Sola andata

Sola andata

martedì 1 novembre 2016

fatta in casa

Da un po' di tempo provo a pensare a come descrivere la ma idea di casa. Sono giorni che faccio fatica ad aggiornare questa pagina perché ho quasi paura di peccare di insensibilità in un periodo in cui una parte del paese è funestato da sussulti continui, distruzione di magnifici antichi borghi e intere popolazioni che assieme alla casa hanno perso pure tutta la loro storia, le certezze, gli "affetti tangibili", i progetti realizzati e annientati come in un colpo di spugna.

Nella mia vita ho cambiato casa un numero sufficiente di volte da comprendere come lo spazio e la maniera in cui noi siamo titolati ad occuparlo condizionino moltissima parte del nostro essere.
La mia infanzia è trascorsa in un appartamento non grande e neppure troppo confortevole. Quando a tredici anni ci trasferimmo nella casa indipendente, dove tuttora vivono i miei, io ero davvero felice perché mi pareva che tutto quello spazio in più avrebbe significato più libertà, più cose da avere e più attività divertenti da inventarmi. E invece mi ricordo di essere rimasta per la stragrande maggioranza del mio tempo vissuto in quella casa nella camera mia. La mia vera casa era quella stanza li, con i libri scelti da me, i miei pupazzi, gli oggetti che incarnavano ricordi e affetti, gli incensi, i colori delle pareti, i cuscini...tutto deciso da me.

Un po' di tempo fa mi colpì la notizia di un top manager, di quelli ricchi ricchi in modo assurdo, che aveva deciso di vivere in macchina perché riteneva che soltanto quello fosse lo spazio necessario e  sufficiente per evitare di avere il superfluo, vale a dire cose non necessarie ma per le quali si spreca del tempo pe doverle gestire. E in realtà anche in precedenza avevo sentito qualcosa, relativamente a questa attitudine, che affermava che l'ambiente ideale in cui vivere è la camera d'albergo perché in quella c'è solo ciò che ci è necessario.

Anche per me casa equivale a spazio attentamente delimitato, forse perché anche io sono ossessionata dalla necessità di separare il necessario dal superfluo, che è una distinzione che qualche volta non mi è per niente facile.
Credo che la mia vera casa sia "diventata" quella in cui vivo ora, dopo due ristrutturazioni, dopo i tanti tentativi di disposizione di mobili, dopo aver buttato tutto ciò che non ho mai sentito mio e che credevo erroneamente necessario, dopo le persone che sono passate e che hanno lasciato le loro tracce...dopo che chiudendomi la porta alle spalle una giornata trascorsa a calpestare spazi non familiari, ho sentito finalmente di riconoscermi in ciò che mi stava intorno.
Sono convinta che non sia sufficiente comprare e occupare uno spazio perché questo diventi subito nostro. Sentirsi a casa solo molto raramente succede in modo immediato, più spesso è il frutto di un percorso di faticoso adattamento, conoscenza, affetto con cose e pareti che compongono il tutto. La tentazione principale è sempre quella di dare un senso di stabilità a questo, come se la casa fosse davvero il nostro guscio inattaccabile da cui proteggerci da quello che ci ha stancato o offeso. Ma è un errore. Quella da assecondare è la dimora interiore che qualche volta diventa raminga e decide di proiettarci altrove perché i luoghi smettono di raccontarci quello che siamo, perché nuovi incontri ci invitano dentro spazi meno limitati e con pareti di altri colori o perché purtroppo una tragica fatalità più spazzare via tutto e cancellare tutte le storie fatte in"casa" .

Io non lo so se abiterò per sempre in questo strano bilocale con il letto sospeso per aria, le pareti colorate piene di poster di film e di perline colorate. So che non vorrei che fosse più grande, che mi piacerebbe condividerla con qualcuno, che mi piace ancora moltissimo rientrarci dopo una giornata intera senza sapere che luce c'era nei vari momenti del giorno, che riesco a riconoscermi in questo buffo disordine da cui credo di non salvarmi neppure se butto via tutto quello che ho...
Questa casa è mia perché sono io fino all'ultimo granello di polvere lasciato nella parte alta dei mobili.  Se un terremoto me la buttasse giù penserei soltanto a ciò che lì dentro sia rimasto in sospeso: forse un libro non ancora concluso. O la persona che stavo ancora aspettando

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