lunedì 27 ottobre 2025

Di finestre. Di cortili. Di autunni


 E come se nulla fosse è tornato l’autunno, il buio presto, le mani fredde, i fazzoletti sempre in tasca. Io non ho nulla contro il normalissimo avvicendarsi delle stagioni: la mia scelta convinta dell’estate come unica stagione conciliabile con una vita in cui le aspettative hanno speranza concreta di realizzazione è ormai assodata. Per me l’autunno è una mera rivendicazione di lentezza, di assestamento verso l’abulia, un’autorizzazione a quella speciedi intontimento depressivo funzionale ad una futura auspicabile rinascita da riparametrare e riprogettare dalle fondamenta. Saluto questa fase dell’anno con la stanchezza di chi sente il peso di un anno che ha ormai detto ogni cosa e che per me già dall’inizio si proponeva come di transizione, senza stazioni di servizio con in vetrina souvenirs di pregio. E’ da quando è cominciato che non vedo l’ora che finisca e forse per questo stavolta l’autunno mi pare meno energivoro e malinconico del solito. Che poi mica mi lamento eh. Se ho avuto voglia di andare a New York per due volte e non ho mai saltato gli allenamenti neppure con un ginocchio ormai fuori uso, vuol dire che ancora mi importa di questo mio piccolo mondo pazzo e sconclusionato che abito spesso in solitudine e qualche volta in ottima (poca) compagnia.

Ho scoperto da non troppo tempo una cosa piccolina che accade tutti i giorni, sempre alla stessa ora, proprio davanti alla mia finestra. La premessa è che io abito al piano rialzato di un piccolo condominio di corte. Non ho balconi ma le mie due finestre affacciano proprio sul cortile. Da circa tre anni alla scala accanto è venuta ad abitare una famiglia con due bambini. Il maschietto va alle elementari e tutte le mattine esce da solo con il suo zainetto (la scuola è a trecento metri e la strada è sicura), arriva esattamente al centro del cortile, si gira e saluta la madre che lo guarda dalla finestra. Mi sembra una cosa davvero simpatica e tenera oltre che in totale controtendenza con quello che vedo fare in questa città con bambini che vengono accompagnati col suv quasi fino alla porta della classe da genitori che in realtà li ignorano completamente durante l’intero percorso. La periferia di una grande città è un piccolo mondo ibrido fatto di pezzettini sparsi di cose diverse tra loro che alla fine stanno insieme in un modo funzionale e virtuoso che ho imparato a riconosce e apprezzare. E così, da quando ho fatto questa scoperta, quando penso a come starei più comoda se vivessi a Porta Venezia, mi ricordo che vivere in una città prendendosi allo stesso tempo i benefici di un piccolo borgo e della campagna circostante è un valore aggiunto riservato a pochi ed è quasi un bene che non tutti lo sappiano e preferiscano altri luoghi in cui starsene.

Cosa chiedere all’anno che verrà? E’ una domanda lecita visto che al supermercato ci sono già i panettoni e gli addobbi. Io so per certo che, se ci arrivo, mi accadranno almeno due cose importantiperché hanno richiesto anche questo tempo “invisibile” per trovare una propria dimensione. Ma non basta. Il peso specifico del mio tempo residuo a disposizione richiede un aggiustamento urgente verso l’alto e io ancora non so cosa inventarmi. Spero che ci pensi il caso al mio posto. potrei promettere che sarò brava a riconoscerne le potenzialità, ma in realtà vivo nella culla di un limbo sospeso tra il disincanto e l’urgenza realizzativaHo poco più di due mesi per immaginare come e quanto davvero cambieranno le cose che mi stanno a cuore nel corso del prossimo anno. Forse per allora anche il bambino delle elementari smetterà di voltarsi verso la finestra e salutare la sua mamma. E forse proprio in quel momento capirò che è davvero cambiato tutto  

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Di finestre. Di cortili. Di autunni

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