Sola andata

Sola andata

venerdì 26 maggio 2023

Vivere. O raccontarsela?

 Rendersi conto che le cose accadono pure se non riesci a trovare la forza, il tempo, le parole, la voglia di raccontarle. Nell’ultimo mese la mia quotidianità si è lasciata attraversare senza la necessità di lasciarne traccia con foto che testimoniassero momenti apparentemente memorabili, pagine di diario che evidenziassero riflessioni formidabili che solo la parola scritta è in grado di far emergere, frasi ad effetto sui social sperando che qualcuno cogliesse la “raffinatissima” ironia sottostante. A volte mi rendo conto che certe forme di narcisismo, o qualcosa ad esso assimilabile, riflettano soltanto il mio tacito bisogno di non passare inosservata e di ricevere un riscontro che possa attestare un qualche valore, una riconoscibilità, uno spessore di cui altrimenti non avrei prova. In questi giorni sospesi tra il ritorno da un piccolo viaggio molto divertente, la cronaca nazionale come sempre angosciante e disarmante, qualche giorno giù dai miei -dove riesco a star bene solo in parte perché i problemi sono sempre lì, anzi montano e si alimentano con subdola impercettibilità – mi sono resa conto che forse ci sono cose che dovrei proprio smettere di fare, tipo fotografarmi continuamente dopo una sessione di allenamento solo per dimostrarmi di aver lavorato e sofferto abbastanza, come se davvero ogni inizio delle mie giornate fosse una specie di pedaggio da pagare per meritare di mangiare e di dormire un sonno giusto. Continuerò a pensarlo, ma che senso ha, per esempio, farlo sapere sempre a tutti?

Stamattina in radio, alla domanda “quale superpotere vorreste avere?”, una ha risposto “quello dell’invisibilità” che, curiosamente in un mondo narciso ed esibito come questo, credo che sia anche il più gettonato tra i desideri contemporanei. Credo che sia legato all’idea che la vanità ad un certo punto si scontri col giudizio degli altri e tema fortemente la sconfitta. Forse anche io sceglierei questo superpotere, perché in fondo sono così timida che mi mette a disagio quasi ogni cosa del mio muovermi in mezzo alle questioni “reali”, affollate di persone e di “distanze” da coprire prima di tornare a casa e finalmente essere ciò che mi piace veramente di me stessa: la capacità di dimenticare quasi tutto della mia giornata in nome di quel ritorno a casa tutto dedicato a me e al mio nulla accuratamente “pianificato”.


Confesso che ho spesso usato questo diario per far arrivare messaggi che non riuscivo ad inviare dal vivo: una volta l’ho fatto persino parlando di una capo team che mi stressava (con la certezza, poi confermata, che qualcuno avrebbe fedelmente riportato la cosa all’interessata), o per sfogarmi per il comportamento di un collega ripugnante che per fortuna non lavora più in questo ufficio. Altre volte per leggere meglio i miei dolori in campo sentimentale, che per fortuna ho compreso perfettamente e finalmente sto bene, benissimo, da quel punto di vista. Scrivere è lo strumento più prezioso e liberatorio che possiedo per difendermi, o attaccare, senza la fatica di un confronto che sarebbe di certo meno civile o meno analitico e chiarificatore.


Ci sono tanti modi di rendersi invisibili senza “scomparire” del tutto e questo mi pare davvero molto bello. Ma ci sono periodi in cui questo è più difficile perché il flusso dei pensieri non è accompagnato dalle parole giuste per esprimerli. E allora è inutile anche soltanto provarci: si combatte con una smania insensata che annoda ricordi e vecchi rancori, in cui tutto pare sbagliato, aggrovigliato in una specie di paralisi che terrorizza perché non si sa quando finirà. Questo credo che mi sia successo in questi ultimi giorni: tornare in una casa che non mi ospita più da tanti anni e ritrovarci la me bambina con le tristezze di quegli anni mai metabolizzate davvero, con i problemi irrisolti che prima o poi dovrò affrontare, con volti familiari sempre più segnati dal tempo, proprio come me, che in realtà non cambio davvero quanto vorrei per riuscire  accettare tutto quanto.


Una volta, tantissimi anni fa, vennero i ladri in casa. Presero quasi tutto. La casa era completamente in disordine e io ero spaventatissima. Portarono via anche il videoregistratore. Dentro c’era ancora la VHS che avevo visto prima di uscire. Era “Hannah e le sue sorelle”, un film di Woody Allen. Faceva parte della collana che avevo fatto anni prima con il giornale l’Unità e il mio rammarico fu triplo perché da allora in poi non avrei mai più la collezione completa. Di tutto quello che ci fu portato via ho in mente solo quella perdita e l’intensità del mio rammarico. Un piccolo pezzo mancante, perché sottratto con la colpa, che sarebbe rimasto tale per sempre. A volte è proprio così che vedo il mio presente: il risultato di qualcosa, per quanto minima e apparentemente irrilevante, sottratta da qualcuno e ormai impossibile da rimpiazzare senza che ci si accorga della sostituzione “strategica”.


Poi il film l’ho ricomprato in DVD. L’ho rivisto tante volte perché è pure un bellissimo film. Ma non è la stessa cosa…

 

venerdì 12 maggio 2023

Pausa senza riflessione

 Dovevo soltanto infornare. Avevo già tutto pronto, sia la crostata preparata la sera prima che il pan brioche che avevo fatto lievitare tutta la notte. Mi ero alzata come sempre poco prima delle cinque e avevo subito infornato tutto. Poi, come legge morale impone ormai da secoli, ho fatto i miei esercizi, sistemato il letto, lavato i piatti, pulito il bagno, fatto una doccia veloce. Come sempre, anche stavolta ero pronta alle 6:50 per andare al lavoro. Soltanto dopo aver chiuso la porta mi ero resa conto che stava piovendo. Prendo l’ombrello, metto l’impermeabile. Esco di nuovo. No, non ce la faccio. Rientro in casa immediatamente. Poso l’ombrello, infilo la tuta, mi strucco e corro a mettermi sulla mia poltrona/letto con la ferma intenzione di stare tutto il giorno in casa per recuperare i film della wishlist e finire una serie. Così ho avvisato in ufficio che non sarei andata. E’ successo l’altro ieri: sono stata tutto il giorno su quella specie di pouf gigantesco e tanto comodo piazzato proprio di fronte alla televisione. Tutto era immerso in un silenzio quasi commuovente, forse anche grazie alla pioggia o semplicemente al fatto che finalmente i vicini di casa orrendi non ci sono più, almeno fino ad ora, provvidenzialmente, ma non canto mai vittoria su questa questione che mi fa sempre tanta tenerezza, perché mi pare quasi mettermi a confronto con la mia paura del prossimo anche quando le ragioni stanno solo nella mia testa. La realtà era che io potevo disporre di tutta quella giornata sapendo che tutto in casa era già a posto.

Certe volte è un po’ straniante avere del tempo di cui poter disporre esclusivamente a proprio piacimento: il piacere è smorzato dall’ansia di rischiare di sprecarlo facendo scelte di piacere meno vincenti di altre. Però stavolta avevo le idee chiare. Volevo solo stare seduta per tutto il tempo a vedere film e pure leggere l’ultimo Ammaniti (che è stupendo). E così è stato. Credo di non aver detto neppure una parola per tutto il giorno e di non aver pensato ad altro che a quello che in quel momento mi stavo regalando. Il pranzo era già nel contenitore precedentemente destinato per l’ufficio ed in più c’era una crostata calda ai mirtilli che avrebbe potenziato il mio benessere.

“Perché me lo merito” questo mi sono ripetuta per un paio di volte a giustificazione di un giorno di ferie bruciato senza una reale ragione né premeditazione. Non era vero: ho fatto da poco un bel viaggio e la prossima settimana torno un po’ giù per un usufruire del mio secondo blocco di ferie di quest’anno e in generale, mai come in questo periodo, non ho ragioni per dirmi particolarmente stanca. Ho visto tempi peggiori, anche di recente. E così ho pensato che il bello di gustarsi una giornata così, imprevista e anarchica, sta proprio nel suo essere totalmente gratuita, priva di meriti e premi per uno sforzo imposto. Che male c’è? Nessuno si è fatto male per questo ed io mi sono concessa il diritto, per una volta, di respirare al mio ritmo naturale, facendo caso a come possa essere percepito in modo profondamente diverso il tempo quando decidi di non pianificarlo e piuttosto che pensare alla vita che hai davanti, ti accontenti di gustarti tutta la giornata, perché in fondo è un progetto pure questo, ma con risultati visibili a più corto giro.

Non sono una persona felice, direi neppure serena. Non credo che questi siano diritti acquisiti, però continuo a fare dei tentativi, a correggere comportamenti e punti di vista, a trovare il coraggio di provare vergogna per tutte le cose sbagliate che ho detto e fatto in passato, a fare sforzi per ottenere quello che vorrei perché mi pare una condotta intimamente sensata e giusta. Però qualche volta, e senza che diventi un’abitudine, ho bisogno di deviare in modo scellerato e inconsulto dalle mie regole, di non controllare niente e assecondare un approccio totalmente selvatico al fare le cose. Fa parte dei tentativi ad essere felice. E per ora mi sembrano loro i più riusciti

martedì 2 maggio 2023

Contenta. Forse quasi felice

 I viaggi non troppo lunghi mi piacciono perché conservano intatto quel senso di gioiosa avventura, non troppo programmata ma condita di un’ansia leggera di fare e vedere il più possibile unita all’idea che, se anche non dovesse andare tutto come previsto, si tratterebbe pur sempre di pochi giorni. Erano anni che volevo vedere Praga, ma non volevo solo passeggiarci o guardarmi intorno come una sprovveduta e così, prima di partire ho comprato una card, valida per l’intera durata della mia permanenza, che mi avrebbe dato libero accesso a tutti i musei, le mostre, le mini crociere sul Moldava, le attrazioni, le sinagoghe, lo zoo, il cimitero ebraico, gli autobus turistici…ho fatto tutto quello che ho potuto con le opportunità che mi ero garantita già da casa. Inutile precisare che è stata una folgorazione: città fantastica per bellezza, storia, per il fascino che mi ha restituito, per il tempo sospeso che mi ha donato per pensare anche ad altro, per rompere con la routine di una città che non riesco a non amare ma che mi succhia davvero tantissima energia. Con gli anni ho capito che devo impormi qualche distacco periodico da Milano altrimenti mi diventa insostenibile conservare ritmi e abitudini ormai cristallizzate tra bisogni ed obblighi costanti. Intanto già penso a quale potrebbe essere la mia nuova meta di breve periodo. Mi pare molto sano anche semplicemente proiettarsi e pensarsi altrove con scadenze più o meno attendibili.

Non è successo solo questo. Col rischio di sembrare pazza, ribadisco lo stato di grazia che mi ha regalato l’ultimo film di Moretti: il mio approccio è sempre lo stesso quando vedo un suo nuovo film. Prima ho bisogno di sapere cosa provo nell’immediato. Poi però mi concedo sempre un tempo molto dilatato per ripensarlo smontandolo, soffermandomi su parole, inquadrature, parti di film, provando a cogliere stratificazioni, sfumature, allusioni, un pensiero nascosto sotto altri ed altri ancora. Il suo ultimo film è stato un atto d’amore verso chi lo conosce profondamente e profondamente lo ama. E’ per questo che comprendo la perplessità di chi si rapporta ad esso sprovvisto di questa dotazione iniziale che mi pare necessaria, ora più di sempre. Una meraviglia pazzesca. Chi pensa il contrario è solo perché non ne ha colto la grandezza fuori dal comune.


Siamo già al quinto mese di un anno che mi ha regalato più di quanto sperassi dati i presupposti di un 2022 che ancora non mi capacito di aver superato da viva. E’ curioso ma in fondo mi basta sapere di non essere innamorata, di aver capito come funziono in certe dinamiche e di non poterle in alcun modo modificare, di veder gli anni passare con la leggerezza di chi in fondo voleva solo quello che fin qui è riuscita ad ottenere, per pensare che il tempo non aggiusta le cose ma offre la prospettiva giusta per osservarle con lo spirito adatto. 


Chi ha letto questo diario anche nei primi anni si sarà reso conto, almeno in certi casi, di quanto fossi addolorata per i miei incontri sbagliati, amori che tali non erano e più o meno esplicite amare costatazioni sulla mia incapacità di tradurre in realtà concreta il mio desiderio di trovare il vero amore. Oggi credo che in fondo sia stato giusto così, non perché gli altri fossero sbagliati o perchè ero io ad esserlo (oppure sì, ma preferisco concentrarmi sull’analisi del risultato in questa fase). La verità, semplicemente, era che ho sempre inseguito un’idea di rapporto che credo sia impossibile trovare, o meglio, che io non sono riuscita ad intercettare e raggiungere quando mi sarebbe piaciuto. Succede, soprattutto quando non vuoi dei figli e neppure forme tradizionali di “stabilità” fatte di mutui, divisioni esatte dei compiti e gestione pratica delle incombenze. Succede, quando incontri uomini che stanno soltanto cercando di dimenticare qualcun’altra, vogliono diventare padri, ti fanno i conti in tasca, ti vedono solo come l’angelo del focolare con piatto a tavola e casa in ordine, quando la monogamia questa sconosciuta…succede anche che forse è tutta colpa mia che non capisco mai niente di tutto questo in tempo, che non so gestire il compromesso, che fa parte della parte prosaica della vita mettere in conto pure “chi fa cosa” altrimenti non si va d’accordo…


All’improvviso mi piace davvero di più stare così, senza neanche più desiderare di innamorarmi, sul cuscino morbido di tutti gli scampati pericoli, i sotterfugi evitati, i litigi e le tensioni stroncate a monte, la pesantezza della convivenza. All’improvviso il problema, ma anche la soluzione, ero davvero soltanto io.

Una volta un ragazzo, che al tempo aveva 32 anni e già tre figli grandicelli, mi disse una cosa che mi colpì molto. Gli avevo chiesto come mai fosse diventato padre così presto e già per tre volte. E lui mi rispose così: “Perché da quando hanno cominciato ad interessarmi sessualmente le donne non ho fatto altro che cercare quella che mi sarebbe piaciuto fecondare”. Mi colpì moltissimo e così non l’ho mai più dimenticato. E’ una delle prime cose che mi vengono in mente quando ringrazio il cielo di non avere avuto figli e nessun uomo che mi abbia fatto cambiare idea.


Forse sto esagerando nel sopravvalutare i primi mesi di un anno che mi pare bello solo perché è venuto dopo anni terribili un po’ per chiunque. Forse sto semplicemente invecchiando senza troppe rogne e senza l’angoscia di morire sola, visto che in fondo, se così fosse, cosa cambierebbe davvero? Mi piace questa strana forma di coraggio che non sapevo di avere e che mi pare un sereno adattamento a quello che non ho davvero scelto ma che in fondo ho davvero sempre voluto senza riuscire ad ammetterlo.

Sta di fatto che sono appena stata a Praga. Ho visto una marea di cose. Ho pensato tutto il tempo al film di Moretti. E non ho desiderato proprio nient’altro. Quanto manchi per essere felice davvero non saprei. Ma sono contenta lo stesso