ di tempo a questa parte, quando Facebook mi rimanda ai ricordi degli anni precedenti io non mi limito solo a scorrere tutte le foto e le scemenze che dicevo. Quando mi ripropone i post di questo blog io mi metto a rileggerli. Lo faccio solo da poco perché fino a qualche tempo fa ne avevo timore. Rileggere cose risalenti persino a tre anni fa mi spaventa non solo perché mi costringe a ricordare quello che provavo allora o peggio ad ammettere certe convinzioni poi rivelatesi sbagliate, a ricordare persone che mi hanno deluso e alla fatica di dover ritarare atteggiamenti per assecondare dinamiche diverse da quelle che avevo immaginato. Ricordare, rileggendo quello che mi appuntavo, mi porta a fare questo faticoso esercizio di autocritica, che - per quanto utile - mi fa abbastanza male. Eppure in questo periodo, in un eccesso di masochismo, sento necessario questo grezzo esercizio di scavo.

Mi è capitato di rileggere il post in cui dicevo (giustamente) male di un collega che da pochi giorni si è trasferito in un altro ufficio. Dovevo essere veramente arrabbiata, eppure non ricordo di essermi mai pentita di nessuna delle cattiverie che scrissi, neppure quando a riavvicinarmi fu lui, argomentando spiegazioni che apprezzai pur senza mai chiedergli scusa. Se perdo la stima, la perdo e ora che non è più nella stanza di fronte sono proprio tanto contenta. Questo giusto per allertare chi pensa che sia sempre una fanciulla tanto dolce...non sono vendicativa, ma non dimentico. E questo fatto è assodato.

E poi ci sono post in cui raccontavo cose per sottintenderne altre, magari perché emotivamente coinvolta su questioni che non riuscivo a mettere a fuoco. Rileggere quel genere di racconti quando ormai è tutto chiarito dal tempo mi strappa un sorriso perché è soltanto oggi che posso rendermi conto che all’epoca non c’era modo di capirci molto. Purtroppo per alcune cose vale solo aspettare che gli eventi si compiano in geometrie chiare, prima che possano essere comprese e risolte. Credo che siano gli appunti più utili perché rappresentano quella magnifica corazza chiamata esperienza. Il risultato sono delle risorse interne che all’epoca neppure sognavo.

Ho riletto pure quei post scritti mentre piangevo. Sono forse gli unici che ho trovato davvero sbagliati: sbagliate erano le ragioni e le persone per cui lo facevo. Sbagliato era il modo con cui mi sminuivo e mi tormenatavo. Corrette credo che invece siano le mie grasse risate di oggi al pensiero di quello che ero e che scrivevo con tanto pathos. In questo caso credo di aver imparato questo: troppo spesso confondo la simpatia, la stima, la fascinazione intellettuale...per l’incontro fatale e tutte le volte il predestinato di turno ne fa mero strumento di divertita manipolazione, dinamiche odiose, tattiche infantili...e io, tutte le volte, mi ritrovo a prenderne atto e ripetermi “eccone un altro”. Ma forse è stata tutta colpa mia...e non capisco mai che lezione trarne se non una spoetizzata perplessità.

Mah, chi lo sa se faccia davvero bene rileggere un diario in cui le cose da ricordare sono per lo più degli inviti a stare più attenta alle insidie del mondo e ai miei facili entusiasmi o, nel mio caso, ad usare meglio la punteggiatura e la consecutio e l’ortografia...
Alla fine quel che è stato è stato. E qualche è scritto è letto. Ora mi rimane continuare così. O magari impormi una ri_scrittura. Finalmente corretta in ogni sua parte

venerdì 6 luglio 2018

Ma Kiss(eneimporta) se...

È così. È una mia vecchissima ossessione quella dei baci. Forse perché io il bene l’ho sempre espresso principalmente così, da quando ero piccola, piccolissima che neppure parlavo e credo ancora oggi che sia la più sublime manifestazione d’affetto mai inventata. Ognuno dei gatti che ho avuto mi riconosceva soprattutto per la mole insostenibile di baci e abbracci a cui li costringevo e grazie ai quali si ripagavano il vitto. Ancora oggi la cosa che più mi manca del possedere un gatto è soprattutto quel godimento reciproco dettato da un linguaggio che non ammette fraintendimenti, neppure tra esseri tanto diversi.
Sul medesimo podio delle grandi masse di smack da dispensare senza prudenza ci stanno senza troppo stupore i baci dati ad un bambino appena nato mischiato a quel profumo che solo all’inizio della vita si porta addosso. Ma di questo ho davvero poca esperienza.

E poi ci sono i baci dispensati a tutti quelli dei quali soffrivo per qualche ragione la mancanza, sempre accompagnando tutto a certi abbracci così vigorosi da sembrare una seduta di fisioterapia. Certe assenze le puoi compensare solo così, altrimenti si fatica a ritrovarsi davvero. Penso a certi amici della mia giovinezza ritrovati dopo secoli. Penso al mio ritorno a casa dopo parecchi mesi o a certi litigi antichi che si ricompongono per affetti mai consumati.

E alla fine, come un residuo un po’ scalcagnato di scarti di merce un tempo preziosa, ci sono tutti baci che ho dato le (in fondo poche) volte che ho creduto di amare e poco importa se ogni volta si è trattato semplicemente di adorabili piacioni, interessati a piacere a me esattamente come a chiunque altra. Ahimè è stato sempre così: i destinatari dei miei baci erano dei cloni di se stessi e io mi chiedo sempre se sia stato tutto un enorme spreco oppure una cosa bella lo stesso. Ma sì, i baci sono belli per il fatto stesso di essere nati e poi ricordati. Erano unici a prescindere dai cloni da cui erano generati.

Che fine fanno i baci non dati? Hanno un loro speciale magazzino di stoccaggio? Restano sospesi in un mondo parallelo? Si riparano forse nelle pagine di un libro ancora da leggere o neppure ancora scritto? E i miei? Dove sono finiti tutti i miei baci pronti a partire? Erano proprio qui. Li rivoglio. Restituitemi almeno quelli rubati che quando mi servono poi non li trovo mai

giovedì 5 luglio 2018

Indirizzi nuovi

Meno male che non ero sola. Confesso di avere un problema con certi tipi di obblighi e il fatto di sapere che li affronterò assieme a qualcuno con cui ho un po’ di cnfidenza può alleviare di molto la pena. La premessa doverosa è che io rientro nella categoria di coloro che non hanno mai pensato al lavoro in termini romantici: sono cresciuta col solo scopo di trovare un impiego pubblico a tempo indeterminato senza mai pormi, neppure per un istante, il problema di cosa mi sarebbe davvero piaciuto fare del mio tempo “venduto”, di quella vocazione da coltivare al punto da farne una ragione di vita. Sulla scorta di questo presupposto solo apparentemente mestissimo ho costruito tutta la mia vita fino ad oggi. Nel frattempo ho avuto modo di capire cosa mi piacesse davvero e viverlo come passione assolutamente fine a se stessa, col patto tacito con me stessa di non chiedermi mai se questa cautela nel mio percorso di autodeterminazione fosse un approccio corretto oppure solo furbo. Ho deciso che non mi importa. O meglio ho deciso di fingere che non mi importi.

Però poi ci sono giorni, come quello di oggi, e pure di domani, in cui il mio lavoro mi impone corsi di formazione che lambiscono appena le questioni di cui mi occupo e per giunta sono spesso estremamente noiosi, concepiti con modalità didattiche arcaiche e troppo lunghi pure per la curva di attenzione più ripida...per fortuna condividevo la lezione con una persona che conosco abbastanza bene, che mi prende in giro praticamente su tutto quello che penso, che dico, che faccio e sul mio modo un po’ maldestro di concepire i rapporti, ma che nonostante tutto non mi offende mai e mi fa divertire quasi sempre. Oggi tra una piada e un gelato abbiamo gironzolato per uno dei quartieri più belli di Milano, che è la zona lotto fiera Milano, abbiamo salutato il balcone della Ferragni, ragionato sulla maniera più efficace di vendere la mia casa per comprarne un’altra dopo anni di adattamento quale dimora “di passaggio” e io ho pensato che alla mia età sia una delle grandi decisioni a cui dare davvero forma.
Poi siamo rientrati per il corso e io mi sono di nuovo incupita all’idea che mi sarei ancora sottoposta ad un’infinita sequenza di slides.

Ad un certo punto mi sono ricordata che per quattro anni di fila, quando avevo ancora fresco un po’ di inglese degno di una conversazione media, avevo chiesto di fare un’esperienza di lavoro all’estero e non mi è stata mai data una risposta. Perché questo corso sì e qualche altra cosa che mi sarebbe piaciuta di più no? Ah già...sono stata io stessa a dire che sono domande che non dovrei farmi mai. Su certe cose non ho margini di scelta...e così sia.

Poi finalmente sono tornata a casa. C’era una bella luce, molta pace e tutto era stranamente in ordine. Mi sono un po’ pentita di tutta questa smania di cambiare posto in cui stare. Ma poi ho pensato che l’adattamento spesso si traveste da benessere soltanto per abbassare la soglia delle pretese e che con gli anni questo fatto comincia a starmi talmente stretto che ho giusto bisogno di un po’ di spazio in più. Almeno quello che mi serve per farci stare dentro un po’ di tutta la noia con cui ho pagato il mio quieto vivere. E chissà che non decida poi di riservare addirittura una stanza agli imprevisti di un indirizzo tutto nuovo.
Sono sicura che la lezione di domani sarà ancora più illuminante





lunedì 2 luglio 2018

Fine primo tempo

Non posso crederci. Ma ormai è troppo tardi per recedere dal mio proposito, dopo mesi e mesi di tormento e sopportazione accompagnati dall’idea che solo un cambio radicale mi avrebbe salvato dalla pazzia, pare che i vandali del piano di sopra se ne siano andati. Ho visto pacchi che neppure una villa a tre piani sarebbe stata in grado di contenere, e io che pensavo che persino i baby pachidermi non potessero essere ospitati in uno spazio così modesto (che poi è lo stesso di casa mia). In questo momento c'è un silenzio che avevo ormai scordato da mesi. Non ci ero più abituata: nel pomeriggio, quando ero ancora sull’autobus mi ripetevo che avrei tollerato massimo due ore di baccano e poi avrei urlato come al solito di fare silenzio. Così è stato più o meno tutte le sere negli ultimi sei mesi. E adesso il paradiso all’improvviso..mi pare troppo. In effetti non ne sono ancora sicura e poi cosa ne posso sapere di chi arriverà da adesso...No, ormai ho deciso: entro il 2020 lascerò questa casa per una con una stanza in più, all’ultimo piano e in una zona diversa da questa. È bello avere degli obiettivi di medio termine, fa sentire meno spaesati.

Ormai si è scavallato. La prima metà dell’anno si è ormai conclusa e così pure il primo ciclo degli impegni, tra quelli scelti e imposti, e tutto questo per me ha sempre il sapore agrodolce delle cose che si allontanano per il tempo sufficiente a rivelarne l’importanza. Sì, perché in fondo la pausa estiva non dura poi molto, i ritmi lenti del caldo afoso favoriscono pensieri nuovi, propositi e attese, l’ufficio si svuota e io passo i miei pomeriggi sulla solita panchina a leggere e a guardare i cani che giocano. Non mi stanco mai di questo segmento d’anno, meno perentorio della sua fine e allo stesso tempo meno carico di aspettative. O forse è solo perché amo sempre starmene qui a far caso a cose così. In realtà questa volta andrò in vacanza anche io, dopo anni che non avevo più voglia di prendere e partire. Andrò al mare, ma aspetto Settembre.
Ricordo che lo scorso anno di questi tempi facevo una specie di bilancio intermedio, pure se in realtà non ricordo bene quali fossero le materie oggetto di quella valutazione: di certo devo averci messo le cose superflue di cui mi circondo senza accorgermi e delle quali mi libero con la stessa incoscienza, forse mi soffermavo sui miei sforzi di migliorare nella corsa, sulle persone nuove che avevo conosciuto e che avevano arricchito, illuminato o deviato il mio percorso, sui vestiti che mi stanno ancora ma non proprio bene come l’anno precedente. O forse pensavo solo al piacere misto all’immensa paura di star sola e ai soliti dubbi su quanta parte di questo sia davvero frutto di una mia intima necessità e scelta oppure no. Le solite quattro cose su cui giro intorno a intervalli regolari, o da sempre.

Intanto qui c'è un silenzio magnifico e io non ero pronta ad un simile regalo. E invece dovrei esserlo. Ecco cosa voglio davvero stavolta e almeno fino alla fine di quest’anno: trovarmi pronta anche allo stupore imprevisto, immeritato e immotivato. È questa la novità.
Che l’estate cominci