Sola andata

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venerdì 2 ottobre 2020

Sazia di leggerezza

 Sono due giorni che mi chiedo come si possano restituire le sensazioni più significative di un’esperienza in fondo neppure così eccezionake o rara ma, garantisco, profondamente intensa. Forse per parlarne come intendo può avere senso una premessa personale. Io credo che esistano essenzialmente due modi di liberarsi di una dipendenza o di un’ossessione: uno è azzerarne la gestione, invece di provare a darsi delle regole restrittive (smettere di fumare, lasciarsi e non vedersi mai più, smettere di bere...), oppure provare a rivoluzionare completamente il rapporto tossico che si genera dall’interazione col motore stesso delle nostre ossessioni. Detto questo, racconto di quello che ho fatto e cosa ho imparato. Sono anni che mi interesso di pratiche del digiuno. Le ragioni sono tantissime, partono dalla passione per il rapporto perfetto corpo/alimentazione ad un’idea più spirituale legata ad una forma di purificazione che parte dal corpo per toccare le corde più profonde del proprio essere. Uso un linguaggio improprio perché in realtà non ho ben chiaro cosa ho fatto davvero. È andata così: ho seguito e letto il libro di un dottore italiano che lavora in California, Valter Longo, e che si occupa di longevità. Una delle cose che ha sviluppato è un protocollo  alimentare chiamato mima-digiuno: devi stare cinque giorni ad assumere solo quello che c’è dentro un pacchettino. Il kit si compone, appunto, di cinque pacchettini. Nulla di più. In quel pacchettino ci sono integratori e fibre che ti aiutano a stare in piedi mentre il corpo percepisce lo stato di perfetto digiuno. Così per cinque giorni. Mi ha convinto. L’ho preso e l’ho fatto. Non è stato proprio facile, ma i benefici sono così tangibili che non vedo l’ora di ripeterlo. È stato così che ho capito che posso non bere tutto il caffè che sono solita prendere e che ho sempre creduto irrinunciabile, che sono spariti come per incanto quasi tutti i dolori articolari e la concentrazione e la lucidità sono aumentate in modo impressionante (sempre ammesso che ne avessi qualche barlume prima). Oggi il mio rapporto col caffè si è normalizzato e percepisco gli alimenti con una sensibilità completamente nuova. E questo per me significa davvero moltissimo. Il rapporto col cibo, come quello col denaro, è qualcosa con cui facciamo inevitabilmente i conti per una vita intera. Stare attenti a come decliniamo noi stessi rispetto a loro vuol dire raccontare praticamente tutto di noi stessi e di quello che siamo. Sono stati cinque giorni di un po’ di sacrificio, pazienza e attesa, ma pure di grande consapevolezza e autostima.

Oggi ho preso un giorno di ferie perché stamattina dovevo fare un brainstorming con delle mamme di bambini dai sette ai nove anni e ho capito che non è una colpa non avere istinto materno, è semplicemente un modo di essere rispettabilissimo: sarei stata una madre inadeguata, diversa non per capriccio ma per condizione di fatto. E questo di solito significa bambini disadattati. Sono salva dalle chat di signore che non comprendo e da bambini che avrebbero faticato ad amarmi. Sono salva dai miei errori inevitabili. E forse pure da quelli degli altri. Mah...anche non porsi più il problema è una vera liberazione.

Ora, come ieri, vado al museo del cinema, per vedere dei film e altre cose, ma soprattutto per ritrovare persone che amo molto e che mi aiutano a riposizionarmi in questa città in un tempo indecifrabile e asfittico come questo. Sono fortunata. O forse solo riconoscente. Il che, se ci penso bene, è un po’ la stessa cosa. O forse, per la prima volta, mi sento davvero sazia


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