Sola andata

Sola andata

venerdì 31 dicembre 2021

Il primo caffè

 Io comincio adesso. In realtà ho salutato l’anno nuovo alle 3 del mattino (ora sono quasi le cinque). Non ho cenato per arrivare al nuovo anno completamente “svuotata” e salutarlo con una colazione ricca e propiziatoria. Sono felice che il 2021 sia finito. Per me è stato decisamente faticoso. L’ho detto più volte. Il 2020, al contrario, nella sua assurda modalità, mi aveva regalato nuovi spazi di “esplorazione” intima, mancanze che confermavano affetti e legami, una prospettiva differente del mio quotidiano che sono stati per me un patrimonio enorme di consapevolezza e creazione di ricordi. Forse è stato diverso l’approccio, i toni, lo spirito di fondo, innestati in una condizione che nel suo perpetuarsi ne ha mostrato tutti i limiti. Di questo anno appena passato mi porto dentro l’amarezza delle incomprensioni, dei toni del dibattito diventati improvvisamente troppo accessi, delle assenze che indeboliscono affetti, entusiasmi, esperienze condivise. Una svalutazione enorme del mio tempo che mi pesa molto. Dell’anno appena passato salvo la buona salute, che spero di continuare a conservare, la costanza nelle attività che considero fondamentali, il cuore senza ferite che ha fatto pace con il suo vuoto senza rimedio, i massaggi dalle mie fatine del benessere, i complimenti di un ragazzo più giovane, le mie cheese cakes. In fondo neppure male. 

Come sempre non faccio pronostici, propositi, elenchi di cose che mi auguro. Che senso ha ingabbiare un tempo che possiamo controllare solo in minima parte? Tutto quello che faccio io ad ogni inizio anno è soltanto onorare la ripartenza, godermi la pagina vuota e le sue innumerevoli ipotesi di declinazione. 

Ho fatto una colazione meravigliosa. Ci stavano dentro tutti i colori e i sapori che potessi immaginare. Ho fatto cinque giorni di rinunce per avere tutto l’appetito necessario a rendere questa esperienza prossima all’estasi. È stato magnifico. Se non avessi avuto così tanta fame non sarebbe stata assolutamente la stessa cosa. Per me questo vuol dire cominciare davvero. Sentire in modo chiaro ciò di cui si ha bisogno e vivere al meglio il momento in cui lo si trova. 

Mi manca solo un buon caffè.

La radio ha appena letto l’oroscopo e il leone lo mette all’ultimo posto. Ecco, benissimo. A proposito di ripartenza…non importa, se pure fosse vero, io non pretendo niente e non sto facendo nessuna gara con altri poveri cristi che sfidano a modo loro il quotidiano affare dell’esistenza. Io, a parte riuscire a non dare fastidio a nessuno,  non chiedo null’altro alla buona sorte. Voglio metterci, e rimetterci, tutto io.

Ho dormito troppo poco. Come da tradizione in fondo. Vorrei che non esistessero mai delle ragioni per avere sonno. Ecco. Questo, se proprio volessi averne uno,  potrebbe essere proprio un ottimo augurio.

Metto la moka.

Buon anno!


sabato 25 dicembre 2021

Se non ci fossi tu che non ci sei

 Caro Babbo Natale,

Ti scrivo perché da quando ti conosco non mi sono mai posta davvero il problema della tua esistenza. Non credo neppure in Dio eppure anche lui conserva una tale e costante incidenza nella mia vita che trovo paradossalmente piuttosto irrazionale fare la scettica con te che pure hai dato motivazioni e speranze ad una bambina che ha cominciato piuttosto male. Mi ha fatto bene pensarti allora, continua a consolarmi farlo adesso, a una età che pare non avere più pretese e in cui mi sento in diritto di lasciar correre, prendere quel che c’è senza pensare cosa altro potrebbe esserci di meglio, come potrei cambiare il modo di fare o guardare le cose che mi stanno intorno. Ti confesso di essere un po’ stanca. Di quella stanchezza che non ha vere ragioni, che non merita premi di produzione, che sente la fatica non tanto di ciò che è stato fatto quanto di quello che non si ha più voglia di ottenere. 

Sono anni strani questi dopo i quaranta e non mi riferisco solo agli ultimi due sui quale  nessuno avrebbe potuto muovere neppure le più vaghe ipotesi di previsione. Anzi, in fondo per noi persone tendenzialmente introverse, è stata una occasione irripetibile di esprimersi al loro meglio. Ricordo i primi tempi del lockdown più come una irripetibile avventura che come una privazione della mia libertà di movimento. Quello che è accaduto dopo, molto più amaramente ha rappresentato una lenta e inesorabile degenerazione in cui il conflitto, il vaneggiamento, il logorante perpetuarsi di una situazione da cui non si riesce a venir fuori è stato invece molto snervante. Ci sono persone a cui non voglio più bene, forme di rancore di cui non mi credevo capace, affetti che ho smesso di provare all’improvviso e senza appello. Scoprilo non mi ha fatto piacere. Ma vabbè. In realtà mi rammarico molto di più aver azzerato anche la sola ipotesi di poter conoscere il mio qualcuno del cuore. Ma poi mi ricordo che è così che continuo a prendermi in giro. Io non voglio conoscere nessuno. Non ne ho proprio voglia. Non funziona così, con l’esercizio della volontà. Lo so da sempre, fa parte di me. Al contrario, forse sono stata fortunata a restarmene lontana da chi mi sarebbe rimasto nel cuore senza poterci stare davvero. Evviva gli amori mai nati, se poi non sarebbero sopravvissuti.

Caro Babbo Natale, non vorrei annoiarti col mio modo un po’ fumoso di raccontarti a cosa penso quando arriva questo momento dell’anno in cui tu ti dai da fare ad inculcarci quel mood spirituale da occhi incantati davanti alle lucine intermittenti e plaid a quadroni. Io invece in questo momento sto rivedendo tutte le puntate di Bo Jack, una delle poche cose che mi hanno veramente cambiato la prospettiva in questi anni. Non scherzo. Eppure a vedermi mica penseresti che stia messa così. Manco l’ho trascorso da sola questo Natale e ho cucinato cose che giusto una moglie devota degli anni ‘50…tutto regolare, pulito, in ordine. Normalissimo. Lo capirei se ad un certo punto ti chiedessi da  quale punto in poi ho smesso di credere in te. Credo da quando ho imparato che la maggior parte dei miei desideri di sempre erano fasulli. Puoi immaginare quanto sia più frustrante ricevere un brutto regalo che non averne per niente? Hai idea dell’ingombro, la confusione, il non sapere  che farsene? Un giorno ho deciso di fare spazio e mi è rimasto il giusto. Assieme ad un sacco di posto tutto nuovo che non ho alcuna intenzione di riempire. Tutto lavoro in meno per te.

Caro Babbo Natale. Non so quanto ti sia di sollievo il fatto che esistano anche persone che ti scrivono dicendoti che non gli servi, che non hai nulla da portare loro pur restando una figura fondamentale per ridisegnare dei nuovi orizzonti personali. Vorrei che avessi il potere di portarmi delle occasioni da riconoscere, del tempo da non sprecare ancora, un primo pensiero fisso del mattino da gemellare con l’ultimo della sera, la capacità di perdonare e perdonarmi, e come sempre qualcuno che non mi renda così lieve la solitudine.

Caro Babbo Natale, la lettera di una quarantacinquenne che si barcamena tra Bo Jack e Zerocalcare non impiegherai molto a classificarla. Non ti chiederò mai con quale etichetta. Mi basta sapere che ti sia preso del tempo anche solo per prenderla in considerazione.

Grazie caro Babbo Natale. Se non ci fossi tu…



domenica 19 dicembre 2021

Ritrovarsi in una ricerca (di mercato)

 La verità è che mi diverte sempre molto. Me lo dice sempre e io mi chiedo ogni volta quali siano le ragioni reali per cui continui a conservare questa opinione di me.  Dice che non posso mancare perché i commenti e le considerazioni che fornisco sono per “loro” un apporto qualitativamente significativo. La cosa è questa: qui a Milano (credo si facciano solo qui è un po’ forse a Roma) ci sono dei repertori che contattano persone a cui chiedere pareri sulle potenzialità di un prodotto che sta per essere lanciato. Di solito si tratta di interviste della durata di due o tre ore durante le quali un esperto (di solito uno psicologo) fa delle domande anche molto strane da cui dovrebbero emergere punti di forza, debolezza, idee per uno slogan vincente, un packaging azzeccato, un concetto pubblicitario rappresentativo del pubblico verso cui si orienta…cose così.

Da anni ormai partecipo a queste cose che mi divertono da matti e che trovo interessantissime. E per questa cosa deliziosa che non mi pesa mai mi regalano pure un sacco di buoni Amazon che giro al papà con grande sua gioia. Questa settimana ne ho fatte tutti i giorni e in una occasione una psicologa mi ha detto che avrebbe rubato una mia espressione per proporre uno slogan spacciandolo per suo. Ho trovato la cosa molto lusinghiera, tanto più se penso che non ho dovuto far nulla per meritare il valore che mi è stato attribuito: non ho dovuto prepararmi o addestrarmi, mi sono limitata ad esprimere un parere sulla scorta di quello che  mi suscitavano gli stimoli della professionista e così ho inventato al momento espressioni, reazioni, evidenziato punti di forza e di debolezza…cose così. Comodo essere spendibili sul mercato limitandosi ad essere semplicemente se stessi. Per trovare lavoro ho dovuto studiare per secoli, dimostrare di averlo fatto con un concorso da vincere, continuare a studiare per dimostrare essere costantemente in grado di farlo. Per migliorare la mia condizione fisica mi sono allenata con costanza, anche quando non mi andava, ho modificato la mia alimentazione, fatto cambiamenti e tentativi continui senza mai cedere. Per il resto mi ritengo una persona irrimediabilmente sgangherata, inquieta, irrisolta, senza talenti naturali o accesa dai sacri fuochi dell’ambizione. Sono una persona che non cercherei se non mi portassi dietro ovunque e spesso controvoglia. Nulla ho raggiunto senza un percorso o una preparazione. Tranne questa cosa qui, che mi chiamano per sapere come la penso su una certa cosa perché il mio parere ha valore, prima per loro e poi anche per me. E tutte le volte penso che il mercato sia una fantastica trappola proprio per questo: mi fa credere di essere importante per il solo fatto che sapere come la penso io ha un valore moltiplicativo sui suoi profitti. E a me in fondo sta bene così: vedere in anticipo il lancio di un prodotto nuovo, individuarne punti di forza e di debolezza, addirittura indicarne il prezzo giusto al di sopra (o al di sotto) del quale non lo comprerei…mi fa sentire depositaria di un certo potere “gratuito” che a volte apprezzo più di quello “meritato” perché mi pare un regalo simile all’amore: immotivato.

Non saprei dire di preciso come mai quella mia reperitrice si ritrovi questa valutazione di me tra le mani, probabilmente perché più che come sei conta come hai fatto a diventare quello che sei e allora ha valore pure quello che hai fatto con fatica e allenamento. E a quel punto non è proprio vera la cosa che sei spendibile pur senza aver fatto nulla per esserlo. Lo hai fatto altrove e poi si vede anche lì. Però buono. Mi piace l’eterogenesi dei fini con ricadute positive anche fuori dal tuo campo di applicazione. Potrei persino abituarmici. Meglio di no. Potrei rischiare l’amara sorpresa che, proprio in quel momento, nessuno avrebbe più alcun interesse a sapere come la penso. Chissà…

mercoledì 8 dicembre 2021

Puoi farli anche tu (?)

 “Puoi farli anche tu”. Questo c’era scritto, quando vi leggevo da piccola, nella parte laterale del pacco famiglia. Trovavi tutta la ricetta e pure il procedimento per fare le Macine in casa, piuttosto che comprarle e godere immediatamente di un biscotto per il quale il mio stomaco avrebbe avuto capienza illimitata. Mi chiedevo sempre che senso avesse fornire la ricetta in modo che poi si rischiava che i clienti avrebbero evitato di comprarli confezionati. Semplice: quella era la prova che non era possibile riprodurre autonomamente la sublime perfezione di quel prodotto. Non soltanto perché l’industria si avvale di tecnologie di produzione e di tipologie di ingredienti diversi. No. C’era qualcosa di profondamente diverso nell’esperienza stessa di aprire quel bustone meraviglioso che da piccola mi pareva gigantesco con i biscotti a disposizione per l’eternità, metterci il naso per sentire quell’esplosione di aroma di panna, burro, vaniglia…prima di pescare a piene mani in quei mille biscotti dalla forma impeccabile. È da quel tempo lì che mi è chiaro l’inganno dell’espressione “puoi farlo anche tu”. Non è vera, o meglio lo è se non pretendi di ottenere esattamente lo stesso risultato.

Vedi, amore mio, è da allora che penso a te come  a quell’ingrediente necessario non a fare la differenza ma, al contrario, a rendere possibile la mia idea già collaudata, proprio come una ricetta che funziona, di coppia. La “Macina”  che posso davvero riuscire a riprodurre esattamente anche io. Proprio come la voglio io. Ed è per questo che non ti cerco più pur in questa mia attesa un po’ ingenua: l’ho fatto inutilmente fino ad ora, ma so per certo che esisti, che anche tu hai la tua ricetta perfetta con l ‘ingrediente mancante e che fino ad allora ti consolerai con quello che si trova e che in fondo arriva pure a saziarti. Ti prego non accontentarti. Resistiamo a questo finto appetito. No, scherzo. Fa’ come credi. A ciascuno il suo percorso.

Le lucine dell’albero sono incantevoli. A Milano il mio addobbo domestico è tutto concentrato sul forno a microonde e invece qui dai miei è faccenda vissuta molto seriamente. È così da sempre e io non capisco perché su di me questa strana fascinazione non abbia attecchito. In realtà sono tante le cose che non sono riusciti a trasmettermi e altrettante quelle da cui ho preso distanze siderali,  come se poi fosse normale che se una cresce all’ombra di certe convinzioni poi necessariamente debba portarsele dentro come degli ingredienti necessari. A proposito di ricette e di prodotti fatti in casa. Mah, sarà tutta una questione di dosi consigliate o il metodo di cottura, sarà la materia prima…chi lo sa che cosa porta davvero alla riuscita o meno di qualcosa, nel modo in cui l’abbiamo pensata noi, partendo da una condizione iniziale predefinita e calcolata al millesimo. Forse niente di tutto questo. Forse più di tutto conta quel magico scarto temporale tra il profumo prima dell’assaggio e la conferma o meno del sapore che si era immaginato. Quanto può durare quello scarto? E cosa c’è davvero in quell’intervallo fatto di sensazioni e di attese? Che importa che possa esserci di meglio se per me il meglio rimane incastrato già tutto lì dentro?

“Puoi farli anche tu”. No, se avessi potuto credo che non avrei più smesso. Ma ne conosco le sensazioni e il sapore. Così bene che non li posso scordare. E per ora, in fondo, mi pare già abbastanza.


venerdì 3 dicembre 2021

A proposito, la lista è da evitare

Ferie. Dopo un viaggio rocambolesco sono di nuovo qui a casa, tra i consueti e familiari profumi di una cucina ricca, gli addobbi e i lavori ancora in corso per le luminarie “competitive” che decoreranno tutta la facciata esterna di casa. Quando sono qui penso poco a Milano. Credo che in fondo sia piuttosto normale. Ho fatto una corsa e passato tutta la mattina alle terme, al rientro ho mangiato la frittata di cipolle più buona del mondo e preparato il dolce per la coazione di domani. Il tempo è stato inclemente ma non fa troppo freddo. Va bene così.

È da un po’ di giorni che tento di elaborare una collezione di piccoli dolori che mi porto dietro da Milano e che, per una volta, non dipendono da miei errori di condotta o pretese non confortate da meriti. Semplicemente si tratta una condizione di fatto che devo soltanto accettare e razionalizzare. Se ci riuscirò la questione sarà chiusa, se non proprio risolta. Devo dire che tenere in braccio un micio può essere di molto conforto: ad un certo punto mi è sembrato che mi chiedesse “ti prego accetta almeno un invito ad uscire da parte di chi ti sembra anche semplicemente una persona educata”. Prometto che mi impegnerò in tal senso con tutte le mie forze. Appena torno a Milano includerò anche questo impegno solenne con me stessa.

Vorrei trovare il tempo di fare un  giro bello lungo a Napoli. Qualche volta, tornando alla me folle di una marea di anni fa mi torna in mente cosa ho detto e fatto per amore proprio in quella città. E mi viene da ridere, più spesso mi vergogno così tanto che se dovessi davvero raccontarlo poi io stessa penserei “ma veramente?!”. Però che slanci! Quando mi ricapiterà di tornare ad essere così appassionata e vitale? In effetti spero proprio mai. 

Non ho mai fatto una lista di buoni propositi per il nuovo anno, non credo che abbia davvero molto senso: un anno è lungo e pieno di imprevisti e blindare i desideri può essere limitante. Però io lo so cosa voglio più di tutto e quella cosa lì non rientra mica in una lista. È una roba unica che contiene in sè una serie di altre condizioni che vorrei che convergessero come un  mucchietto di chiodini attorno ad un magnete. E così ho pensato di fare qualcosa di diverso: una lista di tutte le cose da evitare per non allontanarmi dal mio proposito unico. Ci provo:

- Smettere di consacrarmi in modo acritico all’eccessivo starmene per conto mio

Ho già finito. Pare poco e invece per me significa cambiare un sacco di cose: vuol dire smettere di fantasticare troppo, decidere di dedicarmi a cose nuove, uscire anche con persone appena conosciute,  essere più inclusiva, avere davvero voglia di innamorarmi

A me pare così complicato che ho quasi paura che cominci un nuovo anno in cui dover mettere in pratica questa cosa titanica. Intanto provo a godermi come posso quest’ultimo mese un po’ così, in mezzo a ricordi napoletani pazzi, terme depurative, piccoli dispiaceri irrisolvibili e capitoli ormai vecchi da concludere rapidamente. Avere tanti buoni propositi è in fondo abbastanza facile, perché poi ci si dimentica di loro e restano presto arenati nel flusso di giorni forieri di nuove priorità. Averne uno solo vuol dire fissare un impegno che non può avvalersi di troppe scuse. Ma chi me lo ha fatto fare?








lunedì 29 novembre 2021

Capire. Senza pensarci

 Credo che capiti a tutti, prima o poi, di avere la sensazione che tutto appaia nella prospettiva adatta da avere una spiegazione più convincente delle centinaia di volte in cui tutto sembrava vano e insensatoE’ un po’ come se durante il tempo vissuto fino a quel famoso momento noi ci fossimo mossi a caso o per tentativi maldestri soltanto per riuscire a trovare quella giusta angolazione, il punto di vista perfetto per far tornare almeno parte dei conti con noi stessi. Probabilmente è solo ciò che mi piace pensare in questa parte della mia vita, annidata in uno scorcio di tempo profondamente anomalo e diverso da tutto quello a cui ero abituata, barcamenandomi tra una quotidianità che amo e in fondo mi gratifica e l’oceano di banalità a cui assisto continuamente nella contrapposizione tra pro vax e no vax e temi annessi. Io trovo tutti equamente colpevoli nelle modalità con cui affrontano le discussioni, con cui si violenta il concetto stesso di approccio scientifico, l’inquadramento della questione, che è anche – inevitabilmente – politica e sociale…nessuno capisce davvero l’altro e nessuno lo ascolta davvero. Una babele inutile e dannosa che rappresenta il mio unico rammarico di questi tempi. Direi che in fondo mi va pure di lusso.

Ieri ho visto due film al cinema. Uno più bello dell’altro ed entrambi illuminanti quando si vuole fare i conti con la propria storia senza mettere troppi filtri. Si può sempre ripartire se di tutto il male che ci sentiamo addosso, o intorno, lo usiamo così creativamente da trasformarlo nella nostra risorsa principale. Questo ho capito ieri. E così ho pensato a cosa fare di tutto questo mio sentirmi sempre così storta e inadeguata per chiunque e in qualunque caso. Forse non troppo, eppure mi basta per sentirmi in pace tutte le volte che penserò che non vorrei mai fare a meno delle mie albe, delle mie sessioni di allenamento antelucane e della mia insonniaperché tutto quello che ho imparato ad accettare e ad aggiustare di me l’ho fatto in quelle stranissime ore lì. Ho capito che la solitudine è una pesantissima e dolorosissima esperienza che ad un certo punto compie la strana magia di trasformarsi in una condizione preziosa e unica a cui difficilmente rinuncerei adesso. Ho capito che nessuna coppia, tra quelle fino ad ora conosciute, è come sogno io che dovrebbe essere una coppia, eppure per loro è ok, quindi è giusto e fa parte della natura delle cose che io non sia espressione di quella realtà.  E poi ho capito che sarei stata una buona mamma di bambini che non sarei stata capace di amare, come moltissime donne che conosco diventate madri senza la reale volontà di esserlo. Per quanto mi riguarda, non si cancella un vissuto che non posso cambiare e che mi ha segnato senza darmi scelta. Ho pure capito che mi piace essere innamorata e che amare invece diventa, alla fine, quasi sempre un noioso “accollo” : i grandi amori, ai miei occhi, sono soltanto quelli implosi sotto il peso della loro stessa grandezza per poi adattarsi alla pacata tranquillità di legami altri che di quell’antico struggimento conservano solo un malinconico ricordo. Sono felice di non avere un marito, meno di non avere un innamorato da ricambiare. Ma mi reputo salva lo stesso. Ho capito l’importanza di liberarsi, anche in modo drastico e netto, di persone che ci tolgono luce, che non sono interessanti. Un bagaglio inutile a cui ci si adatta troppo spesso solo per educazione. E poi ho capito che sono un’ottima cuoca, ancor più brava da quando ho imparato a godere del cibo senza timori, neppure quelli di una bilancia, che mai è stata così generosa com me come in questi ultimi anni folli. E poi ho pure capito che sono più bella oggi di vent’anni fa. Ma tanto.


Tra qualche giorno andrò a casa per un po’. Spero di fare un giro per i vicoli di Napoli senza troppi problemi e pure di andare a vedere il mare e immaginare di poter scegliere con più libertà quanto tempo restare lì e quanto a Milano. E poi mettermi in ascolto. E provare a capire qualcos’altro. Così, come se non lo volessi davvero.

lunedì 22 novembre 2021

A passeggio. Est, dintorni, sotto. E dentro

 È andato tutto bene. Sono tornata solo da qualche ora in una Milano umidiccia e grigia, molto più di Budapest dove le giornate sono state luminose e clementi anche nella temperatura. Sono felice. Non mi concedevo un piccolo viaggio da troppo tempo e ormai non ne potevo più delle solite chiacchiere sterili sul green pass, la pandemia, i contagi e tutte le legittime preoccupazioni di un tempo che ha il fiato troppo corto per riuscire a parlare d’altro. Eppure credo sia altrettanto legittimo chiedersi quanto conti davvero pensare solo ed esclusivamente alla salute per trovare che sia sufficiente questo perché valga davvero la pena di vivere. Budapest è una bella città in cui non ho avvertito la stessa ossessione pandemica e in cui le suggestioni visive e gli spunti  sono stati sufficienti per valorizzare i giorni che ho impiegato a cercare di scoprirla per costruire un’esperienza da portare a casa. 

Di quest’ultimo scorcio d’anno mi porto dentro anche altre cose magnifiche: l’ultima prova d’autore di un immenso Zerocalcare, un po’ di film belli, mancanze che ho trasformato in ricordi sani come desideri che si credono realizzati soltanto perché hanno smesso di essere delle smanie. Considero conquiste pure queste, mica solo le mail di quello che crede di sentirsi in diritto di scrivermi cose equivoche solo perché non lo mando al diavolo e manco capisce che se ho imparato ad amare la solitudine è proprio perché ho passato i miei anni migliori ad evitare con malinconica rassegnazione i tipi come lui. Mica perché non li ho trovati…ma quando mi libererò di “campioni” simili?

A Budapest ci sono un sacco di musei, ma non c’è stata partita con l’ospedale sotterraneo antiatomico: una simulazione esatta di quello che accadeva lì sotto, con tanto di manichini, sangue, stazioni radio, dispense, aerei militari durante i tempi delle sperimentazioni atomiche è rimasto segretissimo fino all’inizio degli anni 2000…pazzesco. Mi muovevo tra quei corridoi e i manichini provando a capire quale dei due regimi che si sono avvicendati abbia fatto più danni in quel lembo di territorio così limitato eppure così  nevralgico sul piano strategico.

Ho camminato molto, fatto la classica crocierina sul Danubio, mangiato abbastanza bene, dormito, come sempre, molto poco. Rientrare a Milano mi è dispiaciuto. In tv c’è la Benedetta che per la trecentomillesima replica soffrigge l’aglio con gli spinaci a cui aggiunge ricotta e uova: una cosa che faccio da tutta la vita senza dirlo a nessuno perché di più imbarazzante per banalità c’è solo la zuppa di latte. Poi per carità, le voglio bene lo stesso eh…

Anche il 2021 si prepara ad essere dignitosamente dimenticabile, proprio come i suoi ultimi fratelli immediatamente precedenti. Detta così pare una cosa brutta e pure un po’ ingrata. E invece no. Il mio bilancio rimane positivo nelle non negatività che mi ha riservato questo tempo assurdo e carico di incertezze. C’è una pace che richiede un tempo non negoziabile e che è fatta di solitudine, rinuncia, poca ambizione, osservazione e scarpe comode. Più passa il tempo e più sono riconoscente di una vita così agevolmente controllabile e non accompagnata male. 

In questi giorni non ho cucinato, mi sono coccolata e ho assecondato ogni mia voglia dettata dal momento. Neppure mi sono chiesta se lo meritassi davvero. L’ho fatto e basta. Mi ci sono abituata? Per fortuna no, ma è stato bello scoprire che sono brava a farmi la corte meglio di chiunque altro fino ad ora incontrato nella vita. Budapest è una bella città che sa meritare il grande senso di pace che solo un fiume maestoso e placido come il Danubio è in grado di regalarle. È corteggiamento pure questo. Ce lo meritiamo.


venerdì 12 novembre 2021

A bordo del mio diario

 Giorni faticosi questi. Però belli: era un sacco di tempo che non avevo giornate così piene al punto da non farmi mai avvertire quel disarmante senso di noia o di indolenza inconcludente. Ho adottato il metodo del diario: annotare minuziosamente tutte le attività imprescindibili programmandole per orario ed obiettivi. Una roba che manco i militari. Però funziona. E’ bello monitorare ogni cosa, riuscire ad avere il controllo almeno di quello che ci interessa profondamente e che non vogliamo disperdere nell’indulgenza del “vabbè dai, sarà per un’altra volta”, “lo faccio domani, non ne ho voglia adesso” “non mi va più. Non ce la faccio. Sono troppo stanca” e tutta quella pletora di scuse validissime per allontanarci dagli obiettivi che riteniamo importanti ma penosi. E’ importante riconoscersi il merito di essere stati diligenti, è una cosa appagante indipendentemente dal risultato conseguito. Detto questo, la sera mi ritrovo ad essere sempre più stanca: ieri ho persino scordato di avere una lezione on line che in altri tempi mai avrei potuto saltare. Per fortuna ci sono le repliche altrimenti starei qui a morire tra un insopprimibile senso di colpa e la sensazione indelebile di fallimento esistenziale. Rientrare a casa e chiudere la porta a giornate come queste è il momento più felice e liberatorio di sempre e così pure tutti ipiccoli rituali applicati subito prima di abbandonarmi sul divano rappresentano momenti di gioia purissima: La bella luce del mio grande specchio in bagno riflette ogni volta un viso stanchissimo (ma che ha ripreso a truccarsi bene, rossetto compreso) che si impone un bel sorriso prima di togliere ogni traccia di eye liner e mascara per riproporre un viso al contempo più bambino eppure più segnato dal tempo. Poi ci sono le prelibatezze del frigo: tutto già pronto e solo da scaldare. Una tuta molto comoda, la copertina termica e il cuscino con i noccioli di ciliegia riscaldato per dare sollievo alla cervicale. Ecco, tutto questo è il mio premio per giornate intense come queste ma nelle quali, per una volta, non sono più le emozioni a dettare le regole ma un bisogno più concreto di lucidità e voglia di fare. Sì, credo che la vera grande novità di tutto questo periodo che forse si spinge ad abbracciare l’intero anno e oltre sia stata questa: il bisogno di innamorarmi (o di credere di sentirmi tale) non ha più la priorità di prima. Non credo ci sia una risposta univoca a questo strano cambiamento di approccio e di sguardo: forse il frequentare molto poco e solo persone con cui non ci sarebbero mai derive amorose, forsesemplicemente gli anni che passano hanno alterato la carica ormonale. Oppure, ancora, la scoperta di un lato di me che avevo trascurato. In fondo cosa vuol dire, veramente, cercare l’amore ma poi non desiderare un matrimonio, dei figli, una vita sessuale regolare, accettare l’idea di sopportare le reciproche debolezze e imperfezioni quando la passione cede il passo alla routine? In questi giorni mi viene solo da pensare che in realtà non ho mai desiderato altro che imparare a stare proprio come sto adesso. Che mi importa dello struggimento quando posso vivere una vita tranquilla? In fondo la sola cosa che non mi ha deluso mai è stata l’innamoramento platonico fine a se stesso, quel vagheggiamento infantile infarcito quasi del tutto di immaginazione e la garanzia di un tempo ridotto tra tutto questo e il disinteresse completo per chi inevitabilmente si sarebbe rivelato essere tutt’altro.

Sono giorni faticosi e belli questi, nati dentro un anno meno assurdo di altri eppure a suo modo più memorabile, senza un volto su cui inventare baci belli e impossibili, sogni proibiti accanto a strategie di conquista mai attuate e neppure quell’ oscuro senso di abbandono figlio di una solitudine scioccamente temuta.

Bella la storia del diario delle cose da fare per ottenere ciò che si vuole. Come se fosse davvero la prima volta che tengo un diario su cui dare conto dei fatti miei, io che mi segno tutto da sempre. Eppure mi pare di avere come l’impressione che nulla sia più come prima. Tutto si è trasformato in me così, all’improvviso, senza una progressione graduale. E mi piace, mi sta bene. Ma che mi sia scordata della lezione di cinema di ieri sera non me lo posso perdonare. Ecco una voce nuova, tra le vecchie cose importanti da conservare per mantenere la rotta, da aggiungere al mio diario. Non tutto è da perdersi. Neppure quando è tutto che cambia.

venerdì 5 novembre 2021

Quel saluto mancato di un’amica “mancante”

 Erano già un po’ di mesi che non ritrovavo i suoi post mentre scrollavo rapidamente le pagine di fb. Mai banale, forse un po’ troppo malinconico negli ultimi tempi, ma sempre appassionato e acuto. Come solo un bravo prof di filosofia riesce ad essere. Lo conobbi a Suzzara, curava il “palinsesto” delle proiezioni di un cineforum in cui teneva anche delle bellissime lezioni introduttive: l’idea era indicare la lettura di un libro associato ai film che trattavano le stesse tematiche. Diventammo subito molto amici: i miei mesi a Suzzara sono stati un bel ricordo anche grazie alle lunghe passeggiate pomeridiane sempre più frequenti a chiacchierare di cinema e un po’ delle nostre reciproche faccende,e poi le gite fuori porta offrendomi l’opportunità di una guida “colta” in quel territorio meraviglioso che si confonde con l’Emilia. Fino a seguirlo nei suoi affollati seminari che tenevaanche nei paesini limitrofi e che lo avevano reso uno degli intellettuali più stimati della zona. Patrizio mi ha accordato la sua amicizia con una generosità che non ho mai scordato. Poi sono andata via per trasferirmi a Milano e ci siamo persi in quella maniera che ormai conosco bene quando la prossimità delle relazioni viene interrotta. Per la verità una volta è pure venuto a Milano ma non mi riuscì incastrare i miei impegni con la possibilità di salutarlo. E’ così purtroppo, non sono mai stata brava a conservare le amicizie fuori dal contesto in cui sono nate. Poi un giorno, molti anni dopo il mio approdo milanese mi scrisse un sms carico di tutto il dolore che un uomo possa provare. Si era ammalato gravemente e lo aveva appena scoperto. Il fatto che si fosse ricordato di me, dopo tutti quegli anni e che sentisse il bisogno di informarmi mi fece gelare il sangue. Ci siamo ritrovati su fb, ritrovando la stima, la familiarità dei modi e la reciproca comprensione di un tempo. I suoi studenti continuavano ad amarlo e la sua attività divulgativa si era conservata fertile e appassionatacosì come la ricordavoCol tempo le sue cure mi erano sembrate farsi molto pesanti e invasive e intuivo che il lockdown lo aveva devastato. Poi ha smesso di scrivere. Ma io non ci fatto caso proprio subito. E’ morto nell’aprile scorso, ma io me ne sono resa conto soltanto pochi giorni fa. Ci sono i saluti di tutti quelli che gli hanno voluto bene e stimato e poco prima aveva scritto un paio di brevi post in cui accennava di non farcela più. Sapevo che sarebbe successo prima o poi e questa notizia, per quanto mi addolorasse molto, l’ho accolta senza lo stupore di chi non si capacita di una morte prematura. Però ho subito ripensato ai suoi racconti di allora, ai libri che mi ha prestato, ai film che mi suggeriva come se fossero beni di prima necessità, ho ricordato il suo orgoglio quasi fanciullesco con cui mi raccontava di come soltanto in quella porzione di territorio potesse prodursi il parmigiano reggiano e in nessun altro posto. E poi mi ricordo di un suo pianto, una sera,davanti ad una cioccolata calda mentre mi raccontava di una questione molto personale e ho pensato a quanta enorme fiduciami aveva accordato, pur senza conoscermi da molto tempo. Ad un tratto mi sono resa conto di quanto poco la meritassi e che quella volta che venne a Milano avrei dovuto impegnarmi per incontrarlo almeno per un saluto veloce. 

Ci sono aspetti della mia vita che mi pare di vivere senza la giusta intensità, come se non riuscissi a calibrarne la reale portata. Un mio amico mi dice sempre “Lucia, ma come fai a sopravviverti!”, alludendo al mio modo a volte “barcollante” di risolvermi il quotidiano. E’ vero. Vivo di piccoli “refusi” non solo di scrittura ma pure di condotta e in fondo credo che resterà sempre questa la mia cifra. D’altra parte se sono ancora qui a raccontarlo forse vuol dire che funziono lo stesso anche così.

Però ci sono distrazioni e distanze che non posso perdonarmi, checonsidero delle colpe gravi, come quella di non riconoscere l’affetto sincero delle persone speciali che la buona sorte ha voluto concedermi e che, bontà loro, hanno conservato un ricordo bello di me. La gratitudine non è un’opzione, va applicata con cura. Credo che lui non abbia avvertito davvero il peso delle mie mancanze e che abbia continuato a pensare a me con affetto fino alla fine. Eppure io sento di essere stata mancante nei suoi confronti.

Ora che è tardi e che la solitudine da pandemia aveva reso ancora più dolorosa la sua malattia sento che la mia disattenzione è stata un’occasione perduta di vicinanza. Nelle sue ultime foto a fargli compagnia c’era solo un piccolo cagnolino a cui dedicava un sorriso malinconico e riconoscente. Quasi quanto quel piantostruggente di tanti anni fa. Tutto passato. E chiedo scusa.

venerdì 29 ottobre 2021

Giorni un po’ così. Di un anno così come?

 Sono giorni un po’ così quelli di questo ultimo scorcio di un anno che mi è parso più strano del precedente. O perlomeno così  ho sentito di attraversarlo io, tra le ormai familiari forme di autoisolamento forzato (…ma mica troppo) e un cauto ritorno alla normalità. Qualunque cosa questo voglia dire. Dal canto mio continuo a barcamenarmi tra una quotidianità fatta di piccole grandi sfide che mi invento un po’ per mettermi alla prova e un po’ per raggiungere obiettivi di medio termine a cui ho deciso di dedicarmi con le poche doti che mi riconosco e gli obblighi dettati da un mondo che mi interessa sempre meno. Inutile raccontare di cosa si tratti, mi sentirei “quella strana” pure solo a scriverne. Sìsono giorni così, molli e rigidi al tempo stessotrascorsi tra l’accettazione che anche semplicemente  esprimere un pensiero appena velatamente antagonista rispetto al sentire comunemi ha fatto scoprire quanta ostilità possa annidarsi pure tra le persone che mi sono piaciute e che stimavo  da tutta una vita. E no, non considero il fatto come questione di mera dialettica costruttiva. Io sono proprio delusa fino a smettere di voler bene, così,  di punto in bianco. Mi sento offesa e incompresa, ma la consapevolezza spesso ha questo prezzo. Mi sono vaccinata, non mi è successo nulla eppure continuo a pensare che fosse inutile. Del resto anche questa questione mi pare ormai invecchiata di colpo, assieme a tutto il carico di snervanti botta e risposta che non sono stati utili a rendere più chiari i termini delle mie personalissime ragioni. Pazienza. Passo oltre…ma senza perdonare. In fondo mi  piace essere rancorosa, mi aiuta a non dimenticare.

Dicevo dei giorni che sono un po’ così, tra un po’ di abitudini perse, le mie solite lunghe camminate a piedi, gli allenamenti  che pratico con una disciplina e una costanza che mi rendono finalmente fiera di me, come non mi capitava dai tempi della gioia infantile dei miei bei voti di latinouna città che mi pare tornata ai ritmi frenetici di una volta, persone di cui sento quel tipo dimancanza che è giusto che tale rimanga, uomini piacioni, che pensavo non esistessero più e che rifiutano l’evidenza di trovarsi al cospetto di una zitellona inacidita e ormai sul viale del tramontoche a certi giochi non è più interessata da tempo

Mi sono fatta un piccolo regalo: ho prenotato un week end lungo per Budapest verso la fine di Novembre , spero non ci siano intoppi: ho pianificato nel dettaglio ogni aspetto del mio itinerario e delle esperienze che vorrei fare. Ci sono posti in cui l’inverno mi sembra una punizione più sopportabile perché custodiscono una luce e un’atmosfera non replicabile, che rimane confinata nel ristretto ambito di spazi costruiti apposta per farcele stare dentro. Se tutto andasse bene potrei perdonare pure quest’anno vacuo e dispettoso. E persino ognuno  dei suoi giorni un po’ così.

mercoledì 20 ottobre 2021

E “se” il vero disegno fosse la scelta dei colori?

 A volte mi diverte pensare ai possibili what if del destino come alla tavolozza di colori dai quali attingere per cimentarci a tratteggiare disegni mentre ne stiamo colorando degli altri. A dire la verità non saprei neppure da che parte cominciare, visto che in ogni caso dovrei includervi un lavoro, un qualche tipo di affetto, delle passioni più o meno autentiche, un atteggiamento mentale privo di ambiguità  verso il “creato”… in fondo ipotizzare scenari alternativi è un esercizio, certo molto divertente, ma che per risultare plausibile è necessario stabilire delle regole, porsi dei limiti ragionevolmente credibili e individuare un percorso verosimile. Altrimenti si rischia la mera utopia, il desiderio che non aspira ad alcuna realizzazione, un sogno che è tale solo perché ha temuto troppo la realtà.

Se dovessi ricercare un mio punto di partenza di certo comincerei da tutti quei “No” perentori e categorici, frutto di una educazione castrante e scellerata, della quale non attribuisco la colpa a nessuno, ma che ogni tanto sento risuonarmi dentro in forma di umiliazioni troppo pesanti per una bambina costretta a sopportarle tutte da sola. Comincerei da quei “No” a richieste che non farei più così da trovare il modo di ottenere quello che voglio senza farlo sapere a nessuno. Inventandomi delle strategie di autonomia precoce. Comincerei fin da subito ad aiutarmi da sola, in modo tale che il punto bambina tristerrima sarebbe by passato del tutto.

E poi farei il classico, che non c’è niente di più figo di chi ha fatto il classico. Lo scientifico ne sarà sempre la sorella povera e rachitica. Inutile affermare  il contrario.


Non soffrirei mai per amore. Mi attiverei per riconoscere chi, tra tutti, non temesse l’attesa e  ogni possibile ostacolo tra di noi.Come se questo dipendesse davvero da me. Però chissà, forse è proprio così che succede quando ti vuoi bene e decidi che sia il caso di pretenderlo a prescindere dai tuoi meriti effettivi.


Non avrei mai giocato a pallavolo. Credo di essere stata la peggior pallavolista della terra. però sarei stata una discreta atleta. E quindi dei genitori bravi mi avrebbe messo in una palestra già a cinque anni. Tanto mi conosco, mi sarei allenata come una pazza e come un automa.


Mi iscriverei a lettere classiche e non mi preoccuperei mai delle prospettive lavorative o di eventuali ambizioni da coltivare successivamente. Godrei di ogni esame per il solo gusto di crescere un po’ di più. A volte mi pare di lavorare per il solo fatto che mi vergognerei a dire di essere disoccupata più che per la paura di non riuscire a mantenermi.


Proverei a stare sempre molto lontana dalla provincia, che ai miei occhi è come un cancro che fagocita ogni  sguardo attivo e aperto sul mondo. La provincia, soprattutto quella meridionale, è un grosso guaio di cui ti accorgi davvero solo allontanandotene. Questa parte del mio destino la conserverei con moltissima cura.


Risparmierei ancora meno di come faccio negli ultimi anni e proverei ad investire ancora di più e meglio in qualità del mio tempo: viaggerei il doppio, frequenterei più corsi, comprerei più “esperienze.


Non vorrei mai dei figli né formare una famiglia. Lo so. Lo sento. Mi piace star sola anche in un altro “mondo” possibile. Ma vorrei che mi fosse concesso ugualmente di amare qualcuno/qualcosaHo come l’impressione che questo rimarrà il solito anello debole della mia vita, questo senza “if” e senza ma.


Vista così, con lo sguardo distanziato di chi vede il disegno d’insieme, sarebbe stata una vita possibile, normale, giusta, tranquilla. Non ho grosse pretese neppure quando lavoro di fantasia. O forse sarebbe stato davvero chiedere troppo, chi lo sa, oppure  –  più semplicemente - tutto quello che accade è giusto così come ha deciso di essere e non ha senso provare ad immaginare “disegni alternativi” a quelli già imposti e che ci è concesso solo di combinarne di tutti i colori di cui siamo capaci.

Per poi sfumare. Come soltanto la luce può fare



 

mercoledì 13 ottobre 2021

Vado (e torno) per le mie strade

 Sono una costante ormai. I due anziani a passeggio per le stradine attigue di Viale Molise, con i quali mi ritrovo a condividere un pezzetto del mio percorso post pausa –pranzo, credo siano più abitudinari di me: passeggiano assieme, sempre alla stessa ora, le stesse strade, la medesima andatura. Sono carini, lei sempre in tailleur, ha un corpo sottile, è piuttosto  elegante anche nel portamento e con la messa in piega sempre a posto. Lui, un po’ più traballante nell’andatura, è un po’ curvo ma altrettanto in ordine e vestito con cura. Ogni tanto parlottano, ma non li ho mai affiancati per un tempo sufficiente a comprendere cosa si stessero dicendo. Molto più spesso camminano in silenzio cercando di rimanere affiancati anche se ogni tanto devono fare delle piccole soste per “raggiungersi”Mi sembrano teneri, di certo si conoscono da molto tempo, ma di fatto è una certezza basata su pochi e non provati elementi deduttivi: magari si sono incontrati solo in età matura e hanno deciso di accompagnarsi in questa ultima fase della vita percorrendo assieme, quotidianamente, una delle più brutte vie di Milano. Un po’ li comprendo: io, che quella strada la faccio sempre da sola, mi soffermo  tutte le volte sull’enorme degrado che la ospita, i topi giganteschi che infestano una vecchia palazzina occupata da senza tetto, esclusi e dimenticati, un centro sociale (che ho spesso frequentato io stessa) che forse vorrebbe una gestione più accorta e una imponente ristrutturazione per evitare un crollo che temo imminente, i tanti palazzi fatiscenti che costeggiano l’intero viale, un incrocio molto pericoloso dove troppo spesso ho assistito ad incidenti anche gravi. Ma è la sola strada che mi consenta di sgranchire un po’ le gambe dopo una mattinata intera vissuta da “ingranaggio sedentario” del sistema. E poi rappresenta il mio passaggio obbligato verso un luogo incantato  che ho scoperto tanto tempo fa e che ritrovo soltanto dopo quel percorso “accidentato” e così disturbante, appena pochi passi dopo il breve tratto di viale Corsica. Si tratta di  una stradina molto piccola e costeggiata esclusivamente di villette in stile Liberty bellissime e molto curate anche nei punti di verde che le decorano. Quasi sempre mi intrattengo per qualche secondo con un micio arancione molto paffuto e col guinzaglio che è solito dormicchiare in mezzo alla strada (è una via privata e quasi mai vi circola auto) che si lascia accarezzare come se ci fosse abituato e mi conoscesse da sempre, sebbene conservi  ogni volta un regale distacco che mi fa molto ridere. 

Poi mi rimetto in marcia, che la mia pausa d’aria dura solo una mezz’ora accuratamente calibrata con la distanza da percorrere, e all’ora che passo io, mi ritrovo con il sole in faccia fino all’arrivo in ufficio e, in questi giorni che non succede più,  penso che l’estate è davvero finita proprio quando tutta quella luce non mi accompagna più. E’ così che Viale Molise diventa una brutta strada pure al ritorno e io sento di stancarmi un po’ di più senza quella luce un po’ magica che mi aiuta a vedere meno bene le cose che non ho voglia di vedere.  Con questo spirito ben poco rinnovato me ne rientro in ufficio, timbro l’entrata, mi rimetto a sedere e neppure mi sfiora mai il pensiero di chiedermi che strada abbiano fatto i due anziani quando li ho superati. Conoscono forse un percorso migliore? Magari arrivano anche loro in un posto in cui non è necessario sopportare tutto quel degrado prima di una strada bella? E se ci fosse davvero una strada più bella e più vicina di quella che ho scovato io? Potrei fermarmi e chiederglielo un giorno. Ma io di loro mi dimentico sempre e subito. Mi basta non vederli più e scompaiono dalla mia percezione fino al giorno dopo, quando li sorpasso di nuovo.  Non potrei mai essere come loro, anzi, io penso che se ne tornino semplicemente a casa facendosi bastare quel  brutto  tratto di viale Molise.  Se così fosse sono davvero coraggiosi perché a me,  se mi fermassi lì, passerebbe ogni voglia di uscire. No. Io continuo per  “le mie strade”. Che è quasi certamente meglio.

venerdì 8 ottobre 2021

Il “risveglio” d’autunno è contro natura. O no?

 Sono proprio curiosa. Ormai tutto sta tornando in modalità “dove eravamo rimasti”. Non vedo l’ora di sapere come faranno a riabituarsi i colleghi che non vedo da due anni, come sarà ritrovare le sale di cinema piene, le stesse da cui rifuggivo anche prima, come farò a trovare le mie solite scuse poco plausibili per declinare inviti a cui non ho voglia di partecipare. Non ho mai fatto mistero del fatto che la mia vita in questo tempo assurdo e difficilmente catalogabile sia stata di fatto un po’ più semplice del solito, in buona misura perché sono incredibilmente fortunata, ma pure perché la mia natura più profonda ha trovato la maniera di esprimersi con più facilità che in altri tempi: è inutile che continui a rinnegarlo, sono molto poche le persone che mi piacciono davvero, quelle che non mi hanno mai deluso o fatto ricredere. Io stessa mi piaccio poco in mezzo a loro. Essere una persona solitaria, o meglio godere appieno dei propri momenti di solitudine, mi ha giovato molto e negarlo sarebbe ipocrita. Ma adesso si ritorna a modelli di vita maggiormente funzionali ad una esistenza fatta di condivisione e inclusività alla quale, se non altro, sarà molto più complicato sottrarsi. Dal canto mio la sola cosa che mi interessi davvero tornare a fare come prima e più di prima è pianificare viaggi. Nient’altro. 

Le temperature si stanno abbassando, così come la luce e gran parte delle mie pretese rispetto a giornate che durano sempre di meno. Ma l’autunno ha dalla sua una meraviglia, “non diffusa” come quella dell’estatema in qualche modo “parcellizzata”: per esempio andare in un parco di questi tempi è un’esperienza  di rara intensità cromatica e concilia pensieri malinconici e pacificati. Se non piove e la temperatura lo consente,  mi piace sedermi  su una  panchina a chiedermi cosa potrei salvare di questa fase della mia maturità, del mio incipiente autunno dell’esistenza, adesso che di questa solitudine mi faccio vanto solo perché nessuna coppia tra quelle conosciute e sperimentate direttamente in tutta questa  vita mi è parsa davvero riuscita, perché le amicizie sono evaporate via via col tempo  e le distanze, che i legami forti e indissolubili li ho sentiti spesso traballare pure quando si è trattato di vincoli di sangue.  Mah, sarà quest’aria strana, o semplicemente l’ipotesi di una rinascita che fa a pugni pure con questo mood autunnale che invocherebbe, sonno e resa. Sarò io, che non mi rassegno alla mia stanchezza e tento di negarla stancandomi il doppio.


Sono anni che la seguo in radio. Mi sta tanto simpatica la Delogu, forse per questa sua incontenibile effervescenza che molto raramente riesco davvero a giustificare. E a me l’allegria immotivata crea sempre un enorme stupore. E poi mi interessa il suo vissuto: non è da tutti crescere in una comunità per tossicodipendenti perché entrambi i tuoi genitori lo erano e riuscire comunque a trovare il modo di esprimerti, essere così spumeggiante, diventare una persona così interessante e riconoscibile. Eppure quella volta che si presentò in radio per condurre con l’abito da sposa perché si era appena unita in matrimonio con un attore, famoso ma di cui non ho mai saputo il nome, ero sicurissima che non sarebbe durata. Lei ci credeva tantissimo e aveva giurato di essere sicurissima che non sarebbe finita. Ma io non le ho creduto neppure per un istante, o meglio credevo al fatto che ci credesse davvero, ma sapevo che si stava soltanto ingannando. E mica saprei dire il perché.  So soltanto che adesso  si sono separati, lei ha appena comprato una casa a Roma e soltanto adesso io riesco ad essere davvero partecipe della sua felicità. Ora la comprendo e la sento vera. Non se ne viene mai davvero fuori dal fatto che l’amore poi finisca quasi sempre, e  non solo per gli altri ma pure per te, sì pure per te che credevi di crederci più di loro. Io penso di aver capito che qualche volta per puro miracolo lo si trovi, magari non quando si è troppo giovani e ancora da “costruirsi”. La cosa che si cresce e si cambia assieme credo che valga poco e male. Ma forse è solo quello che auguro a me


E’ autunno. C’è poca luce e le mie mani si sono fatte già un po’ fredde. Ma intorno a me tutto pare avere troppa fretta di rinascere. Non capisco, ma mi adeguo