Sola andata

Sola andata

venerdì 31 luglio 2020

E tu? A cosa sopravvivi?

- Guarda che con me non puoi imbrogliare
- Ma figurati...ma figurati. Giammai ci pensavo...
- E allora ammettilo
- Cosa?
- Che ti servi di me tutte le volte che non sai come sfogarti ma ti va lo stesso di farlo. Tu mi usi
- Ma perché dici questo? No. È che ho bisogno di un po’ di comprensione. È un’estate complicata, ancora niente mare, in ufficio sempre tutta sola, a casa pure e così ieri al parco mi sono messa a fare quella lista
- La lista...un’altro di quegli espedienti facili per i pigri che non vogliono articolare ragionamenti complessi quando vorrebbero cimentarsi a spiegare come stanno le cose e perché accadono
- Forse hai ragione però quella che ho messo insieme mi ha divertito molto. Sai, quando stai seduta al parco per un po’ di tempo ad un certo punto i pensieri si mescolano ai ricordi, tessendo una trama così disordinata che se riesci ad estrapolarne una lista può essere che sia proprio lei a raccontarti qualcosa
- Continuo a pensare che stai facendo la furba. Ma starti a sentire rientra tra i miei compiti ingrati...allora, fammi vedere...
- E dai magari la trovi divertente quanto è sembrata a me. Sono giorni un po’ così. Abbi pazienza, faccio fatica a fare qualsiasi cosa e non so perché
- Fai fatica perché non hai più vent’anni. E neppure trenta...
- Il punto è proprio questo. Sto invecchiando eppure non penso di stare peggio di quando ero bambina e avevo più forza di oggi. Il disagio mi accompagna da sempre, anche se per ragioni differenti. Direi che mi definirei una sopravvissuta a ciascuna delle mie epoche della vita...tranne che ai trent’anni che -  come sai -  sono gli anni in cui mi sentivo perfetta (chissà poi perché)
- Sopravvissuta? Hai fatto una lista su questo?
- Beh, in qualche modo direi di sì. Per ciascuna fase della mia vita il mio disagio è stata una specie di lotta contro un tempo che non sentivo davvero mio. Ti faccio un po’ di esempi

Sono sopravvissuta:
Anni ‘80
Ai tegolini con l’olio di palma
Al tempo delle mele (1&2)
A kiss me Licia
Alla dittatura dello zaino Invicta
Ai prof che fumavano in classe
Ai capelli cotonati
Alla saga di Dallas
Allo “ciao” senza casco
Agli ombrellini di carta negli aperitivi
Al gelato gusto puffo
Alla diamonica
Anni ‘90:
- Al liceo scientifico
- A un inutile fidanzato
- All’esame di diritto commerciale
- All’aerobica in body
- Ai jeans a vita alta
- Ai film con Madonna protagonista
Anni 2000:
- Ai “devi trovare un posto fisso”
- A “Mi licenzio”
- A una coinquilina sonnambula
- Alla crociera ai Caraibi
- Ai concorsi pubblici
- Ai “ok mi sono sbagliata anche con lui”

...e così via...
- Però nei 2000 avevi anche 30 anni, quelli in cui ti sentivi perfetta
- Eh...ma i trent’anni passano. Sono i 2000 che restano...
- ti perdono anche stavolta. Sfogati pure piccola mia. Ne hai tutte le ragioni





lunedì 27 luglio 2020

Era proprio necessario? La domanda è mal posta

C’è una cosa che mi imbarazza moltissimo e della quale sono la prima a stupirmi. Da un po’ di tempo ho scoperto che qualche avventore legge dei miei post risalenti al 2015. Mi sono persino incuriosita per quei titoli ormai estranei anche a me stessa, ci clicco sopra e mi metto a rileggerli. Il più delle volte mi ritrovo catapultata in questioni ormai sopite da tantissimo tempo, a rivivere sensazioni evaporate e rimpiazzate da tutt’altro, risolte in una bolla assieme a tutti gli equivoci dipanati molto banalmente dalla prova dei fatti. È tutto così strano ciò che viene osservato con gli occhi e la consapevolezza del poi. Ma quello a cui non avevo proprio pensato è il mio imbarazzo attuale: vorrei dire al mio lettore di oggi che quelle cose sono tutt’altro da come le vivevo io a quel tempo, che oggi potrei giurare che non mi soffermerei con quei termini su certi episodi. Addirittura si è messo a leggere un post dove raccontavo di aver dato un bacio a tradimento a uno. Sì, so di averlo fatto davvero (e fu l’unica volta in tutta la mia vita in cui mi sono ritrovata a fare una cosa tanto assurda) ma detta così come l’avevo scritta mi dipinge come una pazza bisognosa d’affetto. In realtà fu una cosa molto buffa, tenerissima, dettata da sentimenti che ho deciso di non provare mai più perché non rappresentano più la mia attuale grammatica dei sentimenti. Vorrei dirgli che adesso sono proprio un’altra persona e che faccio i conti con dilemmi di tutt’altra natura che mi tormentano già da un po’ e che sembrano chiedermi più o meno sempre questo: “Ne valeva la pena?”.

Tranne che per le questioni sentimentali mi definirei un’assoluta testarda: se la mia motivazione è seria io proprio non mollo. Posso starne certa. Invece per tutto il resto, quello che non concerne la volontà, mi rendo preda esclusiva degli avvenimenti. È stato così che ho subito senza strappi la mia destinazione lavorativa: prima nelle Marche, poi nel mantovano. E poi a Milano. Mete mai scelte che ho sempre considerato frutto di un destino da assecondare. È stato così che ho deciso di comprare la casa in cui vivo e poi di trovarmi a subire il vocione di un detestabile uomo grassissimo che parla tutto il tempo con chissà chi dall’altra parte del mondo per notti intere. È stato così che la mia naturale attitudine alla tranquillità e al silenzio viene indebitamente compromessa da mesi.

Tantissimi anni fa ho avuto un fidanzato (l’unico che abbia presentato ai miei come tale e del quale conoscevo a mia volta la sua famiglia) che mi invitava a casa dei suoi solo perché sua madre mi insegnasse a cucinare come lei e che una volta, al telefono, mi illustrò un decalogo sulla buona moglie: si raccomandava che non mi trascurassi mai e a tenere sempre in ordine la casa. Giuro che questo mi è successo davvero. Ero molto giovane ma quella cosa fu per me un vero trauma. Con gli anni ho conosciuto uomini anche peggiori e oggi so che forse incappare in certi soggetti sia in qualche modo tutta colpa mia, nel senso che con altre donne sarebbero degli uomini meravigliosi. Come me invece diventano terrificanti. Continuo ad essere fatalista ma su questa cosa qui vivo di rassegnazione ormai pacificata.

Vorrei dire al mio lettore dei miei cinque anni fa che oggi ho risolto un sacco di quelle questioni. Che certi problemi non me li pongo neanche più, che altri li affronto con una risolutezza che sorprende persino me e che questi anni si confrontano con una persona sempre meno entusiasta del prossimo e del futuro, con la nuova dotazione di una buffa e pacificata perplessità sul presente.
Vorrei fargli sapere che il mio entusiasmo per Milano oggi mi appare progressivamente ingiustificato, che sono meno infelice di cinque anni fa ma infinitamente più stanca, che ho creduto un paio di volte di innamorarmi e invece ho scordato tutto e tutti senza considerarmi vittoriosa per questo.

“Ne valeva la pena?” La risposta esatta è no. Oggi so che la pena non vale mai niente di niente. Come un sacco di cose necessarie. Ma del tutto inutili.

P.S.ho detto all’amministratore che il vicino è insopportabile. Mi ha detto che adesso glielo dice lui. Quanto è normale pretendere di stare un po’ in pace? A proposito di domande poste male...

mercoledì 22 luglio 2020

Una vita attiva_bile


Pare impossibile essere già a fine luglio. È passata più della metà di un anno in cui mi trovo a dirmi fortunatissima solo perché viva, non malata, con ancora un lavoro e senza morti per cui piangere. Eppure anche per me nulla sarà mai come prima. Me ne rendo conto da quando apro gli occhi al mattino,  quando bevo il caffè, quando mi preparo il pranzo. Lo capisco quando cammino in una città che non riconosco più, quando entro nei cinema vuoti, quando vado in ufficio e lo spazio di condivisione ora è tutto mio. È così strano pensare che in fondo la qualità della mia vita sia di fatto tanto migliorata eppure io non riesco a trovare la giusta logica alle sensazioni così inedite. Davvero non so come ritarare il mio modo di percepire il presente.

Ci cascano sempre. Non c’è niente da fare, quando voglio che emerga il mio lato cattivo sono loro a darmi le soddisfazioni maggiori riguardo alle mie convinzioni sul genere umano. Forse è perché mi sono avvicinata ai social partendo dal mondo dei blog e questo vuol dire prediligere, anche in modo involontario, l’argomentazione e il pensiero articolato rispetto agli slogan o alle affermazioni categoriche, quelle che prestano il fianco a provocazioni o reazioni divisive. In questi casi è guerra certa. E qualche volte me la cerco. Mi basta dire che non invidio nessuna madre di bambini capricciosi, che il nord è più evasore del sud, che il privato non è meglio del pubblico, che chi pensa male di Lars Von Trier è perché in realtà non lo ha capito...cose così, pareri personalissimi posti in modo irritante e in grado di generare delle reazioni così esplosive che mi domando come sia possibile che non esista ancora qualcuno che abbia dichiarato guerra per rivendicare il tempo di cottura della pasta. Il tasso di permalosità sui social è centuplicato e non sempre mi è davvero chiaro il perché.
A volte rimango spiazzata, altre mi diverto moltissimo pur sapendo di essere una che fugge da tutti i conflitti possibili e che mi offendo quasi subito e poi che non credo nel valore del dibattito e nella sua capacità di modificare realmente il pensiero originario di chi è già persuaso di una propria convinzione. Il cambio di mentalità credo che  necessiti di altri canali, diversi dal confronto dialettico. E così, ogni tanto, mi metto sulla tastiera, lancio qualche provocazione, leggo le reazioni, rispondo, mi accorgo che il mio interlocutore non è capace di argomentare, provo a stressare fino in fondo la sua rabbia, e arrivo a fargli dire cose di cui probabilmente in condizioni normali si scandalizzerebbe lui stesso. Poi però di solito si arrende e io trovo così conforto riguardo alla mia idea sul nostro essere delle creature tanto prevedibili. Forse è proprio questo che ci manda veramente fuori di testa. Mi basta poco per farmi contenta, persino avere ragione della banalità mia e quella degli altri.

Mi definirei una buona ascoltatrice, soprattutto da quando ho imparato a parlare sempre di meno, ma fuggo dai logorroici che hanno semplicemente bisogno di qualcuno per parlare solo a se stessi. C’è stato un tempo in cui una mia coetanea mi tediava per ore con le sue storie patetiche su come gli uomini la usassero. Credo di averle ripetuto cinquecento volte cose che lei puntualmente non metteva in pratica ma che non la dissuadevano dal perseguitarmi continuando a farmi sapere come la trattassero come mero oggetto sessuale . Un giorno mi disse una cosa del tipo “sempre meglio di come hai deciso di fare tu, che di fatto non vivi”. Non smetterò mai di ringraziarla per quel pretesto formidabile che mi offri l’occasione di non avere più nulla a che fare con lei. Mi finsi offesa e le dissi che non avrei mai più dato ascolto ai suoi monologhi infiniti è sempre uguali a se stessi. Che bello.

Nella mia vita “reale” ho imparato a non innescare mai litigi e a ridimensionare ogni situazione di conflittualità. In quella “virtuale” amministro un mio mondo in cui provo a trovarmi simpatica, articolo meglio i pensieri, provo a giocare con i paradossi e lascio emergere la parte cattiva giustificandola con pretesti a scopo conoscitivo. Tutto, pur di non diventare una noiosa logorroica che cerca gli altri semplicemente per continuare ad ascoltare sempre e soltanto se stessa

lunedì 13 luglio 2020

In estate. Io ci sto

Non ce n’è per nessun’altra. Per me solo l’estate vale. Delle altre stagioni non so proprio che dire e se non ci fossero non ne sentirei alcuna mancanza. Non mi importa del caldo che fa, e neppure dove sono o se sono o no diretta da qualche parte vicina o lontana. Non mi importa se sono sola o in compagnia, se lavoro o sono in ferie. Quando è estate sono sicura che sarò più felice che in qualsiasi altro momento dell’anno, a parità di condizioni. È una specie di bonus di endorfine che agisce direttamente sul mio stato d’animo, donandogli equilibrio e armonia. E questo fatto rimane intatto anche se mi trovo in quella fase malinconica in cui coltivo pensieri cupi sulla mia vita, sulla qualità del mio tempo e del mio modo di stare al mondo, anche quando penso che i miei siano un po’ rammaricati della mia decisione di starmene per conto mio in un modo così categorico e ormai intransigente.
L’estate è il mio cambio di prospettiva sul mio quotidiano, sono le lunghe passeggiate del tardo pomeriggio, è dormire sul divano con la finestra aperta, è la luce domestica che regala a questa casa un’atmosfera frizzante di accoglienza e di festa. Sono i libri letti sul pavimento, le insalatone già pronte nel frigo, è girare scalza e con un impalpabile vestito di cotone da tre euro. È la mia panchina storica al parchetto fuori casa. Persino il sudamericano si è zittito col caldo...spero che stia bene.

Qualche volta il mio papà mi chiama la sera e ultimamente pare non veda l’ora di raccontarmi che tutti i figli dei suoi amici stanno per divorziare. È successo in realtà solo due volte, ma mi sono bastate per chiedermi perché lo abbia fatto. Poi ho pensato che forse, in un modo tutto suo, stesse cercando di darmi ragione, magari provando a capire cosa stia succedendo ad una parte della mia generazione che vive i rapporti di coppia in un modo diverso da quello della sua. Forse vuole consolarmi, senza sapere che non ne ho affatto bisogno, e che comprende questa mia strana dimensione di attesa a tempo indefinito dell’incontro certo, che non voglio più fare tentativi in nome di chissà quale paura di restare sola. Forse ha capito che non funziona così e che si può stare davvero molto male quando ci si lascia tra avvocati o rancori da legami posticci. Sì, forse mi racconta queste cose perché in qualche modo si sta rendendo conto di cosa vorrei davvero dalla vita e cosa vorrei esser certa di evitare.

L’estate dura troppo poco per giustificare tutti quei mesi di freddo e di buio, tutti passati attaccata al termosifone, col raffreddore, la pioggia, il ghiaccio del mattino, il brodo...non ne vale per niente la pensa. Bisognerebbe andare in letargo per decreto per almeno nove mesi. 
E poi svegliarsi alla fine di maggio, farsi un bel massaggio per fronteggiare la prolungata atrofia, mettere un rossetto chiaro per ravvivare l’incarnato, indossare un paio di jeans a zampa, una canotta bianca e aderente con una collanina coloratissima. E poi sorridere e uscire a riconoscersi. 
In alternativa va bene anche così: dormire sul divano, lavorare in un ufficio vuoto, passeggiare fino allo stremo all’anello di Linate, sedersi alla panchina a leggere un libro in cui tutto va come deve andare. E tornare a casa. Con l’insalata pronta e la finestra aperta ad accogliere l’ultima luce. Così. Fino al prossimo letargo.

Buona estate. Qualsiasi cosa significhi per voi

mercoledì 8 luglio 2020

Un bagno nel blu

A giudicare dal preventivo che mi ha presentato direi che sto per ristrutturare il bagno dei Casamonica. Mio padre, come al solito, mi ha detto che mi sono fatta imbrogliare, che con quei soldi ci ristruttura tutta casa sua e gli fanno pure un monumento di riconoscenza. Forse ha ragione, ma il mio istinto mi dice di fidarmi di quel signore gentile e paziente che ha preso meticolosamente le misure, assecondato il mio bisogno di vedere e rivedere tutto il catalogo delle piastrelle, rubinetti, persino del vetro della doccia e inezie  varie da bambina capricciosa. E poi mi regala pure il televisore e mi ha garantito che mi finiscono tutto il lavoro in cinque giorni. 
Alla fine ho deciso di tenermi questa cuccia assurda e con un po’ di chiasso intorno e di mettere a nuovo il bagno. C’è sempre tempo per fuggire altrove e io vorrei tanto farlo in compagnia di qualcuno. Possibilmente. Nel frattempo provo a stare ancorata a questo strano posto come meglio posso. Così è deciso.

Comincia a fare molto caldo. In ufficio sto ancora piuttosto bene nella mia quasi totale solitudine e Milano mi pare alquanto vuota, ma mi sento molto fiacca e dormo troppo poco. Forse dovrei accettare qualcuno degli inviti a cui mi sottraggo sempre con scarse motivazioni. E poi dovrei finalmente cominciare ad imparare a sentire tutto in un modo diverso. E forse è vero che il mio bagno nuovo costa troppo, ma se viene come me lo tengo in testa sarà bellissimo. E se invece non sarà così? Può darsi che a quel punto comincerò a sentire che questa casa non sia più davvero mia e ad applicare un po’ delle mie tecniche del distacco che qualche volta mi tornano utili, quando capisco che si è concluso un percorso. Anche se dovrò farlo tutta sola.

Sono maledettamente stanca. Vorrei fare uno dei miei viaggi in solitaria in un posto di mare dove si rimane in costume tutto il giorno e con quella sensazione di pelle asciugata dal sale. Vorrei chiedere ad uno qualunque dei miei passati amori come hanno fatto a farmi battere così forte il cuore. E come mai oggi questa cosa non mi riesca più. Secondo me è che sono stata proprio brava a riuscire a smettere. Vorrei mangiare una fetta di cheese cake in un posto figo di Milano parlando di qualche film bello con qualcuno. E poi vorrei finalmente indossare il vestitino nuovo che ho comprato da un po’ di tempo e che poi non ho mai avuto voglia neppure di sapere come mi stia.

Sono contenta di fare il bagno nuovo con tutte le piastrelle blu. Davvero. Non vedo l’ora che comincino i lavori.

domenica 5 luglio 2020

Sentirsi nel posto giusto. O perlomeno sentirlo così

Ho aspettato fino a ieri. Dopo circa quattro mesi sono ritornata al cinema. Ho scelto uno di quei piccoli cinema di quartiere, dalla parte opposta della città così da impormi di passare per il centro e ritrovare luoghi da cui sono stata lontana per un sacco di tempo. Sono andata allo spettacolo dell’ora di pranzo: un film in lingua originale. Sono uscita di casa piuttosto presto e con il pranzo al sacco da consumare ai piedi del Duomo, dopo aver ritirato delle cose alla biblioteca Sormani. Poca gente, abbastanza silenzio, molto caldo. Il mio panino era squisito.

Ho camminato per tutto il corso e sono arrivata fino a Porta Venezia, ho mangiato un Mcflurry al bounty che ho molto apprezzato, ma continuo a preferire quello allo sneakers. Il film era talmente bello che nessuno ha osato fare la cosa che temo di più al mondo e cioè accendere il telefonino in sala. Tutto è filato liscissimo e io sono rientrata a casa con quello strano senso di pienezza e di pace che mi mette sempre un po’ in imbarazzo tutte le volte che continuo a trovare sufficienti cose così minuscole per stare serena. Appena rientrata ho dato lo straccio al pianerottolo fuori al mio uscio e alle scale della porzione di corte in cui abito: dovremmo fare una turnazione tra quattro famiglie, ma non si rispetta mai e allora lo faccio io tutte le volte che posso...che non è così spesso...ma vabbè...

Sto studiando un po’ di soluzioni per ristrutturare il bagno, liberarmi di un po’ di mobili, cambiare il colore delle pareti, creare una nuova disposizione all’accoglienza. È da un po’ di tempo che medito di traslocare e fare un salto di qualità domestica e di quartiere, però alterno quello che è un bisogno ormai maturo con la voglia di giocare ancora un po’ con questo posto assurdo e un po’ freakettone che a volte mi irrita ma ancora mi affascina molto. Mah proverò ad intercettare la soluzione ottimale man mano che rifletto su questa cosa.

Sto pianificando le mie ferie. Tornerò giù dai miei a fine agosto e credo che ci resterò fino ai primi di settembre. Lo scorso anno, nello stesso periodo, mi ero regalata il festival del cinema di Venezia. Non mi ci volle molto tempo per capire che non fa per me tutta quella folla, le file, la maleducazione dei veneziani e la loro insofferenza nei confronti di chi viene da fuori e che accolgono solo per avidità. Credo di essere l’unico terrestre ad odiare Venezia. Ad ogni modo, se dovessi mai tornare a quel festival adotterei la strategia di vedere solo i film della sala Volpi. I più belli che mi ricordi e che spesso non approdano in sala.

È da un po’ di tempo che faccio una cosa di cui ancora non ho mai parlato. Credo che proverò a farlo tra qualche tempo, quando saprò bene che tipo di esperienza è stata davvero. Per ora direi che è stata una cosa strana, un po’ faticosa, a sua modo illuminante. Poi racconto.

Oggi c’è un sole splendido e una luce in casa che quasi mi costringe a sgusciare fuori, portare dietro un libro qualunque, il ricordo del sogno di stanotte, qualche piccolo oggetto di cui liberarmi e il pensiero  a qualcuno a caso cui tengo.

Ho fatto colazione con dei pancakes di avena e farina di cocco, frutta e yogurt. Sono a posto. In un posto che ancora sento mio. Anche oggi mi lamento un’altra volta. Non mi pare affatto poco