Sola andata

Sola andata

venerdì 11 dicembre 2020

Ricordi anomali di un anno da dimenticare


 Persino io mi arrendo. Io, che mi ostino sempre a prendere nota di un tempo in cui provo a riconoscervi la necessità che le cose debbano essere esattamente come sono. Ma non si può. E’ un anno troppo storto per offrire una seppur minima chiave di lettura edificante di tutto quello che ha voluto infliggerci. Non c’è niente di giusto: dagli idoli che ci ha strappato, alle limitazioni negli affetti privati, dalla quotidianità appesantita da obblighi e restrizioni, all’impoverimento materiale di intere categorie, fino alla paura del futuro, l’individualismo che si fa solitudine, malinconia, depressione collettiva. Neppure io perdono quest’anno brutale, vergognandomi persino della mia condizione apparentemente inviolata grazie alla quale continuo a fare tutto quello che ho sempre fatto. Intanto ho riparametrato ogni vecchia priorità, come desiderare restare per sempre in questa città, coltivare un romanticismo “realizzabile”, collezionare nuove mete di viaggio. Nulla. E’ un anno proprio odioso e spero che si trovi al più presto la maniera di dimenticarlo.

Il mio ufficio è quasi del tutto vuoto e gran  parte dei miei colleghi è tornata al sud per lavorare da lì. Mi pare sensato e l’ufficio così è bellissimo, soprattutto se penso a colleghi che riflettono ad alta voce per otto ore di fila, incuranti di orecchie che forse vorrebbero tregua,  o ad altri che non salutano neppure se gli sbatti col muso contro. Ma sarò felice anche del loro rientro. Giuro. Nella mia vita lavorativa ho odiato solo due colleghi e per fortuna se ne sono andati via entrambi e quando è successo mi sono detta che forse ho un angelo custode potentissimo. Il primo dei due era un tizio di Foggia, un gradasso con cui ebbi uno scontro scaturito da un parere divergente riguardo un film. Quella sera ne parlai male, volutamente, proprio su questo blog e il giorno dopo tutto l’ufficio ne parlava. Mi finsi sorpresa, ma in realtà volevo che sapesse e signorilmente vomitargli addosso tutto il mio disprezzo, evitando il contraddittorio con una persona cosi indegna. Una delle migliori sensazioni della mia vita, assieme  alle preghiere esaudite di vederlo andar via.

Il secondo collega detestabile era un tale Genny. Con lui non avevo mai avuto nulla a che fare. Però una volta gli chiesi delle puntine per la spillatrice di cui avevo una certa urgenza e lui, per fare lo splendido , mi disse “no, servono a me”. Mi bastò questo per considerarlo la seconda persona peggiore dell’ufficio. Quando è andato via ho gioito come una pasqua…e lui magari manco ha mai saputo quanto lo detestassi. Che personaggio strano che sono pure io…ma loro due erano proprio brutti lo stesso.

Oggi invece me ne sono stata immersa nel silenzio ovattato di uno spazio troppo grande per contenere solo me e pochissimi altri dispersi nei vari piani e mi sono chiesta come sarà tornare al regime precedente, con le pause caffè caotiche e le schiscette da consumare tra i colleghi che si piacciono. E poi sono uscita, percorrendo una strada umida e nebbiosa che mi piace soltanto d’estate, ascoltando un programma comico nelle cuffie e provando a gestire la profonda tristezza per la morte di un regista coreano di cui mi sono innamorata dopo averlo incrociato con colpevole ritardo.

E’ un anno di pensieri piccoli e di ricordi meschini, di vuoti difficili da colmare assieme alla difficoltà ad immaginare un vero ritorno alla vita di prima. Fare peggio non si poteva. Ma mancano ancora un po’ di giorni. Meglio tacere. O confidare ancora in quel gran figo del mio angelo custode.

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