Sola andata

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domenica 19 febbraio 2023

Vado dal Massimo

 Finalmente un po’ di pace vera, quella fatta di cose calme che si prendono il loro tempo senza interferenze, intoppi o pressioni. Da quando mi sono ripresa dai crampi allo stomaco che mi avevano tenuto bloccata pur senza riuscire a farmi smettere di portare avanti quello che dovevo, ho deciso di riparametrare modi e ritmi con cui stabilire le mie scadenze. Sono stati giorni belli: ho fatto la scrutatrice e trascorso ore amabili con persone simpatiche di un quartiere, quello in cui vivo da tredici anni, che frequento poco, poi sono stata un paio di giorni dai miei dove ho cominciato a ragionare su come potrei fare per ritornare a vivere in Campania in un tempo ragionevole in cui il mio e il loro futuro potesse combaciare e venirsi incontro, ho visto film magnifici e rivisitato la stupenda biblioteca ambrosiana assieme ad Alessandra, e, non ultimo per importanza, la mia casa è finalmente in ordine come desideravo anche grazie ai nuovi mobili in stile industriale che mi mettono molta serenità. E poi quelli del piano di sopra, o meglio l’orrendo esserino che sta con loro, mancano da un tempo che mi procura un certo ottimismo su un altrove lontano da me in cui si sono stabiliti. Davvero un periodo propizio.

Oggi è il compleanno di Massimo Troisi e il mio primo pensiero è stato correre a vedere il documentario che gli ha dedicato Martone in occasione dei suoi 70 anni. Il risultato è quello di un piccolo gioiello in cui ho ritrovato una parte fondamentale della mia storia e del mio imprinting emotivo e culturale. Troisi non era “napoletano di Napoli”, veniva dalla provincia, come me, che è una cosa un po’ diversa dall’essere cittadini, ed è figlio di un’epoca che giocoforza quelli della mia generazione hanno assorbito e metabolizzato, prima di decidere cosa diventare e cosa farsi suggerire dalla vita. Ho sempre pensato che in qualche modo Troisi fosse “roba” solo di noi della provincia napoletana, problematica e degradata, di quegli anni, che si potesse capirlo in pochi e amarlo ancora in meno. E invece è stato da subito una voce universale, capace di far immedesimare chiunque nella sua poetica. Fin dal principio è stato così, fin dal tempo in cui il suo lessico linguistico ed emotivo erano esclusivamente incentrati su tematiche tipiche della sua terra, le persone più prossime e una sensibilità che, pensavo erroneamente, un abitante di Milano forse difficilmente sarebbe stato in grado di penetrare in pieno. Almeno questa è sempre stata la mia percezione. Come ogni vero rivoluzionario, anche quello di Massimo era un messaggio capace di arrivare, scuotere, muovere le corde giuste per farsi ricordare. Ad ogni modo quella malinconia mista ad un contrariato disincanto, quella constatazione amara che un uomo e una donna non siano fatti per stare assieme per sempre, pur valendo sempre la pena amare, è una roba che mi convince e mi riguarda in modo definitivo soprattutto grazie alla sua narrazione. “Laggiù qualcuno mi ama”è un piccolo scrigno di ricordi a più voci che si avvicendano tra artisti ispirati dalla sua poetica, quelli che con lui hanno lavorato generando processi esplosivi di mutua ispirazione, e le donne che ne hanno ispirato le storie e la poetica, pilastro costante della sua intera esistenza e spesso, come nel caso di Anna Pavignano (compagna e cosceneggiatrice), che lo hanno aiutato a leggere tra le righe di un tempo non facile eppure pulsante, portatore di linguaggi nuovi e dei quali Troisi è stato uno dei più fulgidi esempi di quel periodo. Un racconto meraviglioso dell’uomo e del tempo che lo plasmava Vabbè basta sennò mi commuovo di nuovo.

Ho deciso di far crescere i capelli e così adesso riesco a tenerli legati. Mi piacciono e mi aiutano a giocare un po’ di più con il mio aspetto e adesso che ho buttato via pure un sacco di vecchi vestiti mi piace pensare di cambiare anche il mio stile di abbigliamento. E poi sto pensando al mio prossimo viaggio visto che al lavoro ho già dovuto presentare il piano ferie. Piccole novità senza alcuna pretesa, col respiro cortissimo di chi non ha traguardi troppo ambiziosi di fronte a sé, eppure io ci trovo tanta di quella pace da troppo tempo trascurata, l’occasione gentile per sentirmi un po’ meglio nei miei panni senza troppa fatica o investimenti in sforzi rischiosi. C’è una bonaria pacificazione nell’accettazione di un’età che comincia ad avere ricordi sbiaditi che si incrociano con traguardi non troppo lontani. Mi verrebbe da fare una di quelle fantastiche espressioni perplesse e rassegnate che Troisi era solito fare come naturale reazione alle smanie di Lello Arena o di quelli che, dicendogli la verità, pensavano davvero di essergli d’aiuto.

Caro Massimo,

In mezzo a tutta questa riconoscenza che ti ho voluto tributare mi sono scordata proprio di farti gli auguri. È che ai miei occhi sei rimasto ragazzo. Che detta così pare una cosa bella. E invece io vorrei tanto sapere cosa ti avrebbe raccontato  il tempo che impietosamente non ti è stato concesso dalla sorte. Per questo tuo mancato compleanno rotondo concedimi stavolta un po’ di rabbia, magari aggrappata a tutto l’immmutato affetto per te che di anno in anno mi accompagna e mi conforta avvicinandomi, come nessuno riesce mai a fare, alle mie radici.

70. E non mi pare vero


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