Sola andata

Sola andata

martedì 9 maggio 2017

Passaggi obbligati. Scelti o subiti poco cambia

Prima o poi mi tornerà la voglia di raccontare i fatti miei con cadenza quasi quotidiana. Non perché questo debba mai interessare a qualcuno, però credo sia un utile esercizio quello di partire dalla semplicità quasi banale dell'ordinario quotidiano di una persona qualunque, per poi provare ad estrarre un qualche pretesto di riflessione condivisa. È solo che non mi viene più così naturale e non ne capisco davvero le ragioni. Credo sia un po' vera quella cosa che diceva Tenco, senza ovviamente azzardare il minimo confronto o similitudine creativa, che scriveva sempre canzoni tristi perché quando era felice usciva.

Io sono capace di gestire il dolore che mi cerco io stessa, non per sadismo ma per tensione a obiettivi precisi o forse soltanto perché in realtà a me il disagio piace, mi rassicura molto di più di un banale stato di benessere che però non mi dà il senso profondo del mio stare al mondo. È per questo, forse, che sono davvero soddisfatta solo quando mi alleno tanto e mi stanco fino a stramazzare a terra, o se mi impongo certe forme di metodica disciplina quotidiana (doccia fredda appena sveglia, caffè solo amaro che ho sempre trovato disgustosissimo, andare e tornare a piedi dal lavoro per un totale di 8,3 km). Però il dolore che non mi scelgo no, quello mi annienta, non lo comprendo e non mi aiuta a codificare la mia realtà. E allora lo metto su carta (o su roba del genere) e provo a raccontarlo a modo mio. Di solito passo dal più totale smarrimento, poi per delle non bene precisate forme di rabbia o rancore, per arrivare alla pacificazione e finalmente ad un ritorno allo stato emotivo pre trauma, come se nulla fosse stato, ma in realtà parecchio è cambiato. Sì, credo che la lezione più chiara che mi ha dato questo diligente "quadernone" biografico sia che davvero il dolore passa sempre, pure quando pare proprio di no, e che tu nel frattempo puoi solo subirlo, lasciarlo agire, farti plasmare da lui e vederlo andar via col suo volto disteso mentre ti saluta con un sorriso indulgente. È una formula che si ripete sempre uguale a se stessa, necessaria e meccanica.

Stasera avrei cercato ogni pretesto per evitare le ripetute in pista. Ogni runner le odia perché comportano un carico sovradimensionato di attività cardiaca e per questo sono estremamente stancanti e per nulla divertenti. Eppure quando il coach mi ha detto che ho mantenuto una media di 4:55 (per me un tempo record) mi è sembrato di sollevarmi da terra per quanto ero felice. E io che non ci volevo venire!
Succede sempre. Il dolore passa sempre. Ma quando smetto di averne paura certe volte ne rimango incantata. Anche questo dovrei raccontarmelo, ogni tanto.

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