Sola andata

Sola andata

mercoledì 12 giugno 2019

La certezza della penna

È troppo tempo che non scrivo dei fatti miei. È troppo tempo. Sono giorni che ci penso e che mi dico “stasera prendo un po’ di appunti, fisso qualche idea, racconto di qualcosa, anche minima, che mi è successa”. Poi però non l’ho fatto: avevo sonno, ero rientrata tardi, mi dicevo che forse dovrei smetterla di credere che sia davvero importante scrivere per mettere a fuoco la propria condizione. Eppure stasera ne ho proprio voglia. Mi sembra quasi doveroso un bilancio di prima metà di un anno in cui tutto mi sembra essere andato bene: dalle scelte, alle semplici casualità, alle persone che ho incontrato a quelle a cui mi sono legata, fino a quelle che ho scordato con una semplicità che mi fa quasi impressione. Direi che in questa fase sono serena come non mi capitava da un sacco di tempo ormai.

Non ho mai pensato che l’assenza di inquietudine, o anche di una certa nobile forma di rabbia, sia una cosa davvero auspicabile nella vita. Ho sempre ritenuto che, se ben canalizzate, certe intime disarmonie possano costituire dei potenti motori per evolversi.
Mi sono ricordata che al tempo avevo aperto questo blog per una faccenda di cuore in cui non credevo neppure io, ma ci stavo male, non capivo, non mettevo a fuoco il disagio. Ne scrivevo solo tramite sottintesi o provando a raccontare episodi del quotidiano vissuti con quello strano peso sul cuore che mi faceva percepire tutto come troppo faticoso o inutile. La rabbia invece è quasi sempre scaturita da una politica ogni volta più aberrante e che mi priva di ogni visione ottimistica di futuro. Proprio come oggi. Ma poi mi dico che in fondo non posso davvero far molto se non provare ad avere una percezione più ampia e chiara possibile di quello che accade. Il pensiero critico è la sola forma di protesta che posso concedermi in questa fase e lo scrivere può essere parte di un metodo efficace per l’analisi di fatti che mi colpiscono.

Ho riletto un po’ di quei vecchi post e mi ricordo perfettamente di come mi sentivo e di quello che
facevo scrivendo di altro. E poi all’improvviso tutto è passato e a me questa cosa fa sempre tanta impressione. Come ho fatto? Quanto possono essere potenti certi meccanismi di reazione al dolore. E quanto ci cambiano nel profondo. Io mica lo so se la mia calma di oggi sia davvero tale o costituisca un mero antidoto  autoprodotto da corpo e anima per farsi scudo di altri dolori e che mi ha reso solo più cinica e respingente. So che sto meglio di allora. Quello che non so è se sto davvero bene.
La scelta di non amare nessuno, alla mia età, mi pare ormai cosa saggia, come lo è quella di non avere mire e pensare che l’amore si possa anche semplicemente sognare nella sua impalpabile perfezione ideale e magari dargli forme ed indirizzi nuovi. Mi pare più che accettabile come soluzione pacificata. Ho perso tutta la mia vita fino ad ora a tentare di capire a chi fossi destinata e ho escluso la più semplice delle ipotesi con un atto di presunzione che non mi perdono.

Mi fa bene rileggere i miei vecchi post perché è grazie a loro che ho corretto il tiro, capito meglio, elaborato il lutto per ciò che non è neppure mai nato...tutto raccontato mentre parlavo dei film visti al cinema, di quello che mangiavo o di quanto correvo, di un cantante morto o di una lettera al direttore...mi sono ricordata tutto. Tutto quello che non ho scritto servendomi proprio di quello che scrivevo: raccontare qualcosa  per ricordare tutt’altro. Ha funzionato alla perfezione.

Ecco perché mi serviva il blog. Ecco perché mi mancava. Me lo scrivo. Così me lo ricordo

Nessun commento:

Posta un commento