Sola andata

Sola andata

venerdì 18 marzo 2022

Andata e ritorno tra casa e stanchezza

E’ una sensazione strana quella di sentirsi completamente esausti e ostinarsi a continuare a fare tutto come se fosse una colpa sentirsi stanchi, demotivati, troppo tristi per riuscire a conservare il senso e il significato di ogni propria azione. Io mi sento così: psicologicamente ed emotivamente annullata. Faccio fatica a stare in piedi la mattina appena sveglia, mentre sorseggio uno dietro l’altro i caffè da cui pretendo la carica che dovrei trovare altrove e intanto cerco di posticipare il mio allenamento che mi pare ogni giorno più estenuante eppure irrinunciabile. Faccio fatica a sistemare casa prima di uscire per andare al lavoro, a guardare i tg, a parlare con la gente, a trasportare la spesa, persino a sentire la mancanza delle poche persone a cui tengo e che ho perso di vista in questi ultimi anni assurdi. Sento il peso di un tempo che non asseconda il mio bisogno di procedere per step intermedi in vista di obiettivi dal più lungo respiro. Ci sono giorni nei quali non vorrei mettere neppure il naso fuori di casa e quando mi succede mi costringo a farlo con tutte le forze che ho perché mi accorgo che non c’è niente di buono in questa indolenza esistenziale e che ogni sforzo possibile per controbatterla sia doveroso. E’ anche per questo che credo di aver fatto bene a passare un po’ di tempo a casa con i miei. Ma poi la mia vita rimane quella che si articola qui e che proprio qui si affanna a trovare il suo senso. Non è di una vacanza che ho bisogno, perlomeno non ancora, e neppure di compagnia: mi piacciono i miei silenzi in mezzo a questo insopportabile rumore di fondo in cui mi trovo immersa pure mentre tento di isolarmi. Trovo indovinata, necessaria, opportuna, forse persino salvifica la mia solitudine perchè non sarei di nessuna compagnia per nessuno in questo momento e poi non sono ancora diventata la persona che vorrei essere per meritare chi vorrei davvero con me per sempreE’ tutto come deve essere pure in un periodo in cui nulla mi pare sensato, giusto, promettente. Che strano davvero.

Le mie lunghissime camminate degli ultimi tempi includono la compagnia di audiolibri. Di solito si tratta di classici letti in modo mirabile da attori famosi: potrei starmene così per ore ed ore, senza sosta tanto grande è il sollievo e il piacere che traggo da quel doppio gesto che coniuga in un solo colpo azione e contemplazione.  Come si fa ad essere tristi mentre si cammina osi legge? Credo sia impossibile. Ma impossibile è anche pretendere di non fare altro per tutto il giorno e sottrarsi alla provocazione e agli obblighi del tempo. Questo di solito è quello che penso la sera, quando rientro, mentre mi pulisco le scarpe sullo zerbino e accendo la luce di una casa che ho tenuto vuota per tutto il giorno, nella quale domina un altro tipo di silenzio, piatti già pronti e solo da scaldare, cose non ancora vecchie ma che giànon mi raccontano più niente, ricordi sfocati, dolori ridicoli che riaffiorano nei momenti più impensati, come quei programmi lievie accomodanti con Csaba che apparecchia la tavola per gli ospiti come si deve. Che c’è di sbagliato in tutto questo? Credo ogni cosa. Che c’è di buono? Forse lsemplice ma costante idea che ci sia ancora rimedio, che per me esistano ancora tanti libri da leggere, film da vedere, persino il tempo per diventare la persona che vorrei essere e che mi pare ancora troppo lontana, che questa sia una fase di preparazione e, in quanto tale, ricca di possibilità nuove. Del resto io appartengo alla scuola secondo cui la capacità di amare arriva dopo i cinquant’anni, quando ne sai abbastanza di tutto il resto per essere pronta anche a questo. Non devo avere fretta. E’ tutto troppo presto per me. Non posso essere già stanca. Non è il momento

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