Sola andata

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domenica 11 ottobre 2020

Lode agli anni che passano. Se tutto torna

 Sono passati esattamente vent’anni. Per la precisione il 31 di questo mese, nel 2000, mi sarei laureata. Quando  me ne sono ricordata mi è mancato il respiro per qualche secondo. Non è possibile avere un ricordo così nitido di una tappa certamente fondamentale ma di fatto accaduta davvero tanto tempo fa. Non è possibile che io oggi sia qui a rendermene conto senza avvertire il peso di un percorso che ha ormai concluso la sua fase “costruens”.  Il ricordo di quel pomeriggio, in una chiesa sconsacrata di via Medina, col mio tailleur in velluto, i capelli corti e lo sguardo smarrito, preoccupata soprattutto di ben figurare per un prof che non volevo assolutamente deludere e che non ho voluto abbandonare neppure negli anni successivi, con un master e poi un dottorato per cui mi ha fatto da tutor. È incredibile come certe persone, incrociate in periodi precisi della nostra vita, arrivino a rappresentare in modo del tutto involontario dei mentori capaci di condizionare una vita intera. Avevo diciotto anni quando conobbi il mio prof, mi fece ripetere il suo esame per tre volte prima di darmi trenta e lode. È stato lui l’ultima persona che ho salutato prima di venire a Milano. Avevo ormai quasi trentatré anni. E io, nonostante lui, per l’economia ho sempre avuto la stessa armoniosa sintonia che può esserci tra le cozze e la nutella. Grazie, grazie e ancora grazie anche per questo strano e assurdo miracolo di “innesto” mio amatissimo prof.

È una giornata uggiosa qui a Milano ma io sono di buon umore perché domani viene Moretti a raccontar cose all’Anteo e poi il mio papà starà qualche giorno a risolvermi un po’ di problemi qui in casa e con gli operai che forse finalmente finiscono lavori che sulla carta dovevano concludersi il 14 agosto. Alla fine si sono fatti perdonare facendomi un forte sconto ed in più la lavatrice slim perché i loro errori di progettazione non consentivano alla mia di entrare nel nuovo bagno. Tutto si aggiusta alla fine, se conservi pazienza, fiducia e un po’ di buon senso persino quando nulla pare averne.

I contagi hanno ripreso a galoppare. Stavolta anche io ho l’opzione allo smartworking e sono pronta a riammettere un periodo di clausura, se necessario. Come la prima volta non avverto paure particolari e non mi spaventa l’idea di trascorrere di nuovo intere giornate in quattro mura. Se c’è una cosa che ho capito questi anni, fatti -  come un po’ per chiunque - di solitudini, incontri belli o anche sbagliati, tantissimi viaggi, una città da vivere senza riserve...che la cosa che mi interessa davvero è convivere pacificamente con le mie fragilità senza più voler pretendere di ridimensionarle con esercizi estenuanti. Non sono un’estroversa. Alla lunga questo lo capiscono tutti. Comincio a sentire la socialità soltanto come una necessità imprescindibile piuttosto che una parentesi piacevole che amplia i miei orizzonti oltre la mia confortevole soglia individuale. Non mi dispiace che mi si imponga un nuovo isolamento: stavolta lo vivrei con ancor più metodo e divertimento. Lo sento.

Spesso racconto con ironia o (finto) rammarico del fatto di non vivere un amore. La verità è che mi piace solo l’idea perfetta dell’amore. Nei fatti nessuno può farmi felice. E viceversa. Ho l’anima da geisha e questa è una condanna perché nessun uomo è in grado di provare davvero amore per una donna così. Alla lunga si smette di apprezzarla e si finisce per darla per scontata. Mentre si guarda altrove. E io dal canto mio non so immaginarmi in altro modo.

Mi sono laureata vent’anni fa. Ho preso persino la lode e ancora oggi mi chiedo come sia stato possibile. Poi però ci penso bene e mi dico che no. È del tutto ragionevole. Anzi la lode era il minimo.

Modestia e insicurezza comprese.




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