Sola andata

Sola andata

giovedì 24 agosto 2017

Il vizio del privato che vorrebbe trasformarsi in pubblica virtù

È vero, mi sono persa un sacco di mare, lo iodio, le stelle cadenti, passeggiate sulla spiaggia, grigliate, panorami da favola...ha prevalso la mia anima solitaria e un po' opportunista che vede in una Milano comoda e un ufficio semivuoto un'occasione preziosissima di tranquillità, silenzio, gestione autonoma di uno spazio preposto alla condivisione. In tutto questo io ritrovo lo stesso stato di grazia di un koala avvinghiato al proprio albero. Non sono un'asociale, però, come tutte le persone abbastanza timide, trovo nello star sola una mia personale "comfort zone" da cui quasi mai sento che valga la pena uscire se non nelle rare volte in cui il contesto e le persone mi mettono così a mio agio da far emergere la mia parte spiritosa ed efficace nelle conversazioni.

In questi due mesi ho goduto di un ufficio semidesertico popolato da pochi adorabili colleghi che vengono a trovarmi durante la pausa caffè per aggiornarmi o raccontarmi cose divertenti, altri colleghi per i quali non nutro nessun interesse (o l'ho azzerato col tempo e gli eventi), ho lavorato con l'intero repertorio dei Led Zeppelin in sottofondo e pranzato con cose preparate da me e che mi hanno dato molta soddisfazione. Per fortuna il mio splendido isolamento da back Office è stato spesso interrotto dalla necessità di coprire turni di attività di servizio al pubblico, perché per quanto io lo trovi odioso perché mi sottrae dalla mia beata solitudine, rimane paradossalmente la cosa per cui sono maggiormente apprezzata. E giuro che non mi capacito mai di questo. Ci sono persone che trovano normale raccontarmi le loro faccende private, episodi di vita familiare e lavorativa, mi sorridono, mi fanno complimenti perché sono gentile o trovano bello il modo in cui mi trucco gli occhi e alcuni tra i più affezionati mi hanno fatto persino dei regali per il semplice servizio reso. Tutti loro mi fanno spesso pensare a quanto sia grande il bisogno che hanno certi di aver qualcuno con cui confrontarsi e condividere la propria storia, o anche che è bello confidarsi anche per pochi minuti, anche senza che alla base ci sia un rapporto profondo o consolidato dal tempo. Che è bello anche semplicemente incontrarsi per un po', senza progetti o condizionamenti di sorta, persino con una sconosciuta.
E ad un tratto mi rendo conto che nella mia comfort zone nessuno sa che esisto, non sorrido, non parlo, non ricevo complimenti. Sono semplicemente me stessa e questo qualche volta mi piace e lo trovo imprescindibile, altre volte mi annoia, in certi momenti mi pare addirittura essere una cosa abbastanza inutile. Ma poi chi lo sa cosa davvero sia sensato e utile: se sentirsi nei propri panni oppure scoprire lati sconosciuti di sé facendo un po' di fatica e vedere l'effetto che fa.

Agosto è passato così. Tra poche inquietudini, una pace a cui mi sarebbe molto facile abituarmi, piccole confidenze di sconosciuti avventori che mi hanno accordato la loro fiducia, colleghi divertenti  che facevano da contrappunto ai miei silenzi, pranzi preparati con cura inusuale.
 Intanto già mi pare di sentire Settembre che bussa alle porte smanioso di avvisarmi che il trauma da rientro (altrui) non risparmierà neppure me. Quello che forse non sa è che io in fondo sono contenta così. La "comfort zone" sa di muffa se ad un certo punto non si aprono porte e finestre per cambiare l'aria.

È stata una bella estate.







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