Sola andata

Sola andata

giovedì 16 gennaio 2020

I passi indietro che faccio bene solo da ferma

Non lo faccio quasi mai. Tranne ieri, e in pochissime altre occasioni. Di solito quando scrivo su questo diario pubblico per me è assodato ammettere che qualcuno possa potenzialmente venire a sapere che cosa io pensi e poi sperare che ne capisca davvero il senso, che si identifichi in parte o del tutto con ciò che racconto o intuisco. O anche per nulla. Ma ieri avevo scritto una cosa un po’ autoreferenziale su quale cuoca eccellente di me stessa sono diventata, grazie alla mia parmigiana ultralight, che ha raggiunto delle vette di prelibatezza tali che non ha nulla più da invidiare a quella bisunta. E dopo mi sono ritrovata a raccontare pure di quando ero piccola e andavo sempre in chiesa e che una volta da un balcone uno che mi vedeva sempre andarci assieme a mia madre mandò la sua di madre da mia nonna per chiedermi in moglie. Tutto vero. Succedeva negli anni ‘90 nell’entroterra “difficile” di una provincia del profondo sud. Ho impiegato un sacco di tempo a scrivere quel post e altrettanto a sforzarmi di non provare alcuna malinconia per un periodo della vita che avrei voluto avesse altre forme e colori. L’ho riletto tante volte, mi sono chiesta perché cucinare bene sia così importante anche per me che in realtà ho sempre paura di diventare grassa e di mangiare troppo, e poi  avrei voluto sapere perché a quel tempo andavo a messa tutte le domeniche mattina alle 7:30 anche se non sono mai stata credente e facevo una fatica incredibile a ripetere quel rituale domenicale. Mi sono sentita a disagio per tutto questo. Poi oggi ho forse capito qualcosa in più .

Oggi Amadeus ha detto una cosa tremendamente infelice sulle donne di certi uomini a cui è pubblicamente riconosciuto un valore. Ha detto che devono stare un passo indietro. In mezzo al popolo degli indignati per quella dichiarazione, tanto più grave in quanto pronunciata con la più naturale leggerezza, c’ero anche io. Ma mica saprei dire davvero il perché. In realtà anche a me verrebbe normale fare proprio così. Lo so benissimo, ed è proprio questo che mi spaventa più di tutto della mia maniera assurda di concepire i rapporti d’amore in cui la dimensione dell’io viene completamente annullata. Potrei cominciare parlando di certi “amori immaginari” che mi creo così
spesso tutte le volte che voglio fare le cose in quel modo che solo da innamorata sono capace di fare. Tanto per dirne una: se voglio cucinare bene ho bisogno di pensare di farlo per una persona precisa. Altrimenti il piatto non riesce. Non mi è sufficiente pensare di appagare un mio personalissimo bisogno di piacere gastronomico perché così è certo che il piatto non verrà bene. Mi viene naturale stare un passo indietro rispetto a chi amo, persino se non lo sa o non esiste davvero. O forse solo in questi casi. Chi lo sa. So solo che quando esco a correre, o scelgo un film da vedere o un libro da leggere mi chiedo sempre se a lui piacerebbe o che penserebbe se...
Ci sono stati periodi interi della mia vita in cui ho immaginato persino con piacere di vivere in funzione di qualcuno come se fossi stata la sua geisha, una che non si metterebbe mai in competizione e che asseconda soltanto il suo volere. Quando me ne rendo conto provo sempre un enorme dispiacere, per me, per la mia condanna ai rapporti effimeri o solo” immaginari”, per la mia incapacità di darmi altri parametri interiori di comportamento affettivo...Ma è così: sbagliato e insostenibile come sono certi rapporti incapaci di reggere tutta questa responsabilità per un tempo indefinito.
Ieri  mi raccontavo di essere diventata la miglior cuoca (di me stessa) che potessi immaginare.
E questo nonostante nulla di quanto avessi preparato fosse stato fatto per me. Non ho fatto passi indietro, non ero una geisha. Eppure ho mangiato divinamente.


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