Sola andata

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venerdì 5 novembre 2021

Quel saluto mancato di un’amica “mancante”

 Erano già un po’ di mesi che non ritrovavo i suoi post mentre scrollavo rapidamente le pagine di fb. Mai banale, forse un po’ troppo malinconico negli ultimi tempi, ma sempre appassionato e acuto. Come solo un bravo prof di filosofia riesce ad essere. Lo conobbi a Suzzara, curava il “palinsesto” delle proiezioni di un cineforum in cui teneva anche delle bellissime lezioni introduttive: l’idea era indicare la lettura di un libro associato ai film che trattavano le stesse tematiche. Diventammo subito molto amici: i miei mesi a Suzzara sono stati un bel ricordo anche grazie alle lunghe passeggiate pomeridiane sempre più frequenti a chiacchierare di cinema e un po’ delle nostre reciproche faccende,e poi le gite fuori porta offrendomi l’opportunità di una guida “colta” in quel territorio meraviglioso che si confonde con l’Emilia. Fino a seguirlo nei suoi affollati seminari che tenevaanche nei paesini limitrofi e che lo avevano reso uno degli intellettuali più stimati della zona. Patrizio mi ha accordato la sua amicizia con una generosità che non ho mai scordato. Poi sono andata via per trasferirmi a Milano e ci siamo persi in quella maniera che ormai conosco bene quando la prossimità delle relazioni viene interrotta. Per la verità una volta è pure venuto a Milano ma non mi riuscì incastrare i miei impegni con la possibilità di salutarlo. E’ così purtroppo, non sono mai stata brava a conservare le amicizie fuori dal contesto in cui sono nate. Poi un giorno, molti anni dopo il mio approdo milanese mi scrisse un sms carico di tutto il dolore che un uomo possa provare. Si era ammalato gravemente e lo aveva appena scoperto. Il fatto che si fosse ricordato di me, dopo tutti quegli anni e che sentisse il bisogno di informarmi mi fece gelare il sangue. Ci siamo ritrovati su fb, ritrovando la stima, la familiarità dei modi e la reciproca comprensione di un tempo. I suoi studenti continuavano ad amarlo e la sua attività divulgativa si era conservata fertile e appassionatacosì come la ricordavoCol tempo le sue cure mi erano sembrate farsi molto pesanti e invasive e intuivo che il lockdown lo aveva devastato. Poi ha smesso di scrivere. Ma io non ci fatto caso proprio subito. E’ morto nell’aprile scorso, ma io me ne sono resa conto soltanto pochi giorni fa. Ci sono i saluti di tutti quelli che gli hanno voluto bene e stimato e poco prima aveva scritto un paio di brevi post in cui accennava di non farcela più. Sapevo che sarebbe successo prima o poi e questa notizia, per quanto mi addolorasse molto, l’ho accolta senza lo stupore di chi non si capacita di una morte prematura. Però ho subito ripensato ai suoi racconti di allora, ai libri che mi ha prestato, ai film che mi suggeriva come se fossero beni di prima necessità, ho ricordato il suo orgoglio quasi fanciullesco con cui mi raccontava di come soltanto in quella porzione di territorio potesse prodursi il parmigiano reggiano e in nessun altro posto. E poi mi ricordo di un suo pianto, una sera,davanti ad una cioccolata calda mentre mi raccontava di una questione molto personale e ho pensato a quanta enorme fiduciami aveva accordato, pur senza conoscermi da molto tempo. Ad un tratto mi sono resa conto di quanto poco la meritassi e che quella volta che venne a Milano avrei dovuto impegnarmi per incontrarlo almeno per un saluto veloce. 

Ci sono aspetti della mia vita che mi pare di vivere senza la giusta intensità, come se non riuscissi a calibrarne la reale portata. Un mio amico mi dice sempre “Lucia, ma come fai a sopravviverti!”, alludendo al mio modo a volte “barcollante” di risolvermi il quotidiano. E’ vero. Vivo di piccoli “refusi” non solo di scrittura ma pure di condotta e in fondo credo che resterà sempre questa la mia cifra. D’altra parte se sono ancora qui a raccontarlo forse vuol dire che funziono lo stesso anche così.

Però ci sono distrazioni e distanze che non posso perdonarmi, checonsidero delle colpe gravi, come quella di non riconoscere l’affetto sincero delle persone speciali che la buona sorte ha voluto concedermi e che, bontà loro, hanno conservato un ricordo bello di me. La gratitudine non è un’opzione, va applicata con cura. Credo che lui non abbia avvertito davvero il peso delle mie mancanze e che abbia continuato a pensare a me con affetto fino alla fine. Eppure io sento di essere stata mancante nei suoi confronti.

Ora che è tardi e che la solitudine da pandemia aveva reso ancora più dolorosa la sua malattia sento che la mia disattenzione è stata un’occasione perduta di vicinanza. Nelle sue ultime foto a fargli compagnia c’era solo un piccolo cagnolino a cui dedicava un sorriso malinconico e riconoscente. Quasi quanto quel piantostruggente di tanti anni fa. Tutto passato. E chiedo scusa.

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