mercoledì 20 novembre 2024

Non è che se…

 Non è che se decido di non scrivere quello che mi fa male poi sto meglio solo perché non analizzo quello che mi capita. L’inverno non mi fa bene: moltiplica il senso di affaticamento, di insoddisfazione, di indefinitezza di ogni mia azioneSaranno le poche ore di luce e la sensazione che le giornate siano tremendamente corte per fare tutto quello che si vorrebbe e allo stesso tempo infinite per le mille incombenze che sembrano accavallarsi tutte assieme e senza scampo, ma ho come la perenne sensazione di sentirmi inconcludente.

Se dovessi sintetizzare tutto quello che mi è successo dall’ultima volta che ho appuntato il mio diario potrei dire che:


Quelli di Matrimonio a prima vista sono rimasti assieme solo per i 2/3. La coppia in cui lui aveva lasciato il lavoro e che se ne è andato via da Milano per tornare in Salento non ha retto. Mi pare normale in fondo. Il grande quesito che rimane è: cosa sarebbe accaduto se lui fosse rimasto? Se avesse trovato un nuovo lavoro e se lei lo avesse aiutato piuttosto che aver paura che lui volesse solo piazzarsi in casa sua e magari fare il mantenuto per un tempo indefinito? Non lo sapremo mai. L’esperimento è saltato per cause di forza maggiore non strettamente legate ad incompatibilità caratteriali. Le altre due hanno retto: una è andata liscia come l’olio del tipo “moglie e buoi dei paesi tuoi” e l’altra ha resistito alle distanze e alle iniziali incomprensioni. Questa è quella che ho amato di più perché si è posta in modo critico e problematico nei confronti di un rapporto che chiedeva disperatamente di essere costruito e accompagnato non solo dalla passione iniziale ma pure dalla volontà e dall’intelligenza. Faccio il tifo per loro. Spero che funzionino

 

Mi sono incistata con una serie coreana per cui ho sviluppato una dipendenza ipnotica. Alla pulizia del racconto si affianca una costante ambiguità di fondo dei personaggi impostata in modo così abile che non mi riesce mai di fare il tifo per qualcuno contro qualcun altro. Il confine tra bene e male nell’inarrestabile complessità delle cose che accadono è così debole che la sola cosa da fare è porsi in un atteggiamento non giudicante e lasciarsi avvolgere dal flusso degli eventi,senza prendere mai una posizione netta. Stupenda nella sua apparente semplicità. Ma sono i coreani ad essere superiori nella loro ineffabile capacità di raccontare la vita in maniera multidimensionale

 

Sono stata molto in giro per le zone centrali di Milano ma per ragioni in realtà tutt’altro che piacevoli e mi sono resa conto che il Natale ormai abbraccia uno spettro temporale sempre più ampio che si estende da Ottobre a gennaio inoltrato dettando non soltanto l’intera estetica “commerciale” e urbana ma pure tutto un mood fatto di programmazione di viaggi, di decorazioni domestiche in forte anticipo, atmosferedi normale quotidianità…persino nella programmazione televisiva ormai credo di avvertire che ogni cosa è fatta della sostanza del natale da almeno due mesi. Per la prima volta ho come la sensazione che ci sia una specie di necessità “sociale” (e non solo commerciale) nel sentirsi immersi nello spirito natalizio. E’ come se questo strisciante individualismo intriso di solitudine spesso non voluta ma solo subita, il sentirsi sempre in guerra (reale e metaforica) avesse creato il proprio anticorpo nell’ancestrale conforto ovattato del natale, come un dolce accompagnamento verso la fine di un anno decisamente “prepotente”. Pensarla così mi rende meno ostile questa farsa tutto sommato un po’ patetica che vede nei mercatini di natale la forma più pura della mia noia esistenziale.

 

Ho ricevuto una notizia non bella che però riceverà eventuale conferma solo all’inizio del prossimo anno, che è come dire intanto è solo una brutta notizia, poi potrebbe non esserlo ma hai dovuto aspettare e stare in ansia, oppure potrebbe esserlo e hai pure aspettato per averne conferma. Ci perdo in ogni caso…ma tant’è

 

Sto lasciando scivolare quest’anno strano, un po’ bello e un po’ chi può dirlo, senza aver pianto mai, con solo due o tre propositi da mantenere e sempre mantenuti, rispettando il principio di stare il più possibile per conto mio senza rinunciare a fare qualcosa di buono per le persone a cui tengo, provando ad impegnarmi sempre e a stare in salute. Niente di più. 

 

Sarà che è Natale da circa due mesi. Sarà che il vero bello e il vero brutto forse devono ancora venire a darmi la vera misura del mio essere fortunata o meno. Sarà che veder rimpiccioliti i giorni mi rende ancora più semplice conservare il minimo indispensabile…ma stavolta ho deciso che faccio così: tutto quello che di buono mi avanza di questo tempo vissuto e consumato solo in parte lo punto tutto sul 2025. In fondo non credo sia molto. Se lo perdo forse neppure me ne accorgo. Come sempre. Fino ad ora

lunedì 28 ottobre 2024

Beata te!

 


 

“Beata te!”. Così mi disse, con una convinzione così categorica che ancora oggi riesco a sentire il peso specifico di quell’esclamazione. Era il 2002 e io alla mia prima esperienza lavorativa. All’epoca abitavo nelle marche, in un piccolo paese della provincia di Ascoli. La mia inesperienza del tempo mi portava a pensare che mi sarebbe piaciuto lavorare nella grande distribuzione e così mi feci assumere in coop adriatica grazie adun master con attività di stage dopo il quale mi avrebbero assunto. Sarei rimasta lì per poco più di due annicon la delusione di essermi molto sbagliata su quello che credevo di volere e che nella realtà era parecchio diverso, prima di realizzare che se non avessi trovato il coraggio di cambiare strada a 27 anni sarebbe stato sempre più complicato provare a farlo dopo. Su quello che stavo per fare invece non mi sbagliavo e ancora oggi penso a quella giovane temeraria che ero che, senza alcuna alternativa di futuro a disposizione, salì all’ufficio del personale e diede preavviso che se ne sarebbe andata, nonostante un contratto indeterminato, un luogo meraviglioso in cui vivere a pochi minuti dal mare, dalle colline e dalla natura più bella che potessi sperare, assieme a persone belle con cui lavorare e uscire…


Non ero a mio agio e molto semplicemente me ne andai. Eppure,quel “beata te” di una collega di quel tempo, come reazione al mioaverle detto di vivere da sola da anni, mi colpì molto. Lei, sposata con due figli, invidiava il mio stare lontana dalla mia casa d’origine e la mia solitaria gestione del quotidiano. Mi colpì perchè in quel preciso momento cominciai a capire che l’assenza di solitudine può essere una mancanza rilevante anche per chi ha apparentemente una vita risolta nel più classico dei modi, mentre io a quel tempo ero nell’attesa fiduciosa del grande amore che sarebbe arrivato al momento giusto. Oggi so che quella di allora era soltanto paura di ammettere che star sola mi piaceva già tantissimo e che non sarebbe stato improbabile desiderare di restarlo anche per il resto del mio futuro. Quel “beata te” ha ora per me una valenza profondamente assertiva, come a ricordarmi che da allora non è successo nulla di sbagliato, perché esistono anche le persone che restano sole, prima per necessità, poi per scelta sperabilmente temporanea e poi per compiaciuta decisione definitiva. E io faccio parte di queste. Dopo aver incontrato imbroglioni, bugiardi, manipolatori, ma anche brave persone con cui non avevo troppo da condividere, legami cominciati bene e poi sfumati senza un perché, miei errori di valutazione perché, dai, in fondo fa parte del gioco…ho tutto superato, tutto accettato e bene accolto con lo sguardo sereno di chi osserva il proprio karma senza fare troppi capricci. 


Da oggi sono in ferie e come sempre ho preparato una ambiziosa lista di tutte le cose che devo assolutamente fare tra sport, letture, film da recuperare, cose da scrivere, podcast da ascoltare, nuove ricette da sperimentare e tutta una serie di altre cose che dovrebbero essermi utili per le mie utopie a lungo termine. L’idea non scritta è quella di provare a realizzare almeno il 30% di tutto con la speranza che sia sufficiente perché parte di un progetto che ammette anche la gradualità, la lentezza, il fidarsi del processo.

Ma, di fatto, vorrei solo avere il coraggio dei miei 27 anni e andarmene via da tutto così, senza un vero perché. Giusto per il gusto di “ricominciarmi” daccapo mentre mi dico un enorme “beata te” urlato alla persona che davvero vorrei/dovrei/potrei essere

mercoledì 16 ottobre 2024

Alla (poca) luce degli anni passati. E a quella dei giorni a venire

  

Pioggia, poca luce, aria umida e appiccicosa, starnuti a caso, abbigliamento ineluttabilmente inadeguato, poco sonno, ansia mattutina che mi vede per almeno mezz’ora dal risveglio sempre nella stessa posizione: seduta su una specie di sgabello contenitore troppo basso per riuscire a rialzarmi comodamente, sguardo fisso verso la zona lavandino, l’attesa che il caffè raggiunga una temperatura “bevibile”, il pensiero di tutto quello che dovrò fare una volta uscita, il desiderio costante che faccia di nuovo sera, accarezzando una ad una tutte le magnifiche sensazioni da fine giornata, quando tutto quello che mi aspetta è il rituale di benessere doccia/cena/tv/letto. Non è sano. Me ne rendo conto da sola eppure i limiti di questo periodo dell’anno stanno tutti nel suo straniante corto circuito “tempo che manca per fare bene qualunque cosa vs tempo che non passa mai neppure in uno stato ipnotico perpetuo”. E così mi ritrovo a far tardi in ufficio pure se sono in piedi dalle 4:30, pure se nel frattempo ho cucinato, fatto pesi e poi yoga, pulito casa, rifatto il letto…tutto entro le 6. Ad un certo punto ho bisogno di stare seduta a guardare di fronte e sentirmi come bloccata in quella posizione fino a quando il richiamo della mia giungla metropolitana non ha la meglio sull’”ormai è troppo tardi”. Ho idea che si possa stare meglio, ma fino a quando non capisco in che modo, mi piace sapere che ogni giorno di resistenza in più è un tassello verso un pieno benessere futuro. 


Senza sapere come, mi sono ritrovata a seguire un programma che mai avrei pensato così divertente e interessante. Ho cominciato a vedere “Matrimonio a prima vista”tra lo stupore e l’incredulità, osservando delle coppie che si sposano senza essersi mai viste prima. L’idea di fondo, mi pare di capire, è che per innamorarsi e pensare di passare tutta una vita assieme, non occorre conoscersi da tempo ma solo rientrare in una sorta di algoritmo che tiene conto di parametri di compatibilità puntualmente rispettati. L’esperimento mi pare tanto più interessante in quanto tiene conto delle valutazioni di esperti come mental coach, antropologi, psicologi, sessuologi…che non si basano esclusivamente su dati quantitativi, ma che tengono conto di aspetti più articolati e sfumati necessari per comprendere davvero il grado di compatibilità reciproca. Se tutto fosse vero (esperti, “concorrenti”, conversazioni, esperienze condivise sul momento e senza preparazioni a monte) sarebbe un esperimento interessantissimo. Io parto dal presupposto che non ci siano inganni ed è appassionante osservare la curiosa parabola di queste coppie-cavia che si sposano, vanno in viaggio di nozze, poi a convivere, che si scontrano, si divertono, fanno succedere cose…il tutto sotto la supervisione dei vari “Cupido” esperti che li hanno uniti e mi convinco che forse è proprio così che funzionano le coppie riuscite: non c’è nulla di casuale, bisogna rientrare in certi quozienti ed è un vero e proprio lavoro trovare la combinazione esatta per determinarli. Non che la cosa mi riguardi: io ho già fallito l’algoritmo quando rientravo anagraficamente come fattore della sperimentazione, per fortuna. Non ho più bisogno di interrogarmi al riguardo. Però bello. Ora voglio solo sapere come si evolvono quelle tre storie così diverse, eppure così allineate a modelli predefiniti precisi.


Cosa potrei ancora aspettarmi da questo ultimo scampolo di anno? Qualcosa di sorprendente? Sinceramente spero di no. Esattamente 15 anni fa venivo ad abitare a Milano, presso un’anziana signora appena abbandonata dal marito dopo 40 anni di matrimonio. Di quel tempo lì ricordo la mia totale inconsapevolezza verso ogni cosa che stavo per affrontare mista alla curiosità di quello che avrei vissuto, ora che finalmente avevo un lavoro vero e la possibilità di fare tutto a modo mio. Oggi osservo quella tizia che fui con un misto di perplessità e indifferenza. Mi pare un progetto per lo più fallito e dimenticabile, ma non credo di dovermene fare una colpa. Ho fatto quello che ho potuto con gli strumenti che avevo. Va bene lo stesso ma mi piaccio di più oggi, meno affettuosa, meno socievole, più contenuta.


Mi pare ieri e invece mi porto addosso 15 anni di più. Si sta così tanto meglio adesso senza  più smanie e neppure novità da fronteggiarese riuscissi a fare pace pure col risveglio, le albe, lo sguardo fisso e il peso di uscire quando non vorrei, avrei risolto tutto

mercoledì 2 ottobre 2024

Non detto d’autunno

 Mi piace che Settembre sia volato. Mi piace che tutto quest’anno stia passando con la stessa fretta che gli ho messo da quando è cominciato. Non riesco a definire le ragioni esatte di questa mia gioiosa percezione: credo che sia per tutte le cose che mi è toccato fare in questi mesi e che non sono “concludenti” ma solo preparatorie, predisponenti verso cambiamenti più significativi ma in realtà ancora lontani da venire. E’ bello fare progetti con l’animo pacificato di chi ormai sa che piega ha preso la propria vita, assieme alla coscienza dei propri limiti, di quello che si cerca di limare senza necessariamente stravolgere del tutto. E’ bello fare pace con tutto quello che si immaginava di desiderare e invece non è successo e che ormai si mescola con ansie, lacerazioni, accanimenti finalmente silenziati dall’accettazione consapevole o dalla divertita rassegnazione. Anche soltanto per queste piccole tappe di evoluzione personale si dovrebbe essere felici di invecchiare: tutto quello che mi sembrava una sconfitta o un mancato traguardo assume le sembianze della necessità inevitabile. Tutto è esattamente come deve essere e non ha senso immaginarselo diverso.

L’autunno è finalmente arrivato anche climaticamente, dopo un’estate in cui fin troppe volte ho pensato che non avrei superato indenne tutte quelle nottate infuocate. In realtà non c’è nulla di romantico, ai miei occhi, nella diminuzione di luce e nelle temperature che si avviano a diventare sempre più rigide: l’inverno per me rimane comunque il periodo dell’anno peggiore di tutti, almeno fin quando non riuscirò a rendere le fluttuazioni di umore del tutto indipendenti dal disagio di una stagione ostile. E vabbè, mi attrezzerò anche in tal senso, ma a questa estate bisognava assolutamente porre rimedio in qualche modo e pare che l’unico sia ancora il cambio di stagione, qualsiasi cosa si ostini a voler rappresentare.


In questo mese mi è capitato spesso di fare una cosa a cui non sono troppo abituata come fare colazione/brunch in locali diversi di Milano e ho capito una cosa importante riguardo al mio modo di osservare gli altri. Mi piacciono le coppie che se ne stanno in silenzio a mangiare. Capita che non si dicano nulla per tutto il tempo in cui stanno al tavolo ma si capisce anche così che esistono anche i silenzi “di qualità”, quelli fatti di una comunicazione che ha raggiunto un altro livello, in cui ci si comprende senza la necessità di verbalizzare più nulla. Lo capisci dal modo disteso con cui quel silenzio viene vissuto, che non lascia spazio ad alcuna disattenzione reciproca ma ad un intendersi ormai naturale, consolidato, fatto di intima connessione. Ho passato la vita a notare con malinconia solo i silenzi “sbagliati”, quelli in cui davvero la comunicazione si era interrotta in modo irreversibile, che distraevo lo sguardo dall’immaginepotentissima di due persone che non fanno altro che dirsi ogni cosa attraverso la magia eloquente dei loro magnifici silenzi.


Di questo mio principio di autunno mi piace il cuore libero e i ricordi storti che mi ha lasciato quando immaginavo cose e persone che di fatto non c’erano state mai. Mi piace l’idea che tutto quello che credevo non passasse più invece è passato e mi ha cambiato per sempre (e per fortuna). Di questo mio piccolo autunno mi porto la soluzione dei brutti pensieri di certe mattine d’estate, quando camminavo per chilometri e chilometri per non lasciarmi aggredire dai dolori che non posso estirpare e che piano piano comincio a plasmare in forme che posso maneggiare un po’ meglio. Di questo autunno incipiente provo ad esercitare la semplice gratitudine di esserci ancora e senza troppe esitazioni, conservando lo stesso silenzio luminoso delle coppie che stanno assieme senza doverselo dire a parole, che quelle si sa, sono sempre troppo povere. 


È autunno. Manca poco per ricominciare, finalmente, tutto daccapo 

martedì 17 settembre 2024

Transito settembrino

 Piccola vacanza, breve rientro, più altra piccola vacanza ancora da fare si sono rivelati un modo efficace per non accorgersi che settembre è un mese essenzialmente fatto di nostalgia e proiezione verso nuovi traguardi, un mix alquanto impegnativo di demolizione e consolidamento nel quale regna quasi sempre la lieve perplessità di non aver riposato abbastanza, viaggiato quanto si sperava, essersi divertiti quanto ci si aspettava prima che la vacanza cominciasse…e ora tocca pure raggiungere gli obiettivi top che abbiamo puntualmente listato ad inizio anno, quando i propositi erano ancora soltanto buoni (e non anche difficili) per poi procrastinare perché “tanto c’è tempo”. Io mi illudo sempre di salavrmi da tutto questo perché anticipo e/o posticipo spostamenti, riposo e obiettivi rispetto alle date comandate. Ma credo si tratti solo di illusione ottica. La verità è che provo a fare quello che fanno tutti, solo che lo faccio prima che comincino loro o quando hanno già finito, così mi sembra di avere più spazio a disposizione.

Del mio piccolo tour in terra nativa penso che sia andato tutto abbastanza bene, se lo considero al netto del confronto con compagni di viaggio che sostengono la mia incapacità di apprezzare l’umanità nella sua interezza. Sono la conferma, per me ormai superflua, che esistono punti di vista, logiche e argomentazioni che trovo del tutto incompatibili con il privilegio immeritato di stare al mondo. Però ho conosciuto anche personeinteressanti e simpatiche che per fortuna sono rientrate a Milano con me e che ritroverò presto e volentieri. In fondo essere selettivi non è mica una colpa in un tempo cupo, individualista e imbarbarito come questo. E poi ho visto gli scavi di Pompei, mi sono fatta raccontare la storia di Napoli mentre passeggiavo per Spaccanapoli, mangiato una pizza magnifica come una turista qualsiasi proprio a trenta metri dal posto in cui ho studiato per cinque anni e dove sono andata a discutere la tesi, ho fatto sport in una palestra bellissima e il bagno in piscina alle sei del mattino per tutte le mattine che ho trascorso in quel magnifico albergo. E poi mi sono resa conto che l’abbazia di Montecassino è un posto in cui potrei vivere felice, benedettina tra i benedettini, se solo mi concedessero di lavorare senza pregare.


Domani tornerò di nuovo giù. Ogni volta mi ripeto che riposerò e farò soltanto quello che voglio. In realtà so che non accadrà perché tornare a casa, dopo una lunga assenza, vuol dire in buona parte rifare il punto di una condizione che non smetterà mai di appartenermi ma di cui mi sono persa delle tappe, che ci sono delle cose da fare e anche da dire, che quello spazio mi chiede di essere altro da quello che immagino sempre quando sono aMilano. Si tratta soltanto di pochi giorni e non so bene se sia un bene o un male. Cosa farò quando rientrerò e sarà davvero settembre anche per me, che non ho fatto vacanze a luglio e ad agosto, che non ho liste da rispettare se non la speranza di non diventare mai pigra e rispettare i giorni per quello che vogliono ispirarmi di volta in volta? Cosa sarà di questo autunno con la pedalata assistita, che vorrei pacato e indolore e a cui chiedo soltanto di non essere né caldo né freddo?

sabato 7 settembre 2024

Turista per “casa”

 Stavolta proprio non riesco ad avere la misura esatta di quanto sia bizzarro quello che sto facendo in questo momento. Sono su uno di quegli autobus turistici, di solito popolati da pensionati entusiasti e fin troppo energici e curiosi, per una sorta di tour a tappe che prevede come sosta principale Napoli e la costiera. Sì, da Milano sono partita alla volta dei dintorni di casa mia per fare la turista in luoghi che dovrei conoscere alla perfezione. La verità è invece che conosco mille volte meglio Milano di Napoli, che non ho mai visto gli scavi di Pompei (per questo rimedierò adesso) e sono stata in costiera non più di un paio di volte. Mi diverte tantissimo l’idea di dormire in un hotel di Napoli e farmi guidare per la città da un accompagnatore del nord. Mi pare che dica molto del mio mancato senso di appartenenza e di radicamento, di quanto siano stati poco attenti i miei a raccontarmi il posto in cui mi è toccato di nascere, di quanto la provincia rappresenti per me sempre altro dalla metropoli, anche quando alle spalle ci sono anni di pendolarismo spinto per andare all'università e coltivare passioni e una visione meno gretta e limitante. Per me è sempre stato così: c’ero io, provinciale disagiata, e poi c’era la città, dove tutti avevano diritto acquisito di guardarmi dall’alto in basso. 

Forse è per questo che vivere anche nell’estrema periferia di Milano mi ha fatto automaticamente sentire cittadina degna di tutti i vantaggi e upgrading del vivere “dentro le mura”. Devo aver pensato a questo quando ho confermato la prenotazione e deciso di fare un viaggio “dalle parti mie” seguendo l’intera liturgia del turista di stampo classico, quello da pacchetto completo che porta a vedere tutto quello che dovrebbe uno che ci passa e vi rimane per poco tempo. Per me sarebbe un punto di vista atipico eppure mi diverte da morire: ho preparato il mio piccolo bagaglio pensando non alla maniera di quando torno dai miei, ma di quando vado in un posto in cui nessuno mi conosce e devo solo sentirmi abbastanza comoda per stare in giro tante ore. E poi ho provato ad immaginare alla mia stanza d’albergo a Napoli e a quanto sia bizzarro già soltanto il fatto che stanotte dormirò a meno di 10 km da casa mia senza andarci per nulla. Milano - Napoli e ritorno. Tutto in tre notti e quattro giorni.

Potevo far tutto da sola. Vero. L’avrei fatto? No. Perché? Perché quello che credi di conoscere non sembra mai essere una novità che valga la pena di scoprire. È una forma di presunzione basata su un distorto senso di familiarità che - nei fatti - non si possiede. E poi mi piace il concetto che per capire davvero un luogo, ma anche una storia, una condizione, ti ci devi allontanare, rivoluzionare prospettive e punti di vista. E poi riavvicinarti, magari assieme a qualcuno che non è del posto ma che te lo spiega per come ne hai bisogno. Ancora non capisco se sia tutto strano o in fondo perfettamente normale oppure soltanto una perplessità priva di senso.

Sto andando a Napoli. Chissà com’è 

giovedì 22 agosto 2024

“Se ne parla a Settembre”. Sicuro?

 Ho bisogno di sdrammatizzare. Ho avuto troppo caldo per riuscire ad inventarmi che restare a Milano per quasi un’intera estate sia stata un’idea felice. E non mi basta neppure sapere che nel mio condominio c’ero soltanto io, i latinos e pochi altri silenziosi umani troppo indeboliti dalle temperature per riuscire pure ad infastidire il prossimo. La quiete di una città che concentra tutto il proprio caos nel suo centro può non bastare quando non hai l’aria condizionata e non ti pare opportuno passare tutti i pomeriggi al reparto surgelati di un supermercato.

Negli anni precedenti avevo distribuito le mie ferie in modo che almeno un po’ di giorni tra luglio e agosto fossero destinati al mare a venti minuti da casa: una spiaggia dimenticata da Dio e dalla civiltà, col parcheggiatore abusivo che ti fa trovare pure la tanica di acqua per sciacquarti i piedi quando te ne vai. Quest’anno ho deciso che le ferie residue saranno un po’ a Settembre, un po’ ad Ottobre e un po’ a Novembre. A Dicembre starò di nuovo buona e ferma, stavolta al freddo presumo, conservando la coerenza da sfasamento temporale rispetto all’ortodossia delle feste comandate o delle vacanze di massa. Non lo faccio per fare la snob o l’eccentrica. Credo che sia una specie di inconsapevole comportamento strategico: mi insinuo nei vuoti cercando di accaparrarmi i benefici dell’essere controtendenza: la città desertica e silenziosa, i mezzi pubblici con i posti a sedere, i treni più affidabili e puntuali quando sono in pochi a partire, l’ufficio tranquillo e meno carico di lavoro, i prezzi calmierati degli alberghi quando nessuno prenota, nessun pericolo di overtourism…mi piace, mi aiuta a sopportare le lunghe parentesi in cui non mi è possibile scappare dalla routine collettiva neppure con gli incastri più acrobatici per smarcarmi. Quest’anno è così, gli metto fretta più degli altri perché nel prossimo ci sono delle cose che devo fare e che mi auguro mi facciano sentire, finalmente, nel cerchio giusto da chiudere. 


In queste ultime mattine di agosto sono uscita per andare a correre immediatamente prima che l’aria diventasse troppo calda. Esco sempre senza le cuffie: ho imparato ad apprezzare le sensazioni che mi restituisce la falcata quando è ben sincronizzata con il respiro. Di solito impiego un po’ di tempo e solo quando ci riesco mi sento autorizzata a pensare ad altro, che è poi sempre la stessa cosa, una cosa che penso soltanto al mattino, tutte le mattine da almeno un anno e poi non più per il resto della giornata. E’ una cosa brutta, che riguarda il mio essere stata bambina poco compresa (forse anche poco amata, ma vabbe’) e che avrei voluto capire prima, arrabbiarmi prima, almeno per difendermi e ribellarmi prima. E’ incredibile come certi piccoli o grandi traumi irrisolti non trovino mai una quadra se non ci fai davvero pace o non li si lascia andare perché distratti da impegni più urgenti. Il primo mattino per me è un grosso guaio anche per questo: è il mio momento migliore e più promettente, ma pure quello più vuoto in cui di prepotenza emergono dolori atavici che poi accartoccio per il resto del giorno ma che non riesco mai a strappare definitivamente. E così mi capita di correre con questo pesofaccio i conti con la fatica e combatto con entrambi lungo l’intero anello di Linate. A modo suo un cerchio (vero e proprio) che provo a chiudere e invece…


Ma più di tutto di questa estate ricorderò l’affondamento di una nave di lusso nel mediterraneo, dove – per una volta – a morire sono stati dei miliardari. Perché si può morire in mare anche senza essere dei disperati che fuggono dalla guerra e dalla fame, ma esattamente per il motivo opposto. E io non capisco se in questo macabro gioco delle compensazioni ci sia qualche lezione di giustizia cosmica da apprendere o semplicemente uno spietato livellamento dell’epica individuale nel gioco tutto casuale del destino.


Saluto agosto con la placida consapevolezza di non aver fatto troppo, ma quasi il giusto, che finalmente sta rinfrescando e si tornerà a respirare e soprattutto che ho ancora un sacco di ferie su cui contare. E così chi a giugno aveva sentenziato un “se ne parla a settembre” potrà, con calma, cominciare a sentirsi autorizzato a dire “ormai se ne parla l’anno prossimo” senza sentirsi troppo in colpa. Perché rimandare non è sempre pigrizia o scarso senso di responsabilità. A volte è solo la percezione che il futuro abbia sempre la meglio su tutto. Su un presente scadente e a maggior ragione su un passato immutabile e qualche volta fin troppo doloroso

 

mercoledì 14 agosto 2024

Attesa attiva

 E nel frattempo sono sopraggiunti i 48, quella specie di “età da sala d’attesa”, quando pare che non ti sia richiesto niente di speciale ma solo perché non sai cosa davvero ti aspetta nella stanza dove presto entrerai. E così, mentre aspetto l’ingresso ai 50, ho deciso che i capelli continueranno a crescere fino ad allora, quando saranno lunghi e biondi per dimostrarmi che l’età che uno si sente, è sì sbagliata, ma pur sempre il frutto di un percorso scelto, voluto, sentito in un tempo precedente in cui abbiamo provato a farci pronti. 

In fondo è tutta la vita che mi sento fuori luogo o in una sala d’attesa in cui non so cosa sto davvero aspettando. Forse mi piace, sarà una scelta anche quella di non riuscire ad avere un senso profondo di appartenenza, starmene perplessa a chiedermi cosa ci faccio qui, oppure lì, cosa ci faccio ovunque, come in certi luna park sempre tutti uguali tra loro nei quali cammino un po’ a casaccio tra folla, frastuono, profumo di zucchero filato e giostre che non mi divertono mai. Solo quando ne sono fuori mi rendo davvero conto di quanta pace ci sia lontano da quei non luoghi in cui siamo solo parte di una festa che ha senso solo con un pubblico disposto ad animarla.


Forse mi sento davvero a mio agio solo quando cammino, quando non sono ancorata al suolo che calpesto perché lo abbandono ad ogni passo, come se solo nel riscatto della fuga riuscissi a sentirmi non obbligata ad integrarmi con il posto che sono costretta ad occupare. Eppure, se ci penso ancora un po’ meglio, il sentirmi centrata è sempre legato a momenti precisi piuttosto che ad un modo di occupare i luoghi: il momento di passaggio dalla notte all’alba, l’ora del massaggio thai, una lezione di yoga, un workout che ancora mi fa restituire un polmone, un check up dove risulta che sono in perfetta salute…e ogni volta che riesco a perdere un po’ di coscienza di me perché il momento ha la meglio su tutto. Forse è vero che si è tanto più giovani quanto più si è capaci di perdere la percezione del tempo se l’intensità dell’esperienza ci trasforma anche di poco.


Ho 48 anni ormai da un giorno e ancora devo pentirmi dei figli che non ho mai voluto, del marito che non ho mai cercato, delle ambizioni che non ho coltivato. Non ho mai saputo bene neppure quando fosse il momento adatto per fare un bilancio, cosa mettere alla voce dei guadagni e cosa nelle perdite e cosa conti davvero nel gioco delle compensazioni. So che sono vittima di pregiudizi sbagliati a cui per tanto tempo ho cercato di conformarmi senza troppa convinzione, ma sufficiente ad intossicarne la logica. E poi so che mi tollero di più quando sono da sola e che le relazioni umane mi affaticano sempre di più e che mi piace essere tutta un problema, a patto di esserlo solo per me stessa.


Ho 48 anni e un giorno. Non è un’età rotonda, non fissa traguardi cruciali, non segna passaggi esistenziali epici. Vive della discrezione del suo tempo di transizione. Ha dalla sua le infinite possibilità scevre dalla pressione delle grandi aspettative di una meta imminente. Cosa potrei chiedere di meglio se non camminare e godermi le albe ancora tranquille di questa indulgente età di mezzo?

 

sabato 3 agosto 2024

Pensare da ferma

 Fa un caldo infernale. Durante la notte, ormai da più di una settimana, mi capita di svegliarmi di soprassalto completamente sudata e di aver bisogno di alzarmi per qualche minuto, sciacquarmi il viso e fare lunghi respiri per riprendermi. Non si tratta di incubi o di assilli: è solo un grosso, enorme problema di aria soffocante, mentre i cattivi pensieri, quelli che mi accompagnano incuranti del clima, mi pare che si manifestino nella loro ormai prevedibile assertività sempre come dei compagni di camminata, del lungo percorso casa lavoro, della pausa pranzo lungo viale Molise, della corso all’anello di Linate. È strano eppure se ci penso, quasi senza rendermene conto, ho imparato a concentrare la parentesi oscura dei miei giorni quando sono all’aperto e sto coprendo delle distanze. Tutto sommato mi pare un buon compromesso. 

C’è qualcosa di profondamente catartico nelle liste: mettono in ordine i pensieri, definiscono i confini tra giusto e sbagliato, fissano un orientamento. Anche quelle più banali sono efficaci, se lette col dovuto criterio. E così ogni tanto, soprattutto quando penso che i giorni mi stiano raccontando poco, male e in modo confuso il tempo che occupo, provo a fare il mio elenco delle cose che mi riguardano o quelle che combatto perché sono troppo altro da me. Provo ad andare a braccio, spero che mi aiuti.

1) sono una solitaria che frequenterebbe volentieri altri solitari pur sapendo che se questo fosse possibile non avrebbe più senso quel tipo di compagnia

2) dell’amore ho capito che mi piace solo la parte dell’innamoramento, quella che dura poco ma mette in moto le reciproche parti migliori, assieme a un entusiasmo prepotente e una visione del mondo che sarebbe bello durasse per sempre. E invece non lo fa

3)  il cibo è tra le tre o quattro cose per cui vale la pena vivere

4) non sono una buona amica perché sono incapace di coltivare rapporti non superficiali di lungo termine

5) nessuno degli uomini che mi sono piaciuti potrebbe mai piacermi oggi. Ma proprio per niente. Mi chiedo come sia stato possibile il contrario

6) se potessi non lavorerei. Non farei nessun tipo di lavoro, neppure se mi piacesse. Le cose che piacciono non andrebbero mai sporcate con i contratti

7) Mi vergogno di troppe cose che ho detto e fatto nella prima parte della mia vita. La sola ragione per cui un po’ mi assolvo è che ero davvero tanto stupida

8) non perdono mai nessuno. Qualche volta fingo il contrario. Ma non è vero niente

9) credo che gli ottimisti alla fine siano tutti un po’ scemi. Ma un po’ li invidio

10) mi annoio più spesso di un tempo. Ma non me ne rammarico 

11) le crociere sono un modo ridicolo di viaggiare

12) vorrei concentrarmi di più. Ma non so bene su che cosa

13) real time è il mio irresistibile guilty pleasure. Quando vedo “primo appuntamento” o “abito da sposa cercasi” ho la percezione esatta del disagio che attraversa questo periodo storico

Sta cominciando a piovere. Che bello. Forse stanotte si dorme 


venerdì 19 luglio 2024

Milano summer edition

 E’ una cosa che d’estate mi piace sempre fare. Appena sono al mare metto nelle stories una foto in cui sono in costume che risulta essere sempre la foto di gran lunga più vista di tutte le altre, come cibo, panorami, primi piani…La stragrande maggioranza delle visualizzazioni proviene da donne che (sono sicura) vogliono capire quanto sia o meno in forma e quanti buchi di cellulite riescono a contarmi sulle gambe. Il divario numerico rispetto a tutte le altre cose che metto non smentisce mai un mio assunto secondo cui alla fine la curiosità altrui si limita più o meno a questo. Amen. Ho impiegato una vita per accettarmi fino a piacermi e ad amare quello che il mio corpo è ancora capace di farmi fare. Non sarà certo lo sguardo intrusivo che io stesso contribuisco ad orientare a condizionarmi. Forse mi diverte ancora di più sapere che ci sono colleghe, di cui a stento ricordo il nome, che leggono questo blog, fanno gli screenshot e li portano in giro tra le stanze dell’ufficio lanciandosi in improbabili esegesi del testo. Credersi furbi senza esserlo è una potentissima fonte di ispirazione per chi, come la sottoscritta, osserva senza pronunciarsi.

Estate a Milano significa ufficio quasi vuoto, strade desertiche e autobus con i posti a sedere. E’ attraversare la città che ormai è quasi tutta un cantiere a cielo aperto: stanno abbattendo ovunque palazzi di archeologia industriale o fatiscenti su cui nasceranno condomini nuovi e con una concezione dell’abitare totalmente diversa. E’ straniante assistere alla rapidità con cui, ancora una volta, questa città cambia i propri connotati. Estate a Milano è aria appiccicosa che si mescola con un silenzio anomalo in uno spazio che pare dilatarsi mentre il tempo rallenta. Potrei stare meglio altrove, questo è sicuro, ma questa condizione di sospensione molto cittadina, ma in fondo senza i connotati tipici della sua forma invernale, mi rilassa molto. E poi ho imparato ad essere felice di quello che c’è e non solo di quello che esiste solo nei miei sogni, ormai sempre più sbiaditi e con troppi buchi narrativi per riuscire a capire come vanno esauditi.


“L’ossessività non è un maleE’ una cosa preziosa che ti può salvare la vita. Succede quando ti alzi la mattina e pensi solo a quella cosa continuamente. E così ci lavori, la cambi, la correggi, ne insegui lo spirito, preghi per qualche buona intuizione, provi ad affinarla. La fai fiorire piano piano”. Questo hanno detto i fratelli D’Innocenzo alla presentazione del loro ultimo film. Io li adoro: mi piace il modo in cui lavorano assieme, come concepiscono il cinema, il loro reciproco affiatamento, come si intendono tra di loro. Mi affascina sempre questo tipo di legami, forse perché penso che la vera radice di ogni grande ispirazione sia soprattutto il frutto di un forte sentimento verso qualcuno che amiamo. Almeno questo è stato per me, quando perdere la testa per qualcuno significava stravolgere ogni mia prospettiva inventandomi percorsi di vita, situazioni, progetti, parole, persino sentirmi dotata di un coraggio che non credevo di possedere. L’ossessione è bella perché spinge in alto ogni tuo limite demolendo ogni forma di banalità del reale. Quando passa ci sembra ridicola, tossica, persino pericolosa, in realtà è anche e sopratutto una potentissima forza propulsiva. A me non succede più ma, se ci penso, tutto quello che salvo di quella povera me che sono stata fino a un po’ di anni fa è l’euforia di quel tempo tutto storto, traballante, ma pieno di vibrazioni che è stata la mia giovinezza più appassionata.


Qualche giorno fa mi trovavo in un quartiere bello, piuttosto distante da dove abito. Ci sono andata per un motivo ma poi sono rimasta più tempo per tutt’altro. Anche lì stavano abbattenddei vecchi palazzi. C’erano gli operai e un sacco di polvere. Mi hanno detto che dalla settimana prossima cominciano già a costruire quello che sarà un condominio green, con palestra inclusa e un giardino interno di ciliegi. Ne sono stata felice. Ci tornerò apposta per vederlo nascere

mercoledì 10 luglio 2024

È tutto nella testa. A volte, purtroppo, anche “sopra”

 Neppure lo sapevo che esistesse un nome preciso per definire un’attitudine che a suo modo è inclusa anche nella mia visione delle cose. Si chiama Journaling (adoro questa cosa che gli inglesi hanno sempre pronto un instant term appena un fenomeno si fa premessa per un nuovo trend. Sempre sul pezzo, che gli vuoi dire?). Si tratta in pratica di una specie di routine quotidiana, da fissare rigorosamente per iscritto e su una pagina di carta, con lo scopo di impostare la giornata con presupposti finalizzati ad ottenere ciò che ci interessa. L’idea è che un pensiero scritto diventa più facilmente intenzione concreta e così evita dispersione, ritardi, tentennamenti. Ciò che viene affermato con la scrittura pare che incida sull’umore, fa una scrematura dei pensieri superflui e detta la linea per tutto il giorno. Bello. Questa idea mi convince. I pensieri quando diventano scritti non possono più nascondersi e così ci fai i conti come se fossero materia viva da plasmare per i tuoi obiettivi. Ed ecco ora il punto che mi piace più di tutto: il journalism punta sull’idea che ciò di cui abbiamo bisogno più di ogni altra cosa è conservare un’idea gratificante di noi stessi e questo comincia da quando si riesce ad essere grati per la notte appena trascorsa nel riposo, poi per come ci vediamo allo specchio al mattino mentre facciamo il primo sorriso della giornata, fino al crearsi di uno schema ripetuto di pensieri positivi e di azioni quotidiane che culminano nella cura del proprio benessere fisico. Detta così sembrerebbero i consigli della zia Maria o le solite quattro regole dei fanatici del mindfullness. In realtà è invece abbastanza comune che questo semplice paradigma mattutino venga disatteso in modo da compromettere tutta l’efficacia della buona partenza e, udite udite, dell’esistenza tutta (però mammamia che paura!).  Secondo questo metodo del “buon giorno che si può vedere solo dal mattino oppure mai più”, i passaggi delicati dell’inizio della giornata devo essere rispettati tutti, altrimenti non vale. E io ci credo per esperienza personale e spiego perché.

La faccio breve. Gli inquilini del piano di sopra, quelli che ho maledetto spesso anche qui e che hanno un’orrenda bambina, che non ha fatto molto altro nella sua breve esistenza se non correre h24 per la casa, se ne sono andati via per sempre. Ora, io lo so, anche a me lo hanno spiegato i grandi saggi, che uno deve trovare la pace dentro di sé indipendentemente dagli ostacoli esterni, dagli imprevisti, dalla cattiva educazione altrui e dagli oltraggi dell’avversa fortuna, ma posso garantire che la suddetta pace necessiterebbe quantomeno di un minimo sindacale di ore di riposo e di silenzio almeno all’interno delle proprie mura domestiche, altrimenti posso garantire che sia un’impresa fisicamente e psicologicamente del tutto impossibile. Di contro, grazie a questo magnifico tirocinio forzato alla sopportazione oggi mi sento autorizzata ad odiare i bambini non per scarsa sensibilità, ma per trauma irreversibile diagnosticato da Rosa e Olindo. Da quando quegli esseri inqualificabili sono andati via sono tornata a dormire sul mio soppalco dove, al posto del letto, avevo messo un autentico tatami con sopra un meraviglioso futon giapponese. La mia epifania è stata tornare dormire di nuovo lì, tranquilla, per un numero sensato di ore e in una modalità che mi consente un risveglio veramente magico. E così il journaling è tornato ad essere di nuovo la mia ipotesi di felicità programmata. 


Oggi mi è facile essere grata, scrivere pensieri positivi, avere delle priorità certe e togliere spazio a tutti i pensieri tossici che albergavano in me fino a qualche tempo fa. In fondo è un dettaglio insignificante eppure per me era determinante. Scrivevo anche prima, pianificavo le mie giornate con lo stesso dettaglio, avevo le stesse routine…eppure non funzionava. 


A volte mi chiedo quanto tutto, il dolore, la gioia, la predisposizione d’animo alle sfide…dipendano soltanto dal punto in cui ci troviamo, anche se non ce lo siamo scelto, o se in fondo gli sforzi che facciamo conservino un loro valore “futuro” anche quando ci sembrano inutili e senza risultati evidenti. Credo che sia la seconda…se non ti “calpestano” proprio quando vorresti riposare

Non è che se…

  Non è che se decido di non scrivere quello che mi fa male poi sto meglio  solo  perché  non analizzo  quello che mi capita . L’inverno non...