Sola andata

Sola andata

mercoledì 9 marzo 2022

Scorte di futuro a lunga conservazione. Dove? Con chi? A che prezzo?

 Tutti gli scaffali dei prodotti in scatola erano vuoti. Alla coop i reparti dello scatolame, della farina, della pasta erano quasi completamente vuoti. Mi pare comprensibile, anche se non del tutto ragionevole. In realtà me lo hanno riferito i miei: io sono ancora qui da loro in smartworking e in dieci giorni sono uscita solo due volte coprendo duecento metri per fare visita alla nonna. Il mio è un bruttissimo paese nel quale continuo a provare molto disagio, conservare ricordi opachi e nessun senso di appartenenza.E quindi non ho mai voglia di uscire e notarne i cambiamenti.Però in questa casa sto bene, ho tutto, compreso uno spazio molto grande a cui, in questi anni di “bilocalismo” milanese, mi sono progressivamente disabituata. Ormai il terrore di una guerra che potrebbe estendersi anche in zone più prossime appare dominante e io sento quasi nostalgia dell’insulso dibattito tra ottusi fanatici pro vax e altrettanto ottusi e fanatici no vax. Mi mancano quelle inutili farneticazioni nelle quali ognuno snocciolava dati da interpretare senza logica né metodo solo per dare forza ad un pensiero sporcato da ideologia, opinione personale, credenza, umori più o meno plagiati. E’ stato, quello appena trascorso, un periodo che avevo erroneamente battezzato come il più nero di cui avessi memoria diretta, non solo per la pandemia, in quanto tale,ma anche e soprattutto per questa assurda valanga di pensiero debolissimo e prepotente che mi ha umiliato e avvilito. Eppure oggi scopro che si poteva addirittura peggiorare paventando una terza guerra mondiale anticipata da crisi energetiche ed economiche che ancora una volta azzerano ipotesi di riscatto, rinascita, libera espressione, almeno per la maggior parte di noiabitanti di questo tempoConfesso di non sapere bene cosa fare, a parte sms solidali a ripetizione che mi pare sia il minimo dovere di ciascuno. Forse a Milano mi deciderò a contattare qualche associazione e chiederò come potrei rendermi utile. Sì potrei, anzi forse dovrei proprio farlo. Ma fare cosa? Forse qualche folle ingenuo potrebbe ritenermi capace ospitare una bambina piccola, se proprio dovessi pensare alla cosa più campata in aria che mi si potesse chiedere.

I bambini non mi sono mai piaciuti e loro questo lo capiscono abbastanza presto e poi sono sicura che non sarei in grado di occuparmi di un altro essere umano senza alcuna autonomia. No, non credo che sarei disposta a farlo. Che poi mica è detto, le esperienze vanno contestualizzate, magari invece sarei brava e accudente. In fondo che ne posso sapere. Se proprio ci penso bene potrei farmi domande differenti prima di questa. Per esempio cosa ne sarà di me nella fase più matura della mia esistenza, quando la solitudine non mi sarà così cara come oggi e la minaccia di malanni o imprevisti vari mi renderanno fragile e bisognosa proprio come un bambino piccolo? Non che non abbia mai pensato a cose di questo genere negli anni. Ricordo che una volta, una prof di matematica che conobbi in una università in cui ero “ospite” disse che lei viveva sola perché non voleva dare fastidio a nessuno e che l’ipotesi che fosse coinvolta in un incidente in cui qualcuno dei parenti fosse convocato per il riconoscimento del cadavere la spaventava più dell’incidente stesso. Mi colpì moltissimo. Pensai che a volte la solitudine possa addirittura costituire una scelta adottata come forma di puro altruismo, un modo di evitare ad altri il peso della propria inadeguatezza dello stare al mondo. Pur sempre una scelta, appunto. E allora perché mi pare così astratta la possibilità di occuparmi per un po’ di tempo di un bambino che rimane solo non per sua scelta? Cosa c’entra questo con la personale capacità di tenersi da parte per non risultare di ingombro? Dov’è il confine tra una solitudine ricercata, pur corredata di aspirazioni generose o spirituali, e quella fatta di egoismo e rifiuto dell’altro quando ha bisogno proprio di me, persino del mio ingombro? Io non lo so. Ho provato ad immaginare una giornata tipo, una in cui la mia solita sveglia all’alba non sarebbe occupata dallo sport ma da pappe da preparare, pupazzi e palline colorate ovunque, lo smartworkingcon un seggiolone accanto e magari pianti misteriosi da gestire, passeggiate all’aperto, pannolini da cambiare... Non mi sono mai previsualizzata madre nella mia vita, non ho mai fatto nulla dineppure vagamente simile a tutto questo. Nessuno potrebbe davvero affermare che non ne sarei capace  che non mi piacerebbe neppure un po’. Non so neppure come questa cosa mi sia passataper la testaMa sono due anni che non penso al futuro. Prima che sia davvero troppo tardi, direi di ricominciare a farlo con tutto il carico di follia che ci è dato. Possibilmente.

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