Sola andata

Sola andata

mercoledì 27 giugno 2018

Potrebbe esserti “fatale”. Ma di solito passa prima

Alla fine il vantaggio di continuare ad occuparsi di temi eterni è che è sicuro che avranno un mercato potenzialmente illimitato:  anche quando la letteratura che se ne occupa sarà diventata sterminata, o ci sentiamo coinvolti così in prima persona da farci sentire gli unici sulla terra a provare certi stati d’animo, persino quando penseremmo di aver compreso tutto quello che ci serve e che nessuno ci renderebbe felice preda di certi dilemmi o, viceversa, quando ci sembrerà di non averci capito nulla e che le cose non tornano neppure un poco, noi di sicuro continueremo a lambiccarci su alcune immarcescibili questioni. E così ad un certo punto ti convinci che pure se non ti chiami Shakespeare hai lo stesso il diritto di formulare la tua personalissima teoria, o perlomeno qualche assioma, capace di dare un contributo essenziale alla spiegazione di quel mistero insondabile che è l’attrazione  tra due esseri umani.

Io non ho questa pretesa. Ho da tempo fatto pace con la mia incapacità di cogliere i segnali di un rapporto felice e potenzialmente costruttivo e spero di non incappare mai più nella vita in legami illusori perché sono troppo fragile per sopportarne l’elaborazione e il lutto. E questo è tutto quello che mi interessa sapere di me per la mia sopravvivenza. Eppure...eppure...al netto di questa premessa necessaria, il tema interessa moltissimo anche me, anche se (per fortuna) solo su un piano puramente teorico. E lo spunto parte da uno di quei corsi sul cinema di cui sono ancora  felicemente dipendente. In questo periodo sto seguendo quello sulle donne fatali e la mia impressione, al cospetto di volti conturbanti, corpi statuari in cui albergano anime diaboliche o in fiamme, è che gli amori passionali e il desiderio devastante abbiano spesso una narrazione che ha poco o nulla di invidiabile, come se davvero il connubio Eros e Thanatos fosse imprescindibile per rendere assoluta una unione. L’alternativa sono solo emozioni deboli, legami di convenienza, calcolati, ipocriti e insignificanti. Per anni e anni ho condiviso a tal punto questo concetto da ritenere che la migliore alternativa possibile al
vero amore potesse soltanto essere una solitudine consapevole (in realtà avrei desiderato immensamente essere contraddetta con argomenti convincenti...ma ancora oggi nulla...). Per fortuna con gli anni ho cambiato idea e ho capito che per me che ciò che rende davvero interessanti i legami, al netto di quel mistero impercettibile che trasforma un semplice incontro in un avvicinamento prima e una scelta poi, sia la concentrazione. Sì, per me l’amore è concentrazione (che a ben vedere potrebbe assurgere a declinazione possibile dell’idea di “assoluto”).

 Oggi direi con ragionevole certezza che sia stata una fortuna per me aver dimenticato tutti gli amori appassionati e sbagliati da cui mi sono lasciata devastare: di ciascuno ho un ricordo ormai soltanto comico che mi porta a dire sempre la stessa cosa “ma come ho fatto a non rendermi conto subito che non era quello giusto ?!”. Nessun rammarico o strascico, nessuna nostalgia. Mi ero concentrata fissandomi su un punto sbagliato. Ecco, mi piacerebbe tanto sapere se tutti i suicidi d’amore e certe follie dall’epilogo inconludente o drammatico potevano essere evitati semplicemente col tempo e la pazienza necessari per placare cuori ardenti e accecati. Se concentrandosi altrove potevano essere evitati, o se al contrario, certi amori sono inevitabili a prescindere dal carico di infelicità che si portano appresso. Vai a sapere...

Però una cosa l’ho capita, perlomeno in quanto donna non fatale. Ho capito che oggi, quando mi trovo ad immaginare un ipotetico amore da vivere oggi, a quasi quarantadue anni, penso solo a cose come buon carattere, baci dolci, mani che si stringono, intesa e confidenza allegra, battute di spirito, desiderio appagato, naturale attitudine alla fedeltà. I melodrammi li lascio ai buoni ma ormai vecchi film, agli adolescenti, agli irrisolti, a chi non ha voglia di guardare troppo lontano preferendo sensazioni forti ma insostenibili . A chi non mette a fuoco prima di concentrarsi.

Dalla lezione di ieri questo ho imparato. Le donne fatali hanno la fortuna di essere molto amate, ma solo per un tempo appena sufficiente a non svelare il sottile inganno da cui è composta la trama di quel legame devastante. E temo che sia proprio la ragione per cui questo genere di amore risulti poi tragicamente “fatale”



sabato 23 giugno 2018

Cambi di passo, cambi di stagione (o del passare ad altro)

E all’improvviso la pace. Oggi per la prima volta sono andata agli allenamenti del parco nord, posto in cui sono stata soltanto una volta prima d’ora, ma all’epoca mi bastò per innamorarmene. Ci andai credo quattro anni fa col mio papà e pensai che fosse il parco più bello che avessi mai visto dopo Hide Park e che mi sarebbe piaciuto correrci dentro. Io so aspettare, forse è la sola cosa che mi riesce davvero bene e oggi mi è parso di assolvere quell’impegno preso allora, oltre alla soddisfazione di aver fatto uno degli allenamenti più belli di sempre con persone senza lei quali non avrei concluso nulla. Non era previsto che fossi lì oggi, eppure quando voglio farmi una sorpresa poi magicamente ci riesco davvero. Deviare dalle abitudini quando diventano pigra assuefazione. Da segnarmelo con l’evidenziatore.
Mentre ero in metro mi sono ricordata di un’altra cosa che non mi capita mai. Avevo il frigo vuoto, così sono scesa alla fermata Lodi e sono andata alla Coop a fare la spesa. Mai entrare in un supermercato quando sei a stomaco vuoto e, peggio ancora, dopo un allenamento piuttosto estenuante e una colazione spartana per compensare una cena troppo abbondante. Mi sono ritrovata nei sacchetti tutti i miei futuri rimpianti alimentari. Ma sono un essere umano e tale voglio restare fin quando i miei peccati saranno...vitali.

L’estate si è finalmente imposta con tutta la sua luce invadente, il caldo che a tratti affatica, una rinnovata calma messa a dura prova nelle ultime settimane. E la voglia di cambiare. Cambiare la geometria delle giornate che sembrano volere le stesse cose, le stesse parole, gli stessi volti. Cambiare casa, o anche solo modo di vestire o di mangiare. Cambiare, come si cambia l’andatura di corsa quando decidi che non puoi più solo accontentarti di percorsi sempre uguali e che se provi a respirare diversamente e a variare l’andatura poi il corpo ti asseconda e ti restituisce sensazioni completamente nuove.
Ci sono abiti che non metto da anni senza trovare il coraggio di gettarli via e fare spazio ad altro. Dovrò decidermi prima o poi. Per fortuna ci sono anche cambiamenti che avvengono naturalmente, perché insussistenti erano le ragioni di una determinata condizione, come certi legami che tali non erano davvero, certe passioni sfumate all’ombra delle prime difficoltà, come certe esperienze che cedono il passo a ricordi troppo vaghi.
Mah, quando hai molta fame e sei su un autobus troppo affollato, carica di spesa piena di gelati e di altre cose che ritroverai su fianchi e sedere, certe cose le pensi con estrema naturalezza. Poi però rientri in casa e non hai motivi per rammaricarti di nulla, se non quando pensi a chi sta guidando il tuo paese e al male che senza nessun dubbio farà, che in fondo c’è l’hai messa tutta pure se il decimo giro te lo sei lasciato per la prossima volta e che hai preso un gelato al cioccolato fondente e al cocco perché sono gusti sani. E poi i fianchi abbondanti fanno femmina (beh...parliamone...Lucia, non ti assolvere che me ne accorgo che stai barando).

Ho pranzato con una grossa coppa di gelato. Solo quella assieme ad una una manciata delle magnifiche ciliegie che mi ha regalato Maurizio. Fino a qui tutto giusto per non lievitare. Poi, mentre sentivo di non resistere e che dovevo concedermi di bissare il gelato, mi ha telefonato la mia amica Claudia. Abbiamo chiacchierato per un tempo sufficientemente lungo perché mi dimenticassi del secondo giro di gelato. Ormai la crisi di fame era passata, come la crisi di fiato di stamattina grazie al sostegno di Elisa e Andrea. E così, quando mi sono resa conto di questo, ho pensato che ci sono delle volte che se non ce la fai da sola a cambiare ci può essere qualcosa o più spesso qualcuno che ti aiuta ad essere il tuo personalissimo pretesto per farlo. Meno male!

domenica 17 giugno 2018

Ma cosa mi racconto?

Sì, in effetti credo di aver conosciuto tempi migliori. Sono un po’ nervosa in questo periodo. Eppure non mi è successo niente di troppo diverso dagli ultimi due o tre anni. Però è così e da quando accarezzo sempre più convintamente l’idea di cambiare casa mi pare che tutto qui dentro sia causa di irrritazione. Anche fuori, a parte le mattinate a correre e le intere giornate chiusa nei cinema o a camminare per conto mio nei parchi, mi sento piuttosto poco accogliente. Persino stamattina. Erano le sette e il vicino ha messo i canti della chiesa, o di chissà quale religione a me sconosciuta, a tutto volume e io gli ho urlato di mettere più piano. Mai avrei pensato di fare una cosa simile anche soltanto un anno fa e invece da quando odio quegli orribili bambini pachiderma che fanno sempre chiasso il mio lato peggiore si manifesta con eccessivo orgoglio e una preoccupante frequenza. Non mi piace, non mi piaccio io quando mi comporto così, ma che altro posso fare per pretendere un po’ della pace che mi viene indebitamente sottratta...

Stamattina è così. Mentre scrivo sono le nove trenta del mattino. Ho sbrigato un po’ di faccende domestiche, fatto un piccolo bucato a mano, preparato la colazione e una enorme insalata per il pranzo.  Di solito queste attività mi piacciono solo per un un’unica ragione: le faccio pensando a qualcuno a cui voglio bene. Soprattutto quando cucino. E non importa se manchino del tutto le condizioni per cui quel piatto arriverà ad essere testato dall’inconsapevole invitato. Pure quando tiro a lucido la casa lo faccio perché immagino di aprire la porta e garantire degna accoglienza, sempre ad una persona precisa. Mi succede anche quando leggo un libro, o compro un abito nuovo o se cerco un prodotto tra gli scaffali di un supermercato. Pure quando scelgo un film da vedere. Ho sempre bisogno di sapere che cosa ne penserebbe il mio qualcuno di turno.
Purtroppo spesso mi ritrovo a muovermi con altro piglio, come quando arrivo in ufficio e la prima cosa a cui penso è tenere la porta chiusa, isolarmi con le cuffie e sperare che nessuno venga ad interrompere il mio splendido isolamento tra scartoffie, podcast di radio24, pausa pranzo con annessa contemplazione del condomino di fronte. Ma poi succede anche tutt’altro, che se possibile, mi piace ancora meno. Per esempio succede che ddlle amiche trovino normale raccontarmi dei loro amori non corrisposti (ma perché proprio a me che in materia sono una incompetente totale? E invece non mi salvo lo stesso) e io vorrei dire semplicemente “ma perché credi di avere qualche speranza? A me basta una frase sbagliata, un piccolissimo equivoco, una minimissima dimenticanza o distrazione perché mi sia tutto chiaro e senza possibilità di recupero. I legami veri, profondi, sensati sono fatti di dettagli in assenza dei quali è solo vaga frequentazione. E su quella si può anche non investire alcunché”. Io però non dico mai nulla, non spezzo illusioni salvifiche, ascolto e penso “meno male che mi sono organizzata con l’immaginazione e che il mio qualcuno di turno, pure se esiste e mi regala a sua insaputa la voglia di fare le cose, non è davvero mio”. Alla fine è questo il solo modo che ho di garantirmi che non ci sia nessun’altra, che ci si capisca davvero e che non si litighi mai...e a me il solo pensiero che tutto questo sia anche soltanto pensabile mi restituisce una tale energia che quando torno alla realtà, quella fatta di vicini rumorosi, un lavoro che a volte mi snerva, delle buste della spesa troppo pesanti...e dei troppi film, non sono più così amareggiata.

Sì, credo che il potere dell’immaginazione sia davvero tale quando si traduca in energia vitale, in azioni positive dettate dall’amore anche solo pensato, quando ti allontana da una realtà che non ti rende tollerante verso cose e persone che compongono la tua ordinaria condizione esistenziale.
Sì tutto questo. Quasi tutto, perché per me l’immaginazione è “in realtà“...nel senso che è la mia sola maniera di tenermi agganciata alla realtà rendendomela più o meno accettabile.
Con buona pace di tutti i “qualcuno” sbagliati che ho reso perfetti con bugie tutte accuratamente scelte soltanto da me. Che fortuna!


venerdì 15 giugno 2018

Pausa pranzo leggera (insalata mista in flusso di coscienza)

Oggi la pausa pranzo me la faccio così, prendendo appunti nell’ufficio della mia uggiosa città di adozione. In realtà ho appena consumato un pranzo troppo leggero perché possa resistere per tutto il profilo orario e infatti, forte delle mie quasi tre ore di credito, uscirò tra circa un’ora, andrò a vedere un film e dopo me ne starò sulla mia adorata panchina al parco vicino casa con uno dei molti libri lasciati non conclusi per mera sciatteria organizzativa.  Mi pare un programma ideale per una che si prepara ad un week end all’aperto e alla visita inaspettata del babbo durante la prossima settimana.

Anche ieri ero al parco e pensavo che rimane il luogo in cui preferisco trascorrere più tempo, nonostante avverta la solitudine molto più che altrove. Forse perché è quel tipo di solitudine che non spaventa nessuno, neppure chi la subisce: in mezzo al verde, ai profumi selvatici, alle palazzine con le finestre spalancate, gli autobus in lontananza. Ricordo di averci trascorso interi pomeriggi negli anni passati. Credo che accadrà ancora molte volte pure quest’estate. Per quanto continui ad andare in giro per la città, quello rimane uno dei miei luoghi d’elezione. A due passi dalla mia casa, quella che presto o tardi lascerò e che segnerà forse uno di quei passaggi topici che un po’ tutti ci illudiamo di attraversare, o persino di meritare per qualche ragione.

Avrei ancora dell’insalata da consumare, ma non mi va, eppure ho stranamente mangiato pochissimo oggi. Mi viene soltanto da pensare alla bella corsa di stamattina, al micio che mi ha dato il buon giorno, alle donne fatali raccontante in uno dei corsi di cinema che colleziono e a come io non sarò mai come loro, e poi penso a quanto mi piace vedere che certe coppie belle che conosco si mettono i like ai reciproci post. La trovo una cosa immensamente tenera: me li immagino nella stessa stanza, in un momento rilassato, magari mentre parlano e sorridono e poi “scrollano” e sono all’improvviso ispirati da qualcosa e lo postano e dopo si dicono che si “piacciono” pure così. Mi piace. 👍

La pausa pranzo è quasi finita, ma io ho solo poche cose da sbrigare, non sono appesantita e neppure troppo stanca. E può anche bastare così. Mi piace 👍


lunedì 11 giugno 2018

Ma guarda il caso però...

Ci penso da almeno dieci giorni. Mi chiedo come sia possibile che certe volte capitino cose tanto improbabili, del tipo pensare a qualcuno e incontralo all’improvviso per una strada non abituale per nessuno dei due, o chiedersi che fine abbia fatto una persona che non vedi da vent’anni ed avere per puro caso sue notizie e in generale immaginare cose non prevedibili che poi accadono a distanza di pochissimo tempo. Eppure certe volte succede. Una volta un amico che non vedevo da vent’anni mi venne incontro in una stradina di Napoli, con la faccia cadaverica, perché proprio la sera prima mi aveva sognato e quell’incontro gli pareva assurdo. Beh in effetti che coincidenza. La cosa che è successa a me invece è questa. Poco più di una settimana fa si è tolta la vita una scrittrice milanese di cui non ho mai letto neppure una riga. Oltre a scrivere romanzi d’amore e sulla condizione femminile, curava una rubrica del cuore su “donna moderna”, ma per me l’unica rubrica del cuore è quella della Aspesi. E quindi niente. La scrittrice in questione era Alessandra Appiano. Io la conoscevo soltanto per averla vista ospite, molti anni fa, in una delle trasmissioni pomeridiane, tanto care a mia madre quanto detestatissime da me. Mi colpì per il suo garbo, la bellezza, il buon senso e il modo pacato con cui dava piccoli suggerimenti alle donne poco sicure di sè. Mi piacque molto ma dopo quelle rare occasioni relegate alla mia ultima permanenza in casa nativa non ebbi più occasione di ritrovarla, complice il fatto che nei sette anni successivi sono vissuta senza televisione.
Il giorno prima che venisse a mancare, pare per sua scelta, io percorrevo come mia consuetudine via Mecenate per andare al lavoro, ma a differenza degli altri giorni non coprivo la mia distanza con le immancabili cuffie. Me ne stavo in silenzio, nella pace precaria di un inizio giornata “medio” e credo che non saprò mai davvvero perché proprio in quel momento mi sia tornata in mente proprio una delle frasi dell’Appiano, quando, interpellata sulle età della donna, offriva suggerimenti su una possibile maniera di affrontare il tempo e di reagire agli anni e all’esperienza. Ad un certo  punto disse “...è così che oggi sono diventata una bella signora di 50 anni che scrive romanzi”  (morta a 59). Disse anche un’altra cosa, che mi fece molto ridere, usando un termine che ho spesso ripreso per esprimere il medesimo concetto. Disse “a volte le donne, pur di non stare sole, si rassegnano a stare con certi catorci, quando invece basterebbe loro pensare che l’essere in grado di star sole anche per un lungo periodo può accrescerne il valore, l’autostima e soprattutto la possibilità di essere davvero pronte per incontri significativi”.

Ecco, io non credo che troverò mai una spiegazione del perché quella mattina mi sia ritornata in mente una donna a cui non avevo mai pensato prima di allora e che a suo tempo mi parve molto risolta nel suo aspetto compatto e nei modi assertivi. Non saprò mai neppure perché chi sia riuscito ad esprimersi in modo compiuto nel proprio talento (cosa altro ci sarebbe dato di fare nella vita?) senta, ad un certo punto, di ritenere conclusa la propria esperienza in terra. Non lo so e non ho nessun elemento per poter fare ipotesi ragionevoli sulla questione. Ammesso che ve ne siano.
Però faccio tutto mio lo stupore di un ricordo riemerso con un tempismo più vicino ad un incantesimo che ad una semplice casualità. Quale che sia l’origine di una coincidenza simile voglio usarla a pretesto per il mio grazie mancato ad una bella signora che in un pomeriggio di tanti anni fa mi porgeva con tocco lieve una piccola lezione di orgoglio femminile.
È bastato pochissimo. Un paio di frasi e un ricordo sedimentato per anni che riaffiora al momento giusto. Ogni vita spesa bene credo che funzioni più o meno così.
R.I.P. bella signora

mercoledì 6 giugno 2018

Di farfalle in uno stomaco (serenamente) vuoto

- Che fai qui seduta?
- È tanto tempo che ero curiosa di vedere questo posto sul naviglio Martesana. Ho pure partecipato a un crowdfunding per inaugurare una specie di biblioteca coi libri di Paolo Limiti...o una cosa del genere...ma credimi ho una fame che tra poco svengo e non vedo neanche un bar nei dintorni...
- Senti, hai sentito la trasmissione di Nicoletti oggi?
- Si...è inutile che mi provochi. Certi argomenti non mi toccano più
- Ma non voglio provocarti. Io sono dalla tua parte. È che, come te, ho un debole per lo sguardo laterale che ne offre lui e quindi pure una questione che ti fa venire l’orticaria - come il modello ideale di uomo a cui potresti aspirare - diventa un argomento godibile
- Va bene. Tanto non ho più nulla da dirti in merito visto che sto per conto mio da un sacco di tempo e perché sai che sono fatalista e che per me non esistono metodi o criteri di ricerca efficaci per trovare l’amore
-...ma neppure un minimo di selezione?
- Io la limito giusto a un paio di cose, del tipo escludere categoricamente uomini già impegnati, quelli che non mi cercano mai o hanno modi poco gentili, poco attenti, poco premurosi, e, ovviamente, quelli indecisi tra me e altre donne. Figurati, mi offendo pure quando sono la prima scelta. Ho bisogno di essere l’unica scelta  possibile per pensare di sentirmi davvero amata..
- Eh...lo sapevo...non c’è verso di farti cambiare...è così che ti precludi tutto. Per sempre.
- Lo so, lo so. E non fa niente. Però concordo con te che Nicoletti ha impostato bene l’argomento. Tutto dipende da quello che vuoi davvero e poi confidare nel fatto che esistano per ogni cosa metodi e strategie precise per ottenerlo. Tranne in amore, appunto. E quindi non preoccuparti più per me, va bene così
- Ok, ok. Ma adesso che stai facendo qui?
- Sto morendo di fame e di freddo.
- Secondo me è solo carenza di farfalle nello stomaco
- Può essere,ma per fortuna ci si può nutrire anche di tutt’altro. Guarda lì che bel buffet che mi aspetta, ammesso che riesca a resistere ancora un po’. Bisogna solo saper aspettare. Persino se non sai chi 😝😝😝😝


lunedì 4 giugno 2018

In tempo reale

Stavo diventando matta. Sono rimasta per quattro giorni senza i giga sufficienti per aggiornare in questo spazio quella parte di fatti miei che provo a trasformare in significato e poi, sperabilmente, in tracce di ricordo. Mi sono sentita troppo sola. E poi mi sono successe delle cose che avrei avuto voglia di raccontare come il fatto che per la prima volta, da quando vivo in questa casa, abbia deciso che sia arrivato il momento di cercare una casa più grande e in una zona più centrale e che, come sono solita fare quando mi lascio possedere intensamente da un’idea, ho contattato una particolare agenzia di compravendita immobiliare di cui ho sentito parlare a radio 24 per chiedere come avrei potuto vendere in fretta questa casa. Mi hanno risposto immediatamente. È davvero strano: amo questa casa come se l’avessi costruita con le mie mani, non mi sono mai pentita di averla scelta, di tutto quello che mi ha richiesto adattarla a me e al mio starci dentro, trovo che sia una prova d’amore persino la sopportazione della terrificante umanità che mi abita in testa e pure intorno per le più assurde ragioni. Non mi è mai parso strano vivere in uno spazio così ridotto, ma ormai credo che sia arrivato il momento di pensare ad altro e altrove. Mi stupisce sempre molto il mio legame con le cose (o le case) e i luoghi in cui vivo ma mi fa ancora un immenso piacere costatare che continui ad essere questione non vincolante quando tento di delinearmi un nuovo orizzonte. Chissà, vedremo.

Durante questi tristi giorni a connessione lenta ho provato a fare così: mi sono armata di un taccuino e una penna e sono uscita con l’intenzione ferma di prendere appunti su qualcosa che avrei trovato meritevole di essere raccontato. E l’ho trovato. Riporto fedelmente:

“Sono ala capolinea del 66 in largo marinai d’Italia. Ad aspettare con me ci sono due adolescenti. Lei lo abbraccia e gli dice “allora?..che mi racconti di bello? Ma ti rendi conto, è un anno che non ci vediamo”. E lui “Ah niente di speciale” . Lei “Ma mi vedi cambiata?” Lui “...No...” Lei “fisicamente
sì, però”. Lui è piuttosto incerto, imbarazzato e di poche parole e mi pare di notare in lei una certa delusione.
Sull’autobus lui rimane silenzioso lei guarda fuori dal finestrino. Nessuno parla. Lui smanetta col telefonino. Dopo un paio di minuti lei gli posa la testa sulla spalla e gli propone un giochino da fare assieme. Io continuo ad osservarli dal vetro che li riflette e penso che ci sono passaggi obbligati che tutti noi ci saremmo risparmiati. Col senno di poi”.

È stato in fondo pure divertente prendere appunti dal tempo reale piuttosto che rivolgere lo sguardo allo schermo per ingannare attese senza sorprese. Ma non succede poi così spesso di cogliere il senso di tutto quello che mi succede sotto gli occhi. Preferisco il filtro distorto di mondi che lascio apparire e scomparire a mio piacere, che stiano li già pronti con le loro trame già scritte, con passaggi di stato repentini, senza silenzi imbarazzanti, abbracci non corrisposti, sguardi che non si soffermano abbastanza, case da cambiare o anche la sola incapacità di cogliere davvero tutta la varietà del mondo.

La carenza di giga mi nuoce abbastanza gravemente. E, col senno di poi, credo che ormai non valga davvero la pena rimanere senza