Sola andata

Sola andata

giovedì 24 dicembre 2020

Darsi i natali

 


Se dovessi giudicare da quello che ho visto ieri, quando sono andata a comprare l’acqua al supermercato, dovrei pensare che il pranzo di natale delle famiglie in numero contingentato è una sorta di suicidio premeditato stile “La grande abbuffata”, altrimenti non mi spiego quel delirio di carrelli traboccanti come mai mi è capitato di vedere in questo periodo. E io, che vengo dal sud e so benissimo cosa significhi mangiare molto durante le feste, so di cosa sto parlando.  Ancora non riesco a crederci. Per quanto mi riguarda  mi sento predisposta  a questo periodo magico e di cui serbo ricordi passati molto più cupi di oggi. Tutto è pronto per il “cenone semi-veg”, le lucine, i film tassativi, gli aggiornamenti familiari. Sarà bello, come lo è quasi sempre il tempo che ti scegli e nel quale decidi di mettere dentro solo quello in cui credi davvero, senza obblighi, costrizioni, ipocrisie, rinunce.

Quattro anni fa di questi tempi piangevo tutte le mie lacrime, un po’ di anni prima invece  facevo finta di trovarmi bene dentro una situazione che non sapevo proprio  come interrompere.  Solo oggi posso benedire quegli anni con la pace di chi troverebbe ormai  assurdo aver versato  tutte quelle lacrime e vissuto così tanto  tempo senza sentirselo davvero addosso.  Star sola non è la cosa che mi auguro per sempre, ma è ancora ciò che mi procura il benessere maggiore:  è così che ho imparato ad osservare con il giusto distacco le mie fragilità, a scoprire di credermi gelosa quando in realtà stavo soltanto  rinnegando l’intuizione di esperienze affettive inadeguate, a pretendere finalmente amori affrancati da qualsiasi passato e presente, ad imparare il sacro valore dell’attesa come categoria dell’esistenza piuttosto che il risultato certo di pretese spesso  velleitarie.

Vivo in un condominio concepito come una specie di “comune”: dalle case vicine sento tutto, i litigi, le conversazioni di coppie anziane che si dicono sempre le stesse cose, le ripicche piccole ma continue che appesantirebbero il quotidiano anche della persona più paziente del mondo, il senso costante e inesorabile di noia…e a volte penso alla mia pace domestica, alla semplicità delle mie strane abitudini che per  tanti potrebbero, comprensibilmente,  sembrare follia (dormire così poco, allenarsi prima di andare a lavorare, uscire poco, non bere, mangiare cose strane…ma perché mi si dovrebbe sopportare?). E poi ci sono le volte in cui penso al mio senso di accudimento, al patriarcato che è dentro di me, a tutto quello che tendo sempre a fare quando mi lego a qualcuno…e allora penso che in realtà forse fuggo ancora da quella parte di me che si espone volutamente alle ferite, quando la scusa della solitudine come scelta pare mostrare il fianco.

Ho smesso da tanto tempo di piangere per amore e per disillusione. Mi sono persino “aggiustata” a credere a quello strano concetto di “amicizia amorosa”, svincolata da passione e possesso ma fatta di tutto il resto. Qualche volta funziona, molte altre mi dispiace tantissimo.  La verità è che c’è una grammatica del cuore che mi resterà per sempre oscura o solo vagamente intuita. Mai davvero percepibile.  Però in fondo che ne so.

Ieri ho comprato l’acqua in un supermercato in cui c’era il delirio. Un amico mi aspettava fuori con la macchina e mi ha portato dei bellissimi regali inaspettati, tanto più graditi perché pensati con ogni cura.

Sono la solita fortunata senza neppure un po’ di merito

(Ah, auguri eh…) 

“ Ci addormentavamo vicini vicini, senza che c'importasse dove inizia uno e dove finisce l'altro, né di chi sono queste mani o questi piedi.
E nel sonno, quando uno si muoveva tra le lenzuola, l'altro si accomodava negli angoli e nelle curve.
E quando uno sospirava, sospirava anche l'altro.
E quando uno si svegliava, si svegliava anche l'altro.
Stavamo in una complicità così perfetta, che ci incontravamo nei sogni ed il giorno dopo, non sapevamo chi aveva sognato chi”

~ Isabel Allende

 

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