Sola andata

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venerdì 24 gennaio 2020

A mali estremi la media rimedia

In fondo può essere anche una fortuna. O in un certo senso un differente orizzonte di possibilità su cui puntare. Io non credo di appartenere a nessuna statistica media dei fenomeni più significativi per la lettura del contemporaneo. Non mi trovo a combattere con la precarietà (o perlomeno non in questo preciso momento), con affitti o mutui da pagare e non sono una madre perennemente in biblico tra esigenza di autodeterminazione e bisogno di accudimento e preservazione degli affetti. Non mi ritrovo neppure a gestire le nuove forme di incomunicabilità della vita di coppia. E poi non sono una capitalista che vive di rendita o ambirebbe a farlo e neppure una donna in carriera rampante e competitiva, non sono alla ricerca di consenso constante o di nuovi amici. Vivo nella periferia per scelta e non per costrizione, amo la mia solitudine e i miei silenzi e però adoro altrettanto le persone che scelgo e che stimo. Sono un cosiddetto outlier, un valore che si discosta così tanto dalla media da generare uno scostamento che può risultare difficile interpretare. Per la statistica sono una specie di piccolo guaio nella lettura dei fenomeni aggregati. Per me stessa invece sono un espediente “esistenziale” piuttosto divertente. Ci pensavo giusto oggi, dopo un film che mi è proprio tanto piaciuto. “Figli” è per lo più una divertente ma molto efficace analisi della “famiglia media” in un contesto che di medio non conserva più nulla, se tale si definisce un certo ordine sociale nel quale risulta relativamente semplice contare su una sufficiente rete di relazioni per andare avanti senza troppo sforzo o tensioni.

Non ho mai pensato di sposarmi. Meno che meno che avrei avuto dei figli. È proprio l’idea di formare una famiglia che mi è sempre stata estranea. Non saprei dirne tutte le ragioni. Qualcuna sì, ma credo che ci siano questioni più profonde che non ho mai osato maneggiare. Potrei partire dal fatto che delle famiglie mi interessa solo la coppia e che mai una volta mi è capitato di trovarne una che con gli anni mi paresse più bella degli inizi.
Fino a qualche anno fa provavo a chiedermi come avrei voluto che fosse un eventuale figlio partorito proprio da me, o meglio, se lo avrei amato pure se fosse stato malato, brutto, antipatico, problematico, fascista...la risposta è sempre stata no. Era questo il mio modo per garantirmi che non merito di essere genitore.
La crisi economica del 2008 mi ha portato un lavoro pubblico a tempo indeterminato, e da allora ancora non mi è chiara la retorica della nostalgia delle radici o del valore superiore degli anziani come maestri di vita (sono loro quelli a cui devo continuamente ribadire di spegnere il cellulare al cinema e che non sanno, o non vogliono, fare bene la differenziata), non credo neppure nel valore supremo nella tradizione: secondo me è soltanto un veleno lento che uccide e mortifica l’evoluzione e il progresso e sono convinta che questo paese sia fermo proprio grazie a chi continua a ripeterlo in pensieri, parole, opere e omissioni...è fermo perché la famiglia non funziona e ci si ostina a formarla secondo un modello limitante e arcaico che agevola solo l’incomprensione e la reciproca distanza.

Pare che ci siamo dati appuntamento. Su “propaganda live” c’è Mastandrea che fa il monologo dei
primi minuti del film. Si parla di capitalismo, e pure di agenzia delle entrate. Essì è un film proprio da vedere. Anche da qualcuno come me, che non c’entro niente con quel mondo raccontato così, per libera scelta o forse per necessità di fatto, ma in fondo cosa cambia? È questione che non mi procura nessuna angoscia e allora c’è qualcosa di non sbagliato di sicuro.
“Ognuno vive la crisi a modo proprio” dice adesso Valerio.. Io la vivo amando così come sogno da sempre di fare e senza davvero esserci (ancora) riuscita.
Forse non è un caso neppure il fatto che proprio adesso mi sono ricordata di una cosa che disse Remo Remotti in un‘intervista allegra e scanzonata poco prima di morire. Diceva che la capacità di amare si acquisisce davvero solo dopo i cinquant’anni, quando si è vissuto abbastanza per conoscere, accettare e poi finalmente amare tutto, pure l’orrore. Soltanto dopo si riconosce anche il cuore da corrispondere. Non ho mai più scordato questa cosa.
E da allora mi dico sempre che forse per me è semplicemente troppo presto. In realtà la media statistica è lì, proprio lì visibile persino dal mio orizzonte, che aspetta anche me. In qualche modo aspetta anche me.


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