Sola andata

Sola andata

martedì 18 agosto 2020

Partire? O semplicemente ripartire?

 Forse dovrei smetterla di sdrammatizzare e ironizzare sempre su tutto. La verità è che sono veramente, irrimediabilmente, bollita. Per tutto. Sono stremata per l’assurdità di questo periodo, del caldo, dei lavori in bagno, del sudamericano col vocione, della mia pressione bassa, della fatica di vivere in una città così cambiata e irriconoscibile. Sì, sono stanca e svuotata e non ho più voglia di offrirmi chiavi di lettura indulgenti per tutto quello che non va solo per dare una giustificazione razionale a ciò che non riesco più a sopportare. In fondo che male faccio se per una cazzo di volta mi lamento non per quanto sono fatta male o per i miei limiti ma di tutto quello che mi sta intorno e pare divertirsi ad avvilirmi e a farmi desiderare la fuga. 

La settimana prossima scenderò giù dai miei. Per allora il mio bagno dovrebbe essere pronto, nonostante un ritardo che mi ha procurato una dose non indifferente di difficoltà, disagio e salti mortali al lavoro. Se sento ancora qualcuno che parla male della PA lo gonfio.

Non ne vengo fuori: il tempo mi pare sfuggirmi dalle mani, sono indebolita e faccio fatica a far tutto, tutto questo mentre provo a sorridere della mia effettiva capacità di sistemare tutto come si deve. Non sarà così. Non ora. Perché non ho più forza. Rivedere la mia casa come è adesso mi ha riportato al tempo in cui ci ho messo piede per la prima volta, un felicissimo gennaio di undici anni fa.  Avevo solo il letto e il microonde. Ricordo che fu in quelle condizioni che una sera vidi “l’ora del lupo” (rivisto da pochi giorni). Neppure il riscaldamento c’era ancora. Eppure non mi pesava niente, ero felicissima. All’epoca lavoravo in un ufficio lontanissimo, in zona gratosoglio, che mi imponeva tre mezzi e 1 ora e venti di viaggio per arrivarci. Ma io ero tutta contenta lo stesso. Oggi al lavoro ci vado a piedi e ho trasformato quella casa gelida e umida in una festosa e accogliente abitazione per ragazze inutilmente ottimiste. Eppure la questione è un’altra e mai avrei immaginato che un giorno ci avrei davvero fatto i conti. La questione è: quando si parte e si decide di andare lontano da casa per lavorare lo si fa principalmente per ragioni del tipo: migliorare la propria condizione economica, esistenziale, di crescita individuale e di consapevolezza. Altrimenti non ha senso partire. E allora ho pensato che per il mio bilancio personale posso fare così: andare per esclusione. Per esempio partirei con:

La questione economica: io appartengo alla categoria di coloro che trovano inconcepibile non lavorare e questo indipendentemente dal tipo di lavoro svolto, da quanto piaccia o costituisca o meno la nostra vocazione. Non mi immagino proprio a dire “io non lavoro”. Se solo penso al concorso, alla folla oceanica, alle attese, all’ansia...mio Dio. Lavorare a Milano ha significato comprare una casa che altrimenti non avrei preso, soldi che non avrei speso e che non compenserò certo con il mio reddito corrente. Quei soldi sono soltanto una perdita, un minus nel mio bilancio, così come tutte le spese che comporta lo stare lontano dalla famiglia in una città estremamente cara. Dunque, questione economica direi non rilevabile. Hanno ragione quelli che ritengono che di fatto i guadagni dal lavorare fuori sede siano quasi sempre inferiori al mancato costo derivante dallo starsene a casa. E ora che Milano si è svuotata per lo smart working forse ci si sta rendendo conto di che immani risorse si stia per privare.

La socialità. Forse la mia nota più dolente. Ho conosciuto una marea di persone, ma sono irrimediabilmente pochissime quelle che ho mantenuto vicine. Nessun incontro ha meritato l’appellativo di amore. Una perdita incalcolabile per la mia crescita affettiva. Ho fatto e visto un sacco di cose. Milano è una città strepitosa. Ma io sono rimasta la “solita solitaria” con vocazione agli affetti stabili. Nessun progresso evidente neppure stavolta

Crescita individuale: e che ne posso mai sapere? Come posso sapere cosa mi sarei inventata per sopravvivere alla noia del paesello. In fondo Napoli è a pochi minuti. Cosa posso saperne degli incontri mai  avvenuti, degli interessi inespressi, della fatica a cui mi sono sottratta  per adattarmi ad un sud sempre più  dimenticato. Che ne so...


Il mio bagno blu è quasi finito. Con un ritardo inqualificabile ma è tanto bellino. C’ho visto troppogiusto con le piastrelle. E poi il ragazzo nuovo che c’era oggi è molto carino e simpatico, mi ha fatto trascorrere una buona giornata.  Mi sembra di aver appena traslocato. Tanta polvere, tanto disordine. Credo che mi attenda un po’ di fatica prima delle vacanze.

Magari ho solo bisogno di ricominciare tutto da capo. Anche se questo poi significa semplicemente ripartire, ancora una volta, da qui.



2 commenti:

  1. Non entro nel merito di considerazione e stati d'animo personali (e immagino di un lungo rimuginare per valutare i pro e i contro del vivere a Milano, del viverci ancora o meno).
    Credo però che i casini del bagno e la presenza costante del cugino scemo di Pablo Escobar (mi sono fatto l'idea che sia un narcos che lavora in smart working, lontano da casa sua) abbiano influito e influiscono su come ti senti.

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  2. Questo per dire che il bagno a breve luccicherà e ti ripagherà di tutti i contrattempi patiti.
    Sul sudamericano bisogna sperare nell'antidroga o in un regolamento di conti.

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