Sola andata

Sola andata

giovedì 14 dicembre 2023

Sono andata a letto presto

 Sono andata a letto presto. Se dovessi riassumere tutto il senso del mio modo di occupare il 2023 direi che il fulcro centrale della mia più corposa routine quotidiana si sia basata su questa regola fondamentale: non fare tardi la sera. Lo dico con molto compiacimento perché sono da sempre biologicamente settata per cominciare presto, svegliarmi prima dell’alba, approfittare del silenzio assoluto del tempo che separa il risveglio dal catapultarmi in strada e cominciare il mio tempo “comandato”, quello fatto di obblighi più o meno sostenibili, di to-do-list da depennare, parentesi di evasione e decompressione, lunghissime passeggiate, che coincidono finalmente con l’agognato rientro in casa, ovvero il momento più desiderabile della mia giornata. È stato un anno gradevole. Credo di non aver pianto mai, mica come nel 2022, l’anno più sbagliato di sempre al punto che lo metto come benchmark per stabilire quanto brutti siano gli anni orrendi che metterei in una graduatoria tra i maledetti. Non aver pianto non è del tutto una bella cosa, però di solito se non mi succede perché sono commossa e molto emozionata per qualcosa di bellissimo, verso lacrime perché qualche caro è venuto a mancare, perché le persone a cui tengo non se la passano bene, perché - come sempre in tutta la mia vita - ho inutilmente amato persone che non erano lì per me. Tutto questo non succede da tanto tempo e mi è davvero difficile riuscire ad esprimere la sensazione di totale benessere che provo quando nessuno, per nessuna ragione, è per me motivo di sofferenza. Stare molto per conto proprio aiuta quando si fa troppa fatica a godere della compagnia. A volte penso che le persone che amerei frequentare assiduamente sono proprio i solitari e in questo beffardo paradosso ripongo tutta la mia residua fiducia nell’ umanità. Poi ci sono le persone a cui continuo a voler bene senza però frequentarle. Basta stimarle, sapere che ci sono, che diffondono intelligenza e spunti creativi anche a distanza. E va benissimo anche così. Frequentare poco vuol dire amare una minoranza di persone e in quel concentrato c’è tutto il necessario per sentirsi ancora parte di questo mondo. Ne sono sicura.

È stato un anno tollerabile, al netto di un periodo storico che mi pare in costante peggioramento ma del quale non mi sento responsabile e su cui non posso avere alcuna incidenza. Non credo più nella lotta collettiva, nel voto come strumento valido  a riorientare la rotta, non mi incantano più le manifestazioni dove neppure si sa davvero per cosa si sta urlando. È un’ingenuità a cui ormai mi pare insensato pure far finta di credere. La grande storia è totalmente fuori dal nostro controllo. Non siamo noi. Lei è lei, noi ci camminiamo dentro come in una camera oscura piena di trappole. Il caso Sumahoro è la storiaccia più squallida che ricorderò di quest’anno.

Sono andata a letto presto. Ma mi sono sempre svegliata prestissimo e non sono mai uscita di casa senza aver rifatto bene il letto, pulito il bagno, cucinato i pasti per tutta la giornata. Ho preso una sola decisione fondamentale (di cui non dirò) e mi auguro che vada tutto bene fino al suo momento di realizzazione, ho cercato di nutrire il mio spirito con i corsi e le scuoline varie che frequento con tutta la costanza che posso e ho passato la maggior parte del mio tempo in silenzio e in ascolto.

Sono andata a letto presto per rientrare in casa abbastanza stanca da sentire che la giornata è stata tutta spesa bene, tanto da meritare almeno di riaprire la mia porta di casa, una casa pulita e in ordine, ad accogliermi e la coscienza di non aver fatto niente di speciale, ma neppure di nulla orrendo, mentre provavo a portare avanti una quotidianità fatta di ambizioni “invisibili” eppure per fondamentali. 

Sono andata a letto presto perché ho smesso di cercare persone che mi hanno tolto il sonno senza neppure rendersene conto, perché ho smesso di preoccuparmi per questioni che non mi regalavano pace e non assecondavano i miei bisogni reali. Dormire quando per gli altri è ancora troppo presto è stata la mia protesta silenziosa a un dialogo mai avvenuto. Svegliarmi quando tutto ancora tace è stato il mio modo di capirlo davvero.

Cosa mi rimane di un anno così lineare, fluido, delicatamente monotono come vorrei che fosse una vita ben dosata? Forse poco in termini di ricordi o emozioni forti, poco pure in quanto a problemi vecchi che non risolverò mai. Ma non ho pianto mai. E ho dormito bene. Potrei volere di più. E invece no

giovedì 30 novembre 2023

Tra la fine e i tanti inizi

 E anche questo Novembre ce lo siamo levato dalle scatole. Me ne compiaccio perché sono stanca e un po’ disorientata: le cose accadono e io un po’ cerco di viverle meglio che posso e un po’ le rincorro per provare a non sottrarmi alle piccole sfide che mi suggeriscono. Sto cercando di realizzare dei cambiamenti “strutturali” nella mia vita e allo stesso tempo conservare quello che ho provato a fare fino a qui, in una città in cui amo vivere ma nella quale non è sempre facile far tutto da sola. Ma va bene così, finché la salute e un po’ di testa per restare autonoma mi assistono. Ma rimane il fatto che sono stanca e che conservare la metà delle ferie per riservarle all’anno prossimo mi pare un eccesso di ottimismo verso le magnifiche sorti che mi illudo di riservarmi in futuro. Per quasi tutto questo mese ho cercato scuse valide per non scrivere, non appuntarmi cose che forse potrei aver voglia di ricordare, anche perché era tanto tempo che non cambiavo così tante cose tutte assieme. Forse perché vorrei poter raccontare direttamente il risultato, quello finale, quello che segna il passaggio vero ad una fase successiva. E allora aspetto: se c’è una cosa che ho imparato da uno di quei divertentissimi corsi di mindfulness a cui mi approccio da un po’ è l’esercizio dell’attesa “consapevole”, della pazienza “attiva”, quella che separa ciò che vuoi adesso da quello che vuoi davvero. Però ci sono anche i piccoli cambiamenti, quelli che decidi di fare all’interno di una routine consolidata e rassicurante e che fanno da condimento piperito alla normalità che mi sono scelta: per esempio è da un anno che ho deciso di farmi crescere i capelli fino al compimento dei cinquant’anni, aggiustandoli semplicemente con una scalatura a V. E poi ho aggiunto dei piani di allenamento nuovi e diversificati che mi fanno un gran bene e mi divertono mille volte di più, tanto che quando esco di casa mi pare che tutto sia diverso e più accogliente verso la fatica che ho già fatto, pure la strada per andare al lavoro.

Manca solo un mese alla fine di quest’anno e io non avevo fatto altri propositi entro questa scadenza se non quello di fare tutto il possibile giorno dopo giorno. Stavolta forse penso di avere il diritto, ma pure il dovere, di pretendere un po’ di più da me stessa e così ho pensato che potrei usare questo mese residuo per respirare più lentamente e profondamente del solito, approfittando dei lunghi intervalli di tempo tra l’inspirazione e l’espirazione per soffermarmi su orizzonti un po’ più vasti, non troppo, ma un pochino sì. Perché se è vero che i cambiamenti veri sono quelli che ti cambiano la rotta e quelli piccoli ti sostengono nelle giornate, lo è altrettanto immaginare una piccola “oasi di mezzo”, fatta di mutamenti interiori che si realizzano pure quando tutto attorno sembra sempre uguale o peggiore, una percezione più ampia di se stessi e di quanto ci sentiamo centrati nella vita che ci è toccata, che è un tipo cambiamento importante alla stessa maniera, invisibile eppure sostanziale.

 Me lo devo ricordare, adesso che scendo dai miei e tutto mi sembrerà uguale e problematico, e forse peggiore, se non smetto di cambiare il mio sguardo e la mia reazione a quello che è per quel che è.

Lo so, non ho detto niente. Odio le persone fumose che credono di regalare pensieri profondi senza andare mai al punto. Ma questo è tutto quello che posso fare in questo 30 di Novembre che non so bene se sia la fine di qualcosa senza troppo significato o il preliminare di tutto il meglio che vorrei che arrivasse

mercoledì 8 novembre 2023

Quanto manca per quel che manca?

 Quando le cose cambiano in modo considerevole ho un po’ paura ad appuntarmelo. In questi giorni un po’ affannosi, che mi hanno costretta a gironzolare senza sosta per tutta Milano, trovo sempre qualche valida scusa per evitare di prendere nota, creare ricordi, tenere a mente tutta la fatica che mi sta costando anche semplicemente progettare qualcosa di veramente nuovo nella mia vita. Credo che ad una certa età diventi indispensabile accogliere qualche nuova sfida e considerarla come una specie di regalo dell’età di mezzo, una possibilità studiata a tavolino di provare ancora lo slancio della novità assoluta. Non ne parlerò perché in fondo che ne posso sapere come andrà veramente a finire: provo ad esserci, a fare quel che devo. Poi si vedrà. 

Ho ripreso ad andare al cinema con regolarità pur conservando una certa dipendenza dalle meravigliose serie in cui sono incappata e che mi inchiodano alla comodità domestica: ma come fanno le coppie a trovare il tempo di parlare, con tutto quello che c’è da vedere!Non le invidio più. In realtà non ho mai provato invidia, ma solo il bisogno di immedesimarmi in un profondo senso di appartenenza che nei fatti non ho mai provato profondamente. In fondo la vera grande presa di coscienza di questi ultimissimi anni in cui ho smesso davvero di credere che ci fosse qualcuno per me è proprio l’aver compreso che in realtà non me ne importa assolutamente nulla, che tutti i presunti amori, innamoramenti, infatuazioni…erano solo la mia maniera di definirmi come un individuo bisognoso di conferme, di suscitare emozioni, di creare un interesse negli altri. La mia era esigenza di accarezzare l’ego. Non quello di far parte di una coppia. Non sono mai stata adatta a questo. Non è colpa di nessuno. Sono io che sono fatta per star sola e trovare la mia dimensione in un quotidiano in cui non sono tenuta a bipartire le responsabilità e neppure i piaceri. Un tempo questo mi pareva inconcepibile, adesso non capisco come potrei vivere in qualche altro modo, quello semplice eppure insospettabilmente appagante di rifarmi il letto appena mi alzo, di sollevare pesi quando fuori è ancora buio e prima di prendere il caffè, di fare una doccia fredda tutti i giorni e in tutti i mesi dell’anno prima di uscire. Chi sopporterebbe mai tutto questo? E perché io dovrei rinunciarvi?

Sono cresciuta convivendo con una specie di dolore in fondo al cuore come mia naturale dotazione dalla nascita e crescere ha significato per me solo provare a “non farci caso”, pur sapendo che sarebbe rimasto lì indelebile condizionante” per tutta la mia vita. Perché dico questo senza riuscire a dire di fatto niente? Credo che abbia a che fare col bisogno di chiedere scusa senza sapere bene a chi. O semplicemente con una accettazione ancora da venire.

In questo tempo di pigrizia “autonarrativa sono stata in Baviera e mi è sembrato di essere caduta dentro una favola. Mi piace quando il contesto mi “estrania” non solo in senso topografico. E poi sono stata alle terme che sono il posto che più di ogni cosa è capace di ricompormi corpo, anima e respiro ricreando tra loro un flusso armonioso che dovrò farmi bastare fino al prossimo passaggio. Ma non sono riuscita ad organizzare un viaggio lungo, di quelli indimenticabili e che segnano i ricordi definitivi di chi non riesce a farseli regalare più semplicemente dal Caso.


 E cosi adesso sono qui, a ripetermi che ho due mesi scarsi per giocarmi le ultime carte di un anno in cui posso essere grata per cose tanto basilari quanto preziosissime come la buona salute, un po’ di persone a cui voglio bene che mi stanno vicine, nessun debito, un sano appetito, nessun conflitto. Nulla di epico, ma in un tempo come questo dove ancora si muore per le guerre, mi pare persino la più grossa fortuna pensabile.

Sarà un novembre lungo e senza ferie, pieno di cose da fare per disegnare un futuro un po’ diversoma in fondo che ne so. Il 2023 mi è servito più o meno soltanto a questo. A fare spazio per accogliere, chissà, l’imprevedibile

martedì 24 ottobre 2023

Ritrovare il tempo perso…lasciandolo perdere

 Non c’è che dire, le ferie sono per me sempre un momento catartico capace di riconciliarmi con la fatica di una parte di quotidianità irrinunciabile ma che non ho scelto io. Mi piace stare lontana dall’ufficio, non vedere persone che spesso non mi interessano, si dimostrano scorrette, maleducate, immotivatamente ostili…c’è stato un tempo in cui mi chiedevo se questo dipendesse da me. Adesso so che invece può essere che sia proprio tutta colpa loro, oppure che non è sempre una questione di responsabilità: ci sono persone che non ci piacciono e a cui non piaciamo senza che per questo ci siano torti o ragioni da parte di qualcuno. È molto liberatorio e confortante rendersi conto di queste piccole eppure non sempre così evidenti verità. Sono tre anni che ho la mia stanzetta singola in ufficio. In precedenza condividevo il mio spazio di lavoro con altri due colleghi: una di loro all’improvviso decise di cambiare stanza per stare assieme ad un’altra collega. Lo fece senza avvisarci e senza che ci fossero stati motivi di screzio. Mi offesi molto, ma poi il suo posto fu rimpiazzato da un’altra collega più simpatica e gentile e così non ci pensai più. Oggi, quando ripenso ad episodi simili, irrilevanti eppure molto indicativi, capisco quanto sia stato spesso inutile il mio spreco di energie per sentirmi parte di un contesto in cui di fatto sono sempre stata considerata un po’ un’estranea: se solo penso a quelle volte che organizzavo cene in casa mia, ma poi quando le facevano gli altri a loro volta io non ero invitata. Forse loro capivano cose di me che mi sono chiare soltanto oggi che mi è tutto ormai così lieve, piacevole, non forzato perché starmene per conto mio, frequentare poco, è la cosa che mi piace di più in assoluto. Non mi sentirò mai davvero integrata in quel posto e va bene così perché invece ho imparato a percepire quando, dove e con chi mi io sento davvero a mio agio. Quanta fatica inutile che facciamo per raccattare il bene da persone che in fondo manco ci interessano davvero. 

Sono qui giù a casa da qualche giorno. Sono stata alle terme, riposato, pensato ad una cosa per me molto importante che vorrei fare entro il prossimo anno e mi sono ricordata di quanto sia stimolante avere un progetto di lungo termine su cui concentrarsi. Intanto incrocio le dita. Poi si vedrà. 

Qui fa ancora molto caldo e a me non dispiace affatto, mi sembra che l’anno non stia davvero finendo, che il tempo si stia dilatando dettando un ritmo più calmo alle cose da fare e da capire. Mi pare che persino questa breve vacanza stia durando un po’ di più e io assecondo questo piccolo inganno mettendomi al sole come se fosse giugno, a leggere i libri che non mi sono portata a Milano e che pensavo non fossero belli. Invece lo sono e sembravano aspettarmi persino un po’ offesi per il ritardo nell’essere scoperti. Quanto tempo che ho perso inutilmente, cercando di assecondare persone non importanti per me, mentre mi privavo di cose essenziali al mio bene. 

Nella prossima vita mi affretterò soltanto in una cosa. Ad imparare a scegliere quello che davvero conti. Tutto il resto è pura, imperdonabile, perdita di tempo.

giovedì 12 ottobre 2023

Un’ora sola. Non solo un’ora

 Sono ormai mesi che mi succede. Tutti i giorni, appena apro gli occhi e per almeno un’ora, prima di cominciare a fare qualunque altra cosa. Da mesi ormai mi capita di svegliarmi sempre con lo stesso pensiero in testa, accompagnato da una rabbia che non sono capace di placare se non dopo l’incursione prepotente degli obblighi quotidiani che, per fortuna, hanno la meglio su ogni altra forma di tribolazione basata su analisi interiori che volutamente ho tentato di rinnegare con tutta me stessa.

Quell’ora del mio primo mattino è un puro condensato di dolore inaccettabile (per quanto non sufficiente annientarmi del tutto. E forse anche di questo gli rendo demerito), una specie di rabbia mista ad una presa di coscienza con cui sento di cominciare a fare i conti ormai troppo tardi per poterne fare qualcosa di più costruttivo. Mi è impossibile trovare una formula adatta per raccontarne il contenuto: non saprei neppure da dove partire o trovare il coraggio e le parole giuste per riuscire restituire tutto il rammarico e il carico di sconforto che questi orrendi pensieri del mattino si portano dentro. Posso soltanto descriverne le conseguenze: succede che mi alzo già completamente sovraccarica di quel peso enorme - che pare essersi piazzato tra le tempie durante tutta la notte mentre ero totalmente priva di difese - poi accendo la moka preparata la sera prima, tiro fuori dal frigo il mio pranzo già pronto da portare in ufficio, mi alleno, faccio la doccia, rifaccio il letto (lo richiudo), metto in ordine. Ed esco. Tutto come sempre, tutto con lo stesso ritmo e cadenza delle abitudini consolidate, con l’aggiunta di quel peso enorme, quello che prima non c’era forse solo perché lo rinnegavo, lo escludevo, lo ignoravo. Perché in realtà deve sempre essere rimasto lì, latente, diluito tra i mille altri ingombri di cuore e cervello, ma ben presente in quegli interstizi e pronto a defluire con la potenza di uno tsunami appena la pressione diventasse sufficiente per farlo esondare.

Credo che ogni piccola o grande crisi individuale si componga di dinamiche del genere e in fondo ho sempre considerato periodi simili della mia vita come avvenimenti faticosi ma preziosi per accompagnarmi a cambiamenti significativi per la mia crescita personale, emotiva, consapevole. Ma stavolta è diverso. Non è il mio presente a spaventarmi e in fondo non ha a che fare neppure con una particolare ansia futura. Quello che mi affatica è la presa d’atto di un certo modo di aver subito il mio passato, un tempo ormai lontanissimo, che mi appare nitido e terribile soltanto adesso. E non posso farci più nulla. E invece si poteva fare così tanto, e così bene, se solo in quel passato lontanissimo fosse stato fatto tutt’altro. E non mi aiuta ripetermi che non è questo l’approccio giusto, che non ha senso cercare responsabili, colpe da attribuire, ragionare con i se e i ma…è andata così e pensarci adesso aggiunge solo veleno. No, non mi aiuta pensare a questo.

 E così io da mesi convivo con quell’ora lì della mattina, con quelle colpe che non ho avuto ma che prima o poi mi toccherà gestire e non so proprio come fare, con quello che un tempo mi sembrava normale e che invece oggi mi pare una cosa assimilabile ad un crimine.

Io, tutte le mattine, almeno per un’ora, nell’ambito di giornate in cui faccio sempre le stesse cose, e poi esco di casa e tento di assolvere ai miei soliti obblighi quotidiani, combatto con questa specie di demone silenzioso e beffardo con cui non posso neppure fare a pugni. Io, tutte le mattine, almeno per un’ora, mi chiedo quanta parte del mio passato remoto continuerà a disgregare, manipolare, cancellare, tutto il futuro, quello ormai già vissuto assieme quello che ancora mi rimane. Poi per fortuna quell’ora passa. E trovo un po’ di pace. Fino a domani

giovedì 28 settembre 2023

Ora. E allora?

 Faccio un po’ fatica ad ammetterlo, eppure i fatti sono qui a raccontarmi che c’è poco da discutere: i social sono invecchiati presto e male e quella che pensavo sarebbe diventata la vera dipendenza contemporanea, con tutte le ricadute del caso, si è trasformata in un luogo sempre più scialbo, desolante, privo di guizzi e di quel grado minimo necessario per stabilire almeno un legame di appartenenza ad un contesto in cui ci si senta finalmente riconosciuti. E così, a parte gente che dispensa pillole di saggezza col piglio del mental coach appena tornato da un viaggio di quindici giorni con avventure nel mondo, oppure il polemico perennemente incazzato, o quelli che (come me) fotografano piatti e tentano la via dell’ironia per sopportare la banalità del proprio quotidiano, i social sono ormai allo stadio terminale della loro in fondo breve iperbole esistenziale. Forse non moriranno mai veramente, ma io li trovo ormai svuotati del loro fascino degli inizi, quando davvero pareva di sentirsi meno soli perché qualcuno, chissà dove, aveva contezza di te e del tuo pensiero e ti dimostrava di aver davvero compreso il senso persino del tuo non detto. Si è persa la “connessione” di chi ancora si soffermava sulla scelta di un termine, del tema dominante, di un dolore appena accennato eppure pienamente intercettato. Tutto questo per me è finito.

E allora cosa resta? Cosa ci faccio ancora qui? Per me è ancora bello poter dire questo proprio su un social, perché in fondo per noi solitari è ancora il posto migliore in cui confidarsi e far sapere quanto mi sia piaciuto il film appena visto, perché svegliarmi e scoprire di avere un archivio di ricordi che riaffiorano e scansionano il tempo aiutandomi a conservare la rotta mi pare ancora un pretesto simpatico per fissare le coordinate di un giorno nuovo che ricomincia, fosse anche solo per decidere di deviare. Non mi piacerebbe non avere più un profilo fb, mi sembrerebbe di non avere più riferimenti o un contenitore spazioso nel quale custodire un pensiero, una sensazione, un’esperienza. Eppure ho comunque la sensazione che qualcosa si sia definitivamente concluso. Non mi dispiace e non mi fa piacere, che è un po’ il sentimento che mi domina in quasi tutte queste sfocate giornate di transizione.

Quando è morta la Birkin ho recuperato al cinema il documentario che la figlia Charlotte le ha dedicato riportandola nelle case e nei luoghi in cui era vissuta in quel magico periodo che l’ha resa eterna per la sua bellezza fuori da ogni canone e quel modo lieve eppure potentissimo di definirsi attraverso le scelte artistiche e gli amori. Una vita pazzesca raccontata in un omaggio che non ho apprezzato perché “osava” vederla nel suo essere diventata una donna fragile, appesantita, malata, spogliata del fascino misterioso che l’aveva, senza che lei lo avesse fatto con precisa volontà, accompagnata per tutta la sua vita. Non credo che sia del tutto lecito intaccare le icone mostrandone un’autenticità che è tale solo per gli impietosi meccanismi del tempo e delle atmosfere che si sono perdute. Non so perché dico questo mentre penso al precoce “invecchiamento” dei social. Forse in qualche modo le ragioni sono le stesse: scrivere, fotografarsi, condividere pensieri e luoghi su un social vuol dire immortalare un momento ogni singola volta che ci si espone, ma ricordare quello stesso momento dopo molti anni è la prova di come le cose cambino in modo prepotente e al tempo stesso impercettibile, mentre la fatica di riconoscersi contrasta con la coscienza che in fondo siamo ancora inequivocabilmente noi stessi, la sensazione di non aver fatto veri progressi, anzi di aver perso tasselli importanti delle nostre solidità.

Scrivo un po’ di meno perché è così tanto tempo che lo faccio che dispongo di una “coda” di ricordi ormai così lunga che comincio a faticare a crederlo. Ero diversa. Ma ero proprio io. E faccio sempre più fatica ad accettarlo. Ma scriverlo mi pare ancora consolatorio

mercoledì 13 settembre 2023

L’estate sta (ri)finendo

 Non me ne sono neppure accorta. Questa estate è trascorsa come un fiume che fa il suo corso senza subire alterazioni di flusso o deviazioni. Non ne sento la fine, forse perché in fondo non saprei neppure quando per me sia cominciata, e se non fosse per il cambio del palinsesto radiotelevisivo e per il ritorno a casa, dopo due mesi di vacanze e viaggi di una giornalista milanese e molto borghese che seguo sui social, non avvertirei nessuna realevariazione. Qui a Milano fa ancora piuttosto caldo e riesco a percepire il ritorno alla sua ben più familiare frenesia soltanto quando sono in centro. Tra poco ricomincerò i miei amatissimi corsi sul cinema e anche qualcosa di nuovo e mi impegnerò ad usare bene tutte le mie ferie residue, per esempio provando a fare pace con un tempo che fatico a decifrare e per il quale riuscire ad essere sinceramente grata.

Si torna a scuola e io sono felice per il solo fatto di non doverci tornare mai più e se ci penso lo stesso vale per tutto un lungo passato che non sono più costretta a vivere e che mai più si ripeterà. Mi piace il tempo che non torna e che la nostalgia non sia più una mia caratteristica. Credo che sia un fatto legato alla presa di coscienza: ci sono ricordi che ho costruito sul mero “autoinganno”. Le cose non stavano così e solo col tempo ho potuto comprenderlo e quando è successo è stato straniante ma pure magico. Ti cambia dentro la scoperta di un tempo tradito”, ma adesso che ci penso fa lo stesso anche scoprire che senza occhiali non vedo più assolutamente nulla e pure che reggo meno bene la fatica e che senza il mio quadernino delle cose da fare finisco per dimenticare tutto. Ogni tanto mi chiedo come farò ad invecchiare senza fare una brutta fine, conservando la lucidità sufficiente per non dipendere dalla pietà di nessuno o per difendermi da chi è in malafede. Come farò a tornare in una terra meno attrezzata di Milano di servizi per i più fragili e a riuscire a garantirmi un pacifico inverno dell’esistenza? Qualche volta ci penso e proprio non capisco che tipo di suggerimenti mi offrirà il mio (ipotetico) futuro.


E’ morto il sociologo De Masi ideologo del movimento 5 stelle e del lavoro a distanza. Io, per conoscenze comuni, dispongo di aneddoti molto poco edificanti su di lui che stonano fortemente con la sua fama, la portata umana che gli è stata attribuita e i toni encomiastici con cui è stato ricordato. Mi ha fatto un po’ specie rendermi conto che certi intellettuali che io definisco dei meri abiliimbonitori, forti del loro carisma e degli ambienti giusti frequentati con calcolo acuto, riescano a costruirsi un’immagine dal profilo molto più alto di quello effettivo che li consacra addirittura a personalità di riferimento nella storia e nella cultura. Mi ha fatto davvero impressione.


Forse l’estate non è ancora davvero finita e io esorcizzo il mio timore di considerarla un’occasione perduta provando a sminuirne il ruolo rigenerante. La verità è che mi spaventa il fatto che sia stato un periodo normale, senza ricordi da edulcorare ma neppure da conservare intatti per il conforto di domani. Ma in fondo non era proprio questo quello che io volevo? 


“Tutto l'amore che tu credi ti sia stato negato nella tua infanzia, devi rinunciare a cercarlo da grande perché nessuno te lo darà, neppure coloro che ti ameranno sul serio, perché loro ti ameranno da grande e tu inconsciamente vorrai essere amato da piccolo.
Finché questa rinuncia non avvenga, ogni amore adulto è a rischio di fallimento, ogni tuo tentativo di amare non sarà che mendicare comprensione e, peggio ancora, il tuo amore per quanto intenso non sarà mai adulto, bensì sarà solo il continuo piagnucolare di un bambino smarrito”

Samuel Laverde - da "Fiabe per adulti di cuore"

 

 

mercoledì 30 agosto 2023

Il buono (o il giusto) della stagione bella

 Pure se non è vero sai che la fine dell’estate coincide con questi giorni qua, con le albe sempre più ritardate, rincorse da tramonti sempre più ansiosi di occupare ore ancora vogliose di luce. Potrei glissare sui luoghi comuni legati alle temperature, perché quest’anno è stato tutto quanto mai imprevedibile e spiazzante. Ma Settembre, si sa, si propone da sempre come il capodanno legittimato dalle anime ormai rigenerate e ritemprate dalla pausa istituzionale e, in quanto tarato su una unità di misura sfasata rispetto all’ortodossia stagionale, dispone il proprio campionario di offerte immancabili da una vetrina separata da tutto ciò è già stato. Per me la buona riuscita di questo periodo dipende essenzialmente da due fattori: da quanto è stato valido il palinsesto radiofonico estivo (stavolta fantastico e, a riprova del fatto che ci prendo sempre con i talenti del momento, la trasmissione che ho amato dal primo istante è l’unica che ha avuto una proroga rispetto alla ripartenza del resto della programmazione invernale, proprio per l’elevato successo di pubblico. Eh…ma io su certe cose sono abbastanza infallibile…J) e dall’aderenza alla mia routine quotidiana, quella che include persino il numero di ore di sonno non negoziabili e quelle di silenzio assoluto. Sì, sono una persona noiosa, lo ammetto, ma sempre tanto di meno di un logorroico che ti parla col mero pretesto di ascoltare soltanto se stesso.

Che mesi sono stati questi ultimi due? Poco mare, una strana tendenza a ricordare episodi assurdi di un passato lontanissimo, tantissime cose gettate via come se volessi sentirmi sempre abbastanza pronta per un imminente trasloco, passeggiate pomeridiane infinite per riuscire a sincronizzare il respiro allecontratture emotive, ricette nuove combinate con allenamenti sempre un po’ più ambiziosi delle mie reali possibilità. E poi tante serie tv e tanto cinema goduto stando seduta sul pavimento. Potrei durare così all’infinito e quindi meno male che questo non siapossibile e che ho ancora così tante ferie da usare da avere il diritto persino di programmare un pezzetto di inverno da vivere altrove, abbassando per un po’ la guardia sul mio piccolo mondo senza mai lavori di ristrutturazione in corso.

 

Come è strano il meccanismo del ricordo. Sono giorni che penso a quella volta che intervistarono Abbatantuono durante il covid e ad un certo punto, alla domanda “cosa ti manca di più in questo periodo di isolamento?” lui rispose “Gli amici. Perché...sì, ok la famiglia…ma io voglio stare con i miei amici”. Mi fece molto ridere e mi sembrò di una sincerità quasi liberatoria. E poi mi tornano in mente episodi di me da bambina, di come mi riempivano di bugie per tenermi buona mentre io non mi accorgevo mai di niente, di come credo di essere stata poco amata o comunque poco considerata senza averlo mai davvero capito in tempo, trovando tutto normale solo perché non immaginavo che ci fossero anche altri modi di vivere quel tempo e quell’età indifesa. E mi chiedo che senso abbia che io pensi oggi a tutto questo, quando ormai gli anni e le cose hanno lasciato il posto a tutt’altro, che in fondo sono “salva” e magari tutto quanto è stato più utile e funzionale di quanto io possa immaginare o abbia strumenti per capirlo.


Perché certi mesi, più di altri, innescano ricordi che nella frenesia di un quotidiano più articolato e “assorbente” non si manifestano? Forse il senso dell’estate è anche questo: farsi carico di certi “ingombri” del passato per provare a farne materiale compostabile, fertilizzante ricco su cui far germogliare pensieri nuovi, stimoli vitali, ricordi finalmente disintossicati. E’ stata un’estate faticosissima. Sono fortunata

venerdì 18 agosto 2023

Caro Nanni

 Caro Nanni,

Quanti anni sono che non dimentico il tuo compleanno? Per ragioni anagrafiche mi sono avvicinata al tuo cinema quando dicevi di essere già uno “splendido quarantenne”. Sì, è stato “Caro Diario” il tuo primo film che io ho visto al cinema, ormai già così nuovo e diverso da quello che eri stato prima, e da allora recuperare tutto quello che eri stato - il tuo modo così originale di concepire il ruolo del cinema rispetto alla tua generazione, la capacità di osservare il mondo riuscendo a tenere assieme un innegabile narcisismo, ma pure impegno, lucidità nell’analizzare il contemporaneo, la visionarietà, l’intuizione su un certo modo di intendere la complessità e la fragilità dei legami umani - è diventato il mio esercizio più appassionato di crescita e di consapevolezza. Cosa ho amato davvero di te? Forse una serie stati d’animo che sfuggono alle definizioni precise, una specie di smarrito divertimento misto a malinconia che mi ha procurato fin dai primi minuti un piccolo gioiello come “Ecce bombo”, il film che per anni è stato il mio rito da notte prima di un esame: una scaramanzia che mi ha sempre premiato, pur senza mai scordare che il mio preferito erae sempre sarà, “Bianca”. Ma la verità è che sarebbe inutile fare una rassegna di tutto quello che in ciascun film ho scoperto e fissato dentro di me, come certe citazioni che conoscono pure quelli che manco sanno veramente chi sei, perché definirsi morettiano è qualcosa che va oltre l’amare il tuo cinema. Credo che abbia a che fare con un modo di sentire il mondo con divertito disincanto di chi riconosce nella sua tragedia il senso stesso della sua meraviglia, fino a farti pensare con convinzione certa che in fondo è “sempre il momento di fare una commedia”.


Da quando vivo a Milano ti ho incrociato di persona un sacco di volte: una volta all’Anteo, dopo la proiezione di quel magnifico e poetico documentario che fu “Santiago, Italia” mi avvicinai per prima tra il pubblico per fare una foto con te, poi l’abbiamo rifatta perché tu non avevi sorriso, ma a me andava bene lo stesso e poi ti feci firmare un autografo su un foglietto su cui si promuoveva “Roma”, il film di Cuaron

 

Caro Nanni, io neppure lo so quello che vorrei dirti oltre ai tanti grazie per la maniera unica in cui sei riuscito a tradurre lo stato d’animo di quei poveri noi che si trovano a loro agio e d’accordo solo con una minoranza di persone, che ci hai detto che l’amore è “difficile per tutti, per me invece è impossibile”, che le parole sono importanti” perché “chi parla male pensa male”, che ci hai fatto capire che un regista può essere narcisista e  fortemente consapevole del proprio talento senza per questo risultare banalmente egoriferito, che si può fare politica anche solo prendendo le distanze da quelli che la fanno per mestiere.


Caro Nanni, arriverei a confessarti persino che questo per me pare essere anno più bello della media degli ultimi trascorsi anche e soprattutto perché è uscito un tuo film che, ancora una volta, mi è sembrato perfetto per questo tempo, per il suo essere la conferma di tutto quello che sei sempre stato e per l’aggiunta di una pacificata maturità che rende tutto ancora più centrato.


Caro Nanni, dei miei ultimi trent’anni non so cosa sarebbe stato senza aver accolto il tuo modo di osservare le cose della vita, quell’universo in pillole tenuto assieme, di volta in volta, da pretesti narrativi sempre originali ed incisivi. Scommetto che oggi saranno in tanti a dirti che sei diventato “uno splendido settantenne”, magari proprio mentre tu metaforicamente osservi basito quel metro che in “Aprile” segnava il tuo tempo residuo (“perché ho detto 80? Volevo dire 95”). Io so soltanto che vorrei trovare “le parole giuste” per riuscire a tradurre quello che hai rappresentato per me durante questi ultimi trent’anni senza sembrarti retorica e forse un po’ patetica. Ma che le parole siano importanti è una delle tue lezioni che meglio ho provato a fare mie e quindi qui ora tento di minimizzare ogni possibile banalità residua dicendoti solo un infinito grazie per aver avuto “pietà tu di me” regalandomi anni di pura consolazione, piacere, divertimento, consapevolezza.

Caro Nanni, tanti auguri

sabato 12 agosto 2023

Volersi bene. Senza impegno

 Di nuovo in treno. Di nuovo direzione Milano. La mia brevissima vacanza estiva finisce qui, senza altra meta se non quella, ugualmente domestica e familiare, milanese. Porto con me le sfogliatelle avanzate da ieri di Attanasio, il frutto delle corse a perdifiato sul tapis roulant, il mare di Varcaturo, la mia media di due film al giorno, un libro stupendo terminato. Obiettivi dal respiro corto eppure sufficienti, pieni, senza null’altro pretendere.

Oggi compio 47 anni, il treno è appena partito. È l’alba, dovrei essere a Milano per le 10:38 e so per certo soltanto che troverò una casa in perfetto ordine, il frigo spento e naturalmente vuoto. La sola cosa che mi auguro è di non trovare troppo caldo. Domani tornerò in ufficio e proverò ad organizzare il mio ultimo scorcio d’anno mettendoci dentro almeno un viaggio bello. Almeno questo mi auguro di poter fare. Come è strana questa età! Mi sento lontana dai quaranta ma non abbastanza vicina ai cinquanta da considerare questo un periodo fondamentale di passaggio e di nuove consapevolezze. Mi sento non giovane ma neppure già pienamente matura: è come se avessi a disposizione un ultimo pezzo della mia torta preferita che però posso giocarmi al meglio solo con il giusto appetito. Credo di essere più in forma di un tempo, mi piace pure il modo in cui stanno cambiando certe mie espressioni del viso, credo di stare abbastanza bene e, malgrado certi dolori vecchi e insolubili, direi che posso ancora farcela con serenità. 

Della morte della Murgia mi stupisce soprattutto una cosa: la sua conversione finale. Si è detta “apostata” per tutto il suo percorso e poi, come tutti, ha avuto paura di ammettere che dopo la fine non ci sia niente di più. Mi ha colpito più che per altri che hanno fatto lo stesso. 

Ho il posto accanto al finestrino. Non mi piace. Non guardo fuori da anni e mi vergogno sempre di chiedere a chi mi sta accanto di farmi uscire per andare in bagno. Però il viaggio ormai dura poco e io a stento riesco a farci stare dentro un film e un paio di puntate della serie di turno. 

Cosa mi piace delle foto dei miei compleanni passati che mi regala fb? Che posso scordarmele tutte e bollarle come inutili e prive della nostalgia per un passato migliore del presente. Tutte quelle feste con persone a cui non tengo più da secoli, il ricordo preciso di uno stato d’animo inquieto e in sofferenza dietro il sorriso per una gioia finta o soltanto “aspirazionale”. Che liberazione scoprire la verità e pensare che è stato tutto meno drammatico di come pensassi, che i legami spezzati o mai nati sono sempre e solo uno scampato pericolo da gabbie, noia, limiti alla piena espressione di se stessi, che ad oggi è per me la cosa più importante che ci sia. In quelle foto ci vedo solo aspettative distorte, propositi, speranze e obiettivi che ho abbandonato per carenza di interesse e di autenticità. Per questo quelle foto non mi piacciono: non ci riuscivano proprio a stare a fuoco sul presente, tentavano una gioia incerta, programmata, smaniosa. Quanta pena per quel viso così falso. Appena arrivo a casa mi sistemo come credo di meritare e prometto di non commettere tutti quegli errori da “inquadratura sfocata”.

La mia estate si conclude oggi, con questa età curiosa che ho sistemato nel bagaglio piccolo, mentre saluto il Vesuvio sotto un’alba fresca e pennellata di arancione. Senza volere altro che arrivare ad avere abbastanza appetito da gustare in pieno la sfogliata che ho comprato ieri per festeggiare in anticipo con chi prova ancora a volermi bene. Oggi festeggio di nuovo. Da sola. Senza impegno


giovedì 3 agosto 2023

Progetti per il presente

 Ci cascano sempre. Sempre così, da quando ho capito quante cose si possono dire semplicemente scrivendole. Tutte le volte che racconto cose legate, anche in modo irrilevante, a quello che mi succede in ufficio, magicamente il counter dei miei lettori lievita in modo esponenziale. E questo nonostante io trascorra il 90% del mio tempo chiusa nella mia stanza, non interagisca con nessun collega se non per questioni lavorative, non mi ricordi il nome di almeno l’80% di loro e non sia minimamente interessata a qualsiasi cosa di questo ufficio che non sia strettamente correlata a quello che giustifichi il mio stipendio. Succede sempre. E io lo so da sempre. Lo faccio apposta perché mi pare un bel modo di non subire cose che trovo ingiuste o fastidiose o per far conoscere un punto di vista senza dovermi confrontare in modo diretto con persone con cui non ho voglia di intavolare discussioni spiacevoli. Cominciai col famigerato collega ripugnante, di cui per fortuna non ho più notizia, per poi fingermi stupita che tutti avessero letto, e ho continuato così un sacco di volte. Mi pare quasi di vederla la “talpa” all’opera che intercetta il mio post e poi fa passare il link nelle chat per diffondere lo scoop, magari corredato con espressioni del tipo “guarda che ha scritto”, “ma come si permette?”, “No, dico, ma ti rendi conto?”. E io non posso che compiacermi persino della povertà di argomenti di cui si deve soffrire in certi contesti se interessa quello che dice una che a stento incrociano nei corridoi e che nulla se ne fa della loro opinioneE’ un mondo bellissimoMa in fondo che mi importa di quello su cui gli altri si sentono in diritto di poter ricamareScrivere quello che sento senza calunniare nessuno è un mio diritto. Leggere e poter malignare senza ragione, ma pure senza vittoria, è quello loro. 

Le mie ferie sono ancora utilizzate con parsimonia. Pare che ci sarà un forte abbassamento delle temperature, per cui temo che non riuscirò ad andare al mare. Poco male, so già come spenderò il mio tempo in modo alternativo: lasciando tutto al caso. Mi è passata la smania di pretendere di massimizzare il risultato “attivo” di una vacanza peraltro molto breve. Mi basterà ritrovare la mia stupenda sedia col massaggiatore incorporato, la mansarda, i miei attrezzi, i libri, i film da vedere…più o meno quello che mi piace fare in ogni altro giorno dell’anno, al netto delle incombenze domestiche e lavorative, slittato in un luogo che, a piccole dosi, pare impegnarsi davvero a garantirmi le migliori condizioni possibili. Al 2023 avevo chiesto soltanto di essere diverso dal 2022. Non avevo posto altre condizioni. Ci sta riuscendo. Non chiedo altro.


Non ho sempre avuto questa pacificata serenità. Quando viaggiavo spesso da sola ero costantemente mossa dal bisogno di recuperare tutto quello che non mi era riuscito di fare e di vedere negli anni precedenti. E’ successa una cosa simile quando mi sono resa conto che studiare economia non mi piaceva e allora volevo riappropriami di passioni represse e inespresse nel più breve tempo possibile. Ma tutto questo comporta ingratitudine e un enorme dispendio di energia: non esistono vite giuste o sbagliate. Esistono le circostanze, l’inesperienza, i tentativi in buona fede e poco importa se tutto questo non ci accompagna subito precisamente dove vogliamo arrivare. Non potrò mai sapere cosa mi sarebbe successo inoltrandomi per altri sentieri e senza un realistico termine di paragone non ho alcun motivo di rammarico per quello che di fatto è stato. Sono solo felice di non aver ceduto al ricatto familiare di dovermi sposare per riprodurmi: questo lo avrei rimpianto perché in un mondo così concepito non voglio lasciare nessuno a combattere una battaglia che credo ormai persa. Ho fatto pace con la mia vita, non anche con quella di chi non mi ha mai chiesto di averne una.


E’ complicato fare i conti con il mese in cui sono nata: ho sempre almeno un ricordo nitido delle varie tappe di questo mio tempo sempre più corto. Ma non corro rischi perché gli ultimi anni sono stati mediamente più belli di quelli molto lontani e le torte non erano buone come quelle che ho cominciato a regalarmi da sola. Forse quest’anno ci aggiungo pure un vassoio di sfogliatelle e/o le delizie al limone di Sal De Riso, così, senza meriti, ma pure senza colpe conosciute.

 

Mancano soltanto cinque mesi alla fine di quest’anno e io non ho ancora fatto niente di speciale. O forse sì. Aspettare per scoprirlo può essere un ottimo progetto a lungo termine.

Un caro saluto alla “talpa” 😜

mercoledì 26 luglio 2023

Quando c’è la nebbia non si vede. Ma si “sente”

 La chiamano “Brain Fog”. E’ una specie di fiacchezza, di infelicità strisciante non riconducibile a vere patologie o sindromi. Credo che si tratti di una condizione esistenziale più o meno passeggera, ma forse anche semplicemente caratteriale, di cui probabilmente facciamo esperienza un po’ tutti, prima o poi, durante la vita. Credo sia normale nelle persone più anziane e in quelle di indole particolarmente malinconica e oserei pensare che a qualcuno piaccia pure un po’: l’infelicità “gestibile” secondo me non è mai vera infelicità perché se non accompagnata dalla disperazione e dalla paralisi esistenziale il più delle volte ci rende solo più acuti, sensibili e recettivi. E questa è una cosa proprio bella dello stare al mondo.

Forse in tutti questi giorni in cui non ho aggiornato il diario e dormito quasi niente (pure se vivo senza caffè da più di dieci giorni), mentre ho sviluppato una dipendenza per una serie stupenda, di cui divoro stagioni intere, letto col contagocce un po’ di buoni libri, mi sono lasciata accompagnare da questa specie di “nebbia” quasi adottandola come magnifico alibi per l’età di mezzo che mi sento addosso come un vestito comodo ma che ancora fa difetto.

Sono stati giorni strani e affascinanti quelli di questo luglio dal meteo pazzo e dispettoso che però ha risparmiato Milano dall’afa irrespirabile degli anni scorsi. E’ successo al prezzo di temporali pericolosi e dannosi, ma temo che a questo dovremo abituarci. Cosa è successo nel frattempo? E’ successo che non ho mai smesso di programmare viaggi verso luoghi a cui vorrei destinarmi entro la fine di quest’anno, che ho postato una storia di me in costume nella mia camera e non ho mai avuto tante visualizzazioni e reazioni prima di questa: forse è successo per la curiosità di verificare l’efficacia dei miei sacrifici quotidiani con i pesi e la corsa, o magari per testare il coraggio di una quasi 47enne che ancora si permette di mettersi in mostra così. Chissà che cosa incuriosisce davvero di qualcuno con cui in fondo abbiamo poco o nulla a che fare? 


Per il resto mi scopro felice per cose sempre più piccole e irrilevanti, tipo svegliarmi sapendo che in estate al mattino c’è un programma alla radio che trovo bellissimo senza una vera ragione se non quella legata alla simpatia spumeggiante dei tre ragazzi che lo conducono. Pare assurdo ma quando comincio la giornata sapendo che li ascolterò cambio tutto: ritmo, stato d’animo, reattività per le mie azioni ordinarie. Senza di loro la mia “brain fog” avrebbe di certo un preoccupante sopravvento. E così quando poi la trasmissione termina e io continuo ad essere felice perché ci sono stati loro ad aiutarmi a ripartire, penso che sia come una specie di miracolo il fatto che qualcuno che neppure sa che esisto abbia contribuito al mio star beneChe bello poter godere della compagnia che consideri la migliore possibile al netto di eventuali incomprensioni, timidezze e disagio.


Intanto anche luglio ormai gioca le sue ultime carte senza ancora svelarmi quali servirebbero a me per condurre il gioco da qui a dicembrePazienza. Lnebbia in fondo mi è sempre piaciuta. E poi per vederci chiaro c’è sempre tempo. Il problema, semmai, è il coraggio di riuscirci davvero

giovedì 13 luglio 2023

Luglio, col bene e qualche scoglio

 E’ una sensazione strana quella di trovarmi a Milano in questa estate rovente nella quale non mi sono ancora mai concessa di vedere il mare: fa un caldo indicibile ma la citta è ancora piuttosto brulicante di lavoratori che, nella loro auto senza altri passeggeri, si incolonnano tra via Mecenate e viale Lombroso procurandomi sempre un po’ di perplessità sulla reale possibilità che un giorno delle modalità più ecologiche di spostamento saranno applicate con efficacia reale. Io ho l’abbonamento annuale ai mezzi pubblici e mai mi sognerei di perdermi il mio quotidiano percorso a piedi di quaranta minuti verso l’ufficio, tra l’altro dopo un allenamento cardio con pesi che mi infliggo ad ogni alba in cui mi è concesso aprire gli occhi. Lo so che la mia è una specie di follia masochistica senza altre razionali spiegazioni, eppure rimane un fatto che le ricadute di certe mie abitudini abbiano un impatto sull’ambiente sul quale nessuno potrebbe muovere la minima critica. Ma vabbè, non volevo fare la parte di quella che finge di fare la bizzarra virtuosa che nessuno potrebbe mai riuscire ad imitare. La verità è che sono io stessa schiava delle mie abitudini e quelle, si sa, son dure da cambiare per chiunque.

Delle mie ferie ancora quasi intatte mi piace la possibilità che posso continuare a concedermi sulla loro possibilità di utilizzo: le alternative sono tante ma tutte convergono verso l’intenzione di fare un viaggio lontano in un posto caldo proprio quando qui comincerà a far freddo oppure optare per un’esperienza legata ad un “ritiro” yoga in uno di quei luoghi ameni che ti conciliano col tuo spirito grazie al tono lieve di chi ti sussurra in ogni istante “va tutto bene” pur senza sapere niente di te. Credo che il bello sia proprio questo: trovo divertentissimo informarmi ogni giorno su mete differenti e allo stesso tempo visualizzarmi in ciascuna di queste esperienze, confermando l’idea che il viaggio è prima, e forse soprattutto, nella testa. E poi c’è questa cosa che da quando la mia casa è tornata ad essere il posto tranquillo che non era lo scorso anno, quando rientro e me ne sto nel mio piccolo salotto, dopo una doccia gelata, con in mano un gigantesco frappè ghiacciato e il film programmato già da prima di uscire al mattino, mi chiedo davvero cosa potrei desiderare di più. Le giornate di luglio sono state fino ad ora tutte così, parlando poco e immaginando un futuro, in fondo molto prossimo, pieno di ipotesi che neppure hanno una vera smania di conferme.

Fino a 5 o 6 anni fa ancora pensavo che sarebbe arrivato il tempo in cui avrei riconosciuto il momento in cui mi sarei sentita pronta per incontrare chi fosse destinato a me, il tutto sulla base di una idea che trovo tuttora molto convincente e cioè che la capacità di amare davvero qualcuno passi per una maturità raggiunta a tutto tondo, una percezione quanto più estesa possibile delle esperienze che si vivono, delle cose che ci accadono attorno, come il frutto di un percorso di autoconsapevolezza, di uno sforzo, di una concentrazione che richiedono necessariamente tempo e impegno. Una cosa simile l’ho sentita dire pure a Califano e Remo Remotti, due che per indole e temperamento non potrebbero essere più diversi da me, eppure (anzi forse per questo) li considero due maestri di pensiero assoluti. L’idea vale al netto della eventuale necessità di rispondere ad un orologio biologico che, invece, spesso ha tutt’altra scadenza. Ma io ho la “fortuna” di non averlo mai sentito e quindi non ho mai neppure avuto fretta. Oggi, che tutto mi è un po’ più chiaro di allora, che io mi sono più chiara di allora, mi chiedo come ho fatto a non capire che la mia vita non poteva essere altro che questa e che non solo non è una colpa, una mancanza di completezza o una triste condizione, ma semplicemente la cosa che desideravo davvero senza ancora saperlo tanto chiaramente chiaramente come adesso. Potrei sbrigativamente raccontarmela affermando che gli altri mi hanno soltanto illuso e poi deluso, ingannato, non apprezzato…ma non sarebbe la verità. Mi farebbe comodo, ma non sarebbe onesto perché, ahimè, quello che ormai sento profondamente è che il giusto uso della mia energia è purtroppo in grado di contemplare la frequentazione solo di un numero limitatissimo di persone e che sempre di più mi piace esercitare la mia capacità di ascolto e di visioni alternative del mondo attraverso la radio o la musica. Dopo soltanto silenzio. Perché dovrei costringere altri ad assecondare tutte queste “limitazioni” alla condivisione?

 

Una volta a Zanzibar uno che stava lì con la moglie e un bambino appena nato mi propose di passare in camera mia. Non è stata l’unica esperienza sgradevole di questo tenore durante i miei viaggi in solitaria. Eppure non ho mai smesso di continuare a desiderare di essere ovunque.  


Milano a luglio è più bella che negli altri mesi. Ne ho solo approfittato. 

lunedì 3 luglio 2023

La sostanziosa forma di un grazie dato con gusto, in tempo, con cura

 


Ci sono rimasta un po’ male, ma forse fa parte di quelle lezioni che dovrei imparare, piuttosto che attribuire la responsabilità a un certo tipo di reazioni deludenti. Ci penso più spesso del dovuto forse perché alla fine vivo un periodo abbastanza sereno, non sono affaticata e neppure affranta per una vita che non mi restituisce quel poco che riesco a darle. Eppure ci sono delle cose che dovrei aggiustare per proteggere il valore stesso dei miei piccoli gesti. La premessa è questa: qualche volta ho il timore che mi si legga troppo chiaramente in faccia che lavoro senza trovare bello quello che sto facendo. Non ho mai pensato che sia necessario amare il proprio lavoro eppure l’idea che gli altri lo percepiscano mi mette fortemente a disagio lo stesso. Ovviamente faccio tutto quello che devo, non mi lamento mai per niente, ma credo che sia del tutto evidente che la mia dimensione emotiva e di partecipazione attiva sia direi del tutto irrilevante. Lo accetto, come accetto tutte le cose che non mi appartengono per innata propensione ma che non posso cancellare dal mio quotidiano. Forse la vera consolazione sono i complimenti dei contribuenti, così delicati e spassionati che davvero non so spiegarmi che tipo di immagine io restituisca a loro. Insomma, questa è la mia condizione per un numero importante di ore delle mie giornate. Qualche volta mi è successo, quasi a voler rinnegare o attutire questa impressione agli occhi delle persone con cui ho a che fare, di far trovare al mio capo, posizionato sulla scrivania, un pezzo di crostata. E’ capitato diverse volte. L’ultima volta però non mi ha detto neppure grazie. Mi sono detta che le ragioni potevano essere tante: lo ha scordato, oppure si è reso conto che lavoro solo per lavorare e che non è corretto tentare di dare un valore aggiunto posticcio al mio non essere esattamente una rampante entusiasta, oppure – ed è stata questa l’ipotesi che più mi ha procurato sconforto – comincia a darlo per scontato o peggio come un atto dovuto, senza apprezzare davvero il mio gesto. 


In realtà non credo davvero che abbia molta importanza indagare le ragioni di un grazie mancato, perché io amo da sempre preparare cose da far assaggiare agli altri ed è già questo il mio appagamento, eppure questo fatto mi fa riflettere sul senso stesso del ricevere. Le prime volte era stato delizioso, inviandomi persino i video della figlioletta che mi ringraziava mentre assaggiava il mio dolce. E adesso neppure un grazie. Fa un po’ impressione e la cosa mi colpisce per questo. La lezione è che devo smetterla di portare torte a chi smette a sua volta di averne piacere. Che non mi pare poco, anzi mi pare una gran bella lezione per l’evoluzione del mio comportamento.


Forse non è vero che sia poi un periodo così sereno. E’ soltanto un periodo in cui non ho grossi guai da risolvere. E non è proprio la stessa cosa. E forse è proprio per questo che mi capita sempre più spesso di pensare a cose accadute tantissimo tempo fa e di come all’epoca non mi rendessi minimamente conto di quanto stessi sopportando senza una reale necessità ma solo per compiacere qualcun altro, che una parola detta male ti può rompere dentro in un modo così irreversibile che preferisci pensare di aver capito male, piuttosto che urlare e spaccare tutto senza indulgenze. E poi penso pure a quello che ho detto e fatto io senza riuscire a perdonarmi neppure oggi che ho fatto di tutto per rimediare. E così ho pensato a quanto sia importante che le cose siano sin da subito molto chiare, prive di ambiguità che feriscono e poi distorcono i fatti per sempre. Non volevo un grazie. Ma forse mi era dovuto lo stesso. Anzi, sicuramente mi era dovuto. Ma vabbè…

venerdì 30 giugno 2023

Espandersi. Senza allargarsi

 La folgorazione avvenne in quel momento preciso. In modo insospettabile eppure come un lampo chiarificatore che mi fece dire “ma perché non ci ho pensato prima?”. In quella landa “desolante”, eppure a suo modo irresistibile, che è l’offerta streaming di apple tv+ mi capitò un giorno di imbattermi in una specie di docuserie intitolata “case d’avanguardia”: una sorta di viaggio concettuale e geografico sui differenti modi di intendere l’abitare domestico. Il criterio era di volta in volta lo spazio, i materiali, la collocazione territoriale, la disposizione delle stanze, la filosofia del vivere in una sorta di conciliazione tra vita privata, lavoro, famiglia, collegamento con la comunità di appartenenza. Ricordo che trovai ogni puntata a suo modo estremamente interessante ma quella che più di tutte mi colpì fu quella di un architetto giapponese che viveva al centro di Tokio in una casa di 31 metri quadri nella quale era riuscito ad includere persino una piccola sauna. Il principio su cui si basava la disposizione delle stanze era basato su un sistema di pareti basculanti che modulavano la casa in base alle esigenze della giornata e alle attività da svolgere. Una piccola meravigliosa casa di lusso in cui non mancava nessuna stanza. Per illustrare la sua idea così magnificamente realizzata aveva esordito dicendo “la mia fortuna è che sono da sempre abituato a rifarmi il letto subito dopo che mi sono svegliato. Da quel punto in poi la mia casa si apre alle infinite possibilità”. E di fatto era esattamente così: il suo letto a ribalta, una volta chiuso trasformava quella che fino a quel momento era una camera da letto, in un magnifico studio. Poi, con un sistema di pareti scorrevoli, in pochissimi secondi, ci si trovava in cucina, bagno, una immensa libreria, un salotto (nel quale durante la puntata stazionano tanti amicitanto altro ancora. una cosa fantastica che mi colpì moltissimo soprattutto perché la mia casa è pure un po’ più grande di quella e mai avrei pensato di poterci fare così tanto.

E ora veniamo alla post folgorazione. Sulla scorta di quel documentario, circa un anno fa ho comprato un bellissimo letto a ribalta anche io e, proprio come il brillante architetto giapponese, anche io rifaccio il letto appena mi alzo e lo richiudo trasformandolo in un bel mobile con ripiano che, da quel momento e per il resto della giornata, rientra a far parte della coreografia di un piccolo salotto che ha il compito di accogliermi al rientro a casa. Al posto del letto posiziono un pouf/poltroncina che si trasforma in letto pure lui se necessario e un piccolo tavolino con il vassoio per la cena davanti alla tv. La mia soluzione perfetta per le mie due stanze in una. Per la cucina avevo già da tempo trovato la combo cibo/palestra e quanto al soppalco, costruito apposta per il mio lettone, ormai è diventato un comodo deposito di stoccaggio per scatoloni che prima o poi smisterò tra pattumiera e viaggi al sud. Lo spazio è una mia ossessione: sono convinta che una casa grande sia inutile e persino dannosa quando si vive da soli e che uno spazio limitato, se intelligentemente sfruttato, sia tutt’altro che “limitante”. Arrivo a pensare che la felicità passi, forse inevitabilmente, proprio per questa idea. Lo spazio esteriore come manifestazione compiuta di una compatta condizione interiore. A patto che si sappia molto bene ciò di cui ha senso privarsi. Sì, perché in fondo la mia vera fatica sta nell’ammettere che ci sono soltanto due condizioni in cui io mi senta perfettamente a mio agio: la prima è appunto quando sono in casa da sola a leggere, cucinare, vedere film e allenarmi. E la seconda è quando sono in viaggio. Ovunque. Di solito con vestiti molto comodi, senza trucco e soltanto col bagaglio a mano. In mezzo a queste due situazioni c’è un intervallo più o meno faticoso e vasto di disagio profondo nel quale sono troppo timida o troppo espansiva, parlo poco o dico cose di cui poi in qualche modo mi pento, ho paura di essere noiosa, troppo debole, troppo accomodante o fastidiosamente spigolosa. E ogni volta sento con più forza quanto tutto questo impoverisca la qualità di ogni mia esperienza “all’esterno”. Non ho mai saputo che nome dare a questo strano disadattamento, e se tale è davvero, e quanto in realtà sia un mio alibi per ridurre al minimo le situazioni in cui mi sento responsabile del mio stare al mondo. Ma intanto questo è.


E così ho pensato che forse, per una volta, potrei anche smetterla di credere che tutte le volte che sto davvero bene perché me ne sto per i fatti miei dovrei sentirmi in colpa. So fin da ora che non potrò farlo per sempre e che prima o poi toccherà anche a me trovare la forza di accettare quello che non ho scelto e che pure mi riguarda perché mi sarà obbligatorio gestirlo. Nessuno potrebbe aiutarmi. E se pure esistesse passerei tutto il mio tempo ad esserne rammaricata ancor di più.

Intanto la mia casa è molto più spaziosa oggi rispetto a un tempo pur nella sua stessa dimensione di sempre. Che miracolo!