Prima o poi mi tornerà la voglia di raccontare i fatti miei con cadenza quasi quotidiana. Non perché questo debba mai interessare a qualcuno, però credo sia un utile esercizio quello di partire dalla semplicità quasi banale dell'ordinario quotidiano di una persona qualunque, per poi provare ad estrarre un qualche pretesto di riflessione condivisa. È solo che non mi viene più così naturale e non ne capisco davvero le ragioni. Credo sia un po' vera quella cosa che diceva Tenco, senza ovviamente azzardare il minimo confronto o similitudine creativa, che scriveva sempre canzoni tristi perché quando era felice usciva.
Io sono capace di gestire il dolore che mi cerco io stessa, non per sadismo ma per tensione a obiettivi precisi o forse soltanto perché in realtà a me il disagio piace, mi rassicura molto di più di un banale stato di benessere che però non mi dà il senso profondo del mio stare al mondo. È per questo, forse, che sono davvero soddisfatta solo quando mi alleno tanto e mi stanco fino a stramazzare a terra, o se mi impongo certe forme di metodica disciplina quotidiana (doccia fredda appena sveglia, caffè solo amaro che ho sempre trovato disgustosissimo, andare e tornare a piedi dal lavoro per un totale di 8,3 km). Però il dolore che non mi scelgo no, quello mi annienta, non lo comprendo e non mi aiuta a codificare la mia realtà. E allora lo metto su carta (o su roba del genere) e provo a raccontarlo a modo mio. Di solito passo dal più totale smarrimento, poi per delle non bene precisate forme di rabbia o rancore, per arrivare alla pacificazione e finalmente ad un ritorno allo stato emotivo pre trauma, come se nulla fosse stato, ma in realtà parecchio è cambiato. Sì, credo che la lezione più chiara che mi ha dato questo diligente "quadernone" biografico sia che davvero il dolore passa sempre, pure quando pare proprio di no, e che tu nel frattempo puoi solo subirlo, lasciarlo agire, farti plasmare da lui e vederlo andar via col suo volto disteso mentre ti saluta con un sorriso indulgente. È una formula che si ripete sempre uguale a se stessa, necessaria e meccanica.
Stasera avrei cercato ogni pretesto per evitare le ripetute in pista. Ogni runner le odia perché comportano un carico sovradimensionato di attività cardiaca e per questo sono estremamente stancanti e per nulla divertenti. Eppure quando il coach mi ha detto che ho mantenuto una media di 4:55 (per me un tempo record) mi è sembrato di sollevarmi da terra per quanto ero felice. E io che non ci volevo venire!
Succede sempre. Il dolore passa sempre. Ma quando smetto di averne paura certe volte ne rimango incantata. Anche questo dovrei raccontarmelo, ogni tanto.
Io sono capace di gestire il dolore che mi cerco io stessa, non per sadismo ma per tensione a obiettivi precisi o forse soltanto perché in realtà a me il disagio piace, mi rassicura molto di più di un banale stato di benessere che però non mi dà il senso profondo del mio stare al mondo. È per questo, forse, che sono davvero soddisfatta solo quando mi alleno tanto e mi stanco fino a stramazzare a terra, o se mi impongo certe forme di metodica disciplina quotidiana (doccia fredda appena sveglia, caffè solo amaro che ho sempre trovato disgustosissimo, andare e tornare a piedi dal lavoro per un totale di 8,3 km). Però il dolore che non mi scelgo no, quello mi annienta, non lo comprendo e non mi aiuta a codificare la mia realtà. E allora lo metto su carta (o su roba del genere) e provo a raccontarlo a modo mio. Di solito passo dal più totale smarrimento, poi per delle non bene precisate forme di rabbia o rancore, per arrivare alla pacificazione e finalmente ad un ritorno allo stato emotivo pre trauma, come se nulla fosse stato, ma in realtà parecchio è cambiato. Sì, credo che la lezione più chiara che mi ha dato questo diligente "quadernone" biografico sia che davvero il dolore passa sempre, pure quando pare proprio di no, e che tu nel frattempo puoi solo subirlo, lasciarlo agire, farti plasmare da lui e vederlo andar via col suo volto disteso mentre ti saluta con un sorriso indulgente. È una formula che si ripete sempre uguale a se stessa, necessaria e meccanica.
Stasera avrei cercato ogni pretesto per evitare le ripetute in pista. Ogni runner le odia perché comportano un carico sovradimensionato di attività cardiaca e per questo sono estremamente stancanti e per nulla divertenti. Eppure quando il coach mi ha detto che ho mantenuto una media di 4:55 (per me un tempo record) mi è sembrato di sollevarmi da terra per quanto ero felice. E io che non ci volevo venire!
Succede sempre. Il dolore passa sempre. Ma quando smetto di averne paura certe volte ne rimango incantata. Anche questo dovrei raccontarmelo, ogni tanto.
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