Sola andata

Sola andata

giovedì 26 maggio 2022

Nostalgia del presente

 Non mi piace che passi troppo tempo tra un aggiornamento e l’altro di questo mio diario pasticciato nel quale faccio convergere le cose che mi capitano, quelle che tengo sospese nel limbo delle ipotesi auspicabili e le riflessioni folli, o fin troppo ragionate,attorno alle quali provo a plasmare la mia condotta più rappresentativa. Se non scrivo per troppo tempo vuol dire che qualcosa non va. Quel tempo sottratto non è mai destinato a qualcosa di meglio o che mi rende più felice. E’ un tempo morto, figlio di indolenza o – peggio ancora – di tristezza non codificata, quella che mi assale quando mi pare di non riuscire a fare un passo avanti degno di uno sforzo qualunque. Io mi sento così in questi giorni dalla stanchezza atipica, quella fatta di mancanze e di attese senza conforto. Mi è capitato altre volte e con gli anni la “fortuna” è quella di accorgermene quasi subito per provare a rimediare più in fretta che posso. Stavolta ho pensato all’arte: una mostra ogni settimana, una guida esperta che mi racconta bene la meraviglia e poi lunghe passeggiate per il centro affollato. E’meraviglioso. Lo farò anche quando mi sembrerà di essere già abbastanza felice. 

Ieri mi ha scritto una persona chiedendomi se fossi proprio io la Lucia di “Passami il sale”. Gli ho risposto di sì e che lo ringraziavo di investire un po’ del suo tempo per leggermi. Lui ha ringraziato me e mi è sembrata una cosa molto tenera e che tendo a dimenticare: è curioso scrivere perché rimane un atto solitario che poi, potenzialmente, può leggere chiunque in qualsiasi momento, pure mentre tu ormai stai facendo altro. Eppure intantoè avvenuta una connessioneE’ una cosa veramente magica. Mi ha fatto bene averne una prova così preziosa.

Come sorridevo fino a due anni fa? Per cosa mi emozionavo e di cui ho dimenticato pure i contorni? Perché mi pare tutto così drammaticamente diverso da allora e ormai non più recuperabile? Non mi è davvero chiara la ragione per cui ogni cosa mi pare cambiata pur nel suo essere da sempre esattamente come è. Stavo amando qualcuno che poi non ho più visto? Facevo esperienze che mi sarebbero state di ispirazione se non così bruscamente interrotte? Cosa pensavo appena sveglia? E prima di addormentarmi? Perché non mi ricordo più niente? Mi ero detta che avrei contattato una associazione di volontariato per rendermi utile a qualcuno in questa fase. Perché non l’ho più fatto? Perché mi interessa di più la sorte di un cane che quella di uno sconosciuto? Perché non mi piacciono i bambini? Non so niente. Non ho più voglia di darmi spiegazioni o giustificarmi per colpe che sento di commettere anche soltanto col pensiero. Non riesco più a distinguere tra il tempo vissuto e quello semplicemente perduto e neppure a provare vero rammarico per tutto questo. Passerà. Lo so. E solo dopo capirò quanto sia stata davvero ingiusta.

Ora vado a vedere il film di Martone. Si intitola “Nostalgia”. E’una parola bella. chissà quanta ne servirebbe per farci stare sopra un presente talmente ingombrante da sembrarmi persino eterno

lunedì 16 maggio 2022

Guarda come dondolo

 Qui a Milano sono giorni da estate quasi torrida. Ma di sera ritorna il fresco e allora mi copro ancora troppo quando vado a dormire e così ad un certo punto della notte mi sveglio tutto sudata. E allora tolgo la coperta, ma ormai ho interrotto il sonno in modo irreparabile e così preferisco scendere dal soppalco e godermi la sedia a dondolo posizionata nel punto in cui prima c’era un divano troppo grande per una stanza così piccola. E me ne sto lì fino all’alba, quando metterò su il primo di due lunghi caffè e farò il mio allenamento spacca cuore. Ma prima di quella routine me ne sto lì, con gli occhi chiusi e il battito ancora lento e penso a quello che mi succede in questa strana fase della vita, in cui la gente non sa bene se darmi ancora del tu o ritenga più opportuno il lei, e a come sarebbero andate le cose se le circostanze fossero state diverseE’ un esercizio divertente e non giudicante. E poi, da fatalista, ritengo che tutto sia in fondo sempre esattamente come deve essere e, anche se questo non ci assolve da colpe o arrendevolezze, è innegabile che crederlo sia il più delle volte alquanto consolatorio. E così ho pensato a quanto io l’indipendenza, una casa tutta per me, l’assenza di una famiglia da costruire siano state priorità che ho sempre portato dentro quasi come una parte integrante del mio codice genetico. Da quando ho memoria di me. Sempre, pure quando ho creduto che ci fosse un lui al centro dei miei pensieri con cui provare a progettare un futuro condiviso. Io portavo dentro l’idea di andare via lontano, mantenermi da sola e non cadere nella trappola dell’orologio biologico, degli ormoni che inducono alla scelta  razionale nè profondamente emotiva del vero amore, del mutuo condiviso, delle vacanze da decidere assieme e di tutti gli altri innumerevoli compromessi, quelli che pare sì una cosa bella, in realtà alla lunga stufano chiunque, perché mortificare un po’ della propria volontà è sempre un po’ morire. Peggio ancora pensare di imporre la propria a qualcun altro. Io una famiglia non l’ho mai voluta. L’ho capito quando vedevo le amiche giocare di strategia: “mi metto questo”, “gli dico questo così gli lascio intendere quest’altro”, “non rispondo oggi. Lo faccio domani”… e tutte le mille astuzie del gioco in apparenza gioioso (nei fatti tremendo) della seduzioneche io non riuscivo neppure vagamente a praticare.

No, io non c’entro niente con queste cose. E purtroppo neppure con quelle altre, le frequentazioni autentiche, basate su interessi comuni, affinità, confidenza profonda. Io non mi sento mai all’altezza di niente. Non è il mio pane. Prevarranno sempre timidezze e timori, stanchezza e autosabotaggio. E questi per me sono segnali chiari di una naturale vocazione alla mia vita così come è diventata quello che è oggi. Lo dico a beneficio di chi ancora mi dice, bontà sua, di trovarmi bella o speciale. E invece vorrei che capisse che è solo perchè mi conosce poco e male. La verità è che un po’ mi piace pensare che non sia ancora il momento per quell’amore maturo e pieno, che lascio nelle retrovie dei miei percorsi alternativi e dall’altro penso che invece sia già troppo tardi, che i what if  ormai non trovano più posto nel segmento residuo di un’esistenza così cocciutamente vissuta per sottrazioni continue. 

Per fortuna poi l’alba arriva presto e con lei spariscono tutti i se e i ma che non hanno mai fatto nessuna storia. Alla prima luce, e senza più neppure un po’ di sonno, mi alzo dalla mia sedia a dondolo, accendo la radio, mi sintonizzo sulla realtà. E bevo il mio primo caffè. Forse il momento più alto di ogni mio inizio. Poicomincio a sollevare pesi. Non mi riesce mai di fare diversamente: ho bisogno di avvertire sin dal primissimo mattino la stanchezza del quotidiano, finire mentre ancora tutto intorno tace e poi pensare che – finalmente - da quel momento sia tutto più facile. Persino per me

lunedì 9 maggio 2022

Hai presente il futuro?

 Milano è tornata ai vecchi fasti. Strade gremite, mostre, concerti, un sacco di gente che passeggia, che si veste bene e mi pare di nuovo feliceE’ stato un week end grondante di vita, di quella che in parte riguarda anche me e mi è sembrato davvero molto bello. Ah poi in realtà nulla di che: una bellissima mostra a palazzo reale, un film al cinema, un po’ di incontri in giro per la città e le librerie, qualche complimento bello da qualcuno e che onora il mio essere donna ma che in fondo non sento più di meritare, il parco fuori casa dove leggere e contare tutti i toni del verde…sarà la primavera e un’aria che proviamo ad alleggerire malgrado tutto, sarà che scopro solo ora quanto mi sia mancata questa città e il mio desiderio di percorrerla continuamente, sarà che pure il mio vicino un po’ scemo mi pare meno insopportabile da  quando si limita a vaneggiare, ubriachissimo, soltanto nel pomeriggio e non più di notte. Sarà che non ci voglio neppure pensare che un giorno potrei andarmene da Milano e che proprio sulla falsariga di questo trauma futuro mi pare di vivere questo tempo alla maniera di certi amanti adulterini che non vogliono perdersi neppure un istante di passione. Mi accorgo solo adesso di quanto sia stata devastante questa “apnea” durata più di due anni e che in fondo uscirne sia stata più una scelta dettata dall’esasperazione che da una legittima normalizzazione . Non va tutto bene, ma a volte forse è necessario prendere una pausa pure da urgenze su cui abbiamo un controllo troppo scarso per assumerci costantemente  ogni colpa.

Di questo ultimo faticosissimo mese salvo ogni cosa: l’eccesso di lavoro, i miei allenamenti antelucani (che testimonio con foto da devastazione fisica manco fossi una di quelle invasate da TSO tipo Jill Cooper) che mi servono a gratificare il mio bisogno di disciplina e a dare equilibrio ad un umore nato ballerino, i mobili che ho dato via da una casa che vorrei completamente rinnovare e per la quale mi darò tutto il tempo e la cautela per farlo. Salvo la mia percezione non più così drammaticamente sconsolata riguardo a quella parte del mio quotidiano che mi procura disagio. Tanto per dirne una giusto come esempio: nei giorni immediatamente successivi all’aumento del carburante ho provato a vedere quante automobili con un solo conducente ci fossero nella trafficatissima strada che percorro per andare al lavoro. Erano praticamente tutte. Credo che sia ragionevole non riuscire a modificare le proprie abitudini, chi sono io per scandalizzarmi di questo? Non ce l’ha fatta la narrazione che vede come imminente il pericolo di una catastrofe ambientale, non ci riesce l’incubo di una prevedibile scarsità a breve nei rifornimenti di energia e neppure il sacrificio economico immediato e tangibile. Cosa potrebbe mai fare una mia eventuale indignazione? E così accetto i risultati dei miei irrilevanti sondaggi mentre passeggio allegramente fino all’ufficio con le mie cuffiette nelle orecchie e dopo una bellissima colazione che così muovendomi giustifico tutta. Nessuno può imporre la propria visione delle cose agli altri,se non sono essi stessi ad accoglierla e farla propria. E così sia, se altro non riesce ad essere.

Sto già pensando alle vacanze perché ho intenzione di fare una cosa un po’ particolare, in un luogo molto bello e nel quale andrei per la prima volta. Appena sarà tutto confermato lo racconto perché è una roba proprio troppo troppo ganza. Sono belli i progetti piccolini, quelli fattibili e a breve termine, non troppo ambiziosi ma a loro modo stimolanti e carichi di allegra energia e di tutte quelle piccole possibilità così  accessibili che ti pare di pregustarle già mentre le stai pensando. Sì, ho smesso di pensare al futuro come a un grande progetto in cui si compie tutta l’esistenza. Credo che sia un meccanismo normale quando “il tempo stringe la borsa”. A pensarci bene che bello: meno attese, meno pazienza. Quanta leggerezza. Non tutto il “subito” viene per nuocere. L’ho capito adesso

martedì 3 maggio 2022

Insonnia di una notte di mezza stagione

Che poi non è tanto il fatto di non riuscire a dormire abbastanza la cosa che davvero mi manda ai matti. Per questo prima o poi ci si abitua, il corpo si adatta e in fondo è più la qualità del sonno a contare che il numero di ore trascorse nel letto. Quello che faccio davvero fatica a gestire è il flusso strano e incontrollabile dei pensieri che si affastellano proprio in quel segmento temporale preciso. Da quando il mio vicino sudamericano un po’ scemo ha smesso di chiamare ad alta voce i suoi familiari quando è giorno soltanto per loro (lo feci presente all’amministratore e da allora è stato bravo) sono costretta a fare i conti con un silenzio così assoluto che mi pare incredibile di non riuscire neppure adesso a conquistare un sonno lungo, profondo e rigenerante. Il cambio di stagione non aiuta allo scopo e pure con questo ho dovuto imparare a far pace. E così mi ritrovo a pensare alle cose più assurde o che non mi sembrano così meritevoli di tempo e salute da investire. Eppure arrivano, ci giro attorno manco fosseroquestioni cruciali e impellenti. Per dirne una, stanotte mi è tornata in mente una vecchia signora, con la messa in piega appena fatta, abbigliata con sobrietà austera, che invita a partecipare allacolletta alimentare che ritrovo ogni anno fuori al supermercato di piazza Ovidio. Si presenta assieme ad un bambino, così fa ancora più tenerezza, ti mette in mano una busta gialla e con la faccia più santa che le viene ti chiede di fare la spesa per i poveri. Non sa e non le importa che tu probabilmente sia più interessato a sostenere altri progetti di solidarietà o che preferisca fare la spesa per il canile di Lambrate mettendo il cibo direttamente nei cestoni messi dalla coop vicino alle casse, senza che nessuno “inviti” a farlo. No. Lei farà in modo che tu senta il peso della sanzione sociale in modo da sentirti obbligato a fare la spesa perché è lei che te lo ha chiesto. E allora penso che in realtà io non sono infastidita dalle intenzioni quanto piuttosto dal metodo adottatoTutte le volte mi chiedo come si sentano gli altri, se provano disagio e fastidio come me, quelli che poi decidono che parteciperanno perché è giusto e pure perchè sennò con quale faccia usciranno soltanto con la spesa fatta soltanto per se stessi? E così tento di trarre delle conclusioni sulla base di quello che poi decidono di comprare e da mettere nella “busta gialla”. Alla fine deduco che se comprano del salmone da 35 euro per se stessi e poi scatolette di fagioli primo prezzo per i poveri allora per me il valore di quel gesto è pari a zero. Compartire vuol dire condividere le stesse cose, non discriminare rendendo in questo modo ancor più profonda, larga e umiliante la forbice tra chi ha e chi non ha. E no. Non è meglio di niente perché è proprio questo approccio ad essere indicativo di un atteggiamento che tende a perpetuare la miseria. Non a ridurla. 

Io invece faccio un’altra cosa, credo ugualmente meschina: io compro tutti i prodotti che mi regalano un sacco di punti fragola: non sono articoli primo prezzo ma a me garantiscono un portafoglio di punti che poi mi consente di ottenere un sacco di benefit. Meglio di niente? Meglio che offrire prodotti di qualità inferiore a quelli che prendo per me? Boh. Io ho comunque agito secondo egoismo lo stesso, adottando una logica utilitaristica e di personale tornaconto. D’altro canto mi piace comprare il cibo per i gatti da lasciare nel cesto della coop. Quello mi fa proprio piacere. Vai a capirne le ragioni. E vai capire perché di notte faccio di questi pensieri.


Una volta, un sacco di anni fa, in una trasmissione televisiva, di quelle del mattino dove si chiacchiera coinvolgendo pure il pubblico da casa, telefonò per dare la propria opinione la commessa di un negozio di lusso del quadrilatero della moda. Diceva di amare il suo lavoro perché adorava vedere ogni giorno signore ricchissime, impeccabili, sempre molto garbate, che non chiedevano mai lo sconto per comprare abiti che lei non avrebbe potuto permettersi neppure dopo anni di lavoro. Mi colpì moltissimo questa dichiarazione. Niente odio sociale, nessun ragionamento che includesse lo sfruttamento, le diseguaglianze basate su rendite di posizione, nessun accenno neppure vagamente piccato ad eventuali colpe ataviche che si basano sull’indebita accumulazione di ricchezza da parte di pochi a scapito dei più (pure delle commesse sottopagate del quadrilatero). No. Soltanto ammirazione per chi, proprio (e soltanto) perché molto ricco, sembra migliore in quanto a bontà, bellezza, educazione…

Questo io penso di notte, nel silenzio ritrovato delle mie notti più recenti.

I cambi di stagione sono sempre un po’ faticosi. Soprattutto quando non si capisce in che stagione si è e verso quale si sta procedendo. Dormirci sopra potrebbe far bene. E invece…