Sola andata

Sola andata

giovedì 17 novembre 2022

Vuoti. Da riempire? E quanto? E come? E soprattutto perché?

 Anche il mobile grande in cucina è partito. Guardo quella stanza ormai quasi vuota e mi pare un posto indifeso, come se non fosse più possibile custodirci nulla o accumularvi cose con la speranza che si trasformino in ricordi. La mia piccola casa sta tornando ad essere quella specie di guscio vuoto che mi sembrò la prima volta che venni a vederla prima di comprarla. Mi pare ieri e invece sono passati tredici anniRicordo che arrivai in questo quartiere per un’altra casa. Ma era ancora in costruzione e io non volevo aspettare altro tempo. Così, per non vanificare quella trasferta decisi di chiamare il numero che vidi sul cancello della palazzina di fronte. Mi rispose un uomo molto gentile e anziano di cui mi fidai immediatamente. Fu una trattativa velocissima. Senza neppure il preliminare. Non ho mai saputo se feci un affare o presi una sonora cantonata: è una casetta molto piccola e umida nella quale mi sono divertita a fare un mucchio di lavori e di tentativi di migliorie. In fondo non custodisce neppure troppi ricordi e ci sono entrate persone e cose che non saprei quantificare in modo puntuale né nel numero e neppure nel valore reale. So soltanto che dimenticare e gettare via, in questo periodo, mi sembrano dei sinonimi intercambiabili a piacimento e che mi piace associare alla parola paccottiglia. E così oggi la mia cucina è bella spaziosa e nell’altra stanza c’è ora un bellissimo letto nuovo a ribalta che quando è mattina è chiuso e fa diventare grande anche quel vano. Dopo tanto tempo non sono più costretta a dormire nel soppalco, a sua volta diventato spazio libero da regalare ai fumetti più voluminosi e che mai butterei via. Vivo questa nuova dimensione domestica con lo stesso stupore di chi ha appena traslocato. E’ una sensazione bellissima che ha il sapore di una rinascita, un nuovo inizio, una piccola rivoluzione nella mia dimensione privata.

Non mi ammalo credo dal 2015. Quella volta per fortuna ero a casa dai miei: svenni e vomitai ininterrottamente per tre giorni. Una notte mi alzai per andare in bagno ebbi un mancamento, caddi con la faccia sullo spigolo della doccia e solo per mezzo centimetro non persi l’occhio. Quando ricominciai ad uscire passai un mese a spiegare che il mio viso gonfio non era il frutto di una violenza. Da allora non ho più avuto nulla, se non in questi ultimi due giorni nei quali convivo con una forte tosse. Direi che in fondo, dati gli anni che corrono, potrei dirmi miracolata: comprendo persino quelli che mi vorrebbero ammalata di covidperché me lo meriterei visto il mio irriducibile scetticismo verso questi vaccini. Vi comprendo, vogliate perdonare la mia ancora efficace reattività ai malanni. Forse il perenne senso di inadeguatezza alla vita mi aiuta: se mi alleno con la costanza di un milite spartano, se mangio cose che farei fatica a spiegare anche al nutrizionista più aggiornato, se la paura di ammalarmi in solitudine supera quella di farmi curare da medici di cui non so la storia, probabilmente mi sono creata un mio personale rimedio preventivo che pare funzionare. O, più semplicemente, fino ad ora mi ha detto bene. Spero che duri il più a lungo possibile perché a volte anche io ho un po’ di paura.


Un paio di giorni fa è passata in ufficio una signora rumena assieme alla sua nipotina, appena arrivata, con i genitori, per vivere con lei. Era una bambina di meno di un anno, non bella, molto irrequieta e che faceva troppo rumore battendo una penna continuamente sulla scrivania, tanto da impedirmi di concentrarmi. Non vedevo l’ora che andassero via, ma sono riuscita lo stesso a mantenere la calma e a fare persino un paio di sorrisi ipocriti che credo abbiano incoraggiato la donna a raccontarmi la sua storia. Ad un certo punto infatti mi fa: vede, io sono rimasta vedova e questa piccolina è stata il mio ritorno alla vita. Di notte si alza e cerca me. Mica la sua mamma! Senza di lei sarei sprofondata nella depressione. Non so come avrei fatto”. Mi è sembrata molto tenera e quasi mi è dispiaciuta la mia solita indifferenza verso un mondo che non mi affascina, ma che in realtà non conosco affatto, come quello dell’infanzia. Le ho sorriso ancora una volta e poi l’ho salutata pensando che in fondo è giusto e normale che chi non riesce a star solo trovi amabile anche un bambino troppo petulante e capriccioso per riuscire a dare un senso e una prospettiva ai propri giorni. E poi ho pensato che sia molto onesto pure riuscire ad ammettere che esistano persone, come me, che di quella presenza, di quella maniera di credere nel futuro, non riescano a farsene proprio niente. E non è mica facile. Giuro

Nessun commento:

Posta un commento